Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, medio evo: Un enigmatico autore alto-medievale: Virgilio Marone Grammatico
>> Medio Evo > In Europa

Un enigmatico autore alto-medievale: Virgilio Marone Grammatico

di Francesco Servetto


L’Alto Medioevo è un periodo che si confonde con le nebbie della storia, da una parte, e con i pregiudizi storiografici legati all’inevitabile paragone con la precedente età tardo antica, dall’altra. Caduto l’Impero Romano, l’enorme apparato politico, amministrativo e sociale si disgrega, martoriato dalle mutate condizioni nello scacchiere internazionale. La cultura latina sopravvive, nonostante i nuovi regni e le nuove popolazioni giunte a sostituire le precedenti genti. Boezio per primo opera una distinzione delle discipline fondamentali, in due macro-aree: le Arti del Trivio o Artes Sermocinales, legate alle discipline del linguaggio, grammatica retorica e dialettica, e le Arti del Quadrivio o Artes Reales, connesse a quelle scientifiche: aritmetica, geometria, astronomia e musica. Se nel Basso Medioevo ci sarà una maggiore attenzione verso le materie del Quadrivio, durante l’Alto Medioevo l’interesse degli studiosi verte principalmente sul Trivio.
L’intellettuale forse più interessante che si trova ad operare in questi secoli ammantati di un’oscura luce è un certo Virgilio Marone Grammatico. Ciò che sappiamo di lui, in verità ben poco, lo deduciamo dalle sue due opere principali sopravvissute, le Epitomae e le Epistolae. Entrambe si manifestano come una serie di precetti grammaticali che, tuttavia, paiono piuttosto singolari, degni di attenzione, in quanto non rispettano appieno i canoni stilistici dell’epoca. Sono contraddistinti da numerose regole alterate, dall’intenzione più volte reiterata nel testo di servirsi della scinderatio fonorum, vera e propria crittografia poetico-filosofica, inoltre si segnalano per essere contenitori ricchi di parole inesistenti e di singolari etimologie. Il modello a cui rimandano è quello enciclopedico di Isidoro di Siviglia, autore delle Etymologiae sive Origines, celebre e fortunata opera latina edita nella prima metà del VII secolo, nell’anno 636.
Sarà proprio questa data a contribuire decisamente all’inquadramento temporale di Virgilio Grammatico: infatti, i riferimenti all’enciclopedia dello spagnolo e Dottore della chiesa, venerato come santo dalla religione cattolica, sono numerosi e inconfondibili. Il lavoro di Virgilio Marone Grammatico, a tratti quasi folle, ha tuttavia un sostrato filosofico di notevole spessore, accompagnato a un non altrettanto deciso sottofondo teologico. Tramandare una lingua con le sue regole, significa salvarla. Tra gli autori di grammatiche latine, fondamentale è il ruolo di Donato, autore del IV secolo, che con le sue Ars Maior ed Ars Minor influenzò la propria epoca e indicò la strada da seguire ai posteri. Le dottrine esposte nel lavoro di Virgilio Grammatico rispettano sempre il metodo dell’esegesi biblica, evitando però approfondimenti e restando fortemente ancorate alla potenza della fede, la quale non è subordinata all’osservazione naturale. La fides diventa così il fulcro dell’indagine, ergendosi a vero controllore della veridicità delle affermazioni.
Di Virgilio Grammatico, si è già detto, non si hanno notizie certe, né a livello biografico, né si può dire di averne compreso appieno le intenzioni letterarie. A inaugurare la stagione di studi su di lui fu, nell’Ottocento, il cardinale Angelo Mai, con un breve commento all’editio princeps delle Epitomae e delle Epistolae sulla base del manoscritto Neapolitanus IV.A 34 (N). Se riguardo alla vita non si hanno notizie utili, anche l’inquadramento spaziale non pare essere individuato con certezza, quantomeno nella prima stagione di studi. Ipotesi di una sua origine irlandese sono affiancate ad altre relative alla Gallia, a causa di una presunta allusione, per la verità non condivisibile, all’autore da parte di Ennodio, che lo vedrebbe vivo agli albori del VI secolo. Studiosi vari lo hanno inquadrato in area gallica, sia nel V secolo, come Zimmer e Kuno Meyer, sia nel VI, tra di loro lo stesso Mai, Ozanam, Thurot ed Ernault; per Huemer, Stangl, Stowasser e Manitius nel VII secolo, mentre per Osann il secolo è il IX e il teatro d’azione la Francia carolingia. Proposte di ubicazione continentali sono state avanzate dal Bischoff e dal suo allievo Löfstedt, prima in Spagna, quindi in Irlanda. Fontaine, Munzi e Giovanni Polara lo collocano nella Spagna Visigotica. Attualmente, l’ipotesi più convincente lo considera di origine gallica, sulla base di un passo in cui il grammatico definisce come sua la Gallia.
