Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, storia antica: I culti di Iside, Osiride e Serapide nella Siracusa romana
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I culti di Iside, Osiride e Serapide nella Siracusa romana

di Giorgia Bana


La Sicilia deve la sua fortuna, anche in termini di patrimonio archeologico e culturale, alla sua posizione centrale nel Mediterraneo, rappresentando uno dei primi approdi per chi navigava dall’Africa settentrionale, dall’Egitto, dall’Asia Minore, e in generale dall’Oriente. Soltanto tenendo a mente le molteplicità di uomini che sono sbarcati sull’isola, nel corso della sua storia, si può comprendere la ricchezza di questa regione, che si configura, oggi come in antico, come un coacervo di culture.
A una così cospicua circolazione di uomini corrispose una altrettanto fiorente circolazione di idee circa il concetto di divinità, il rapporto con esse e la modalità con cui entrarvi in contatto. La manifestazione materiale della diffusione dei culti orientali sull’isola di Trinacria consiste in una documentazione archeologica che affonda le sue radici nell’età arcaica, come dimostrano, ad esempio, i ritrovamenti di scarabei e amuleti egizi nelle necropoli e nelle stipi votive della città di Siracusa. Dal punto di vista storico, politico, culturale e religioso, la Sicilia è divisa in due blocchi: uno di tradizione siceliota e l’altro fenicio-punico. La parte orientale dell’isola si configura come l’area greca, mentre la parte occidentale è l’area di tradizione semitica. In questo lavoro verrà preso in esame il caso di Siracusa, in quanto la città si presenta come un caso emblematico quale teatro d’incontro tra la cultura locale, greca, romana e orientale, soprattutto quella egiziana. La costa e i porti della Sicilia orientale svolsero un ruolo fondamentale per la diffusione dei culti provenienti da Oriente nel Mediterraneo occidentale, costituendo un ponte di collegamento con città portuali al di là dello Stretto. In via generale, non è spesso possibile individuare una cronologia certa dei culti orientali sull’isola, considerando che i contatti tra questa terra e l’Oriente avvennero in epoche diverse. Il periodo storico preso in esame qui è quello ellenistico-romano, facendo però degli accenni a epoche precedenti quando necessario.
La definizione di “culti orientali” si riferisce all’insieme delle manifestazioni religiose rivolte alle divinità originarie dell’Egitto e del Vicino Oriente Antico che si sono diffuse in momenti diversi e con differente intensità in quei territori che diventeranno l’Impero di Roma, in special modo durante l’età imperiale.
La diffusione di tali culti avvenne soprattutto in età imperiale, anche se in realtà risale già all’impero di Alessandro Magno e alla sua spartizione fra i Diadochi. In epoche diverse un gran numero di “levantini”, appartenenti a differenti classi sociali, circolò in Occidente, portando nel loro bagaglio anche le proprie divinità. Allo stesso tempo gli “occidentali”, viaggiando per l’Oriente, subiscono il fascino di divinità tanto antiche quanto differenti da quelle da loro venerate. La fortuna di tali culti, in termini di diffusione e successo nel corso del tempo e dello spazio, risiede in vari fattori. Oltre al fattore dell’attrattiva già detto sopra, si riconosce a questi dèi la capacità di adattamento e convivenza in ambienti diversi da quello originario, e la capacità di affiancarsi, talvolta sovrapponendosi, alle divinità locali. Questo fattore si va a intrecciare e sommare al fatto che i culti orientali non pretendono un’adesione esclusiva, come invece richiedono le religioni universali quali il cristianesimo.
I culti orientali, a differenza della religione olimpica tradizionale, in cui la distanza tra gli dèi e gli uomini è sostanzialmente incolmabile, accorciano sempre di più tale divario e permettono ai fedeli di avvicinarsi in maniera significativa alla divinità. Se nel mondo olimpico gli dèi sono “immortali e felici”, gli dèi orientali vivono vicende che in qualche modo li “accomuna agli essere umani”. Tale cambiamento di “atteggiamento religioso” viene riscontrato già nella Grecia antica e può essere definito “mistico”. Tendenzialmente gli dèi mistici costituiscono “una coppia divina nella quale la componente femminile ricopre un ruolo di assoluta, raggiunta fissità. Infatti, mentre la gran dea è l’elemento stabile, il suo compagno vive una vicenda luttuosa di scomparsa e di morte seguita da ricomparsa e ritorno alla vita in una prospettiva ciclica, alternante e senza possibilità di conclusione”. La vicenda legata a questa tipologia di divinità è da riconnettere al tema della stagionalità e annualità dei fenomeni naturali, che rappresentano il ciclo di vita e morte che coinvolge tutti gli esseri viventi. Il culto rivolto al dio mistico si articola in una fase di lutto seguita da una fase di gioia legata al suo ritrovamento, e queste due fasi si susseguono l’una dopo l’altra di anno in anno.
