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I Bonacolsi, primi Signori di Mantova. [ di Romeo Ottavio ]

Maria Bellonci portò alla ribalta la figura di Rinado Bonacolsi, detto Passerino, raccontando nel bel libro "Tu, vipera gentile" la sua leggenda, partendo da questa vorrei scindere le fantasie popolari dalla Storia, che la famiglia Bonacolsi contribuì a formare in una delle stagioni cruciali del nostro paese, che portarono dai comuni alle signorie.

Nell’immaginario collettivo Passerino colpisce per la leggenda che circonda la sorte del suo cadavere, tradito dalla famiglia che più si era avvantaggiata del suo dominio e ucciso nel 1328, pare che il suo corpo imbalsamato sia stato conservato dai Gonzaga fino alla fine della dinastia, come un talismano, si diceva che qualora Passerino avesse lasciato il palazzo ducale la dominazione gonzaghesca sarebbe finita, alcuni dicono fosse conservato in una teca di cristallo, altri parlano di ben più strane e negromantiche conservazioni, c’è chi afferma di averlo visto a cavallo di un ippopotamo altrettanto imbalsamato, protetto da una tenda per non spaventare le dame in visita, la testimonianza più “scientifica” verrà data dal naturalista tedesco Furttenbach, che dice fosse conservato assieme a molte altre meraviglie, tra le quali un armadillo, un unicorno, coccodrilli scorticati, un “vitello marino” la testa imbalsamata di un uomo e, tanto per esagerare un drago a sette teste, descrive anche dettagliatamente due ferite, una sul cranio e una sul fianco, il Furttenbach visitò il reperto nel 1627 , evidentemente nella wunderkammer dei Gonzaga dell’epoca, per wunderkammer si intendeva “stanza delle meraviglie”, sorsero alla fine del 500 nelle varie corti europee e furono i primi musei naturalistici, in cui però non dominava il criterio scientifico razionale, quanto l’intento di sorprendere e stupire, Passerino era morto da 299 anni, se quel cadavere fosse o nò il suo, lascio al lettore l’ardua sentenza.

Distinguere fra Storia e leggenda, quando si parla dei Bonacolsi è piuttosto arduo, le fonti antiche ci sono, ma sono frammentarie e molto spesso in contrasto fra loro.
Rainaldo, detto il Passerino per la bassa statura e l’esile figura, fù l’ultimo rappresentante di questa famiglia, emblematica per il periodo in cui dominò, la fine dei liberi comuni, la trasformazione delle ideologie guelfe e ghibelline che portavano non solo alla contrapposizione tra comuni vicini, ma anche all’endemica lotta interna, che mandava al potere ora una ora l’altra fazione, fazioni percorse da correnti interne che determinavano spaccature profonde.
Emblematico l’esempio fiorentino: Dante è guelfo, ma di parte bianca, quando il Foscolo lo chiamerà “ghibellin fuggiasco”, nessuno, tra noi moderni, troverà inappropriato il termine, siamo in somma alla fine di un’epoca in cui le vecchie ideologie soppravvivono, ma hanno perso il loro valore messianico, corrotte, o forse meglio dire giunte ad uno spirito pragmatico che le ha svuotate e stancate. La sia pur imperfetta democrazia comunale, con le continue lotte interne e il proliferare di fazioni e contrasti impedisce l’evolversi dell’ industria e del commercio, obbliga a continue militanze, si dissangua in liti interminabili e sterili. A nulla è valso l’affidare il potere a podestà estranei, chiamati, proprio per la loro estraneità a far da giudici e paceri. In cambio della stabilità e della pace interna si cerca l’uomo, o la famiglia, che abbia la forza di imporre la pace interna, che sappia difendere la città senza continue leve militari, affidandosi a milizie proprie o esterne.

In questo contesto comincia la storia della breve dinastia dei Bonacolsi, che tenterò di ricostruire attraverso le fonti cartacee in mio possesso, riguardanti le famiglie coeve e, non lo nego, saccheggiando ogni sito internet che potesse darmi qualche lume.
Quello che ne uscirà sarà la mia personale idea dei fatti storici rappresentati, trovandomi spesso in versioni contrastanti dello stesso fatto sceglierò quella che mi pare la più probabile, in altri casi fornirò due versioni antitetiche ma verosimili.

