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Orologi, meccanica e strumenti tecnici a Firenze al tempo di Leonardo da Vinci

di Davide Arecco


Una famiglia di artigiani e costruttori toscani della prima età moderna

La famiglia Della Volpaia fu molto attiva, in Toscana, fra il XV e il XVII secolo, nel produrre strumenti scientifici. Nel mondo mediterraneo di allora – dominato da corti, mare e mercanti – dalle tecniche giungevano, alle scienze, in piena rinascita, non pochi stimoli, suggerimenti e spunti. Nello specifico, un ambiente in piena fioritura era quello degli inventori e tecnici, degli artigiani ed artisti, degli ingegneri e dei fabbricanti di macchine. Si trattava di figure all’epoca non ancora istituzionali, né professionalizzate, le cui competenze potevano spessissimo intersecarsi e sfumare l’una nell’altra senza soluzione di continuità. Il loro mondo era quello dei pratici, attori storico-sociali intermedi fra quello dei dotti e quello popolare, attivi portavoce di un sapere, concreto ed applicativo, speditivo e consapevole tra i primi dell’utilità dello strumento matematico nelle costruzioni meccaniche e nella produzione di congegni ed apparati. Il loro procedere era squisitamente empirico ed analogico, al di qua ancora dello sperimentalismo moderno, eppure di notevole rilievo storico, anche per i contributi dati e alla cultura artistica e all’aritmetica mercantile. Quest’ultima, ultimo grande fiore delle scuole d’abaco sorte nel Duecento, e della loro lunga ed importante tradizione – in terra toscana, così come in quella veneta coeva, – fece registrare nel corso del secondo Quattrocento il suo massimo grado di sviluppo, grazie fra l’altro alle attività di Luca Pacioli e Leonardo da Vinci. Se questi ultimi furono i maggiori esponenti di quella entusiasmante e nuova stagione, i membri della famiglia Della Volpaia sono, a lungo, rimasti nella loro ombra, grandi tra i minori. Grazie, ora, alle ricerche e pubblicazioni di Antonietta Vaglica – che ha curato la trascrizione del codice manoscritto laurenziano Antinori 17 custodito a Firenze – l’attenzione storiografica può tornare a concentrarsi su di loro, restituendogli il giusto ruolo nella storia italiana rinascimentale di scienza e tecnica.
I maggiori centri propulsivi del sapere in questione furono come detto le aree toscane e venete all’alba della primissima età moderna. A Firenze e Pisa, Padova e Venezia si costruivano gnomoni e meridiane, astrolabi e notturlabi, quadranti e sestanti, teodoliti e tavolette pretoriane, globi celesti e squadri agrimensori: tutti strumenti impiegati in geometria e fisica, cartografia e astronomia (ancora necessariamente pre-telescopica). Già nel XIV secolo a Chioggia visse e operò il medico e letterato, astronomo ed orologiaio Giovanni Dondi (1330-1388), prima studente e poi docente di Logica, allo Studio padovano, trasferitosi quindi a insegnare Pavia (qui astrologo di corte dei Visconti) e infine a Firenze. Poeta raffinato e studioso di filosofia naturale, amico e corrispondente di Petrarca, Dondi si segnalò già nella sua epoca come uno dei primi cultori di archeologia, descrivendo e misurando vari monumenti classici, nonché copiandone le iscrizioni e trascrivendone i dati maggiori, nelle carte del suo Iter Romanorum. Dondi tuttavia legò la propria notorietà soprattutto all’astrario – progettato da lui a Padova, e poi costruito a Pavia, nel cui castello, ancora alla fine del secolo XV, era conservato, presso la biblioteca visconteo-sforzesca – un formidabile e straordinario orologio