Questa religiosità di tipo mistico subisce un’evoluzione già all’epoca della Grecia classica dando vita a culti misterici. Con il termine “misterico” si fa riferimento a “un rito particolare, ad un ben individuata struttura rituale; nei misteri un dio subisce una vicenda e gli uomini partecipando attraverso il rito iniziatico a questa specifica vicenda si assicurano un bel vivere in questa vita ed una prospettiva beata nell’aldilà”. Tale aspetto è fondamentale per comprendere non solo la grande fortuna che hanno riscosso a livello collettivo divinità come Mitra, Iside e Osiride, ma anche la forte dimensione individuale che legava il fedele alla divinità.


I culti di Iside, Osiride e Serapide

Iside e Osiride, sono una coppia di fratelli, sposi e genitori divini, dell’antica religione egizia. Il teonimo della dea ha come significato quello di “sede”, “seggio” o “trono”; infatti, si ipotizza che in origine fosse la personificazione della sede celeste o di quella terrestre, ovvero il trono d’Egitto. Con il passare del tempo divenne la dea del focolare, delle spose e delle madri, incarnando il valore della fedeltà coniugale, e anche la dea della magia e delle arti mediche. Dea dai capelli neri come la notte e l’incarnato color rame, era considerata la Madre degli dèi e la Signora del cielo e delle terre. Associata ai riti funerari, insieme alla sorella Nephti, svolgeva il ruolo di “lamentatrice”; si occupava di assistere i defunti e proteggeva le cerimonie funebri.
Osiride era il dio dei morti, legato al ciclo di vita e morte e al concetto di eternità. Era anche associato alla vegetazione, alla fertilità, nonché alla stagione delle piene del Nilo. Questi aspetti trovano un chiaro riscontro nel mito che racconta la morte e la rinascita del dio, ma anche nei “Testi dei Sarcofagi”, in cui il fiume e il dio appaiono legati indissolubilmente nell’opera di fecondazione della terra. Plutarco nel suo De Iside et Osiride racconta che Osiride aveva sottratto gli uomini da una vita bestiale grazie all’introduzione dell’agricoltura, delle leggi, all’uso della parola, del canto e della musica; anche per questo i Greci lo identificarono con Dioniso. Quando il dio non era presente era Iside, la sua sposa, a mantenere l’ordine di tutte le cose. Il fratello Tifone (Seth), dio delle tempeste, del deserto, del disordine e degli stranieri, ordì una congiura per sbarazzarsi di Osiride. Grazie a 72 complici fece costruire una sorta di sarcofago di pregiatissima fattura, delle esatte misure del fratello. Con l’inganno Tifone fece sdraiare all’interno della bara Osiride, che venne imprigionato, gettato nel fiume e lasciato in balìa del mare. Quando Iside venne messa al corrente della congiura iniziò a errare alla ricerca dell’amato, e dopo una serie di ostacoli trovò il sarcofago a Biblo e lo riportò in Egitto. Il sarcofago però venne individuato da Tifone che fece a pezzi il corpo del dio in 14 parti per poi disperderle. Come in altre versioni del mito, Iside ritrova tutti i pezzi tranne il membro del marito, e per tale motivo ne costruisce una copia e rende sacra questa parte del corpo.
Le fonti egizie aggiungono al mito il concepimento di Horo da parte di Iside e Osiride già deceduto e la rinascita del dio, due eventi miracolosi che vanno a sottolineare la profonda connessione della coppia divina con il ciclo delle stagioni e il ciclo della vita. Difatti il dio rappresenterebbe la stagione di piena del Nilo, mentre la dea incarnerebbe la terra nutrita dalle acque del fiume che genera frutti. In questo senso andrebbe interpretato l’epiteto “promessa sposa del Nilo”. Infatti, la dea veniva rappresentata anche da una colonna di forma conica sormontata da spighe di grano, resa gravida dalle acque del fiume. Il dio era considerato “lo spirito del grano”; difatti nei contesti funerari veniva ritratto sottoforma di statuetta, realizzata con materiali vegetali e ricolma all’interno di grano. Interessante è la raffigurazione del dio a File: dal corpo senza vita di Osiride nascono delle spighe di grano innaffiate da un sacerdote. L’iscrizione che accompagna la scena dice: “Questo è l’aspetto di colui che non può essere nominato, Osiride dei misteri, che emerge dalle acque ricorrenti”.
