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Dall’epoca di Stonehenge all’Alto Medioevo: preistoria e storia dell’Inghilterra sino al secolo XI

di Davide Arecco


Arti del metallo: dall’età della pietra a quella del bronzo in Britannia

Alla fine del Seicento, i Monumenta Britannica (1690) di John Aubrey – fisico e naturalista, letterato e pittore – tornarono a interrogarsi sul passato celtico dell’Inghilterra. Opera poderosa, che contribuiva a trasformare la tradizionale ricerca storico-antiquaria in scienza archeologica, a tutti gli effetti, i Monumenta investigavano in quattro parti le antichità britanniche, ed in particolare gli usi e i costumi dei Druidi, la misteriosa casta sacerdotale dei Celti. Il libro si concentrava sulla piana di Avebury, nella contea inglese del Wiltshire, sito megalitico con numerosi cerchi di pietre.
Monumento del Neolitico europeo, risalente a cinquemila anni fa circa, più antico dello stesso cerchio di Stonehenge, a mezza strada tra Marlborough e Calne, in direzione Wroughton, Avebury è una struttura monumentale che ha pochi eguali – oltre a Stonehenge, giusto Flagstones, nel Dorset – una vera e propria via delle pietre con cerchi interni ed esterni, monoliti e tumuli, fossati e manufatti (vi sono state rinvenute, da archeologi e geofisici, anche ossa umane). Molte delle pietre originarie, nel XIV secolo, furono distrutte, per fare spazio all’agricoltura e recuperare materiale edile. A fine Seicento, Aubrey visitò il sito, e vi fece eseguire alcuni scavi, descrivendo le modifiche, intervenute rispetto al complesso megalitico delle origini, interessato, primariamente, alla Britannia neolitica ed in particolare al primitivo utilizzo religioso e, probabilmente, funerario dei cerchi di pietre, costruite e posizionate dai Celti, in base a precisi allineamenti astronomici. In un remoto passato – suppose al riguardo Aubrey – i Druidi celebravano a Avebury solstizi ed equinozi, antichi culti e rituali di tipo pagano, dalla forte componente esoterico-occulta. Grazie all’opera dell’antiquario ed archeologo di Malmesbury, la cultura storica del Regno Unito riscopriva, per la prima volta, il proprio passato. Un interesse condiviso nel Settecento illuministico dal newtoniano e massone William Stukeley (1687-1765), interesse incentivato allora anche dalla stessa Libera Muratoria anglo-scozzese.
Antiquario e medico, presbitero e archeologo, storico e seguace della nuova scienza, biografo di Newton (il primo) e fellow della Royal Society (dal 1718), Stukeley trascorse una buona parte del decennio 1720 registrando i resti e di Avebury e dei monumenti megalitici circostanti. Sicuramente, senza il suo lavoro avremmo oggi un’idea molto più scarna riguardo all’aspetto del sito e soprattutto poche informazioni su disposizione e significato archeoastronomico dei cerchi interni. Allo scopo di visitare e vedere da vicino templi e strutture archeologiche del passato britannico-celtico, fra l’altro, Stukeley viaggiò, a lungo, per tutta l’Inghilterra (se ne trova eco nel suo Itinerarium curiosum, edito nel 1724). L’erudito inglese, con Stonehenge (1740) aprì le porte – dopo gli studi dell’architetto di orientamento classicista e vitruviano Inigo Jones (1620), nell’Inghilterra giacomiana – all’indagine accademica sui monumenti preistorici e di Stonehenge e di Avebury, nel Wiltshire. La sua opera fu la pietra angolare nella storia dell’archeologia britannica, e in particolare per gli studi sul complesso megalitico dei cerchi di pietra. Erigendo Stonehenge, molto probabilmente nel III millennio a.C., un popolo nordico – adoratore di stelle, e convinto della esistenza di un universo ordinato ed armonico, lo stesso illustrato scientificamente eoni dopo dalla fisica celeste newtoniana – costruì il cielo sulla Terra, fra le sacre pietre di Stonehenge. Far risorgere da una notte lunga come la storia dell’uomo il passato celtico e druidico della Gran Bretagna: era questa l’intenzione di Stukeley, il quale vide, in Stonehenge, correttamente, insieme un tempio religioso ed un osservatorio astronomico, uniti nella forma di un enigmatico libro di pietra, dai molti significati storico-culturali, risposta ai quesiti degli antiquari ed archeologi, a proposito del più lontano passato delle isole britanniche, quello druidico e celtico-pagano, precedente la di molto successiva cristianizzazione dell’Inghilterra. Una riscoperta, quella illuminista degli antichi Dei e del paganesimo, caratteristica della cultura – anche di matrice anglicana, sovente al confine con il deismo – maturata nel Regno Unito tra XVII e XVIII secolo, fra gli altri, con la continua ristampa degli annali storiografici camdeniani, nonché grazie alle opere di John Webb, Aylet Sammes, John Wood, Conyers Middleton e John Toland (il free-thinker radicale fu, congiuntamente, storico dei Druidi, biografo di Milton, seguace della prisca sapientia egiziana e massone d’indirizzo spinoziano, oltre che gran viaggiatore e collezionista di libri clandestini).