Esistono due tesi formulate più recentemente, su cui vale la pena concentrare l’attenzione: la prima, sostenuta tra gli altri da Herren, lo circoscrive all’area irlandese nel VII secolo, mentre la seconda, proposta da Vivien Law, parla di English Connexion e si basa sull’assunto che gli autori che lo citano sono per la quasi totalità anglosassoni: Aldelmo, Bonifacio e Beda.
A livello cronologico, sono possibili affermazioni più dettagliate: nelle Epitomae e nelle Epistolae si trovano etimologie risalenti alla citata opera di Isidoro, quindi per forza di cose scritte dopo il 636. Per il termine ante quem, il Traube ha evidenziato una citazione di un passo delle Epistolae, il II, 10-13, da parte di Aldelmo nella lettera a Heahfrith, quindi non oltre il 675. L’irlandese Dáibhí Ó Cróinín ha ricostruito la datazione della Syrmon Collection, un’opera al cui interno si trovano il De ratione temporum uel de compoto annali e il De ratione computandi, in cui sono citati più volte passi delle Epitomae, individuando nel 658 l’anno di composizione.
Capire le intenzioni dell’autore appare ancora più arduo, se non frustrante. Gli studiosi che si sono occupati della questione hanno affermato tutto ed il suo contrario, giungendo persino a ricoprirlo di critiche non lusinghiere. Si va, perciò, dall’inquadramento di un uomo che tratta gli argomenti delle proprie opere come fosse un ignorante, come per Roger, Thurot e Huemer, ad altre ben più offensive: per il Morelli è un «un curioso tipo di imbroglione», per il Munzi un «Pulcinella della linguistica» nonché uno dei «poveri figli di una povera epoca»; è un «falsario» per il Quicherat, per lo Hagen «uno che ha la capacità di ottenebrare le cose chiare», un «matto erudito» e «un canzonatore» per il Brunhölzl, un «mentecatto» per il Raby, «un’enimmatica mostruosità, ridicola e trista a un tempo» secondo il Comparetti, il quale ne parla anche come di uno di quei «vegetali fetidi e di brutto aspetto che nascono dall’imputridire delle foglie cadute in autunno», senza contare il giudizio più fuori luogo e stupido, che non merita attenzione né citazione diretta, di Zimmer, che lo considera incline alla menzogna perché non ariano. Altri studiosi la pensano diversamente: il Lehmann, ad esempio, parla di parodia riuscita relativamente, Brunhölzl sulla base di ciò afferma che potrebbe trattarsi di un notevole autore satirico incompreso, così come il Bachtin ed il Polara, il quale non considera le due opere come testi grammaticali, ma letterari, che hanno subito una manipolazione in ottica comica.
Considerare il lavoro del Grammatico sotto un’unica luce, incorniciandolo in un’ottica catalogatrice è forse impossibile. È infatti necessario un distinguo fra i tratti dell’opera evidentemente parodistici, spesso spassosi, con quelli solamente ironici, che talvolta acquisiscono involontariamente la caratteristica umoristica, come nei casi in cui le ricostruzioni del contenuto e dell’esposizione si manifestano fuori scala, nonché colme di errori clamorosi, di proposte inventate e di citazioni inesistenti. Sono citati autori ignoti, sono proposti vocaboli di cui non vi è attestazione altrove: al riguardo, appare convincente la tesi del Munzi, secondo cui il pensiero e l’opera del misterioso autore si basano «incontrollate elaborazioni personali».
Un interessante argomento riguarda il vocativo della parola ego, in realtà idea non originale, poiché si trova già in Donato, tuttavia esilarante per la sua assurdità: Virgilio parla di una disputa di quattordici giorni tra i due personaggi Terrenzio e Galbungo, che si scervellano per dare una risposta al quesito in oggetto. Altre parti dell’opera possono essere considerate una sorta di epopea grammaticale, circoscritta ad un’atmosfera culturale rielaborata, a tratti spudoratamente inventata, con intenti anche pedagogici, come secondo l’Holtz e lo stesso Munzi, che parla di intento educativo all’interno di un’opera non completamente né continuamente parodica.
La mentalità singolare dell’autore si fa notare già nelle dichiarazioni che lo stesso fa relativamente alla propria identità. Dice di chiamarsi Virgilio come i suoi maestri, Virgilio di Troia, a sua volta alunno di un certo Donato di Troia che avrebbe vissuto mille anni e si sarebbe recato a Roma, dove avrebbe conosciuto Romolo e fondato una scuola di grammatica, e Virgilio d’Asia. Il primo avrebbe composto settanta volumi sulle regole dei metri e una lettera sulla delucidazione del verbo indirizzata al secondo, Virgilio d’Asia, inventore delle dodici lingue latine. Un altro suo maestro, di nome Enea, sarebbe il responsabile dell’appellativo «Marone», affibbiatogli in ricordo di un dottissimo personaggio citato da un altro grammatico, Vulcano, che sarebbe vissuto al tempo del diluvio universale.
