Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, storia contemporanea: Il Biennio Rosso alla Spezia. L’eroismo del carabiniere Leone Carmana e del capitano Guido Jurgens
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Il Biennio Rosso alla Spezia. L’eroismo del carabiniere Leone Carmana e del capitano Guido Jurgens

di Francesco Caldari


Gli storici studiosi del fascismo e della sua ascesa guardano con grande interesse al periodo che è stato definito come il "Biennio Rosso" (1919-1920), allorquando l'Italia fu attraversata da grande instabilità sociale e politica, per via di agitazioni, scioperi e violenze. Un tumultuoso contesto storico, istituzionale ed economico, che trova le sue radici nell’anteguerra e che spingerà Benito Mussolini il 31 ottobre 1922 a Capo del Governo, dopo la Marcia su Roma.
L'Italia era uscita vittoriosa dalla Grande guerra, ma con un elevato numero di morti e invalidi, un'economia provata e un'inflazione galoppante. È in questo contesto che sorsero i "moti contro il caro-viveri" del 1919. La Spezia fu uno dei centri più attivi: proprio dalla città ligure si estesero in altre località: Genova, Milano, Torino, Pisa e Bologna. L'11 giugno, la popolazione scese in piazza per protestare contro la serrata dei grossisti di frutta e verdura. Gli operai, scavalcando le direzioni sindacali, proclamarono lo sciopero generale e manifestarono in migliaia per le strade.Furono segnalati marinai in forza alle navi da guerra di stanza in quell’importante porto militare fraternizzare con i proletari. Vi fu una reazione delle forze dell’ordine, contrastata dai manifestanti che assaltarono e saccheggiarono i negozi. Venne formato un Comitato d'azione che, con l'intento di estendere il conflitto, si recò a Milano per chiedere istruzioni alla direzione sindacale, ma i socialisti ordinarono la calma, e lo sciopero cominciò a rifluire, per cessare del tutto il 17 giugno. I moti evidenziarono la debolezza delle istituzioni del vecchio Stato liberale, uscito logorato dalla guerra e dalla crisi successiva.
In quel periodo, l'eco della Rivoluzione d'Ottobre del 1917 ispirava movimenti operai e contadini in tutta Europa, Italia compresa. La parola d'ordine "Fare come in Russia!" divenne un grido di battaglia per ampi settori della popolazione, soprattutto tra gli operai, con un nascente spirito anticapitalista e un'insofferenza per le dure condizioni di lavoro nelle fabbriche. Nel 1919, in quel clima di fermento sociale e politico, nacquero diversi partiti, tra cui quello Popolare (PPI), fondato nel gennaio, che rappresentò un nuovo partito di massa, auto definitosi “di cattolici, ma non cattolico" ed i Fasci di Combattimento, costituiti il 23 marzo a Milano attorno a Benito Mussolini, movimento che segnò l'inizio dell'organizzazione del fascismo.
Nella primavera del 1920, lo "sciopero delle lancette" a Torino marcò un episodio di forte tensione sociale, originato dalla novità dell'introduzione dell'ora legale e dall’insofferenza da parte degli operai metalmeccanici della Fiat, costretti a uscire di casa quando era ancora buio e che occuparono la fabbrica in risposta ad alcuni licenziamenti. Altri stabilimenti caddero in mano ai manifestanti. 50.000 soldati vennero inviati nel capoluogo piemontese. Lo sciopero si concluse con nove morti tra operai e agenti di polizia. Nel giugno di quello stesso anno, i bersaglieri della Caserma Villarey di Ancona si ammutinarono, disarmarono i superiori e presero il controllo. Insieme a gruppi anarchici, repubblicani e socialisti, estesero la rivolta a tutta la città e alle zone limitrofe. Furono erette barricate e si verificarono scontri a fuoco con le forze dell'ordine. Il governo inviò rinforzi e bombardò la città dal mare mediante cinque cacciatorpediniere inviate appositamente per porre fine alla sommossa. Nella rivolta di Ancona si contarono 27 morti (tra cui 9 agenti delle forze dell'ordine), 71 feriti e 411 arresti. A settembre, 600.000 operai occuparono le fabbriche in tutto il paese, dando vita a un esperimento di gestione operaia.


