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Il mago rinascimentale e la fine di un'epoca

di Francesco Servetto


Parlare di magia e di maghi al giorno d'oggi può facilmente condurre verso sentieri rischiosi, fantastici e fantasiosi, in cui l'elemento irrazionale sostiene l'io fanciullo proprio di ognuno di noi e, in casi limite, può persino scontrarsi con la ciarlataneria di oscuri individui autoproclamatisi esperti della materia. Il mainstream, solitamente restio alla presa in considerazione di concetti al limite del comprensibile, più orientato all'uso di un metodo scientifico crudo e talvolta limitante, non può fare altro che prendere le distanze da un argomento del genere. L'atteggiamento è quello della tipica scrollata di spalle, propria di chi tenda a minimizzare, come un cane bagnato intento a liberarsi delle gocce che lo appesantiscono, ma, si vedrà, tutto ciò è quantomeno sbrigativo, se non del tutto fuori luogo.
Valutando, infatti, il senso del termine «magia» nella sua correttezza, ci si accorge che l'elemento sbalorditivo, lo stupore per eventi che paiono non rispondere alle conosciute leggi della fisica o frutto di abili manipolazioni, è solo uno degli aspetti da prendere in considerazione e, con certezza, il più fuorviante. In epoca rinascimentale, operano uomini la cui apertura mentale ci ha lasciato notevoli considerazioni sull'argomento, delineandone contorni nobili, degni della contemporanea scienza nascente.
Strettamente legata alla filosofia occulta, nei secoli della prima età moderna, la magia si è nutrita di elementi cabalistici, respirando le fresche correnti spirituali di quel Raimondo Lullo, primo cabalista cristiano, che agisce sul finire del XIII secolo, in Spagna. Nella sua riflessione, notevoli appaiono le considerazioni sull’astrologia e la proposta di una sintesi delle componenti comuni alle tre religioni abramitiche, avendo come base il principio scientifico della teoria degli elementi. Ogni cosa del mondo naturale è considerata composta dei quattro elementi, acqua, terra, aria e fuoco, correlati a loro volta alle quattro qualità: freddo, caldo, umido e secco. Con la combinazione tra loro nascerebbero composti, diverse armonie ed opposizioni misurabili e classificabili, a loro volta strettamente collegate alle influenze dei sette pianeti allora conosciuti e dei dodici segni zodiacali, che agiscono proprio su tali qualità. Accanto a ciò, Lullo propose una sua medicina di tipo astrale, che vede una corrispondenza tra pianeti, segni ed elementi terrestri. A noi uomini del XXI secolo potrebbe sfuggire il carattere scientifico di tali tesi, ma Lullo ritenne necessaria una distinzione tra l'Astrologia intesa come scienza e l'astrologia dei ciarlatani, quella che si occupa di stilare oroscopi, di stupire gli uomini semplici con azzardate previsioni che di attendibile nulla hanno.
La permeabilità storica tra scienza e magia, dunque, spinge per essere notata, considerata; essa spunta come un arcobaleno dopo una giornata di pioggia e dura il tempo di un respiro sulla linea cronologica della storia. La sua scomparsa dei circuiti ufficiali, iniziata sul finire del XVI secolo, sembrerebbe decretarne l'oblio, eppure, analizzando il pensiero degli interpreti principali, appare come un'occasione mancata, per fare luce non solo sugli elementi naturali, ma anche sugli atteggiamenti spirituali che ogni uomo, al di là dell'appartenenza ad una religione o meno, vive nel corso della propria esistenza. Tagliare l'elemento non razionale a vantaggio di quello razionale, di primo acchito, può apparire, agli occhi dello storico, una decisione condivisibile, eppure, vedremo, tale tesi non è che una banale quanto sbrigativa semplificazione. Oggi sappiamo come la realtà con cui ci scontriamo sia solo una delle realtà. Infiniti mondi si dipanano nel mondo cellulare e, incredibilmente, al di sotto di esso, ne spuntano altri, per non parlare della totale ignoranza che abbiamo dell'immensità del cosmo. La corrispondenza tra macrocosmo (l'Universo) e microcosmo (l'uomo) è, tuttavia, un'intuizione assolutamente già vista, non propria della nostra epoca: si pensi all'Utriusque cosmi historia del medico ed alchimista, nonché filosofo ermetico, Robert Fludd, che con il proprio pensiero fece da ponte tra mondo scientifico seicentesco e considerazioni che sfociarono nella letteratura angelica e demonologica del Lost Paradise di Milton.