Nelle Epitomi è riportato un catalogo di grammatici che avrebbero operato in tempi lontanissimi, durante il diluvio universale ed in altri eventi cruciali, come la guerra di Troia. La parodia, il gusto dell’ironia, a tratti provocatoria, nonché l’intreccio culturale-metastorico con echi leggendari: l’esplosività artistica di un grammatico deflagra ancora sulle scrivanie degli studiosi, di quei posteri che, confusi, sembrano trascinati qua e là per la manica, come se un Cicerone bipolare illustrasse loro l’assurdità dell’esistenza, tramite la perfezione della lingua. La genialità si dipana in coltissime affermazioni, in raffinate e spiritose proposte, come se si trattasse di una sorta di ribellione verso il suo mondo, quello dei grammatici. La noia nello studiare le opere di autori seri, come Donato, Prisciano o lo stesso Isidoro, si erge contro la vitalità di opere al cui interno i significati, chiari come oscuri, scalpitano su un terreno ora sabbioso, ora scivoloso, sempre imprevedibile. L’impatto sulla cultura coeva si tradusse, paradossalmente, in differenti modalità di comprensione per il pubblico. In Irlanda, in particolare, lo studio delle sue opere si tradusse in un singolare fraintendimento, in quanto fu preso per serio e studiato attentamente.
D’altronde, il rischio per chi si imbatta nei suoi lavori è di perdere contatto con le certezze della tradizione. Se da una parte la citazione di opere non conosciute, quasi certamente inesistenti, attribuite ai grandi classici, quali Cicerone e altri, può apparire un curioso scherzo letterario ben articolato, dall’altra anche citare nomi di autori sconosciuti, quasi certamente inventati, crea un alone di affidabilità, per quanto incerta, se non fallace, che noi individui del XXI secolo possiamo giusto intuire. Il corpus latino, sicuramente vastissimo, in anni di declino culturale, sarà stato emendato parzialmente per via dei profondi cambiamenti sociali e politici, tuttavia la perdita delle istituzioni e delle strutture culturali in atto avrà trascinato con sé una serie di conoscenze e di opere di cui, ora, non sappiamo nulla. Non è da escludere.
I passi esilaranti spiccano all’interno di un quadro composito, spezzando la cornice seria che un’opera grammaticale si propone di mantenere, eppure non si riduce tutto a ciò. Virgilio parla di sapientia, dimostrando l’intenzione di continuare un’indagine già portata avanti dai predecessori, come lo stesso Isidoro, assumendo il ruolo di anello di congiunzione tra epoche culturali differenti che giungono sino al carolingio Alcuino. Secondo le convinzioni altomedievali, la sapientia a cui ci si riferisce è quella del Vecchio Testamento, per conseguire la quale è necessario un adeguamento morale. Con il Nuovo Testamento si ha una mutazione della natura della sapienza e avviene la rivelazione, tramite il verbo, il Logos divino. Al tempo, la tradizione collegava i versi iniziali del Vangelo di Giovanni, che trattano del potere inarrestabile del Logos, alla storia della creazione riportata nel primo capitolo del Genesi e con la creazione teologica dei Libri della Sapienza.
L’Alto Medioevo si affida maggiormente ai temi del Vecchio Testamento, tuttavia le non numerose indagini che si basano sul Nuovo Testamento dimostrano l’intenzione di dominare filosoficamente la parola divina. Virgilio Marone, con le proprie singolari proposte, utilizzerebbe una modalità di indagine che getta le basi nella tradizione sapienziale medievale, e le singolari strutture anomale come la maggior parte dei contenuti esterni all’opera sarebbero proprie di quella tradizione. Si trovano collegamenti col pensiero di Agostino, specialmente del De ordine e del De doctrina christiana, relativamente alle discussioni sulla sapienza nella tradizione esegetica. Nella quindicesima epitome, Virgilio Marone afferma che il sapere proviene direttamente dalla tradizione popolare, benché si tratti di un’opera messa in atto dai sapienti. Si ricollega a testi che si occupano della sapienza morale, quali ad esempio i Proverbi e l’Ecclesiaste, nonché ai lavori di Isidoro o di Alcuino su virtù e vizi. Nella quarta epitome, è trattata la questione della condotta di chi voglia perseguire la sapienza, necessariamente tramite autodisciplina, ben tenendo a mente i pericoli di perdita della retta via a causa delle false tracce. Per ogni cristiano del tempo il fine ultimo dell’esistenza è il perseguimento della sapienza, che giunge ben oltre la conoscenza. Sapienza è divina, è Gesù Cristo stesso, «È Sapienza per il fatto di essere Colui che rivela i misteri della scienza e gli arcani della sapienza: ora pur essendo anche il Padre e lo Spirito Santo sapienza, virtù, lume e luce, questi nomi sono tuttavia attribuiti propriamente al Figlio».