Studiando l’orientamento archeo-astronomico dei templi megalitici, di Avebury e Stonehenge, Stukeley e i dotti britannici riscoprirono, tra Sei e Settecento, una storia dimenticata della loro terra, un mondo perduto, fatto di antichissima scienza dei cieli e di riti sacri smarriti in seguito dall’uomo, a causa, anche e soprattutto, dell’invasione romana. In precedenza, la storia era stata diversa, ancora in parte da scrivere: così la percepiva e rappresentava la cultura inglese nel secolo dei Lumi.
Tracce del Paleolitico, vale a dire il periodo che va dalla prima presenza umana sui territori di Inghilterra e isole britanniche all’ultimo massimo glaciale, sono state oggi riscontrate nel Norfolk, a Happisburgh: fra l’altro, le più antiche impronte europee di ominidi. I primi abitatori della Britannia furono cacciatori e raccoglitori. La climatologia storica ha dimostrato che a quell’epoca il livello del mare era più basso di quello attuale e la Gran Bretagna, per gran parte di questo periodo della storia, era collegata, via terra, con il resto del continente europeo. Al termine dell’ultima era glaciale – con l’inizio dell’età mesolitica – fu possibile una permanenza, stabile, dell’uomo in Inghilterra. Il livello del mare si innalzò, tagliando, definitivamente, la Britannia dal resto del continente europeo, a metà del VII secolo a.C. La società dei primi uomini sapiens si fece complessa, sempre più: erano capaci, infatti, di intervenire sulla natura esterna, manipolando l’ambiente a loro circostante, e bruciando, in modo selettivo, le foreste, allora onnipresenti, al fine e di creare radure per abitarvi e per cacciare le mandrie. La caccia veniva praticata mediante semplici armi a proiettile (giavellotti e fionde). Archi e frecce si imposero progressivamente. Il clima continuò a riscaldarsi e la popolazione andò, sempre di più, a crescere numericamente.
Il Neolitico vide anche in Inghilterra l’introduzione dell’agricoltura – intorno al V secolo a.C. – introdotta da est e frutto forse dell’incontro di duttilità indigena e pratiche forestiere. Fu in questo periodo che i primi Britanni presero a costruire sistemi di tombe collettive, per i loro defunti, di tipo monumentale. Verso la fine del periodo in questione, iniziarono a comparire altri tipi di monumenti, in pietra, come quelli di Avebury e Stonehenge studiati da Aubrey e da Stukeley. I loro allineamenti cosmici mostrano un interesse scientifico-astronomico per la volta celeste e i pianeti. La lavorazione della selce consentì agli abitanti, specialmente ai Pitti, di produrre una serie di manufatti, sia di alto valore artistico, sia con funzioni pratiche. In questi anni, vennero anche effettuati disboscamenti, via via più vasti, per ospitare campi e pascoli. La Sweet Track, una strada situata nella piana costiera del Somerset, è una delle più antiche del mondo e una delle più antiche in legno del nord Europa e della Britannia, datata per mezzo della dendro-cronologia e fatta, da questa, risalire all’inverno del 3807-3806 a.C., anch’essa una struttura principalmente religiosa. Prove archeologiche indicano, inoltre, che durante il Neolitico nello Yorkshire settentrionale già si produceva il sale.