astronomico (oggi purtroppo andato distrutto), descritto dallo stesso Dondi, nella sua dissertazione Astrarium, giunta a noi in due versioni manoscritte. Si trattava d’un congegno di piccole dimensioni mosso da pesi (alto circa ottantacinque centimetri e largo circa settanta), racchiuso in un involucro, a base ettagonale, in grado mediante una serie di ingranaggi di riprodurre i moti del Sole, della Luna e dei cinque pianeti, l’ora e il calendario annuale d’allora, giuliano e non ancora gregoriano. Esso indicava pure la durata delle ore di luce, alla latitudine di Padova (dunque, per ogni giorno, l’alba e il tramonto) e la ‘lettera domenicale’ che determinava la successione dei giorni della settimana e il nome dei santi, nonché la data delle festività fisse per la Chiesa (esclusa, pertanto, quella mobile della Pasqua). L’astrario del costruttore patavino, come misuratore del tempo, dava – per la prima volta, nella storia degli orologi meccanici – oltre all’ora, anche i minuti, a gruppi di dieci. La presenza di trattati arabi nella libreria di Dondi lascia supporre che egli utilizzasse, in sede di progettazione, i sistemi di numerazione della scienza islamica, che nell’Occidente latino era stata introdotta, dopo la Rinascita dell’anno Mille, da Gerberto di Aurillac prima e da Leonardo Pisano poi. L’orologio astronomico oggi a Padova – sulla Torre, in Piazza dei Signori – non è una copia dell’astrario di Giovanni Dondi (ricostruito, invece, a Milano, nel Museo della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci), ma venne fabbricato, da suo padre Iacopo, nel 1344. Forse un modello per l’opera del figlio, questa peraltro molto superiore, sul piano dell’accuratezza tecnico-scientifica complessiva.


L’orologio dei pianeti fiorentino: codici manoscritti e storia della tecnica

Lorenzo Della Volpaia (1446-1512) – architetto, matematico, orafo ed orologiaio – è stato un grande personaggio del secondo e tardo Quattrocento fiorentino, capostipite di una illustre famiglia di costruttori di strumenti scientifici. Nel 1491, prese parte al concorso pubblico per la facciata della chiesa di Santa Maria del Fiore a Firenze. In qualità di orologiaio, ebbe celebrità ed onori grazie alla sua fabbricazione del così detto Orologio dei pianeti, commissionatogli da Lorenzo il Magnifico, al fine di farne dono al Re di Ungheria Mattia Corvino, ma rimasto poi a Firenze e regalato, in seguito, alla Signoria per venire collocato nella Sala dell’Orologio. Una fedele ricostruzione dello strumento – che venne poi restaurato dal nipote Girolamo, nel 1560 – si trova oggi esposta al Museo Galileo di Firenze. L’orologio descriveva in modo minuzioso il corso del Sole, le fasi lunari e i movimenti dei pianeti allora noti. Ne danno testimonianza fra gli altri Cellini e Vasari nelle loro opere.
Lorenzo Della Volpaia fu in rapporti con Leonardo da Vinci, menzionato nel manoscritto del figlio Benvenuto, custodito oggi nel fondo antico della Biblioteca Marciana di Venezia. Lorenzo fu inoltre tra coloro i quali parteciparono alle discussioni circa la collocazione del David, suggerendo, al pari di Giuliano da Sangallo, l’opportunità di sistemare la statua nella Loggia dei Signori. La sua bottega in via degli Albertinelli, poi via dell’Oriuolo, luogo tra i principali della produzione tecnico-scientifica e dell’arte fiorentina, in epoca rinascimentale, venne ereditata, successivamente, dai figli, anche loro orologiai di vaglia, che la tennero per l’intero corso del secolo XVI, proprietà confinante con il Monastero di San Piero Maggiore.
