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La 'malattia dell’anima' nel Medioevo

di Katia Bernacci


Nel 1498, il medico Jacques Despars, nel commento al Canone di Avicenna, si dilungò a lungo sulla piaga che in quegli anni stava dando filo da torcere alla medicina europea: la melincholia, la “malattia dell’anima” di cui parlava Platone. Avicenna riteneva che si trattasse di una lesione cerebrale, che dipendeva dalla bile nera, uno dei tre umori, (gli altri erano sangue, flemma e bile gialla), che caratterizzavano la salute dell’uomo. Una interessante dottrina del passato fu quella del filosofo Ishaq ibn Imran, che nel IX secolo pensava che la “melancholia” non fosse una malattia ma la causa della produzione di un “vapore” che esercitava una certa pressione sul cervello, producendo così lo stato di tristezza.
Despars fu uno dei pochi che all’epoca si interrogarono sulla questione in modo scientifico, il primo che mise in relazione il periodo storico con l’aumento di casi di malincolia.
Agli effetti in quel momento Parigi, la città dalla quale il medico scrive, era attraversata da una guerra civile, il cibo scarseggiava, le esecuzioni e i massacri erano all’ordine del giorno, la popolazione aveva paura e sembrava che si fosse arrivati alla tanto predetta fine del mondo.
Come definire una persona che soffre, senza apparente motivo, oppure continua a patire anche se il motivo di questa pena non è più presente? Oggi diremmo semplicemente che si tratta di depressione e a dire il vero non abbiamo le idee così chiare da sapere come mai si scateni questa tristezza esistenziale, e soprattutto come farla passare. All’epoca qualsiasi alterità era ricondotta alla follia e procurava timore. Una persona in preda alla malinconia, che piangeva continuamente e che tendeva a non avere rapporti sociali poteva essere ritenuta una strega, o una posseduta dal demonio, e non di rado si assisteva ad arresti.
Despars, nel suo accurato studio, aveva messo in guardia nei confronti della preghiera e delle pratiche devozionali eccessive, che se non interrotte da momenti d’ozio, potevano portare alla malincolia. A questo punto le immagini della fine del mondo e della venuta dell’Anticristo, che la Chiesa continuava a celebrare e ripetere ai fedeli per convincerli della necessità di avere fede, diventavano un pensiero fisso per la persona che infine si ammalava.
Il medico non negava l’eventuale azione del diavolo sull’uomo, ma scrisse che non si era mai trovato di fronte a casi in cui non fosse chiara una causa naturale: “Dico che non temo né stregone, né strega, né posseduto, né creatore d’immagini che, senza toccarmi, possa farmi un maleficio e incantarmi o sappia farmi muovere il minimo dito contro la mia volontà”.
Un collega italiano, Ferrari da Grado, dell’Università di Pavia, nel 1472 scrisse un testo chiamato “Pratica”, dove enunciò il suo pensiero, che più o meno sosteneva che lo spirito non aveva nulla a che fare con le manifestazioni di malincolia, perché si trattava di avere lo stomaco troppo pieno, situazione che dava compressione anche del cuore. Un’ipotesi forse un po’ scarna e sicuramente errata che però attestava ancora una volta come gli studiosi non fossero tutti concordi a dare un significato teologico alle manifestazioni umane e soprattutto, questi studi non erano unicamente limitati all’ambiente clericale.
Nel Medioevo la malinconia era considerata simile anche all’accidia, avversione e indifferenza nei confronti di azioni e iniziative, sentimento che Francesco Petrarca sostenne di provare, perché nella sua vita passava dal desiderio di essere amato a quello di diventare un famoso scrittore, tra lo smarrimento e l’indifferenza estrema.
C’era il concetto di “demonologia gastro-intestinale”, come veniva considerato lo stato umorale che colpiva, secondo i medici, alcuni organi interni e che si manifestava con alcuni sintomi particolari, come la flatulenza o la licantropia, una forma mentale di delirio nella quale coloro che ne sono affetti ritengono di potersi trasformare in animale.
Nel Rinascimento s’iniziò a indagare la depressione come una anomalia biologica che poteva incorrere nel corso della vita per diversi motivi, e anche se la strada da percorrere sarebbe stata ancora lunga, la visione della malattia mentale non sarebbe più stata imputata all’influsso del magico e alle potenze sovrannaturali così come era accaduto nel Medioevo. Anche in quel periodo, come abbiamo visto, ci sono stati dei precursori, che hanno cercato a modo loro di comprendere le motivazioni legate a una manifestazione che sembra far parte della storia dell’umanità, usando metodi diversi da quelli dei loro contemporanei.


Nell'immagine, L'estrazione della pietra della follia, di Hieronymus Bosch, esposto nel Museo del Prado di Madrid.


Bibliografia:

La grande chasse aux sorcières” di Ludovic Viallet;
Stregoneria” di Katia Bernacci;


Documento inserito il: 11/04/2025
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