Le origini della casata sarebbero riconducibili al modenese, per altri sarebbero derivanti da un ramo dei Bonacossi di Ferrara.
La prima presenza documentata in Mantova risale al 1168: si cita Ottobuono de Bonacosa, abitante col figlio Gandolfo nel quartiere S. Martino, in contrada S. Egidio. Da Gandolfo nacque Pinamonte, e con lui la prima signoria mantovana.
Nel 1239 Pinamonte figura come “anziano” nel consiglio della Repubblica e partecipa come rappresentante del Comune alla pace con Verona. Col consenso popolare nel 1269 si proclama difensore della città contro gli estensi, che vorrebbero riportare al potere gli esuli guelfi.
Nell’intricata situazione comunale l’egemonia è detenuta dai Casalodi (o Casaloldi), conti e feudatari del contado mantovano, inurbati nel comune. Questi rappresentano, con i conti di Riva e i conti di Marcaria la vecchia piccola nobiltà terriera che, inurbandosi tenta di mantenere il potere su un borgo commerciale e produttivo che ormai si è trasformato in città.
Pinamonte riesce ad ottenere l’appoggio della borghesia commerciale e artigianale e, tramite l’ inganno, a mettere una famiglia nobile contro l’altra: celebri le parole di Dante nel canto XX° dell’Inferno :
"Già fuor le genti sue dentro più spesse /
prima che la mattia da Casalodi / da Pinamonte inganno ricevesse.

Insomma, Pinamonte sfruttò l’alleato per i suoi fini per eliminarlo poi senza problemi.
Nel 1272 l’assemblea generale del comune di Mantova crea una nuova magistratura per limitare i poteri del Podestà, forestiero che veniva scelto per la presunta imparzialità nei contrasti interni e che aveva (generalmente) potere per un anno, vengono nominati due Vicari o Rettori per controllarne l’azione. Pinamonte figura tra questi, associato prima con Alberto Casalodi, poi con un Riva e quindi con un Marcaria. La cosa certa è che tutte le famiglie nobili, una ad una vennero bandite dalla città e Pinamonte si ritrovò nel 1273, senza opposizione nobiliare, associato a Ottonello Zanecalli, esponente della borghesia, ma evidentemente non gli bastava. C’è chi dice che Ottonello fu assassinato dal Bonacolsi assieme ad un servo dopo averlo invitato ad una cena tra il 1274 e il 1276, ma pare che in alcuni documenti lo si citi ancora nel 1277, quindi sarebbe probabile che fosse stato solo bandito.
Nel 1276, comunque, l’effettiva signoria, se non di nome, di fatto viene costituita. L’uomo che più lo aveva appoggiato, con larghezza di mezzi e uomini era stato Antonio Gonzaga, che da questo trasse grandi vantaggi: da questo momento i Gonzaga diventano la seconda famiglia di Mantova e, con un nipote di Antonio, saranno la rovina dei Bonacolsi.
Nel 1287 ottiene il primo riconoscimento ufficiale della famiglia: viene ordinato cavaliere teutonico con i figli Corrado, Tagino, Bardellone, Filippo, Giovanni, Guido, Salvatico e Fabrizio. Compila il “Liber privilegiorum” raccolta di norme e leggi comunali, antecedenti gli “Statuti Bonacolsiani” che verranno compilati dai nipoti, ma nel 1291 pare che la sua attività politica si sia conclusa, e qui c’è un altro “giallo”. Qualcuno dice che Pinamonte si ritirò volontariamente lasciando il governo al figlio Bardellone, ma da molte fonti si indica l’erede designato in Tagino, altri parlano di una presa di potere violenta tramite l’alleanza con la fazione guelfa, con una disputa armata in piazza Broletto, l’occupazione del palazzo e la prigionia di Tagino e del figlio Fabrizio, e questa mi pare l’ipotesi più valida. Comunque sia, nel 1291 Bardellone subentra a Pinamonte, che morirà due anni più tardi, il 7 Ottobre 1292.
Astutamente all’inizio si fa affiancare da due rettori, come per restaurare le forme repubblicane, ma appena si sente saldo al potere nomina il nipote Guido, detto “Bottesella”(i soprannomi nella famiglia da questo momento si sprecheranno) podestà della città, mentre lui si fa nominare dal consiglio del comune “Capitano di Mantova”. Nel 1294 nomina 12 “anziani”, dando così avvio a quello che sarà chiamato “il consiglio del signore”. Le sue funzioni giudiziarie crescono: ottiene la delega di apporre bandi, giudicare, assolvere o condannare a suo giudizio.
Assestato al potere, cerca un accomodamento con Tagino, che pare venga associato, in posizione subalterna al potere, ma i pericoli non vengono da questa parte della famiglia, verranno dai figli del fratello Giovanni, detto Gambagrossa: sono Guido, detto Bottesella (piccola botte), che da Bardellone, come già detto, era stato nominato podestà, Rainaldo il Passerino, Bonaventura, detto Butirone (palla di burro).
Il 2 Luglio 1299 Guido Bottesella, spalleggiato dai fratelli prende il potere. Anche in questo caso le versioni sono contrastanti: chi dice che il passaggio sia avvenuto pacificamente e chi nò, la versione più vicina alla realtà, a mio giudizio è quella che afferma che Guido, appoggiato da Alberto della Scala, signore di Verona, di parte ghibellina, abbia sollevato la fazione imperiale contro lo zio, che si avvaleva dell’appoggio guelfo. Resta il fatto certo che di Bardellone (che non aveva avuto figli) non si sentirà più parlare, anche se più che un’eliminazione fisica sia probabile il bando, mentre Tagino morirà esule a Ferrara nel 1302, e i figli Saracino, Obizzone e Filippone si stabiliranno stabilmente in questa città, dominata dagli Este, di parte guelfa.
Non a Caso Guido sposerà l’anno dopo, nel 1300, Costanza della Scala, rinsaldando i legami con la ghibellina Verona. A differenza del predecessore, spesso descritto come intollerante, rozzo e ignorante, gli storici lo ricorderanno come un buon governante: assunto il titolo di Capitano di Mantova, fa costruire il palazzo del capitano, che diverrà con la Magna Domus, già proprietà dei Bonacolsi, il nucleo primigenio del futuro palazzo ducale. Pare che la sua signoria, durata 10 anni, sia stata un periodo di pace. Guido continua l’opera di riordino normativo cominciata da Pinamonte e nel 1308 associa al governo Passerino. Muore l’anno dopo e la sucessione è senza traumi: Passerino prende il potere in pieno accordo col fratello Butirone.