Figlio di Benvenuto, che nel 1460 ancora figurava nel catasto della Volpaia, Lorenzo – primo personaggio famoso della sua famiglia – partecipò, nel 1486, come architectore, alla discussione in merito alle porte di Santo Spirito. Versatissimo nelle costruzioni lignee, anche in società col fratello Mariotto (orefice e bottaio), Lorenzo Della Volpaia venne celebrato dai contemporanei come artista e matematico di razza, portato soprattutto per la costruzione di orologi meccanici. Tra il secolo XV ed il XVI, il suo orologio dei pianeti fu molto ammirato, tra gli altri da Poliziano, che nel 1484 – per lettera – lo descrisse a Della Casa, in maniera entusiastica e circostanziata. Anche i capitani di parte guelfa – che lo acquistarono nel 1510, per far rimanere il raro e prezioso strumento a Firenze – se ne dissero molto colpiti. L’orologio, che rimase integro sino al 1640 almeno, era per la città toscana un motivo di orgoglio, politico-istituzionale, oltre che scientifico-tecnico. Disegni di esso e calcoli sui suoi meccanismi interni si ritrovano nella carte paterne trascritte dai figli di Lorenzo: codici librari e taccuini che confermano quanto, specie per la categoria dei pratici ed artefici, i manoscritti siano di utilità assolutamente primaria, per la ricostruzione storica. Nel Codice Marciano, fra l’altro, tre dei disegni concernono studi scientifici e congegni meccanici di Leonardo, esplicitamente citato, in tali carte manoscritte: l’indubbia prova dell’amicizia intercorsa fra i due. Si incontrarono nel 1504 ed in quella occasione discussero di Michelangelo, di astronomia e planetari. Anche la geometria era, per loro, un comune e spiccato interesse: entrambi erano interessati a strumenti di precisione, allo scopo di dividere linee rette in parti eguali, nonché a sistemi di curvatura. Forse, di Leonardo, può essere il compasso elissografo – invenzione attribuita da alcuni interpreti al vinciano – raffigurato nel Codice Marciano. Se ne trova un’illustrazione anche in Durer. Forse si trattava d’un patrimonio matematico e tecnico comune, prova della circolazione del sapere e dello scambio di informazioni, fra artisti ed ingegneri, nel sorgere della prima età moderna (il pittore tedesco se ne servì per la rappresentazione della volta celeste). Significativamente al riguardo, a Lorenzo si fa cenno anche nel Codice Arundel di Leonardo. Un’autentica reciprocità di rimandi, tra figure figlie dello stesso mondo.
Lorenzo Della Volpaia fu, dal 1497, temperatore dell’orologio di Santa Maria del Fiore, come di quello detto dei mercanti, sulla Torre del Saggio (lo rifece quasi ex novo nel 1511), Dal 1490 sino al 1494 – e poi di nuovo, dal 1500 in avanti – Lorenzo ebbe anche il compito di regolare l’orologio pubblico di Firenze (il Codice Marciano presenta in merito schemi, note e computi). Lorenzo lavorò poi anche per ordini religiosi (tra cui gli agostiniani), e per Santa Maria Nuova. Come già suo padre, era appassionato di strumenti meccanici e matematici, dedicandosi alla fabbricazione di astrolabi, di macchine idrauliche, argani e mulini ad acqua. A quel tempo la precisione geometrica di strumenti e macchinari – ad esempio, per i lavori di canalizzazione fluviale sull’Arno – era un requisito tra i più richiesti a tecnici e inventori. Nell’arte poi degli orologi, il nome di Lorenzo Della Volpaia valicò i confini toscani: suoi dispositivi cronologici furono infatti richiesti pure a Bologna. La sua, riguardo agli orologi, fu, in effetti, una vera e propria proto-industria, a base manifatturiera, molto diffusa nei territori dell’Italia centro-settentrionale.