L’età del bronzo cominciò in Britannia attorno al 2500 a.C. (la stessa epoca a cui si fa risalire la venuta di popolazioni celtiche, dall’odierna Austria ed Europa centrale), con la comparsa di molti oggetti realizzati appunto in lega bronzea. La cosa condusse anche in Inghilterra alla comparsa della cultura del vaso campaniforme. L’autorità era allora politicamente nelle mani di una élite scelta, di guerrieri, sacerdoti e cacciatori. Gli insediamenti divennero sempre più stabili e strutturati. Verso la fine dell’età del bronzo, vari oggetti di metallo, caratterizzati da una pregiata lavorazione, iniziarono ad essere depositati nei fiumi, si presume per motivi rituali. Può esservi stato pure un mutamento di carattere religioso e cultuale, con sempre maggiore enfasi data alla terra, oltre che al cielo. Inoltre, l’Inghilterra di tale periodo entrò a fare parte del sistema commerciale atlantico, che creò in Europa nord-occidentale un continuum culturale, oltre che marittimo ed economico, di scambi, di uomini e di pratiche sociali condivise. Le lingue celtiche si svilupparono e diffusero proprio in tale fase, parte forse di questo stesso sistema, parlate in tutta l’Inghilterra, verso la fine dell’età del ferro, così come nelle aree più ad ovest delle isole britanniche.
Nel IX secolo a.C., l’Inghilterra conservava i propri contatti commerciali attraverso la Manica con la Francia e la cultura di Hallstatt si diffuse, in ogni regione del paese. Aumentarono di numero, nel contempo, le fortezze collinari – come Maiden Castle, nel Dorset – presenti peraltro dalla tarda età del bronzo, ma edificate nella fattispecie fra VII e V secolo a.C., particolarmente nelle regioni a sud dell’Inghilterra. Dopo il 400 a.C., le fortificazioni divennero sempre più intensamente abitate: è forse l’indizio di un certo grado di centralizzazione regionale, sovente sottostimata dagli studiosi di preistoria e proto-storia. I primi documenti scritti britannici – perlomeno, quelli arrivati sino a noi – risalgono a questo periodo. Fra di loro, figura anche il così detto Periplo Massaliota, un manuale di navigazione, ad uso di mercanti, marinai ed esploratori. I contatti con il continente, anche attraverso gli sviluppi tecnologici dell’arte navale, rimasero alquanto significativi, al pari dei traffici. Nel IV secolo a.C., la Britannia venne invasa da uomini della tribù gallica dei Parisi, che si stabilirono nello Yorkshire orientale e ai quali è associata da storici e archeologi la nascita della cultura di Arras. Tra II e I secolo a.C., si ebbe poi una seconda invasione dall’esterno, ad opera, questa volta, di gruppi di Belgi, i quali divennero stanziali, in varie zone dell’Inghilterra meridionale, controllandone diverse parti nonché soprattutto i centri portuali più importanti sul Canale della Manica.


Barbari, Angli e Sassoni: dalla storia inglese antica alla Britannia germanica post-romana

Tra VIII e VI secolo a.C., i Britanni – gruppi di Celti, provenienti, attraverso la Manica, dalle coste continentali dell’Europa, dalla Boemia e dalla Valle del Reno – si espansero, rapidamente, sia in Inghilterra (meridionale prima e settentrionale poi), sia in Irlanda, mentre in Scozia il popolo pre-indoeuropeo dei Pitti mantenne i propri spazi e la propria individualità. Frazionati in tribù e soggetti pertanto ad una marcata frammentazione politica, uniti solo per stipulare leghe militari provvisorie e per fronteggiare nemici comuni, i Celti della Britannia svilupparono una civiltà che, culturalmente, non fu mai sradicata dalle isole anglo-irlandesi, contribuendo a formare congiuntamente agli apporti (latini e cristiani) dei regni romano-germanici le moderne popolazioni di Gran Bretagna e d’Irlanda, tanto che le uniche lingue celtiche sopravvissute sino ad oggi sono appunto d’origine britannica.