Nel corso del tempo Iside e Osiride subirono una vera e propria occidentalizzazione grazie ai contatti commerciali e culturali con il Mediterraneo Occidentale. Tali contatti portarono alla loro diffusione e alla loro associazione con alcune divinità diffuse nell’area mediterranea. Già Erodoto identificò Iside con Demetra, Osiride con Dioniso, Horus con Apollo e Bubastis (la dea felina Bastet) con Artemide. La ragione di tale accostamento va ricercata nelle numerose analogie tra i miti delle due divinità. In questo caso è necessario conoscere il mito di Zagreo narrato da Nonno di Panopoli nel IV libro delle sue “Dionisiache”. Zagreo era figlio di Persefone e di Zeus, che si era unito alla dea sotto le sembianze di un serpente. Il dio aveva intenzione di dare a questo figlio la facoltà di governare su tutto l’universo. Quando i Titani vennero a conoscenza di ciò informarono Era che, in preda alla gelosia, ordinò di eliminare il bambino. Allora i Titani cercarono di catturarlo attirandolo con svariati doni: prima una trottola, poi un rombo, una palla, uno specchio e infine un astragalo. Zagreo però, dio dalla testa cornuta, riuscì sempre a sfuggire trasformandosi in diversi animali. Mentre il giovane si guardava allo specchio (o secondo altre versioni, quando si mutò in toro) i Titani riuscirono a catturarlo, per farlo a pezzi e poi divorarlo. Atena riuscì a mettere in salvo il cuore di Zagreo e lo portò a Zeus che, inghiottendolo, fece rinascere dalla sua coscia Zagreo nella forma di Dioniso. Apollo incenerì i Titani, e dalle loro ceneri nacque la stirpe degli uomini. Zagreo-Dioniso ha vissuto una vicenda di congiura, smembramento, morte e rinascita, proprio come il divino Osiris.
Diodoro Siculo afferma che i Greci avrebbero mutuato dagli egiziani il carattere orgiastico delle feste dionisiache, in quanto si voleva celebrare la virilità-fecondità del dio. L’autore nella sua Biblioteca Storica racconta che Isis scoprì il grano e l’orzo e Osiris capì come coltivarli così gli uomini smisero di praticare l’antropofagia. Siccome Iside diede agli uomini le leggi affinché questi vivessero secondo giustizia, gli antichi la chiamarono Demetra tesmofora, cioè “legislatrice”. Infatti, esattamente come Demetra, la dea egizia viene riconosciuta come istitutrice e protettrice dell’agricoltura, del matrimonio e del vivere secondo giustizia e civiltà. Osiride invece avrebbe insegnato agli uomini a coltivare non solo il grano e l’orzo, ma anche la vite, e sarebbe stato lo scopritore dell’edera; per tale motivo questa pianta veniva chiamata dagli egiziani “pianta di Osiris”. Sia la vite sia l’edera sono consacrate a Osiride così come a Dioniso, e durante i loro rituali si preferiva l’edera perché le sue foglie sono sempre verdi. Anche Dioniso era considerato l’inventore della vite e del vino, ed essendo legato al ciclo di vita, morte e rinascita come Osiride, l’edera sempreverde era tra le piante impiegate nei rituali dedicati al dio. Tornando a Iside, non è difficile comprendere il legame che unisce la dea a Demetra. Le due dee sono connesse alle messi, alla mietitura dei cereali, alla primavera e sono divinità legislatrici. Entrambe madri, e nel caso di Iside anche moglie, che vivono vicende dolorosissime. Demetra vive la sua tragedia attraverso la scomparsa per rapimento dell’amata figlia Persefone, tenuta in ostaggio negli Inferi dal dio Ade. In preda alla tristezza e alla disperazione non fioriva né cresceva più nulla sulla terra; allora Zeus mediò affinché Persefone si ricongiungesse alla madre. Siccome un servitore di Ade disse che la giovane aveva mangiato sette chicchi di melograno, venne deciso che questa avrebbe dovuto passare tre mesi all’anno negli Inferi. Demetra vive ciclicamente una vicenda dolorosa di separazione durante l’inverno, e una vicenda di estrema gioia quando si ricongiunge con la figlia in primavera ed estate. Allo stesso modo, Iside vive prima la scomparsa e la perdita dell’amato e poi il ricongiungimento con esso, alternando una fase luttuosa a una gaudiosa e festante. La struttura di tali vicende mitologiche, che mima l’alternarsi e il riproporsi delle stagioni e il ciclo della vita, è alla base dei culti mistici e misterici rivolti alle due dee.