Nell’opera di Virgilio pare esserci non un solo percorso per giungere all’obiettivo, a differenza di ciò che sosteneva la Chiesa. Sembra probabile che dietro alla non definita identità dell’autore possa celarsi un tentativo di auto-conservazione, un non esporsi direttamente, onde evitare che le sue affermazioni, piuttosto rischiose, lo conducano verso l’eresia o peggio. Già nei primi secoli del cristianesimo si trova un deciso rifiuto verso tutto ciò che non concorda con i dettami ufficiali dottrinari. Già i vari Concilii si erano occupati di forgiare un abito impermeabile al cambiamento teologico, con una presa di posizione ufficiale riguardo i dogmi accettati e quelli rifiutati. Un altro tema degno di nota considerava la sola presa in carico della Bibbia come testo di riferimento, in anni in cui i Dottori della Chiesa e altri mistici, studiosi e predicatori si occupavano di indagare la natura della religione stessa. Un passo del Vangelo di Giovanni introduceva il dubbio: «Ma il Consolatore che è lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa, e porterà tutte le cose al vostro ricordo, per quanto vi ho detto». La speranza di ulteriori rivelazioni non restò sottotraccia: ad esempio, Gregorio Nazianzeno parla di «sprazzi di luce che ci illuminano uno per uno». Se nella Chiesa orientale fu lasciato aperto uno spiraglio, la Chiesa occidentale rifiutò categoricamente il concetto di rivelazione continua, focalizzandosi sul concetto che i precetti religiosi e i relativi dogmi dovessero essere conservati intatti, preservati. La tradizione assurgeva così al ruolo di garante per le affermazioni sul tema, contando su una ricostruzione storica, vera e propria base fattuale per la Fede. Anche per un uomo del VII secolo, come il misterioso Virgilio Marone Grammatico, legittimare l’esistenza di una pluralità di vie per giungere alla sapienza sarebbe stato, dunque, piuttosto pericoloso. La filosofia, con i propri complicati intrecci speculativi, sarebbe giunta in soccorso dell’intellettuale, così come la grammatica, vera e propria chiave per accedere alle Scritture e, di conseguenza, comprendere la Creazione divina.
Nella prima epitome sono citati i principali temi su cui si soffermerà nei propri lavori e uno di questi, la definizione di latinitas, si ricollega alla vicenda della Torre di Babele. Virgilio mantiene l’intenzione di legittimare i propri argomenti, si appoggia all’autorità scritturale anche quando sembra inventare di sana pianta: cita un certo re Belo che sarebbe vissuto in un tempo molto precedente alla vicenda biblica, contemporaneo del leggendario Anneo Latino, di cui si diceva avesse vissuto duecento anni.
Il Desbordes ha operato un parallelo tra il corpus virgiliano e opere grammaticali irlandesi coeve, come Hisperica Famina e Auraceipt na n-Éces, riscontrando evidenti influenze su queste ultime. La lingua irlandese si nutre di etimologie, si affida alla struttura grammaticale latina in una commistione culturale mista, si serve di termini autoctoni e no, giungendo ad utilizzare parole ebraiche e greche latinizzate. La seconda opera, un manuale di base per poeti, introduce l’idea di imitare le strutture della Torre di Babele per adattare la lingua latina e quella irlandese. A seconda delle versioni, otto o nove sono le parti del discorso, nomi, avverbi, verbi e altri, così come dello stesso numero dovevano per forza essere i materiali per la costruzione della Torre stessa, quindi acqua, sangue, legno, argilla etc. Legata a tale concetto, la tradizione parlava di un evento avvenuto dieci anni dopo il disastro babelico, quando i settantadue dotti della scuola di Fenius Farrsaid avevano ideato la prima lingua, omologa alla natura delle cose, da una parte, e attenta a considerare anche la natura di ogni lingua nata dopo il caos, dall’altra. Come metodo, si erano serviti del meglio di ogni idioma, combinando il tutto in una nuova lingua, perfetta: da qui, risulta consequenziale che il testo in oggetto sia considerabile come un’allegoria del mondo.
Un ultimo interessante aspetto riguardante il lavoro di Virgilio Marone Grammatico è riscontrabile nella già accennata scinderatio fonorum, che si esemplifica nel celebre passo in cui crea il termine corpus da cor (cuore) + pus (carcere): il corpo sarebbe null’altro che la prigione in cui si trova costretto il cuore. Fantasmi platonici? Difficile dirlo.