Le dimensioni in cui può incappare il pensiero umano, attorcigliandosi come fa la serpe al bastone della medicina, vivono non solo di esperimenti e di leggi fisiche: necessariamente, devono nutrirsi di una componente intuitiva, che colga le corrispondenze tra ciò che si riesca a misurare e ciò che ancora sfugge ai sistemi di catalogazione, ma non per questo non merita attenzione. Sarebbe infatti come pretendere di fornire una risposta definitiva su un qualunque argomento, utilizzando il metodo dell'assenza di prove, per acclarare il contrario, pura pretesa. Lo storico deve prendere le manifestazioni documentarie della mente umana nelle sue differenti declinazioni ed inserirle nel contesto dell'epoca in cui si esprimono, non per il semplice scopo di disegnare una vignetta spendibile in cenacoli allestiti tra paletti mentali e cancelli spirituali, ma restituirgli dignità, forte dell'aver compreso che ogni pensiero, anche il più distante, merita lo stesso rispetto del nostro, che, infarcito di fallaci abitudini e di quotidiane tecnologie che pochi conoscono a fondo, si perde in un materialismo paradossale, anche quando contornato di una qualche forma di spiritualità da grandi masse.
A questo punto, abbiamo la certezza che le etichette che noi apponiamo di razionalità o di irrazionalità siano attendibili? Tralasciando ipotesi spuntate ai giorni nostri, alcune parecchio accattivanti, le risposte che come uomini siamo riusciti a mettere sul tavolo sono incerte, prigionieri come siamo della fisica terrestre. I maghi rinascimentali erano, dunque, individui tanto diversi dai propri colleghi che, di lì a poco, si sarebbero serviti del metodo scientifico per i propri lavori? Il dubbio è quantomeno marcato. Se guardiamo, ad esempio, al Campanella de Il senso delle cose e la magia, le prese di distanza da audaci conclusioni sono ben presenti nel testo. Il filosofo presenta una distinzione tra i tipi di magia, individuando quella che si preoccupa di conoscere il senso delle cose, ossia la magia naturale, quella divina ed il suo opposto, quella diabolica. In uno sfondo cosmico, retto da una fitta trama di legami di simpatia e di affinità, prende corpo il suo animismo magico, che si pone l'obiettivo di svelare i legami occulti che sostengono l'universo senziente. Si pensi all'anima del mondo di cui già parlava Giordano Bruno, altro mago rinascimentale, la cui genialità ha indicato la via per l'accettazione della moltitudine dei mondi, idea di una potenza deflagrante per l'epoca. Bruno è il filosofo che non ha paura di esporre le proprie idee, con la giustificata protervia di chi sa benissimo che nemmeno la morte della carne potrà vanificarne la missione. Campanella è - in qualche modo - altrettanto sicuro delle proprie convinzioni, sicuramente altrettanto geniale, soprattutto quando sfuggirà alla condanna a morte fingendosi pazzo, approfittando così di un buco nel sistema.
La Chiesa, infatti, pur servendosi della condanna a morte, come strumento di contenimento degli elementi pericolosi, tra i quali gli eretici, dovette giocoforza salvare il frate e naturalista calabrese, convertendo l'estremo supplizio in condanna detentiva, poiché chi avesse perduto il senno non avrebbe potuto avere consapevolezza dei propri errori e pentirsi, e sarebbe perciò finito all'inferno; solo Dio aveva il potere di condannare l'uomo alla dannazione eterna, non certo un tribunale umano.