Nello stesso anno, 1309, stipula o rinnova diverse alleanze, soprattutto con Verona, ma anche con Parma, Modena, Brescia e Piacenza, in continuità con la politica pacifica del fratello.
Nell’estate del 1310 cala in Italia una legazione dell’imperatore Enrico VII di Lussemburgo, che ne annuncia l’imminente venuta. Mantova, legata a doppio filo a Verona e ai ghibellini sarà presente con una delegazione all’incoronazione di Enrico avvenuta a Milano il 6 Gennaio 1311.
L’imperatore, con l’intento di riodinare i feudi e i possedimenti imperiali in Italia ordina una tregua generale, la fine delle lotte interne e il richiamo dei fuorusciti con la nomina di vicari imperiali al disopra delle fazioni: è probabile che Passerino abbia dovuto rinunciare al titolo di Capitano del Popolo, come è provato fecero a Verona Alboino e Cangrande della Scala.
Il 10 Febbraio 1311, a Mantova fu nominato vicario imperiale il fiorentino Lapo degli Uberti, che richiamò tutti i fuorusciti, praticamente tutti i nemici dei Bonacolsi espulsi negli anni precedenti. L’ esperimento non ebbe successo e già nella primavera del 1311, dopo violenti tumulti, gli oppositori di Passerino vengono nuovamente banditi, e con loro il vicario imperiale.
Rainaldo viene nominato a vita Podestà della Mercanzia. L’imperatore non reagisce, la pacificazione è fallita dappertutto e molti comuni dominati dai guelfi si rifiutano di rendergli omaggio. Le truppe mantovane parteciperanno con quelle imperiali al lungo assedio di Brescia che durerà dal Maggio al Settembre del 1311 e Passerino e Butirone, congiunti, vennero investiti del vicariato imperiale di Mantova: grande onore, ma costato 20.000 fiorini, pagati a rate con un anticipo di 1.500. Si conoscono diversi solleciti per il pagamento finale, che dubito fortemente sia avvenuto. Nel 1313 l’imperatore morirà e l’insolvenza era sicuramente ancora in atto.
Nel frattempo (1306) gli Este erano stati scacciati perdendo Ferrara, Reggio e Modena: proprio a Modena, dopo un tentativo di restaurazione repubblicana finito con le solite lotte interne, Enrico VII aveva nominato vicario Francesco Pico della Mirandola, ma questi venne sconfitto e catturato a Baggiovara l’ 8 Luglio 1312 dai bolognesi sostenitori dei guelfi modenesi banditi dalla città.
Davanti al pericolo, rimasti senza vicario e senza esercito, i modenesi ghibellini, asserragliati in città non trovarono di meglio che affidarsi al vicino ghibellino che poteva difenderli: fu inviata d’urgenza una delegazione a Mantova ad offrire la signoria ai Bonacolsi. Già nell’Agosto dello stesso anno Rambaldo dè Lamberti, inviato di Passerino entrò in città col titolo di Podestà. Assicuratosi della situazione, Passerino entrò in Modena il 15 Ottobre e assunse ufficialmente la Signoria.
Il successo era palese: in fondo in nome dell’imperatore aveva difeso una città ghibellina da una guelfa, ma nonostante questo, nella primavera del 1313 gli furono contestate pesanti accuse di intesa coi nemici dell’impero, più precisamente con Gilberto da Correggio, signore di Parma, passato alla parte guelfa. A questa grave accusa si aggiunse il debito mai pagato dei 20.000 fiorini per la nomina imperiale, ma l’improvvisa morte dell’imperatore fece cadere le accuse, che a mio parere, tranne l’insolvenza, non avevano molta sostanza, come dimostreranno gli avvenimenti posteriori.