In ambito economico, i Britanni coltivavano il grano, allevavano il bestiame, ed estraevano lo stagno, da loro commercializzato tramite Galli e Cartaginesi in tutto il bacino del Mediterraneo. I re dei Britanni, con le loro battaglie, contribuirono a definire un’organizzazione militare, strutturata ed abbastanza efficiente, che consentì loro di mantenersi a lungo autonomi.
A partire dal 55 a.C., come estensione delle sue campagne militari in Gallia, Cesare invase la Britannia, tuttavia senza spingersi oltre l’Hertfordshire, e senza stabilire una provincia. Fu, peraltro, una notevole svolta per l’isola inglese, inserita, da quel momento, nella rete di traffici e nel flusso di commerci con Roma. Le conseguenze maggiori di quel neonato rapporto riguardarono soprattutto la Britannia del Sud. Solo nel 43 d.C., sotto Claudio, si ebbe il primo vero tentativo di romanizzazione della Britannia. Una conquista avviata da forze di invasione, composte da legioni e truppe ausiliarie, che sbarcarono nel Kent, e sconfissero, nella Battaglia di Medway, gli eserciti autoctoni, obbligati a riparare nel Galles. Le milizie di Aulo Plauzio marciarono sino a Colchester, per poi fare ritorno in patria. L’area meridionale e orientale dell’Inghilterra divenne provincia romana e anche molti regni rimasti formalmente indipendenti passarono, de facto, sotto il controllo dell’Impero. Un’espansione, in seguito, consolidata da Vespasiano sino al confine posto sui fiumi Severn e Trent.
Una ribellione contro l’invasore romano – anche l’Inghilterra del Nord e il Galles si sentivano inevitabilmente minacciati – avvenne nel 60, quando si sollevarono alcune tribù locali. In principio, i ribelli incontrarono notevoli successi cingendo d’assedio Colchester e Londra, Winchester e Saint-Albans (stando alle prove storiche ed archeologiche). La Legio II Augusta, stanziata a Exeter, non si volle muovere, per timore di rivolte e rappresaglie, da parte delle popolazioni locali. Si stima che, in quella occasione, i ribelli uccisero in tutto settantamila romani, tra soldati e collaboratori. Tutto ciò che restava dell’esercito di Roma li respinse, nella Battaglia di Watling. Iniziarono così vent’anni di nuova occupazione, con Giulio Agricola che ampliò, leggermente, a Nord, i confini della provincia, lungo la strada Stanegate nell’Inghilterra settentrionale, rafforzati poi nel 122 con la costruzione del famoso Vallo di Adriano. Non mancarono comunque periodiche incursioni di tribù ribelli arrivate lì dalla Scozia. Nel 142, il limes fortificato venne temporaneamente spostato, ancora più a nord, con la creazione del Vallo Antonino. Al di là di esso, in Scozia e in Irlanda, rimasero sia tribù britanniche, sia gli orgogliosi e fieri Pitti, signori di selve impenetrabili e costruttori di punte di selce. Le nostre fonti, in proposito, sono il resoconto di viaggio in Europa settentrionale del navigatore cartaginese Imilcone (pervenutoci in maniera indiretta), gli scritti geografici del greco Pitea, le carte tolemaiche tese a rappresentare le antiche popolazioni celtiche della Britannia, e naturalmente il resoconto delle spedizioni cesariane. Proprio Cesare, arrivato con la sua flotta in Inghilterra, distinse gli abitanti in autoctoni ed in costieri. Alcuni di loro, emigrati a nord, dalla Gallia belgica, avevano fondato alcuni regni: Cantiaci nel Kent, Dumnoni in Cornovaglia e Iceni più a settentrione. Molto stretti, già prima dell’invasione da parte dei Romani, erano stati poi i legami – non solo culturali, ma pure politici ed economici – con i Galli, i cui domini erano estesi sull’altra sponda della Manica. I Britanni davano sovente asilo e aiuti militari ai Galli stessi, all’occorrenza.