Il Campanella afferma che Potenza, Sapienza e Amore sono i tre principi dell'Essere o primalità. La natura è mossa da forze simili a quelle che operano sull'uomo, seguendo un'armonia che il mago deve imparare a padroneggiare, per tendere alla divinità e farsi simile ad essa. La creazione divina mantiene un ruolo centrale nella sua dissertazione, con la formazione dapprima dello spazio, «composto pure di Potenza Sapienza e Amore», nel quale è posta la materia. In essa «Dio seminò due principi maschi […], il caldo e il freddo, perché materia e spazio sono femmine». I due principi maschili combattendo tra loro formano altri due elementi: cielo e terra. Essi a loro volta generano i secondi enti, influenzati da Necessità, Fato ed Armonia. Nella sua visione, nulla muore: al contrario «muore il pane e si fa chilo, questo muore e si fa sangue, poi il sangue muore e si fa carne, nervi, ossa, spirito, seme e patisce varie morti e vite, dolori e piaceri». Ogni elemento naturale è dotato perciò di sensibilità e di un sistema di percezione commisurato alla sua capacità di conoscere. Così, il filosofo-mago può affermare che, se gli animali sentono, è perché essi percepiscono gli elementi o i principi dai quali sono costituiti. Gli elementi semplici, in cui lo spirito è del tutto assente, hanno bisogno di essere animati da una forza, necessariamente divina, che permetta il movimento, l'animazione cosmica, la vita e la presa di coscienza del mondo circostante.
Per il Campanella, infatti, «il sole non è animale né pianta, e fa animali e piante; et è sottile e mobile e bianco, e pur indura e addenso il luto, e immobilita, e annegrisce gli Etiopi sotto il Cancro e il Capricorno dove più dimora; e il fuoco riscalda […] e la paura, non fredda, affredda l'uomo; e il vivo dà morte all'altro vivo; e molti simili producono li dissimili; e ogni cosa si fa di quello ch'essa non è. Dunque, di cose non senzienti le sensitive nascer ponno. […] La pianta e l'animale hanno spirito, calore, sottilezza e moto dal sole, e materia dalla terra con l'arte del senso solare figurata; ma non hanno cosa, però, che non sia nelle cause, benché non in quel modo ch’è nelle cause». Gli elementi - per unirsi o separarsi, nella generazione degli organismi terrestri - hanno bisogno dell'intervento di un consenso tra le parti naturali in loro, consenso che è uno strumento divino, l'anima del mondo, il quale le indirizza tutte ad un unico fine, connettendole insieme, andando oltre le loro differenze. «Sentono dunque tutti. Di più il fuoco, vincendo parte di terra, l'assottiglia e se ne va in alto al suo consimile cielo focoso, e la terra, posta in su, con impeto al basso fugge; e come ogni animale fugge i contrarii e va alli suoi simili e alla sua tana, e gli uomini con gli uomini vivono, lupi con lupi, pesci con pesci, il medesimo si vede tra corpi magni».
Senza questa sensibilità a legare tra di loro tutti gli esseri animati, sarebbe il caos, e proprio tale sensibilità determina altre forze, quali il mantenimento delle somiglianze e delle differenze, che l'Autore definisce «conservazione tra simili». Gli animali, esseri imperfetti, sono guidati nella conservazione dei propri simili dall'istinto animale, un impulso originato da un'unica natura sensibile, che tende alla conservazione dell'equilibrio. La materia in Campanella dimostra di possedere in sé animazione, movimento e sensibilità, vere e proprie forze dinamiche.
Nella Città del sole Campanella colloca il regno animale in uno dei gironi divisi da sette mura, ognuno indicante una branca del sapere. Nel primo girone sono rappresentati i riti, le tradizioni differenti e le lingue di ogni popolo, e ivi si manifestano le conoscenze matematiche e geometriche. Nel secondo nozioni di chimica, di geologia e descrizioni geografiche dei luoghi terrestri, nel terzo sulla fauna marina e sul mondo vegetale, con le proprie erbe curative. Nel quarto girone troviamo le descrizioni di tutti gli uccelli, dei rettili e degli insetti. Il quinto racchiude tutti gli animali terrestri e nel sesto sono indicate le arti umane connesse alla meccanica, gli inventori, le arti e le conoscenze sulle armi e le scienze fisiche. Un solo tipo di conoscenza è per il Campanella perseguibile ed è dato dall'azione, diretta o indiretta, dei sensi, non esistendo una conoscenza razionale intellettiva che non derivi da quella intuitiva.