Carmana e la difesa della Polveriera di Vallegrande

È in questo turbolento contesto di ordine e sicurezza pubblica che va inquadrato l’episodio che vide protagonista il carabiniere Leone Carmana. Questi era nato l'11 novembre 1894 a Gazzano, una frazione di Villa Minozzo, un piccolo centro in provincia di Reggio Emilia, da Giovanni ed Emilia Masini, contadini. Ventenne, nel gennaio 1915 fu chiamato alle armi per partecipare alla Prima Guerra Mondiale, venendo inquadrato nel 7° Reggimento Fanteria della Brigata Cuneo. Fu impiegato tra il Passo del Tonale e Cima Cady, e nel febbraio 1916 fu trasferito col il suo reggimento nel settore del Podgora, combattendo nelle trincee di "Lenzuolo Bianco" e del "Peuma" durante le battaglie dell'Isonzo, dove rimase ferito due volte. Nel maggio 1917 chiese di transitare nell'Arma dei Carabinieri. Venne assegnato prima come ausiliario e quindi effettivo alla Legione di Genova, destinato alla Compagnia Carabinieri all'Arsenale della Spezia, come addetto al controllo del personale civile impiegato nei lavori dell'opificio. Sin dal 27 marzo 1879 erano stati infatti istituiti dei “Nuclei Specifici" di Carabinieri a disposizione del Ministero della Marina per la vigilanza degli arsenali della Spezia e Taranto. La forza iniziale era composta da tre ufficiali e 250 tra sottufficiali e carabinieri. Questi svolgevano compiti di vigilanza, polizia giudiziaria, polizia militare e sicurezza, inclusa la tutela del segreto. L’ordinamento si era poi evoluto, ed era stato reso equivalente a quello proprio dell’organizzazione territoriale, basato su Stazioni e Compagnie. Bisogna altresì precisare che gli Arsenali erano allora ciò che sono le attuali Basi Navali della Forza Armata, con inoltre il compito di fornire logistica, infrastrutture e capacità produttive essenziali per la costruzione, la manutenzione e l'ammodernamento delle unità navali. Quello della Spezia, in particolare, era stato ideato dalla casa Sabauda sin dal 1849, e poi fortemente voluto da Camillo Benso di Cavour (capo del governo) e da Domenico Chiodo (maggiore del Genio). In quel golfo - la cui posizione strategica era stata riconosciuta dallo stesso Napoleone, che dichiarò la città Porto militare con decreto imperiale dell’11 maggio 1808 – andava dispiegata la Marina sabauda divenuta flotta italiana, allontanandola da Genova. I lavori consentirono l’inaugurazione nel 1869, richiedendo l'impiego di migliaia di operai e maestranze specializzate, provenienti anche da altre regioni, trasformando il piccolo centro marittimo in una città, moltiplicandone il numero degli abitanti e le problematiche sociali.
Accanto all’Arsenale propriamente detto sorgevano altri manufatti e caserme della Marina. Tra queste, a levante del centro cittadino, la Polveriera di Vallegrande, che, come lo stesso nome suggerisce, custodiva munizionamento per le navi militari.
Abbiamo accennato in apertura al ruolo che ebbe la città (che, stante il suo rapido sviluppo, fu elevata a capoluogo provinciale nel 1923 e, curiosamente, nel 1930 aggiunse la particella “La” al nome originario) nei moti che avviarono il Biennio Rosso. Era passato solo un anno, quando, il 4 giugno 1920, intorno alle tre del pomeriggio, una settantina di facinorosi cercarono di prendere d’assalto la caserma di Vallegrande per impadronirsi delle quattromila tonnellate di esplosivo lì conservate. Le ricostruzioni del tempo evidenziano come tale azione dovesse essere ricompresa in una serie di moti in tutta la Lunigiana (la regione geografica che prende parte delle attuali province della Spezia, di Parma e di Massa-Carrara). Alcuni dei rivoltosi erano prima penetrati nel vicino stabilimento di costruzioni militari Vickers-Terni, invitando gli operai a proclamare lo sciopero ed a dar vita alla “rivoluzione”, per quindi dirigersi verso la Polveriera. Qui il gruppo di anarchici disarmò i marinai di servizio al primo corpo di guardia, impadronendosi delle armi e munizioni. Quindi si rivolsero verso il secondo corpo di guardia, riuscendo a impossessarsi di ulteriori proiettili. Gli insorti si diressero quindi alla polveriera vera e propria, trovando all'ingresso principale Leone Carmana, che dispose la chiusura della porta dietro di sé, così di fatto precludendosi la via di fuga, e non esitò a rispondere al fuoco dei rivoltosi, rimanendo ferito ad un piede ma resistendo fino all'arrivo dei rinforzi. Non vi è dubbio che senza l'intervento del carabiniere Carmana il tentativo criminoso avrebbe avuto ben diverso risultato. I rivoltosi sarebbero riusciti ad occupare la polveriera ove erano conservati ingenti quantità di esplosivi, con quale pericolo è facile immaginare. Ciò, collegato all’ipotesi che l’azione fosse in relazione ad altri sovvertimenti, ha indotto qualche storico a segnalare come questo misconosciuto episodio avrebbe potuto avere ben diverse, gravi ed imprevedibili conseguenze. Le successive indagini attribuirono la paternità al tentativo ad un noto gruppo locale di “anarchici futuristi”, ovvero di esponenti del movimento culturale ed artistico futurista vicini all’ideologia anarchica ed al bolscevismo, arrestati nel settembre successivo, dopo episodi di occupazione di alcune fabbriche, e rimessi in libertà dopo sei mesi di carcere preventivo per mancanza di indizi.
Per questo atto di valore, fu conferita a stretto giro di tempo al carabiniere Carmana la Medaglia d'Oro al Valor Militare, su lucida proposta del sottoprefetto della Spezia.