Il culto di Iside conosce un boom espansionistico in età ellenistico-romana viaggiando attraverso il Mediterraneo, conquistando prima l’Asia Minore, la Grecia, la Sicilia e la Magna Grecia, poi nei territori di quello che sarà a breve l’Impero romano. Così Iside subisce una vera e propria ellenizzazione e, tra il I e il II secolo d.C. circa, il suo culto viene plasmato sul modello di quello eleusino rivolto a Demetra e a Persefone. Grazie alla testimonianza di Plutarco si è potuto registrare tale cambiamento all’interno del culto isiaco. In un celebre passaggio del De Iside et Osiride, Plutarco racconta che la dea, dopo aver sconfitto Tifone, introdusse nelle cerimonie sacre tutta una serie di riferimenti alle vicende da lei patite. Essendo di conforto a coloro che avevano vissuto situazioni simili, Iside diventò giustamente oggetto di venerazione. Siccome Iside e Osiride esercitano i loro poteri sia sulla terra sia negli Inferi, Serapide-Osiride non sarebbe altro che Ade-Plutone, mentre Iside sarebbe Persefone. Quindi la dea perde alcune delle sue caratteristiche tipicamente egizie per assomigliare sempre di più alla Demetra dei culti eleusini. Nelle rappresentazioni più antiche Iside è raffigurata con indosso una lunga e stretta veste e il capo sormontato da un trono, lo stesso da cui deriva il suo ideogramma. Nella statuaria greca e romana Isis indossa peplo e chitone, porta spesso in mano il sistro e la situla, sulla testa il basileion e sul petto il tipico nodo isiaco. I capelli e le acconciature sono ormai tipicamente ellenistici, con boccoli divisi in ciocche che ricadono sulle spalle.
Osiride invece, durante il regno di Tolomeo venne sostituito dalla divinità greco- egizia Serapide. Riguardo all’origine di tale divinità e alla possibile etimologia del suo teonimo si sono espressi diversi autori greci e latini. Varrone, ad esempio, sostiene che Apis, re degli Argivi, una volta deceduto in Egitto divenne la divinità Sarapis. Siccome venne deposto in un sarcofago, detto in lingua greca soròs, e iniziò a essere venerato prima della costruzione del suo tempio, quel luogo venne chiamato “Sorapis” dall’unione dei due termini, che con il tempo diventò Sarapis. Totalmente diverse sono le versioni narrate dagli altri autori, tra cui Plutarco. Nel suo De Iside et Osiride racconta che a Tolomeo apparve in sogno la gigantesca statua di “Plouton” di Sinope (nel Ponto Eusino) che imponeva al sovrano di essere trasferita ad Alessandria. Quando il dio arrivò in Egitto gli Egiziani cambiarono il suo nome in quello di “Sarapis”. Secondo l’autore di Cheronea Osiride è associato a Dioniso, e Serapide è da ricondurre a Osiride. Plutarco riporta che secondo la maggioranza dei sacerdoti egiziani il nome del dio deriva dall’unione di Osiris e Apis, sostenendo che Api, il toro sacro, è l’immagine terrena di Osiride. L’autore propone invece un’etimologia che ha a che fare con la festa egiziana della gioia sairei, sospettando che Serapis o Sarapis sia un nome parlante, cioè che porti in sé la caratteristica principale della divinità. Atenodoro di Rodi menzionato nel libro IV del Protrepticon di Clemente Alessandrino riporta che per alcuni la statua del dio venne inviata come offerta di gratitudine dagli abitanti di Sinope (mentre Isidoro dice dai Seleuci) a Tolomeo Filadelfo, che aveva prestato loro aiuto durante una carestia. In seguito, il re avrebbe fatto costruire il santuario per contenere e venerare la statua del dio. Secondo lo stesso Atenodoro fu il re egiziano Sesostri a commissionare la creazione della sontuosa statua per onorare l’antenato Osiride;l’artigiano realizzò una polvere derivata da materiali preziosi, a cui aggiunse gli unguenti del funerale del dio e di Apis, plasmando lui stesso Sarapis.