Morto Enrico VII, i ghibellini invece di scoraggiarsi si compattano e formano l’11 Settembre 1313 una lega suggellata da un trattato firmato da Passerino, Butirone, Cangrande della Scala e Uguccione della Faggiuola, signore di Pisa e Lucca. Contingenti mantovani parteciparono alla strepitosa vittoria di Montecatini, dove il della Faggiuola sbaragliò l’esercito fiorentino.
Spalleggiato da Cangrande, che lo copriva dai guelfi di Brescia, Padova e Treviso, Passerino nel 1315 riprese la lotta contro le guelfe Cremona e Parma, riunite temporaneamente soto la signoria di Gilberto da Correggio. Nell’Ottobre furono prese diverse località, tra cui Viadana, e Sabbioneta (incredibile perla rinascimentale di un ramo dei Gonzaga, chi può vada a visitarla). Nel 1316 fu presa Casalmaggiore.
Davanti ai sucessi ghibellini (inaspettati, dato che i grandi elettori dell’impero erano in contrasto: nel 1314 erano stati eletti due imperatori, e nessuno dei due aveva il placet papale), Papa Giovanni XXII il 31 Marzo 1317 proibì a tutti di portare i titoli imperiali sotto pena di scomunica.
I tre principali signori ghibellini del nord Italia, Matteo Visconti per Milano, Cangrande della Scala per Verona, e Rainaldo Bonacolsi, col fratello Bonaventura (Butirone) per Mantova, rigettarono gli ordini papali e furono scomunicati (probabilmente nei primi mesi del 1318).
Nonostante i pessimi rapporti col Papa l’espansione continuò: nel 1317 Gilberto da Correggio fù scacciato da Parma e Passerino riuscì ad insediarvi un capitano di fiducia, Gherardo Buzzalini da Verona; organizzò anche un attacco a Cremona, ma si trovò in difficoltà non per merito dei guelfi. L’attacco improvviso venne da parte ghibellina: ricordate Francesco Pico della Mirandola, nominato vicario per Modena da Enrico VII? Liberato dai bolognesi il Pico provocò un’insurrezione a Modena ai primi del 1318, scacciando il podestà Federico della Scala, uomo di Passerino e proclamandosi Signore.
La signoria dei Mirandola durò poco: nel Dicembre del 1319 furono sconfitti durante il tentativo di portare aiuto ai rivoltosi di Carpi che volevano rovesciare Manfredi Pio, alleato di Passerino e furono costretti a restituire la signoria di Modena in cambio della salvezza.
La faccenda si concluse nel 1321. Violando i patti Passerino fece arrestare il Pico con i figli, assediando poi il castello della Mirandola conquistandolo e radendolo al suolo. Francesco Pico della Mirandola e i figli morirono nella torre di Castel d'Ario: risulta da quasi tutte le fonti che furono fatti morire di fame, come il conte Ugolino.
Nel frattempo, stando al Chronicon Mutinense del da Bazano e al Chronicon Parmense, sembra che, grazie all’appoggio di Cangrande e di Mantova i Ghibellini cremonesi riuscissero a conquistare il potere eleggendo signore Ponzino Ponzoni, che riuscì a governare grazie alle truppe mantovane, ma i due cronisti citati nominano come Signore il Passerino. Anche in questo caso la cosa durò poco, il 23 Novembre 1319 i guelfi riprendevano il potere a Cremona.
Certo è che l’iniziativa papale di approfittare dell’assenza di un Imperatore per creare un’Italia guelfa fallì. Nella primavera del 1323 si presentarono gli ambasciatori di Ludovico il Bavaro, eletto Imperatore dopo la battaglia di Muhldorf (28 Settembre 1322), nella quale aveva sconfitto l’altro pretendente, Federico d’Asburgo.