I fatti di Sarzana
Come detto in apertura, i tentativi insurrezionali contribuirono a creare un clima di paura e insicurezza, che favorirono l'ascesa del fascismo, a sua volta basato sulla violenza dello “squadrismo”, che – per contrasto - si intensificò notevolmente dopo le elezioni amministrative dell'autunno 1920, in cui i socialisti avevano ottenuto numerose vittorie (conquistarono 1915 comuni su 6647, concentrati nelle grandi aree urbane più industrializzate e popolose). Un evento cruciale fu l'attacco al Palazzo d'Accursio a Bologna il 21 novembre 1920, che segnò l'inizio di una fase più aggressiva dello squadrismo, che continuava a caratterizzarsi per l'uso della violenza organizzata contro gli avversari politici, principalmente socialisti e organizzazioni operaie.
Sarzana era una delle poche città socialiste in Lunigiana, ove già erano avvenuti scontri tra le due parti contrapposte. Il 12 giugno 1921, alcuni squadristi avevano devastato la sede della cooperativa socialista, ed il giorno successivo una spedizione punitiva fascista portò a tumulti e alla morte di un operaio. Il capo squadrista Renato Ricci fu arrestato, assieme ad altri nove. Questi aveva fondato la sezione locale del fascio di combattimento nella vicina Carrara, e lo ritroveremo anni dopo, durante la Repubblica Sociale Italiana, comandante generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. La notizia del suo arresto portò alla mobilitazione di squadristi toscani, guidati dal fiorentino Amerigo Dùmini (che sarà tra gli accusati dell’omicidio dell’onorevole Matteotti), con l'obiettivo di liberare i camerati e "ristabilire l'onore delle camicie nere". All'alba del 21 luglio, una colonna di circa 600 squadristi, provenienti da varie località, raggiunse Sarzana. Il sindaco socialista Terzi aveva intanto organizzato un "comitato di salute pubblica" con gli Arditi del Popolo e altri militanti per difendere la città. Alla stazione ferroviaria gli squadristi trovarono uno sparuto drappello di carabinieri, pochi militari di truppa ed un paio di guardie di pubblica sicurezza, al comando del capitano comandante della locale Compagnia dell’Arma Guido Jurgens. Nativo di Napoli, 23 luglio 1893, ventenne era entrato nella Scuola di Fanteria di Modena, per partecipare alla Prima guerra prima nell’esercito e poi, transitato a domanda, quale tenente dell’Arma dei carabinieri. Dopo aver prestato servizio anche in Libia, il 18 luglio 1920 con il grado di capitano venne assegnato al Comando della Spezia ed un anno dopo assunse il comando della Compagnia sarzanese, un paio di giorni prima del previsto arrivo della torma fascista. A lui Dùmini richiese il libero accesso, la consegna dei camerati ed una sorta di soddisfazione poiché aveva avuto notizia che il tenente dell’Arma Nicodemi, nell’arrestare Ricci, lo aveva schiaffeggiato. La ferma risposta negativa di Jurgens evidentemente scaldò gli animi, tanto che scoppiò uno scambio di fucileria che lasciò sul campo un caporale dell’Esercito e cinque squadristi (altri tre a causa delle ferite perirono in ospedale), nonché tumulti alla fuga dei fascisti, che condussero alla morte di due del tutto incolpevoli cittadini sarzanesi e di un ulteriore squadrista a bordo del treno che li riconduceva verso Carrara. Altri scontri nel pomeriggio con contadini nelle campagne circostanti portarono ad ulteriori decessi, compresi quelli di due giovanissimi fascisti spezzini (Amedeo Maiani e Augusto Bisagno) uccisi in circostanze violente ed i cui corpi, segnati da sevizie, vennero ritrovati alcuni giorni dopo.
Quelli che sono passati alla storia come “i fatti di Sarzana” invertirono temporaneamente il favore di cui godevano i fascisti presso la maggioranza dei partiti e dei giornali. Per la prima volta, le forze dello Stato si erano opposte alla arroganza violenta, difendendo la legge e dimostrando che il fascismo non era una forza inarrestabile, solo se le strutture dello Stato non avessero tenuto nei suoi confronti un atteggiamento “tiepido”. Mussolini inizialmente condannò gli "estremisti" e accelerò le trattative di pacificazione con i socialisti.