Sotto i Romani, si creò, in Inghilterra e Galles, una cultura ibrida latino-celtica, che mantenne viva l’identità etnico-linguistica dei Britanni, destinata a conservarsi pure in seguito. L’età romano-britannica preservò dunque l’elemento celtico, che si diffuse anche nella Bretagna francese, nonché poi in Galizia. Ancora oggi, gli unici popoli moderni che mantengono il patrimonio originario delle lingue celtiche insulari sono non a caso quelli delle isole anglo-britanniche.
Sino al V e al VI secolo non abbiamo molti documenti sulla storia dell’Inghilterra. Le fonti, al riguardo, sono scarse e non sempre attendibili (anche in quanto quasi tutte di parte romana). Notizie ed informazioni ci vengono ad ogni modo dalla Cronaca di Gildas, dalle Vite dei santi, dallo studio dei toponimi, dalle opere poetico-letterarie rimaste, e dai ritrovamenti archeologici successivi (tra i quali il celebre elmo di Sutton). I romani abbandonarono finalmente l’isola verso il 410. Per i popoli rimasti liberi a nord del Vallo di Adriano – Pitti, Scoti ed abitanti della Caledonia – ritornò pertanto la possibilità di spingersi nelle fertili pianure dell’Inghilterra meridionale. Per difendersi dalle loro incursioni e dai loro attacchi, i Britanni chiesero aiuto alle tribù germaniche, nel continente europeo: giunsero così, sull’isola, Iuti, Sassoni, Frisoni ed infine Angli. Furono loro – fondendosi insieme – a formare il popolo inglese, accanto ai Celti (che si spostarono più ad ovest, in Galles). Dall’unione di Celti e Germani venne originata fra l’altro la popolazione scozzese. Una fusione di elementi, quindi, da cui sorsero i moderni popoli di Gran Bretagna e Irlanda.
Gli Angli erano una tribù della Germania non romanizzata, appartenenti al gruppo degli Suebi (Herminones), stanziati, assieme ai Longobardi e Semnoni, presso il territorio sassone di Schleswig-Holstein. L’Anglia – Angeln in tedesco, Angel in danese – era una penisola, che si protendeva nella baia di Kiel, separata dalla vicina Schwansen dall’insenatura di Schlei, e dall’isola danese di Als dal fiordo di Flensburgo. Era questa la terra d’origine degli Angli. Una mappa dell’Impero Romano – al tempo di Adriano, governatore delle province inglesi dal 117 al 138 – mostra la patria degli Angli di allora, nella penisola dello Jutland, oggi fra Danimarca e Germania. A partire dalla metà del secolo V – nel 449, secondo la Cronaca anglosassone – e poi ancora durante il VI secolo, insieme a gruppi di Sassoni, Iuti e Frisi, gli Angli lasciarono le loro sedi, per emigrare in Britannia e stabilirsi lì, nelle regioni centro-orientali dell’isola, ove fondarono i regni dell’East Anglia, della Northumbria e della Mercia. L’Inghilterra era dunque popolata dai celtico-britannici sul lato occidentale – lungo tutta, o quasi, l’estensione dell’isola su Atlantico e Mare del Nord – e scendendo da nord a sud, sul versante orientale, rispettivamente da Angli, Sassoni e Iuti (questi ultimi stanziatisi nel solo Kent).