Un catalogo di macchine di Lorenzo Della Volpaia, sopravvissuto e giunto sino a noi, include una ventina circa di strumenti (comprendendo però anche la famiglia). La documentazione, tuttavia, rimane scarsa, purtroppo. Gli interessi astronomici dell’inventore e orologiaio toscano sono attestati dall’umanista Daniele Barbaro, nel suo commentario ai dieci Libri del De architectura di Vitruvio: si tratta di dati ed informazioni sulle costellazioni e immagini celesti dell’emisfero boreale, studiate tramite proiezioni planimetriche, stampate poi anche da Durer a Norimberga nel 1515, con aggiunte notizie e raffigurazioni anche sul cielo australe. Operazione editoriale che coinvolse probabilmente pure altri astronomi del tempo: Conrad Heinfogel – tedesco, pure lui attivo a Norimberga – e Stabio (matematico e studioso di geografia stellare, presente allora alla corte imperiale di Vienna). Anche Lorenzo, nella sua Firenze, lavorò, in quei medesimi anni – e sin dal 1512, se non prima –, a disegni e carte per cataloghi siderei, forte della sua fama, ma soprattutto di una competente esperienza nella materia celeste. Il suo nome era, allora, molto noto in Europa. Barbaro si procurò informazioni su di lui, altresì, attraverso Palladio a Padova, anche lui grande ammiratore del classicismo architettonico vitruviano. Una considerazione, non secondaria, al riguardo: il Vitruvio di Lorenzo Della Volpaia – beninteso – non era quello di Lorenzo Ghiberti (1378-1455). Lo scultore, orafo ed architetto toscano era stato uno scrittore assai dotto e dall’alta cultura – non solo un pratico, ma molto di più: un uomo di scienza già a tutti gli effetti – che nei Commentarii aveva ripreso l’architettura militare di Ateneo il Vecchio e quella civile vitruviana integrandole con lo studio della prospettiva di Ruggero Bacone, della storia artistica pliniana, dell’ottica geometrica arabo-medievale di Alhazen, e della astronomia tolemaica, con aggiunte pure dall’agronomia di Varrone e dall’anatomia (campo mezzo secolo dopo anche di Leonardo). In altre parole, Ghiberti era stato un precoce alfiere dell’erudizione, umanistica ed enciclopedica, del primo Rinascimento fiorentino, mentre Benvenuto rimaneva un costruttore di strumenti ed orologi soprattutto, un pratico e un meccanico (per quanto non privo di riconoscimenti, sul piano dello status sociale). A mediare fra i due, e storicamente e culturalmente, furono figure tra le quali appunto il veneziano Barbaro, non solo umanista – vicino a Tasso, Bembo e Veronese –, ma ambasciatore a Londra e patriarca cattolico, studioso di matematica e scienza della luce e dei colori, interessatissimo alle applicazioni e ricadute del più nuovo ed aggiornato sapere tecnico. Non a caso, Barbaro iniziò a scrivere un De Horologiis describendis Libellus, trattato, non finito, né pubblicato, oggi alla Marciana di Venezia (Codice Latino VIII, 42, 3097), dedicato alla costruzione di gnomoni ed in particolare meridiane. Il testo manoscritto affrontava da un punto di vista scientifico ed alto la tecnica di strumenti – moltissimi dei quali venivano fabbricati dalla famiglia Della Volpaia – quali gli orologi meccanici, l’astrolabio, il planisfero e il bacolo, il triquetrum e l’olometro (questi ultimi due allora molto diffusi, rispettivamente in Spagna e Francia). Nella fattispecie, il triquetrum era un quadrante, usato già al tempo di Tolomeo, costituito da un quarto di cerchio, graduato, perfezionato con aste fisse perpendicolari, per unirne le estremità al centro: lo strumento era munito di un filo a piombo per regolarlo. Conosciuto anche come Regolo di Tolomeo, era impiegato per determinare la distanza zenitale, in astronomia di osservazione. Questa, a differenza della cosmologia aristotelica, evitava le secche e le pastoie della metafisica, per votarsi invece concretamente alla misurazione dei moti celesti e dei corpi planetari.
Il primogenito di Lorenzo Della Volpaia fu con ogni probabilità Bernardo, vissuto tra il 1475 e il 1521 circa, nato a Firenze e poi fabbro, a Borgo Nuovo, a Roma, collaboratore dei Sangallo, per conto di Giulio de’ Medici. Le fonti su Bernardo sono per lo più toscane e fiorentine ed attestano, in particolare, il suo talento, nella fabbricazione di orologi e nella pratica architettonica: diversi lavori su monumenti e antichi e moderni, costruzione di macchine da cantiere, opere di ingegneria, sezioni assonometriche per la trabeazione di templi e chiese, disegni di macchine (nel Codice Coner oggi al Soane Museum di Londra). Lavori, svolti molto più a Roma che a Firenze – da cui forse si allontanò per ignoti motivi – assai meno indirizzati, rispetto agli altri fratelli, verso la gnomonica.