L'uomo può conoscere se stesso se per Campanella si considera parte della natura stessa, che deve indagare usando la propria sensibilità. L’uomo, inoltre, si eleva sugli animali, poiché nella propria natura riceve e manifesta una spinta verso l'intuizione intellettuale. La Sapienza fa sì che le cose naturali conoscano il proprio fato, l'Amore infonda Armonia nella natura ed il mago deve padroneggiare tale Armonia, affinché tenda alla divinità. «Beato chi legge nel libro della natura, e impara quello che le cose sono, da esso e non dal proprio capriccio, e impara così l'arte e il governo divino, facendosi di conseguenza, con la magia naturale, simile e unanime a Dio».
Il mago rinascimentale si serve della natura e la connette allo spirito, spesso deve districarsi tra le rapide della corrente cristiana, che impetuosa tutto travolge, in nome del mantenimento politico e sociale dello status quo. Se spesso l'accusa di eresia coinvolge gli attori storici protagonisti, tra echi neoplatonici e metodologie prese in prestito da altre dottrine - una su tutte la cabala cristiana che per godere di una propria dignità si preoccupa di dimostrare la correttezza del nome di Gesù Cristo - il mago rinascimentale è anche colui che si serve di branche del sapere per noi più convenzionali. Si pensi al matematico inglese John Dee, per anni punto di riferimento del cenacolo intellettuale che ruotava intorno regina Elisabetta I Tudor, il cui operato abbraccia più discipline. È colui il quale scrive la Mathematical Preface all’Euclide di Henry Billingsley, la prima traduzione in lingua inglese degli Elementi, aprendola con un'invocazione a Platone e dedicandola a tutte quelle figure tecniche ed artigiane che operavano alla costruzione della macchina regale, con la sua flotta all'avanguardia e le sue conoscenze cartografiche del territorio, fondamentali per la fondazione di un impero. Dee si preoccupa di comprendere e spiegare le macchine teatrali, che generavano tanto stupore nel pubblico, memore di ermetiche vicende, come quella delle immagini parlanti dei sacerdoti egizi, descritti nell'Asclepius. Magia e scienza ancora si confondono, nutrendosi l'una delle espressioni dell'altra, come quando il mago inglese elegge l'Architettura quale suprema arte, legata alla figura del grande Architetto celeste. Immagine, poi, massonica.
La visione di Dee si fa concreta, attuale in tempi in cui gli edifici inglesi erano ancora in stile medievale; al più, alcuni di essi presentavano un'accozzaglia di elementi neo-classici, gettati sulle facciate con scarsa convinzione ed ancora più scarso risultato. Dee si preoccupa di comprendere le proporzioni, i rapporti nella figura umana, quello tra cerchio e quadrato, nonché si serve del De re Aedificatoria di Leon Battista Alberti, opera che sarà tradotta in inglese solo nel XVIII secolo. La Thaumaturgia, ossia la padronanza delle tecniche strabilianti in grado di allestire macchine teatrali ne rivela maggiormente il talento di mago, ma si ricordi quanto su tale padronanza abbia influito la pneumatica ellenistica di Erone di Alessandria o la conoscenza dell'acustica, risalente agli antichi teatri.
Nella biblioteca di Dee, troviamo opere di ogni genere, compresi quei testi ermetici su cui si fonda la filosofia occulta. Egli stesso produrrà un'opera, la Monas Hieroglyphica, un vero e proprio geroglifico nazionale britannico, in cui è rappresentata una combinazione dei segni dei sette pianeti, cui aggiunge il simbolo dell'Ariete, che rimanda al fuoco ed ha riferimenti astrali, nonché alchemici.