A seguito della partenza degli Angli alla volta della Britannia, la loro regione originaria venne occupata da Vichinghi danesi non più tardi del secolo VIII. Secondo il cronista Aethelweard, la città maggiore dell’Anglia durante il periodo vichingo era Hedeby. Successivamente la storia dell’Anglia – caratterizzata, sotto il profilo etnico e linguistico, da una popolazione mista di tedeschi e di danesi evolutisi, nell’area, gli uni accanto agli altri – si sarebbe inserita in quella della più grande regione confinante, conosciuta come Jutland meridionale, o Slesvig (in danese). La prima fonte inglese circa gli Angli è rappresentata dai manoscritti di Beda. In precedenza, Tacito li menziona nel capitolo XL del De origine et situ Germanorum, scrivendo in merito che «il numero esiguo nobilita, all’opposto, i Longobardi: per quanto circondati da numerosi e valenti popoli, trovano la loro sicurezza non nella sottomissione, quanto piuttosto nei rischi delle battaglie. Seguono i Reudigni, gli Avioni, gli Angli, i Varini, gli Eudosi, i Suardoni e infine i Nuitoni protetti da fiumi e foreste. Nessuna caratteristica di rilievo in ciascuno di questi, se non il culto comune di Nerto, ossia della Madre Terra, che, secondo loro, interviene nelle vicende umane e scende su un carro fra i popoli. Esiste in un’isola dell’Oceano un intatto bosco sacro e, all’interno, un carro consacrato alla dea, ricoperto da un drappo: toccarlo è consentito al solo sacerdote». Una credenza religiosa quindi lunare e femminile, panteista e comune altresì alle popolazioni celtiche della stessa Britannia pre-romana.
Il termine Angel sta ad indicare uncino o gancio. La denominazione dell’Inghilterra deriva per l’appunto dalla tribù degli Angli e, in ultima analisi, dalla penisola germanica dell’Anglia. Anche le parole anglo ed anglosassone si ricollegano a questa origine etimologica. Il termine ricorre, inoltre, nell’inglese moderno, con il verbo to angle (pescare) ed il sostantivo angler (pescatore) ed entrambi i termini indicano come la pesca fosse con tutta probabilità l’arte di sostentamento allora più diffusa nell’antica tribù degli Angli. La lingua inglese è derivata dal dialetto germanico occidentale, parlato proprio dagli Angli. La maggior parte degli storiografi ritiene che gli Angli venissero dalle coste del Mar Baltico. Una ipotesi che si basa su tradizioni danesi, o in antico inglese, che riguardano persone ed eventi del IV secolo, anche in relazione col culto di Nerto, descritto da Tacito, e con la religione, pre-cristiana e quindi pagana, specie svedese e danese, quindi di area anche vichinga.


Il Medioevo inglese, l’eptarchia anglosassone e le invasioni vichinghe tra VIII e X secolo

Nel corso del VII secolo, i mercenari anglosassoni si stabilirono, in Inghilterra, in maniera via via più stanziale, sino ad instaurare una serie di regni germanici, in tutta l’isola. Crebbero fattorie, e piccole comunità di villaggio. Le popolazioni germaniche fecero penetrare e diffusero, così, la loro lingua, l’inglese antico, spostandosi verso Occidente, sulla spinta di ulteriori arrivi. Anche i popoli locali cominciarono ad abbandonare il celtico britannico e la lingua romanza, in favore di quella che i nuovi venuti avevano nel frattempo introdotto. Tra i gruppi principali, vi erano gli Iuti, insediatisi nel Kent, sull’Isola di Wight e lungo le coste dell’Hampshire. I Sassoni, da parte loro, si stabilirono nelle zone a Sud del Tamigi, nell’Essex, e nel Middlesex, incalzati dagli Angli, predominanti invece nel Norfolk, nel Suffolk e nelle Midlands settentrionali.
Durante il secolo VII, i regni germanici comprendevano la Northumbria, la Bernicia, la Deira, il Lindsey, la Mercia, l’Anglia orientale, l’Essex, il Wessex, il Sussex e il Kent. Vi erano poi gruppi locali che costituirono le regiones, ossia piccole comunità governate da famiglie potenti. La vita dei Regni anglo-germanici fu sempre alquanto turbolenta. L’assetto statale era fortemente monarchico, con un uso delle leggi fondato sul guidrigildo. I culti religiosi delle popolazioni anglosassoni erano, poi, ancora pagani, ed improntati al politeismo. Una vera e propria cultura scritta era ancora assente, e le diverse tribù traevano il loro sostentamento da caccia, allevamento e tecniche agricole.