Nel Codice Coner londinese, Bernardo schizzò con precisione numerosi particolari di sculture ed architetture antiche, suddivise per tipologia ed ordini (dorico, ionico, corinzio). Difficile tuttavia che volesse ricavarne un trattato sistematico a stampa. Si trattava più probabilmente di disegni dalla valenza storica, modelli ed esempi a cui guardare nell’attività costruttiva moderna. Notevolissimi ad ogni modo i dettagli di natura tecnica: piante di edifici, prospetti in spaccato assonometrico, sezioni coordinate, non lontani dal gusto e di Raffaello e della sua cerchia, peraltro più interessata a schemi compositivi vasti e complessi. Il punto di riferimento di Bernardo pare sia stato Bramante, presso la cui bottega lavorò in cantiere, riproducendo progetti. Bernardo ebbe quindi una solida preparazione e vivi interessi tecnico-scientifici, che traspaiono e dai suoi disegni di macchine per il sollevamento dei pesi e dalle sue planimetrie, queste ultime superba dimostrazione e di attenzione e di obiettività, impiegando strumenti per rilevare le misure degli angoli, e studiando la rotazione assiale (che, tra il XV e il XVI secolo, la maggior parte degli architetti rinascimentali rettificava).
Il codice di Bernardo, poco dopo esser stato terminato, passò nelle mani di Michelangelo, che tra il 1515 e il 1518 ne ricavò oltre cento disegni di particolari antichi, utilizzati poi per progettare la nuova sacrestia di San Lorenzo. Michelangelo fu, pertanto, il primo di un lungo elenco di architetti e artisti – accanto a Palladio e Borromini – i quali fecero tesoro della fortunata raccolta di disegni di Bernardo. Il codice manoscritto finì, quindi, tra le mani di Coner, uomo di scienza e prelato tedesco, in corrispondenza con i Rucellai di Firenze, interessato alle vedute pittoriche, alla costruzione degli orologi solari antichi e moderni, alla descrizione tecnica delle nuove macchine: tutte le attività detto altrimenti in cui eccellevano, in Toscana, gli artigiani Della Volpaia, che si stavano specializzando, nella loro bottega fiorentina, proprio allora in meridiane e gnomoni.
Alla morte di Lorenzo, il figlio Benvenuto Della Volpaia (1486-1532) – orologiaio, topografo ed eccellente meccanico e costruttore di strumenti tecnico-scientifici – portò avanti con i fratelli le attività familiari. Né mise da parte la pratica architettonica, realizzando, per l’edilizia, macchine per segare i marmi, i porfidi e le pietre (e per arrotare queste ultime), come risulta, ancora una volta, dai disegni e dalle annotazioni manoscritte presenti nel Codice Marciano.
Nel 1524, Benvenuto progettò per la Cittadella di Pisa un mulino per il grano, nonché uno per macinare il carbone. Nel corso dell’assedio di Firenze (1529), costruì un plastico, di città e dintorni, mentre, due anni più tardi, si spostò a Roma, invitatovi dal cardinale Giovanni Salviati. Qui, ottenne dal Papa un appartamento sul cortile del Belvedere, dove ospitò Michelangelo. I due furono, infatti, grandissimi amici. Altrettanto rilevanti furono gli ottimi rapporti intrattenuti, da Benvenuto, con il pontefice Clemente VII. Questi gli assegnò diverse cariche onorifiche, remunerate con ventiquattro ducati ducati d’oro, a semestre, anche in ragione delle conoscenze di Benvenuto, circa le macchine idrauliche e il loro impiego. La mossa era anche di natura politica: il Papa, con la sua dimostrazione di fiducia, voleva premiare una famiglia della Firenze guelfa che per due generazioni si era rivelata sempre profondamente fedele ai Medici e alla Chiesa romana.
La fonte primaria, anche per ricostruire le molte iniziative di Benvenuto, rimane come sempre il codice veneziano. Nel taccuino, possiamo rinvenire, infatti, i suoi primi strumenti datati, vale a dire un orometro ganciometrico (del 1516) e la descrizione tecnica di due mulini romani (1521). Fra Roma e Firenze – avrebbe fatto la spola, tra le due, ancora nel biennio 1531-1532 – Benvenuto, poi, disegnò seghe meccaniche per tagliare le pietre dure e macchine arrotatrici (in questo secondo caso, con note, di suo pugno, circa la maniera di derivare, dal braccio fiorentino, il palmo romano: molto interessante per gli storici delle unità di misura).
