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Il Michelangelo 'Trafugato'

A mia madre


di Daniele MILELLA


Quando la morte giunse, Michelangelo si trovava nella sua modesta casa romana di Macel de’ Corvi ed era assistito dai propri medici e da due persone a lui particolarmente vicine: Tommaso de’ Cavalieri che era un nobile romano e Daniele da Volterra, artista e suo caro amico.
Con lui abitava il suo fedele servitore Francesco Armadori detto Urbino e in casa c’erano alcune opere incompiute, una raccolta di scritti e disegni ed un forziere che conteneva parecchio denaro, particolare questo, che strideva con lo stile di vita umile che il Maestro aveva condotto durante tutta la sua esistenza.
Aveva 89 anni e nonostante la vecchiaia e la stanchezza, anche durante il periodo di malattia che aveva preceduto la morte, Michelangelo aveva continuato con passione ed impegno a lavorare strenuamente fino a due giorni prima di rendere la sua anima, alla sua ultima opera: la Pietà Rondanini.
La vita come la sua carriera erano state lunghe e intense, ricche di gloria ma anche di delusioni. Girovago, irrequieto nello spirito e nel corpo, fu irascibile e litigioso, lavorava quotidianamente con impegno e fatica, ma fu anche incostante e “incompiuto” e questo, lo portò in più casi ad abbandonare le commissioni affidategli.
Il suo maestro fu Domenico Ghirlandaio ed il suo primo ammiratore fu Lorenzo il Magnifico, che lo scoprì in giovane età. Fu scultore e pittore “amato e detestato” da Papa Giulio II nei primi anni del cinquecento, fu anche un geniale architetto. L’Accademia e Compagnia dell’Arte del Disegno, lo nominò Console.
I suoi contemporanei lo ammiravano per il suo incomparabile talento artistico grazie al quale, aveva raggiunto risultati rivoluzionari in ogni campo in cui si fosse cimentato: dalla scultura – sua arte preferita – alla pittura, passando per l’architettura e fino a giungere alla poesia.
Irriverente e vulcanico nel lavoro, lo era anche nel temperamento, che irruento e anticonformista, lo aveva portato in diversi casi, a scontrarsi con importanti personalità sue contemporanee alcune delle quali appartenenti alla sua stessa cerchia professionale, noti e leggendari sono gli screzi con Leonardo, Raffaello e Bramante.
Impulsivo, si scontrò anche con i propri mecenati. Amava lavorare in solitudine, fu il primo artista della storia, ad infrangere i clichè che fino ad allora avevano contraddistinto il rapporto tra committenti ed artisti. Gli artisti fino ad allora infatti, erano considerati alla stregua degli artigiani, Michelangelo invece, seppe distaccarsi dal meccanismo della produzione solo su commissione e realizzò delle opere in autonomia, essendo certo che queste, avrebbero trovato un acquirente in seguito alla loro realizzazione.
Fu un antesignano, anche nella sua capacità di comprendere l’importanza dell’immagine e della reputazione personale, egli infatti controllò personalmente la stesura della sua biografia curata da Ascanio Condivi, e “suggerì” al suo amico Vasari, la modifica di alcune informazioni riportate nella prima redazione delle “Vite”.
Creò capolavori dalle ineguagliabili ed ineguagliate perfezione e complessità, che divennero i modelli dai quali nacque il manierismo, quella nuova concezione dell’arte, che contraddistinse il Rinascimento.
Riuscì a raggiungere una perfezione “prossima al Divino” in tutto quello che fece: nella pittura con il ciclo di affreschi della Sistina; nella scultura con il David e la Pietà Vaticana; nell’architettura con gli allestimenti laurenziani, la progettazione della cupola di San Pietro e l’allestimento di Piazza del Campidoglio.
