Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, approfondimenti: Il potere dell’acqua nelle mani sbagliate.
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Il potere dell’acqua nelle mani sbagliate.

Pensavo che la faccenda della privatizzazione dell’acqua fosse inquinata da agenti partitici e quindi politici, o meglio, da fattori politici e conseguentemente partitici. Mi sbagliavo. La faccenda dell’acqua è un altro dei sistemi con cui i soliti ed oramai tristemente noti cercano di capestrare lo Stato Italiano. E non solo quello. Ad ogni buon conto si sono spesi tempo e soldi per un referendum e il Popolo Italiano ha detto chiaramente che non desidera la privatizzazione dell’acqua. A distanza di una manciata di mesi tale referendum vuole essere ignorato. Questo è il chiaro segno che il popolo Italiano, per fare rispettare le proprie decisioni e comunque per farsi rispettare, deve inventarsi, o mettere in pratica, qualcos’altro. Riflettiamo da un punto di vista prettamente storico: il medioevo italiano ha visto la costruzione di formidabili strutture difensive, le quali hanno sfidato i secoli per giungere fino a noi sostanzialmente immutate. La loro acquisizione da parte delle nuove odierne realtà comunali e il loro recupero hanno talvolta gettato raggi di luce sul passato, facendoci cogliere spaccati di vita quotidiana, su cui meditare.
Il borgo marchigiano di Gradara è tutt’oggi protetto dalla cinta muraria del XIV secolo, dominato dal castello costruito dai Malatesta di Verrucchio su precedenti fortificazioni e restaurato dagli Sforza alla fine del XV secolo. Un recente studio sulle mura accenna al rapporto tra il borgo, proprietà dei borghigiani dal 1363, e i signori feudali proprietari del castello, denominato anche rocca:
«Mentre, infatti, questa, racchiusa nel più breve circuito delle mura del girone, è di proprietà dello Stato centrale ed è completamente avulsa dalla vita dei cittadini mai chiamati a partecipare alle feste di corte nè alla presa di possesso dei vari enfiteuti, le mura della terra (il centro storico vero e proprio) sono invece di proprietà della comunità e da questa orgogliosamente custodite e mantenute. E ciò dal 1363 a tutt’oggi ininterrottamente» (Bischi D., Il castello e le sue mura, in Bischi D., Cucchiarini E., Le mura di Gradara, Editrice Fortuna, Fano 1996, p. 16).
Ed ecco il punto che direttamente riguarda la fruizione dell’acqua potabile da parte del popolo:
«Tacita riconoscenza ci fu, per le famiglie della terra e del borgo, solo per l’uso della cisterna all’interno della rocca. Nel 1853 il Governo Pontificio decideva infatti, per le condizioni disastrose della rocca, lo smantellamento di tutto il complesso al fine di ricavarne materiali di risulta (ornati, coppi, laterizi, ecc.). Il periziato introito fu di scudi 7359. Per l’utilità della cisterna, che, sarebbe venuta a mancare con lo smantellamento dei tetti, il comune di Gradara, fino ad allora disinteressato all’acquisizione della rocca, ne chiese ed ottenne l’enfiteusi prima e la proprietà dopo al solo scopo di salvaguardare l’approvvigionamento idrico del castello. Impossibilitato però a garantire la gravosa manutenzione della rocca, il comune la cedette, nel 1877, riservandosi però la fruizione della cisterna che, di proprietà del Conte Alessandro Bonacossi alle stesse condizioni fu ceduta nel 1919 all’ingegnere Umberto Zanvettori di Belluno» (Ivi).
Innanzitutto mi viene da pensare che l’equilibrio mantenutosi nel tempo tra feudatari e popolo poggiasse anche e soprattutto sul fattore acqua potabile. Se i borghigiani dovevano recarsi al pozzo del castello per l’approvvigionamento, immaginiamoci cosa sarebbe potuto accadere se gli stessi avessero contestato o si fossero in qualche modo posti in contrasto con l’autorità centrale: questa gli avrebbe, per così dire, chiuso i rubinetti e li avrebbe assetati. Quindi al popolo conveniva stare buono e, a ben guardare in questo XXI secolo, in alcuni paesi esteri le cose non sono mutate.
Oggi mi chiedo se la faccenda del cosiddetto «oro blù» non sia per taluni aspetti una semplice montatura, fermo restando che in alcuni paesi le fonti idriche sono realmente un problema da risolvere. Ad ogni buon conto mi permetto di suggerire la lettura di Shiva Vandana, Le guerre dell’acqua, Feltrinelli, Milano 2003. Un passo per tutti:
«Nel corso della storia le fonti d’acqua sono state considerate sacre, oggetto di devozione e rispetto. L’avvento dei rubinetti e delle bottiglie d’acqua ci ha fatto dimenticare che, prima di finire nelle tubature e di essere venduta in confezioni di plastica, l’acqua è un dono della natura» (Shiva V., op. cit., p. 135).
Per chi volesse poi approfondire: Shiva Vandana, Terra madre. Sopravvivere allo sviluppo, UTET, Torino 2002. A proposito, taluni noti francesi si sono già accaparrati alcune delle maggiori sorgenti dell’India. Ha senso questo? L’India è passata da protettorato inglese a papabile proprietà privata di qualche multinazionale. E se il popolo si ribella, lo si asseta. Oppure si “droga” l’acqua e lo si fa stare buono buonino.
Visto che c’è chi desidera vendere l’acqua di Roma a privati, tra cui figurano taluni francesi, si ricorda utilmente che il Popolo di Roma venderà così anche l’Acqua della Repubblica prima e l’Acqua Imperiale poi. Forse qualcuno s’è scordato che nella valle dell’Aniene vi è la captazione dell’Acqua Marcia la quale, a discapito di come a noi moderni suona il nome, si tratta di un’acqua eccellente. Così ci ha lasciato scritto Sesto Giulio Frontino nell’anno 97: «E visto che lo sviluppo urbanistico sembrava richiedere un incremento del volume idrico, il Senato incaricò sempre Marcio di far giungere a Roma tutta l’acqua che poteva. Marcio restaurò le vecchie condutture e costruì un terzo acquedotto di portata maggiore degli altri, che dal suo costruttore si chiama aqua Marcia» (Frontino S.G., Gli acquedotti di Roma, Galli F. -a cura di-, Argo, Lecce 1997, p. 29, 7).
Le acque di questa sorgente, captate quasi duemiladuecento anni fa, sono state condotte per la prima volta a Roma tramite un condotto che «dalla presa a Roma misura 61.710 passi e mezzo; il canale sotterraneo è di 54.247 passi e mezzo; in superficie 7.463 passi» (Ibidem, p. 31, 7).
Continuiamo pure ad occuparci di calcio, televisione e quant’altro: della nostra acqua se ne occuperanno pericolosi privati e pericolosissime multinazionali. Poi, a quale “ufficio reclami” ci rivolgeremo?

di Gianluca Padovan


Si ringrazia Gianluca Padovan per l'invio ed il permesso alla pubblicazione di questo articolo.
Documento inserito il: 29/11/2014
  • TAG: privatizzazione acque, referendum, questione acqua, medioevo, gradara, acqua marcia, valle aniene, acquirenti francesi

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