Al di là della leggenda, Tolomeo, che si proponeva come il continuatore di Alessandro Magno, si adoperò per creare una divinità sincretica e dinastica che potesse rafforzare il suo potere politico e che potesse essere esportata fuori dall’Egitto. Serapide veniva raffigurato “seduto o stante, con un modio sulla testa e la mano destra sollevata, lo scettro e Cerbero trifauce come attribuiti”. Si tratta di una divinità ctonia, legata alla fecondità, che possiede capacità curative e divinatorie.
Il culto del dio ebbe talmente tanto successo nel mondo ellenistico-romano che l’imperatore Vespasiano sentì l’esigenza di recarsi al santuario di Alessandria per interrogare Serapide sul futuro della propria carriera. Tacito nel libro IV delle sue Historiae racconta di come Vespasiano compì dei miracoli ad Alessandria, dando la guarigione a diversi malati grazie all’intercessione del dio.
Diodoro Siculo riferisce che gli Egiziani attribuirono a Iside anche la scoperta della medicina, avendo trovato “il farmaco dell’immortalità”, grazie al quale riportò in vita il figlio Horo. Infatti, ottenuta l’immortalità, la dea iniziò a adoperarsi per fornire cure e rimedi ai malati apparendogli in sogno, provocando guarigioni miracolose.
I culti misterici sono rivolti a una divinità che è stata prima oppressa da una serie di difficoltà, e poi si è liberata. Allo stesso modo l’iniziato o il devoto, in un momento di difficoltà, si appella a queste divinità che offrono il loro aiuto per il superamento di quell’ostacolo. “Ma il trionfo di una Iside depositaria assieme al suo sposo Osiride di un culto di mistero è indubbiamente celebrato da Apuleio ne Le metamorfosi”. Qui la dea si commuove davanti alle preghiere di Lucio, trasformato in asino dall’uso improprio della magia, e gli promette di salvarlo in questa vita e in quella dopo la morte iniziandolo ai suoi misteri.
Tra le cerimonie pubbliche più importanti del culto isiaco, quindi meglio note rispetto a quelle iniziatiche, sono il navigium Isidis e l’inventio Osiridis. La prima era dedicata alla riapertura della navigazione il 5 marzo, mentre la seconda rievocava la scomparsa e il ritrovamento di Osiride tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre. Il navigium, cerimonia rivolta a Iside Pelagia, viene abilmente descritto nella sua grandiosità da Apuleio nel libro XI delle Metamorfosi, in cui si racconta della gioia dei partecipanti al culmine del rituale. La stessa dimensione di gioia veniva raggiunta anche nell’inventio, dopo aver manifestato disperazione e tristezza per la morte del dio. In merito a tale festività Lattanzio esprime parole di scherno, sottolineando la simulazione di questi stati d’animo, tra l’altro scambiando Osiride per Horo.
Molti sono stati i tentativi da parte del senato e di Augusto di contrastare la diffusione del culto tra gli anni 50 e 20 del I secolo a.C.; Caligola, invece, pare che abbia introdotto nel calendario le feste isiache. Vespasiano fa comparire sulle monete l’Iseo campense nel 71 d.C., mentre con Caracalla Iside diventa una divinità ufficiale imperiale.


Iside e Serapide a Siracusa

Tra i culti orientali che sono giunti in Sicilia quelli egiziani sono i più diffusi, o quantomeno sono i più documentati. I culti egizi erano più radicati nella parte orientale dell’isola, ovvero l’area di cultura greca; la parte occidentale invece aveva accolto maggiormente i culti fenicio-punici. Nell’area greca le testimonianze materiali e documentarie relative alla cultura egizia si dispongono su un arco cronologico ampio, che va dal VII secolo a.C. fino alla tarda età imperiale.