Sembra che in quel periodo il cardinale Bertrand de Poujet stesse trattando con Mantova e Verona perchè tornassero in seno alla Chiesa, ovvero passassero alla parte guelfa, abbandonando Galeazzo Visconti, assediato in Milano dalle truppe papali, ma l’arrivo degli ambasciatori provocò un rimescolamento delle carte, le trattative furono troncate e a Passerino, Butirrone e Cangrande fu riconfermata la scomunica.
Il 17 Gennaio 1324 Rainaldo Bonacolsi, Cangrande della Scala, Galeazzo Visconti, Castruccio Castracani, e Rinaldo d’Este (gli Este erano tornati in possesso della sola Ferrara nel 1317), alla presenza dell’inviato imperiale Bertoldo di Marstetten si riuniscono nel castello di Palazzolo e costituiscono una lega ghibellina.
Per prevenire l'imminete calata dell'Imperatore, i guelfi intensificarono la pressione e nel 1325 Modena fu attaccata dai comuni di Reggio e di Bologna, ovviamente in appoggio dei fuorusciti guelfi. I ghibellini, guidati dal figlio del Bonacolsi, Francesco, sconfissero il loro esercito dopo una lunga lotta attorno al castello di Monteveglio (più nota come battaglia di Zappolino). I Bolognesi sconfitti furono inseguiti dalle truppe modenesi fino alle mura della loro città: da qui nacque l'episodio della “secchia rapita”, che ispirò il poema, più comico che eroico, del Tassoni. Si tratta del secchio di un pozzo bolognese portato a Modena come trofeo della vittoria, ed è ancora attualmente conservato nel “camerino dei confirmati” nel palazzo del comune di quella città.
In precedenza, lo stesso anno, Rainaldo sposò Ilice d'Este, ovviamente fu un matrimomonio politico che sanciva un'alleanza con gli estensi, da poco rientrati in possesso di Ferrara, famiglia storicamente legata ai guelfi, che solo con Azzo VIII si era messa in contrasto col papato, per questo era stato scacciato dalla città e ben presto i successori avrebbero cercato un accordo col Papa. Forse fu questo troppo stretto legame che mise in guardia i ghibellini e provocarono la fine dei Bonacolsi. Faccio notare che è una mia solitaria congettura, del tutto opinabile e contestabile. Comunque stranamente, nel 1326, dopo la vittoria di Zappolino viene stipulato un trattato di pace con Bologna assolutamente inconcludente. Le cose restano com'erano prima della vittoria e le truppe pontificie ripartirono al contrattacco, riconquistarono Sassuolo e nel Luglio assediarono Modena per varie settimane, mentre nel settembre e nell'Ottobre Parma e Reggio si arresero al pontefice.
Finalmente Ludovico il Bavaro calò in Italia, discesa implorata dai ghibellini, ma a quanto pare con truppe scarse. Passerino lo incontrò a Trento il 21 Gennaio 1327, ma, dopo aver soffocato una rivolta guelfa in Aprile, perdeva Modena nel Giugno dello stesso anno, proprio mentre l'Imperatore si faceva coronare a Milano.
Rinserrato in Mantova, dove apparentemente non aveva opposizioni, giunse per lui e tutta la sua famiglia il colpo finale, e non arrivò dai guelfi, arrivò dai suoi stessi più sicuri alleati e seguaci. Nella notte del 16 Agosto 1328 Luigi Gonzaga, con i figli Filippo, Guido e Feltrino, fino ad allora partigiani, parenti e beneficiati dei Bonacolsi, con l'assenso sicuro e molto probabilmente con l'aiuto diretto di Cangrande della Scala (si parla di 300 cavalieri e 800 fanti), alleato storico di Passerino, sollevarono il popolo, almeno così scrissero i cronisti posteriori favorevoli ai Gonzaga, ma nemmeno nel quadro del Morone, voluto dai Gonzaga si rappresenta una rivolta popolare.