Tra il VII e l’VIII secolo l’assetto politico dell’Inghilterra oscillava di continuo tra i vari regni anglosassoni, impegnati a fronteggiarsi, per conquistare la supremazia, gli uni sugli altri. Beda riferì che, alla fine del VI secolo, Etelberto del Kent era il re inglese più potente. Il predominio si trasferì, poi, nel Regno di Northumbria, sorto dalla fusione dei due regni (minori) di Bernicia e di Deira. Nel corso della seconda metà del secolo VII, il potere passò nelle mani del Regno di Mercia, che, grazie al Re Penda, assunse un ruolo politico e militare di primo piano. Invase le terre confinanti, il Regno di Mercia giunse ad esercitare un esteso controllo su gran parte dell’isola. Una supremazia durata – sia pure con fasi alterne – sino alla fine del secolo VIII. Offa di Mercia era ritenuto, dall’Imperatore Carlo Magno, un suo parigrado settentrionale. In una sua lettera a Papa Adriano I il Re franco infatti lo definì il sovrano degli Inglesi. Solamente al principio del IX secolo, iniziò il declino di Mercia, in concomitanza con l’ascesa politica e istituzionale del Regno del Wessex.
A partire dalla fine dell’VIII secolo, erano intanto cominciate le incursioni e razzie vichinghe: come riportato dalla Cronaca anglosassone, nel 793 ebbe luogo il primo attacco, scagliato contro il Monastero di Lindisfarne, mentre nel 794 una sortita dei predoni del Nord raggiunse Iona. Le razzie vichinghe, sferrate dalla Danimarca, aumentarono presto, per numero ed intensità. Nell’anno 865, la grande armata vichinga invase in via definitiva l’Inghilterra, occupando prima York, e sconfiggendo poi il Regno dell’East Anglia. La presenza in terra britannica dei Vichinghi non fu soltanto una dura occupazione da parte di uomini rudi e intrepidi avventurieri del mare, ma ebbe altresì un impatto, di carattere anche culturale, lasciando tracce significative nelle tecniche nautiche, negli studi di natura astronomica e nella stessa lingua inglese. La penetrazione vichinga continuò sino alla caduta tra 875 e 876 dei due Regni chiave di Mercia e Northumbria.
Due anni dopo le cose mutarono con Alfredo il Grande, che ottenne una grande vittoria contro gli invasori nordici nella Battaglia di Edington. La situazione ora favorevole agli Inglesi fu sfruttata, in seguito, richiamando alle armi un ingente quantitativo di uomini, i quali obbligarono i Vichinghi a ripiegare nella regione del Danelaw. Alfredo incoraggiò pure istruzione e cultura migliorando non poco il sistema legislativo e incominciando a creare un autentico Stato inglese, con la realizzazione di un apposito codice normativo, il Doom Book. Re degli Inglesi e fautore di una cultura unificata, il monarca britannico riassestò le contrade delle proprie terre, non solo manu militari, ma adoperando un’azione politica votata a equità e prudenza, incentivando una prima ripresa e delle scienze e dello stesso sapere, in generale. Alla sua morte (899), il successore, Edoardo il Vecchio – appoggiato dal cognato, Ethelred di Mercia – portò avanti un programma di espansione, forte e deciso, imperniato sull’edificazione di città e di fortilizi. Il figlio Atelstano (del casato dei Wessex) salì poi sul trono di Mercia, proseguendo lungo la linea dei suoi predecessori e diventando di fatto il primo vero sovrano inglese, capace di governare, come affermano le cronache, territori che in precedenza numerosi re si erano contesi e condivisi. Le monete e i documenti sopravvissuti dell’epoca lo descrivono, in effetti, come il Re degli Inglesi e il creatore di un paese ora finalmente unificato.
Il Regno di Inghilterra nacque nella prima metà del X secolo, grazie all’unione dei sette regni – Anglia orientale, Essex, Kent, Mercia, Northumbria, Sussex e Wessex – che si erano suddivisi il territorio britannico, nel periodo seguente alla colonizzazione anglosassone della Britannia, iniziata nel V secolo. L’unificazione fu la fine dell’eptarchia, termine coniato, nel XII secolo, dal religioso e storico irlandese Enrico di Huntingdon (1080-1160), autore di una Historia Anglorum largamente in debito verso e la Historia Regum Britanniae di Beda e la Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth.