Il caso specifico di Siracusa è emblematico per comprendere i rapporti tra le popolazioni siceliote e l’Egitto, in quanto la politica di alcuni tiranni della città pare fosse basata sulla creazione di legami con la corte tolemaica. I primi contatti tra Siracusa e l’Egitto sono attestati dal ritrovamento di un vaso balsamario che ritrae il faraone Ramesse II e la dea Hathor, risalente al 1350-1300 a.C., in uno strato databile al VII secolo a.C. Si tratta della testimonianza più antica delle importazioni egiziane in Sicilia ma non costituisce una prova dell’introduzione dei culti egizi. Dunque, fin dall’età arcaica Siracusa era inserita in una rete di scambi commerciali e culturali con l’Oriente, o comunque era in diretto contatto con altri centri greci, come il porto di Corinto, che a sua volta si interfacciava con le realtà orientali. Le più antiche testimonianze archeologiche relative al culto di Iside e Serapide risalgono alla fine del III sec. a.C. e consistono in una serie di monete con la loro effigie emesse da Siracusa e Catania. Nello stesso periodo vengono eretti i Serapei di Siracusa e Taormina. Il termine post quem dell’introduzione dei culti egizi nell’Isola è stato ampiamente dibattuto, e sono state formulate diverse ipotesi; ma il ritrovamento delle serie monetarie appena citate pare suggerire che tale termine sia da fissare a dopo la conquista romana (241 a.C.).
Studiosi come Holm e il Pace hanno attribuito al governo del tiranno siracusano Agatocle (317-289 a.C.) l’introduzione dei culti egizi, che aveva sposato la principessa Teossena, figliastra di Tolomeo I Sotere, colui che aveva promosso il culto di Iside e Osiride e aveva creato quello di Serapide. Altri studiosi, tra cui il Fraser, considerano quest’ipotesi come semplicistica e sottolineano l’assenza di prove sufficienti circa la volontà del tiranno di promuovere tali divinità.
In età arcaica (VII-VI a.C.) sia l’area di tradizione greca, sia i centri fenicio-punici intrattenevano rapporti commerciali con l’Egitto. In questa prima fase non è ancora lecito parlare di culti egizi in Sicilia, e a Siracusa, in quanto venivano commerciati prodotti di artigianato minore per il loro gusto egittizzante e il loro carattere magico- apotropaico: scarabei, amuleti raffiguranti divinità e statuette tipiche del corredo funebre egiziano chiamate “ushabti”. Tra l’età arcaica e l’inizio dell’età ellenistica si registra un periodo di stasi tra questi due poli a causa dei cambiamenti politici travolsero l’Egitto. Con l’avvento dell’età ellenistica si verifica una ripresa dei rapporti tra la Sicilia greca e la terra dei faraoni. I cambiamenti colpirono anche l’ambito religioso, portando all’introduzione di Serapide che, insieme a Iside, ormai ellenizzata, conquistò la società greco-romana.
Non è facile stabilire quando i culti egizi si sono manifestati per la prima volta sull’Isola e a Siracusa. Sicuramente la documentazione più significativa relativa ai culti egizi a Siracusa risale all’età ellenistica, anche se in molti casi non è possibile attribuire una cronologia o una provenienza certa dei reperti e dei monumenti. In altri casi si conosce la provenienza e la cronologia ma non si può affermare con certezza che il reperto in questione sia direttamente collegato alle divinità egizie. Come, ad esempio, la testa femminile egittizzante scolpita su una gamba di trapezoforo che potrebbe raffigurare Iside, oppure potrebbe avere solamente una funzione decorativa e ritrarre un generico personaggio egizio. Il ritrovamento di due piccoli sistri in bronzo in una tomba nella necropoli di Canalicchio di età ellenistica (III- I a.C.) costituisce un elemento di familiarità del defunto rispetto alle usanze egiziane. Due coppe in argilla rossa, di cui una rivestita da vernice nera, ritraggono sul fondo i busti di Iside e Serapide ritratti secondo il tipo ellenistico: la prima proviene dagli scavi dell’Anfiteatro del 1914, mentre il secondo esemplare è stato rinvenuto in una tomba della contrada Renauto. Siracusa, in base all’analisi dei materiali custoditi nel Museo archeologico cittadino, appare come il centro di produzione e commercio di questo tipo ceramico detto “caleno” che reca sul fondo l’emblema sopra descritto. Il primo esemplare è stato classificato dall’Orsi, che ha condotto gli scavi presso l’Anfiteatro, come uno scarto di officine o emporia ellenistiche databile tra il III e il II secolo a.C.. Un’epigrafe mutila sul lato sinistro menziona un’offerta votiva da parte di privati alla dea Iside e a un’altra divinità di cui è andato perso il nome, che verosimilmente doveva trattarsi di Serapide. Tale iscrizione proviene dai lavori di demolizione delle fortificazioni spagnole presso Ortigia e venne rinvenuta da Paolo Orsi che propose come datazione il II secolo a.C.; Manganaro, oltre ad aver proposto la sua integrazione, ha ipotizzato che potesse risalire all’età Ieroniana (275-215 a.C.). Interessante è il caso di un’altra epigrafe sempre relativa all’ambito della devozione privata che, in base alla forma e alla formula utilizzata, viene datata anch’essa al II secolo a.C. L’ultima linea riporta il termine “IΣEI”, cioè il dativo del nome della dea documentato anche a Delo nel II secolo a.C. L’iscrizione è frammentaria ed è di difficile integrazione. La Sfameni Gasparro, in accordo con il Kaibel, sospetta che si tratti di un titolo dedicatorio e propone l’integrazione del dativo di Serapide davanti a quello di Iside.