Nell'immagine, un monaco amanuense impegnato nella scrittura di un testo.


Bibliografia:

BABINO C., Le Epitomae e le Epistolae di Virgilio Marone Grammatico: indagini testuali per un’interpretazione, Salerno, Università degli Studi di Salerno, 2015.
BISCHOFF B., Mittelalterliche Studien: Ausgewählte Aufsätze zur Schriftkunde und Literaturgeschichte, I-II, Stuttgart, Hiersemann, 1966.
Die «Zweite Latinität» des Virgilius Maro Grammaticus und seine jüdische Herkunft, «Mittellateinisches Jahrbuch», 23, 1988, pp. 11-16.
D’ANGELO E., La letteratura latina medievale. Una storia per generi, Roma, Viella, 2011.
GAMBERINI R., Divertirsi con la grammatica. Riflessioni sulla storia del testo delle Epitomae e delle Epistolae di Virgilio Marone Grammatico, in Filologia Mediolatina, Studies in Medieval Latin Texts and their Transmission, “Rivista della Fondazione Ezio Franceschini”, XXI, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2014.
LEONARDI C., Letteratura latina medievale, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2018.
LÖFSTEDT B., Virgilius Maro Grammaticus. Opera omnia, a cura di B. Löfstedt, München, Bibliotheca Scriptorum Graecorum et Romanorum Teubneriana, 2003.
MAI A., Classicorum Auctorum e Vaticanis codicibus editorum, V, Roma, typis Vaticanis, 1833.
MANCINI M., Il latino di Gallia e Virgilio Grammatico: tra ecdotica e linguistica storica, in Latin Vulgaire latin tardif X. Actes du X colloque international sur le latin vulgaire et tardif, Bergamo, Bergamo University Press - Sestante Edizioni, 2012.
POLARA G., CARUSO L., Epitomi ed epistole / Virgilio Marone grammatico, Napoli, Liguori, 1979.
TARDI D., Les Epitomae de Virgile de Toulouse: essai de traduction critique, avec une bibliographie, une introduction et des notes, Paris, Boivin & Cie, 1928.

Documento inserito il: 26/02/2025
  • TAG: Virgilio Marone Grammatico, Epitomae, Epistolae, Grammatica latina altomedievale. Parodia letteratura latina medievale

Articoli correlati a In Europa


Note legali: il presente sito non costituisce testata giornalistica, non ha carattere periodico ed è aggiornato secondo la disponibilità e la reperibilità dei materiali. Pertanto, non può essere considerato in alcun modo un prodotto editoriale ai sensi della L. n. 62 del 7.03.2001.
La responsabilità di quanto pubblicato è esclusivamente dei singoli Autori.

Sito curato e gestito da Paolo Gerolla
Progettazione piattaforma web: ik1yde

www.tuttostoria.net ( 2005 - 2023 )
privacy-policy