Il destino di Carmana e Jurgens

La violenza che avevano dovuto fronteggiare in qualche maniera segnò sia il carabiniere Carmana che il capitano Jurgens. Il primo lasciò l'Arma nel 1923, quando decise di tornare alla vita dei campi nel reggiano. Si sposò e divenne padre di due bambine. Morì prematuramente a causa di una malattia presso l'ospedale di Reggio Emilia il 10 febbraio 1926, e lì riposa nel cimitero monumentale. Viene ricordato ogni anno in una commemorazione ed ha intitolata la caserma che ospita i carabinieri in quella città.
Jurgens venne trasferito a Nuoro. Fu posto in aspettativa, per rientrare in servizio nel novembre del 1924. Nel marzo dell’anno successivo fece domanda di altra aspettativa, per lasciare definitivamente il servizio nel 1932. Negli anni bui della Seconda Guerra, a Roma, fu attivo nella difesa degli ebrei, divenuti oggetto di caccia per via delle leggi razziali. Si è spento nella capitale il 7 marzo 1963. La città di Sarzana lo ricorda con una piazza a lui dedicata, proprio quella antistante la stazione ferroviaria ove non esitò a contrastare la protervia fascista.


Nell'immagine, Leone Carmana (a sinistra) e Guido Jurgens.

Documento inserito il: 24/02/2025
  • TAG: Biennio Rosso, Carmana, Jurgens, La Spezia, Sarzana

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