Il 21 maggio 1521, Benvenuto fu incaricato a Firenze di regolare l’orologio di Mercato Nuovo (costruito dal padre in precedenza). In questo periodo, si occupò in prevalenza di bussole e di rilievi altimetrici, anche fuori città. Non solo la costruzione di orologi, ma anche l’elaborazione di sistemi e procedimenti per misurare spazi geometrici, furono la sua principale occupazione, durante questo torno di anni. Soltanto uno, di tutti gli strumenti da lui fabbricati, è arrivato sino a noi: un compasso di ferro, cesellato e siglato con le sue iniziali, oggi tra le collezioni di storia della scienza, al Museo Galileo.
Uno dei fratelli di Benvenuto fu Eufrosino Della Volpaia, nato a Firenze nel 1494 e morto – la data resta imprecisata – in Francia. Orologiaio, come il padre e i fratelli, inventore abile e di grande manualità, costruttore di strumenti scientifici, Eufrosino portò avanti, al pari di Benvenuto, l’attività del padre Lorenzo. Al 1516 appartiene il suo primo orologio da lui datato e firmato, oggi conservato al National Maritime Museum di Greenwich. Quattro anni dopo, costruì l’orologio notturno esposto presso il Museo Galileo di Firenze (Inv. 3264), e, nel 1525, l’astrolabio custodito oggi a Londra, nel British Museum. Nel 1530, Eufrosino fece un viaggio a Venezia e, nella città lagunare, progettò uno strumento per misurare altezze e distanze, documentato dal taccuino manoscritto di Benvenuto, oggi alla Marciana. Fu inoltre anche architetto civile e militare, dirigendo nel 1534 i lavori della Fortezza da Basso, su progetto di Antonio da Sangallo. Esperto cartografo, Eufrosino mise a punto, nel 1542, un globo terrestre, oggi presso la Hispanic Society of America newyorkese. Nel 1547, egli eseguì la Mappa della Campagna romana al tempo di Paolo III, di notevole importanza, per la ricerca storica e geografica. I suoi notturlabi – insieme a macchine leonardesche ed a strumenti scientifici di epoca medievale, rinascimentale e galileiana – si possono ammirare, oggi, tra gli altri, nel Museo di Storia della Scienza di Oxford.
Eufrosino – il quale viveva tanto a Firenze, quanto a Roma – conservò le carte manoscritte del fratello Benvenuto e, tra di esse, l’odierno taccuino marciano. Come osservato da Carlo Maccagni e da Pier Nicola Pagliara, oltre ad essere la fonte principale riguardo alle attività della famiglia Della Volpaia, il codice in questione è un documento davvero preziosissimo circa le modalità di raccolta e trasmissione di sapere e conoscenze, all’interno e all’esterno, del gruppo familiare dei meccanici di precisione ed artefici fiorentini. Accanto alle copie dei disegni del padre Lorenzo, agli strumenti e ai disegni di macchine di Eufrosino, troviamo anche i dispositivi tecnici di Benvenuto: macchine per il sollevamento e trasporto dei pesi, sul modello del Taccola, replicati più volte, a Siena, da Francesco di Giorgio Martini nella sua trattatistica. Nel taccuino veneziano, possiamo inoltre trovare congegni ed istruzioni tecniche anche di altri artigiani e artisti, ingegneri e inventori, attivi in area fiorentina e romana, durante il secolo XVI, inclusi gli allievi ed aiutanti di Leonardo. Vi troviamo poi appunti di geometria e di matematica applicate, ricette mediche e diverse curiosità. All’inizio del XVII secolo, ulteriori appunti e disegni vennero aggiunti, infine, dal Priore dell’Ospedale degli Innocenti, Marco Settimani.
Altro fratello di Benvenuto, maggiore di lui di due anni, fu Camillo (1484-1560), orologiaio e costruttore anche lui abilissimo di strumenti scientifici. Seguendo la via di Benvenuto ed Eufrosino, Camillo continuò pure lui l’attività paterna, ereditando la bottega di Lorenzo, in via dell’Oriuolo. Al padre successe, nel 1514, in veste di temperatore del magnifico orologio dei pianeti, sito in Palazzo Vecchio, e costruito da Lorenzo stesso. Vent’anni più tardi, Camillo venne incaricato di effettuare, per la posa della prima pietra della fortezza progettata dal Sangallo, a cui lavorava anche Eufrosino, accurate previsioni meteorologiche, necessarie al fine di fissare il momento più opportuno.