I suoi contemporanei, lo soprannominarono il “Divin Artista”. Così come fu unica la sua vita, lo fu anche la sua morte. Come prima accennato Michelangelo morì a Roma, ma la sua morte venne celebrata con immensa solennità a Firenze, dove il suo corpo arrivò in modo rocambolesco. Alla morte del maestro infatti, le autorità romane, avevano espresso il desiderio di inumare il suo corpo in San Pietro. A Firenze però il Duca Cosimo de Medici, volendo sopperire alla sua mancata possibilità di essere riuscito a riportarlo in città da vivo, decise che lo avrebbe voluto per sempre da morto, per celebrarlo come mai prima era avvenuto ad un artista.
Nacque allora il progetto, che divenne poi impresa, di riportare il suo corpo a Firenze. Di questa, che è stata raccontata da Vasari nella seconda edizione delle “Vite”, erano però ignare le autorità Romane.
Il protagonista, fu il nipote di Michelangelo che si chiamava Lionardo e che nei primi giorni di marzo, giunse a Roma con il preciso compito di recuperare la salma del suo grande zio e di predisporne il trasporto in Toscana. Quest’ultima allora fu trafugata di notte e in gran segreto, per arrivare nel capoluogo toscano l’11 marzo del 1564, trasportata in incognito e in guisa di una normale merce.
In proposito, il Vasari scrisse: “Lionardo aveva con prestezza, e perciò con resoluzione cautamente cavato il corpo di Roma e, come fussi alcuna mercanzia, inviatolo verso Firenze in una balla”. Successivamente fu portata alla basilica di Santa Croce, dove ad accoglierla c’erano Vasari, Ammannati, Cellini e Bronzino e fu quindi ispezionata secondo un complesso cerimoniale stabilito da Vincenzo Borghini, che era luogotenente dell’Accademia delle Arti del Disegno.
Il giorno successivo ovvero il 12 marzo, fu celebrata la prima cerimonia funebre, alla quale il 14 luglio, seguì quella ufficiale in San Lorenzo. Questa cerimonia, fu patrocinata direttamente dal Duca ed è passata alla storia, per la straordinaria organizzazione ad opera dell’Accademia, e per il coinvolgimento delle più importanti personalità fiorentine dell’epoca.
La basilica venne interamente addobbata di drappi neri e di tavole dipinte con episodi della vita di Michelangelo. Il catafalco monumentale che fu scenograficamente posizionato al centro della basilica, venne ornato con particolarissime pitture e sculture. L’orazione funebre venne composta e recitata da Benedetto Varchi, il quale si produsse in un raffinato discorso – anche pubblicato da Iacopo Giunti – nel quale tessé le lodi ed esaltò i meriti, la vita e le opere di colui che definì il “Divino Michelangelo Buonarroti”.
Il suo amico ed estimatore Giorgio Vasari invece, realizzò in Santa Croce, il sepolcro adornato con le allegorie delle arti che Michelangelo aveva con tanta maestria padroneggiato in vita e nel quale, fu collocato il suo feretro.
Questa cerimonia così fortemente voluta e perfettamente organizzata, fu certamente il suggello messo all’apice della figura di Michelangelo, il quale era diventato il massimo esempio e riferimento per il mondo dell’arte e della cultura Rinascimentale. Michelangelo, che si era reso eterno in vita grazie alle sue creazioni impareggiabili, divenne quindi leggendario grazie agli onori che in morte, gli tributarono i suoi contemporanei.
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Nell'immagine, ritratto di Michelangelo eseguito da Daniele da Volterra.


Bibliografia:

Giorgio Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, Firenze, Torrentini, 1550.
B. Varchi, Esequie del divino Michelagnolo Buonarroti celebrate in Firenze dall’Accademia dei Pittori, Scultori e Architetti nella chiesa di S. Lorenzo il dì 14 luglio 1564, Firenze, Giunti, 1564
Carlo Giulio Argan-Bruno Contardi, Michelangelo architetto, Milano, Electa, 1990
Pierluigi De Vecchi, Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, vol. 2, Milano, Bompiani, 1999.
Michelangelo e il Novecento, catalogo della mostra di Casa Buonarroti a cura di E. Ferretti, M. Pierini, P. Ruschi (Firenze 18 maggio-20 settembre 2014), Milano, Silvana Editoriale, 2014

Documento inserito il: 07/03/2025
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