A metà del X secolo, Edgardo d’Inghilterra riuscì a consolidare il regno dell’isola. Non solo: dopo il 950 – sotto il regno dei fratelli di Atelstano, Edredo ed Edgardo – proseguirono i successi in battaglia (navale e terrestre) nei confronti dei Vichinghi e York fu definitivamente riconquistata. La scomparsa di Edgardo segnò tuttavia l’inizio di vari problemi nella successione al trono. Questo, nel 978, fu occupato da Etelredo II, dopo l’uccisione del fratello, Edoardo il Martire. Ne approfittarono i Vichinghi, che tornarono a farsi minacciosi verso l’Inghilterra. Il regno fu conquistato da Sweyn di Danimarca. Fu un periodo di incertezze e torbidi. La morte di Edmondo II portò all’ascesa sul trono di Canuto il Grande, Re d’Inghilterra dal 1016. A seguito di alterne vicende, i Wessex tornarono sul trono nel 1042 con Edoardo il Confessore, che regnò sino alla morte senza figli nel 1066. Aroldo II, dopo avere sconfitto il rivale norvegese Harald III Sigurdsson nella Battaglia di Stamford Bridge, fu incoronato Re d’Inghilterra e il trono tornò ad essere una questione esclusivamente nazionale.
Sino alla fine dell’Alto Medioevo ed in parte ancora nel secolo XI, si registrò una ripresa della identità culturale celtico-britannica. Una fioritura favorita dal cristianesimo celtico. Testimonianza maggiore di quello slancio religioso fu l’uso della croce celtica, tipicamente irlandese, ripresa dalle antiche tradizioni dell’Inghilterra pagana e riadattata in chiave cristiana, integrata da essa, con nuovi elementi. Una fase di espansione e culturale e religiosa, della rinata Inghilterra britannica, che iniziò nel V secolo, e si protrasse sino agli ultimi secoli del I millennio, interessando soprattutto la Scozia, con la crescita del Regno di Dalriada, nonché l’Isola di Man. Nonostante la vivacità culturale, gli eredi dei Britanni furono – salvo rari momenti, come dopo la Battaglia di Carham, vinta nel 1018 da Re Malcolm II di Scozia – sempre soggetti a nuove presenze, di lingua germanica (prima Vichinghi e poi Anglosassoni), dunque sottoposti ad un continuo processo (linguistico, politico e culturale) di anglicizzazione. La fusione di elementi e celtici e germanici diede comunque origine all’Inghilterra moderna prima ed alla Gran Bretagna poi, sul fronte etnico e culturale. Sin dal Medioevo – del resto – non vi erano più popolazioni celtiche, in senso stretto, ma eredi degli antichi Britanni, variamente ibridati come anche altrove in Europa con numerosi apporti successivi, in questo caso norreni prima e anglosassoni poi. A partire dal XII secolo, la stessa identità celtico-britannica degli Inglesi venne, sovente, sempre più messa da parte e relegata al solo ambito dell’erudizione e della storiografia. Fra Trecento e Quattrocento, l’Inghilterra conobbe vicende storiche di genere assolutamente diverso, da cui prese origine l’età tudoriana. Una svolta ed un recupero culturale, con gli strumenti della scienza ed il sostegno della Massoneria, si ebbe soltanto al tempo degli ultimi Stuart, e nel secolo dei Lumi, grazie, come detto prima, alla generazione di Stukeley e degli altri studiosi inglesi vissuti fra XVII e XVIII secolo, segnatamente la frangia newtoniana di storici ed antiquari, gravitanti nel cosmo della Royal Society e della primissima Massoneria anglo-britannica.

In memoria di Robert Ervin Howard

Nell'immagine, il sito Neolitico di Stonehenge.


Fonti primarie a stampa

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Documento inserito il: 09/02/2025
  • TAG: Britannia, età della pietra, età del bronzo, storia inglese, agricoltura, Neolitico, metallurgia, archeoastronomia, navigazione, paganesimo celtico, druidismo, Angli, Vichinghi

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