A Piazza Pancali nell’area di Palazzo di Spagna, presso Ortigia, è stata rinvenuta una statua in marmo, mutila in più parti, che ritrae Serapide-Plutone, databile al III- II secolo a.C. per ragioni stilistiche. Il dio è stante, indossa solamente l’himation che lascia il busto scoperto e, risalendo sul dorso, ricade sulla spalla sinistra. Solitamente il dio porta un chitone sotto l’himation, anche se in alcune monete, lucerne, bronzi e gemme si può trovare Serapide con il torace scoperto. Un altro elemento interessante è che, nella statuaria greca e romana, il dio viene rappresentato seduto in trono; la versione stante è stata attestata in alcuni bronzi, monete romane e gemme. Ai piedi presenta il tipico cerbero tricipite per lo più mutilo; la testa centrale di cane è quella più integra, quella di sinistra potrebbe raffigurare un lupo, mentre la destra è talmente danneggiata da non poter essere identificata. In base alla presenza di un favo circolare sulla testa e di due tronconi sulla gamba destra si può ipotizzare la presenza del modio e dello scettro. I resti di un attacco sotto la spalla sinistra potrebbero indicare l’esistenza di una cornucopia.
Nel complesso, la compresenza di questi attributi e degli altri elementi fanno sì che questa statua costituisca un unicum. Inoltre, le tracce di colore rosso, su occhi, chioma e veste potrebbero indicare che queste parti fossero di colore bruno, andando peraltro a enfatizzare la dimensione ctonia di Serapide. La statua è stata ritrovata insieme ad un’altra che ritrae Igea addossata a un muro, per cui l’Orsi ipotizzò che queste furono ritrovate durante la costruzione delle fortificazioni spagnole nel XVI-XVII secolo d.C., e che vennero interrate nel terrapieno nel quale sono state ritrovate. Si può supporre che la statua del dio provenisse dal tempio più vicino, ovvero l’Artemision o Apollonion, o ancora dal Serapeo.
L’esistenza di un Serapeo a Siracusa è attestata da una citazione di Cicerone nelle sue Verrine, dove esso è definito “celeberrimus atque religiosissimus locus". All’interno di questo luogo sacro vennero abbattute le statue che ritraevano il governatore Verre, accusato di una serie di malversazioni nei confronti del popolo. Secondo Ciaceri questa vicenda sarebbe un espediente letterario (topos retorico) per aggravare la situazione del governatore. Comunque sia, si ha la testimonianza di un tempio dedicato alle divinità alessandrine di carattere pubblico all’inizio del I secolo a.C. di ignota ubicazione. Un’altra testimonianza indiretta relativa al Serapeo cittadino è la nota epigrafe funeraria in cui figura la qualifica sacerdotale di Isidis scoparius. Tale titolo non trova una precisa corrispondenza nelle cariche del culto isiaco, anche se si può ipotizzare che svolgesse mansioni simili a quelle degli aeditui, coloro che si occupavano della pulizia e del decoro del tempio. Non si può stabilire se tale scoparius svolgesse le sue mansioni nel sacello dedicato a Iside all’interno del Serapeo.
Di estremo interesse è poi una lastra di marmo di I-II secolo d.C., che reca un’iscrizione in latino rotta intenzionalmente, di cui restano due frammenti. Nel primo compare il nome di Serapide connesso al restauro di un luogo sacro finanziato con denaro non pubblico. Il secondo frammento menziona un flamen Serapis, un certo Papinius, che fu un sacerdote del dio insignito del titolo flamen anziché di sacerdos. Wilson ha ipotizzato che l’epigrafe fosse anticamente collocata nel Serapeo o alla base di una statua onorifica del flamen, e in un secondo momento fosse stata trovata e riutilizzata in una camera sepolcrale pagana nei pressi delle catacombe di S. Giovanni.