Fu un colpo di stato militare: le milizie dei Bonacolsi furono prese di sorpresa, Passerino, armatosi in fretta e furia tentò di raccogliere le forze, ma al primo scontro fù ferito al fianco (chi dice alla testa) da Alberto da Saviola, partigiano gonzaghesco. Più tardi si disse da Luigi Gonzaga, ma forse solo per piaggeria posteriore verso il vincitore. Pare che, ferito, spronasse il cavallo verso il suo palazzo e nella fretta, attraversando il portone al galoppo, battesse la testa contro una trave e di questa ferita fosse morto per emorragia, l'unica cosa certa è che quella notte morì.
Se anche il fratello Butirone morì quella notte, oppure fù incarcerato con i figli e il figlio di Passerino, Francesco, nei sotterranei di castel d'Ario, dove furono velocemente fatti morire di fame, non si sa. Certo è che subirono la sorte che Passerino aveva precedentemente riservato alla famiglia dei Pico della Mirandola.
Dieci giorni dopo la rivolta Luigi Gonzaga veniva nominato Capitano di Mantova dal consiglio generale; il vicariato imperiale, già di Passerino e Butirone congiuntamente, invece passò a Cangrande della Scala, pare con tutti i beni privati dei Bonacolsi al di fuori di Mantova. A questo punto piu che un passaggio di potere all'interno della città, parrebbe una conquista veronese, ma Cangrande morì il 22 Luglio 1329.
I Gonzaga rafforzarono il loro potere e rimasero padroni della città di Mantova fino agli inizi del 1700. I Bonacolsi governarono per 54 anni, di questi Rainaldo e Bonaventura, chiamati dai loro concittadini e passati alla Storia come Passerino e Butirone, in pieno accordo ne gestirono venti, non pochi per una coppia capace di efferatezze non rare per quei tempi convulsi e turbolenti, come far morire per fame un'intera famiglia o, come avvenne nel 1325 durante l'assedio di Fiorano, Passerino ordinò che un tale, chiamato Rosso delle Cipolle, sospettato di spionaggio, fosse rispedito nella città assediata tramite un lancio con la catapulta.
Eppure la più vasta, ordinata raccolta di leggi e norme dell'epoca comunale ci deriva da loro, un tesoro impagabile per gli storici ed un segno inequivocabile di civiltà giuridica: sono i dieci libri degli Statuti Bonacolsiani. Ogni libro tratta una materia, ed è una raccolta di leggi, bandi, editti e regolamenti che riguardano ogni aspetto della vita civile, economica e politica del comune di Mantova, da quelle consolari, 1116 /1187, le podestarili, 1187/1274, le dittatoriali, dal 1274 ai primi del 1300 (praticamente le leggi dei Bonacolsi).

di Romeottavio


Fonti:

I Gonzaga – Adelaide Murgia - Mondadori
Gli Estensi – Bruno Rossi – Mondadori
I Visconti – Paolo Pacca - Mondadori
Il Medioevo – vol I e II – autori vari – UTET

Tra tutti i siti internet che sono riuscito a trovare che trattassero dell'argomento, utilissimo si è rivelato il sito della Treccani, mentre sul sito spagnolo di Wikipedia vi sono molte notizie su Pinamonte Bonacolsi.

Documento inserito il: 22/12/2014

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