L’inventore Girolamo Della Volpaia (1530-1614), costruttore di strumenti scientifici e ultimo grande orologiaio della famiglia toscana, figlio di Camillo, proseguì le attività del padre e degli zii, Benvenuto ed Eufrosino, portandole nel Seicento, secolo che vide sempre più l’universo meccanico della precisione matematico-geometrica sostituirsi, galileianamente, al mondo del pressappoco d’età precedente. Nel 1554, Girolamo fabbricò una grande sfera armillare oggi custodita presso il Science Museum londinese. Nel 1560, successe al padre, nella manutenzione del grande orologio di Palazzo Vecchio a Firenze. Egli domandò, inoltre, che gli fosse assegnata anche la manutenzione del grande orologio planetario costruito dal nonno Lorenzo, e da lui stesso restaurato in più parti. Girolamo, nel 1564, progettò pure un orologio per Piazza San Marco a Venezia. Al Museo Galileo fiorentino (Inv. 2460), si conserva, oggi, il suo ultimo orologio conosciuto, un orologio solare poliedrico – in legno di bosso – terminato nel 1590, ed alto centonove millimetri. Si tratta di uno strumento complesso, a forma di prisma pentagonale, su cui sono tracciati un orologio solare orizzontale e quattro verticali, completi di gnomone. Nella base, è inserita una bussola, per orientare lo strumento. Tutti gli orologi sono tarati alla latitudine di Firenze, ossia 43° 30’. L’orologio di Girolamo presenta analogie con un altro strumento del Museo Galileo (Inv. 3193) e, come quello, proviene dalle collezioni medicee del primo Seicento. È firmato da Girolamo della Volpaia, per cui non vi sono dubbi o questioni, relative all’attribuzione, talvolta non sempre facile quando macchine e strumenti vengono dal mondo ricco e misterioso dei pratici. Tra questi ultimi, d’altra parte, pochi erano quelli che scrivevano – e, sempre o quasi, in volgare – ed in effetti per loro la pratica costruttiva, a tratti già ingegneristica, nel senso moderno della parola, risultava essere di rilevanza ed urgenza infinitamente superiore alla scrittura di trattati scientifici. Questi venivano per lo più redatti dai dotti, anche riprendendo e riqualificando il sapere empiristico e rivolto al fare di tecnici ed artefici, inventori e fabbricanti (di strumenti, come di macchinari). Lo strumento aveva per i pratici e cultori del saper fare un innegabile valore, di tipo ostensivo, in quanto mostrava i segreti delle arti meccaniche, più e meglio di tante dissertazioni e di tante parole. Una spallata, storicamente assai importante, al sovente sterile verbalismo dei dialettici e retori allora professori nelle Università. In fondo, si sa, le scienze e le tecniche di età moderna non nacquero nei silenziosi spazi delle aule accademiche, ma al di fuori di esse e, spesso, contro di esse: nel caso del presente saggio, presso le botteghe artigiane, e le fabricae dei costruttori di macchine e strumenti tecnici. Le mani, nel microcosmo artigiano rinascimentale, vincevano sulla mente.


Nell'immagine, carta manoscritta autografa di Lorenzo Della Volpaia.


Materiali e documenti d’archivio

Firenze, Archivio dell’Opera del Duomo, Deliberazioni, 1490-1597.
Firenze, Archivio di Stato, Notarile Anticosimiano, Ms. B 227, Vol. X (1521-1523).
Firenze, Biblioteca Nazionale, Ms. II.I. 462, Miscellanea Palagi.
Firenze, Biblioteca Nazionale, Cl. IX, Cod. 67.
Parma, Biblioteca Palatina, Ms. 1016, fasc. I.
Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Archivio del Capitolo di San Pietro, Privilegi e Atti, Mss. 22-23.
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Documento inserito il: 31/01/2025
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