Il riconoscimento da parte delle autorità siracusane dei culti egizi è testimoniato dall’emissione di serie di monete in bronzo raffiguranti Iside e Serapide, risalenti al periodo della dominazione romana (dopo il 212 a.C.). In un esemplare figura sul diritto la testa di Serapide e sul rovescio Iside munita di sistro e scettro. In un altro esemplare sul diritto è la testa di Iside sormontata da una corona di spighe e un basileion, e sul rovescio il tipico copricapo isiaco.
Interessante è il caso di una moneta raffigurante una figura maschile nuda con il modio sulla testa, e una corona e uno scettro in mano, che potrebbe rappresentare Anubi e costituire l’unica testimonianza a Siracusa di questa divinità.
Di età imperiale è anche la statua in marmo acefala e in più parti mutila che ritrae un soggetto femminile che porta una situla e verosimilmente una cornucopia sul braccio sinistro, andata perduta. È possibile che si tratti di una rappresentazione di Iside-Fortuna, che si caratterizza per la presenza della cornucopia; allora nella mano destra si avrebbe il sistro.
L’Iside siracusana pare doversi identificare con Artemide, se diamo attenzione ad un pinax in cui figura un soggetto femminile identificato con Artemide-Iside e un’iscrizione magica sullo sfondo. Tale tavoletta fittile è stata rinvenuta nella zona del Porto Piccolo ed è stata datata al II-III secolo d.C. Siccome non vi sono riferimenti nominali, è stata proposta l’identificazione con Artemide, Selene e Iside, considerata la presenza della luna crescente delle stelle. La presenza di un termine che sembra alludere al dio Egizio Atoum, e quella di un altro termine che rimanda all’ambiente ebraico, fa di questo reperto “un tipico documento di quella magia greco-egizia in cui si mescolavano liberamente elementi di diversa provenienza, soprattutto giudaizzante”. Il soggetto femminile per la posizione, la postura e la positura su di un piedistallo, si avvicina notevolmente al tipo Artemide Efesia, sebbene manchi il tratto distintivo principale di questo tipo: il corpo ricoperto da mammelle. La dea, nonostante somigli per certi versi all’Artemide Efesia, è “una Iside magica” che svolgeva una funzione profilattica e di protezione.
Le immagini degli dèi egizi campeggiano inoltre sul disco di una serie di lucerne di provenienza locale, che si dispongono su un arco temporale che va dal I al III-IV secolo d.C., in cui ricorre maggiormente il dio Serapide con modio e scettro.
Allo stesso modo, Serapide compare su due gemme di provenienza locale ma di proprietà privata, per questo non più rintracciabili. Di una di queste ci è giunto un disegno in cui il dio indossa il modio e ha la testa radiata, mentre sullo sfondo figura un mezza luna e un tridente avvolto da un serpente. Il retro invece reca un’iscrizione magica in lingua greca. Questo esemplare è molto interessante perché mostra un tipo di Serapide pantheo, i cui attributi cosmici lo identificano con Nettuno e il Sole. L’influenza dei culti egizi è infine attestata nell’onomastica siracusana tramite l’esistenza di due iscrizioni tarde, in cui appaiono nomi teofori, quali: Serapia e Fl. Gelasius Busiris. Il secondo nome non è propriamente teoforo, però rimanda alla città sacra di Osiride. Di una certa rilevanza è un’iscrizione proveniente da Thera del I secolo a.C. dedicata al siracusano Isidoros per la sua generosità nei confronti del ginnasio cittadino.
Nonostante non sia mai stato ritrovato il Serapeo siracusano, e non sia stata provata con certezza (ma vedi cap. 4, sul cosiddetto “ginnasio romano”) l’esistenza di un Iseo cittadino, risulta evidente, dalla quantità e dalla qualità dei reperti relativi ai culti egizi, che Siracusa è stato un grande centro di culto di Iside e Serapide, probabilmente dall’inizio del II secolo a.C. alla tarda età imperiale.


Nell'immagine, raffigurazione di Iside signora degli Dei.



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Documento inserito il: 09/04/2025
  • TAG: storia della religioni, archeologia, culti egiziani, Roma antica, Siracusa

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