Nei Propedeumata Aforistica, Dee spiega, in termini matematici, il significato cabalistico della Monas. Interessante, a questo punto, è un parallelo con il De harmonia mundi del veneziano Francesco Giorgi (o Zorzi), in cui teoria numerologica e cabalistica sono combinate insieme, considerate una doppia chiave per sondare i misteri dell'Universo. Il frate veneziano parte dall'Uno, o monas, segue la falsariga del Timeo platonico, per arrivare al numero 27. Si crea a questo punto l'armonia universale nel macrocosmo e nel microcosmo, servendosi della teoria pitagorico- platonica, unitamente al misticismo cabalistico incentrato sull'uso delle lettere. Simile è la questione per Dee, dal momento che il simbolo planetario rimanda a un simbolo cabalistico composito, sicché la cosmologia planetaria sembra poggiare solide basi sulla struttura dell'alfabeto ebraico, le cui peculiarità, in termini numerici e letterali, sono un unicum nel panorama mondiale.
Sul pensiero di Dee agiscono gli studi di Enrico Cornelio Agrippa, al punto che il mago inglese si servirà del controverso De Occulta Philosofia, giungendo a compiere evocazioni angeliche in compagnia del suo sodale Edward Kelley; nel suo diario è narrato l'incontro con gli angeli Uriele e Gabriele, nonché con altri spiriti. La vita di John Dee è utile allo storico non solo per le attenzioni verso ogni branca del sapere, con un'apertura mentale significativa, non solo per quell'epoca, in cui tuttavia di solito l'uomo di cultura aveva un approccio olistico alla conoscenza, ma soprattutto perché illustra la fine di un movimento, quello ermetico-cabalistico, parallelamente al dipanarsi delle sue sventure. Egli, infatti, nella seconda parte della propria vita, vedrà allontanarsi i fasti dei tempi d'oro, quando era chiamato a corte per illustrare il proprio pensiero alla regina, la propria monas e le proprie proposte per scopi imperialistici - si pensi al General and rare memorials pertaining to the perfect arte of navigation, in cui si prefigge di indicare le modalità che di lì a poco avrebbero permesso al nascente impero britannico di imporsi -, testimoniando così un mutamento di rotta da parte del potere centrale. Il clima è decisamente cambiato, la caccia alle streghe è più di un germoglio che si possa estirpare tirandolo per il ciuffo, è una coscienza epurativa, che si afferma alla luce della rottura di equilibri non più sostenibili. La Controriforma, inoltre, gioca un ruolo principe sul continente, basti pensare alla vicenda di Bruno, emissario della chiesa gallicana, preoccupata di intessere alleanze col mondo anglicano, Bruno che vedrà terminare anzitempo la propria esperienza su questa terra. Di lì a breve, usciranno poi i manifesti dei Rosa Croce, inevitabilmente connessi alle idee dello stesso John Dee, testimoniando la sopravvivenza dell'approccio proprio della filosofia occulta nel secolo che vedrà nascere il moderno metodo scientifico, il Seicento. Il mago rinascimentale, dunque, si serve di elementi vari e non sempre nella propria formazione utilizza le medesime discipline dei colleghi: uno su tutti, il cabalismo cristiano, di cui si sono occupati lo stesso Dee, il già citato Francesco Giorgi, e Johannes Reuchlin tra gli altri, cabalismo cristiano che in Giordano Bruno è del tutto assente. Certo, permangono punti di contatto, sostenuti dalla filosofia occulta, dall'ermetismo, dalla magia alchemica ma le contingenze temporali decreteranno per i depositari di questo sapere esigenze di conservazione esoterica.


Nell'immagine, immagine dall' Historia Mundi Naturalis, Plinii Secundi.


Bibliografia:
T. Campanella, La Città del Sole (1601-1602), a cura di L. Firpo, G. Ernst e L. Salvetti, Laterza, Roma- Bari, 1997. T. Campanella, Del senso delle cose e della magia (1604), I Dioscuri, Genova, 1987. T. Campanella, Apologia pro Galileo, a cura di M.P. Lerner-G. Ernst, Edizioni della Scuola Normale Superiore di Pisa, Pisa, 2006. C. Maccagni, Le razionalità, la razionalità, in La strega, il teologo e lo scienziato, Ecig, Genova, 1986, pp. 329-337. F. Servetto, Frances Amelia Yates e l’età elisabettiana. Percorsi di ricerca su scienza e magia, Città del silenzio, Genova, 2023. F.A. Yates, Theatre of the World, University of Chicago Press, Chicago, 1969. F.A. Yates, Cabbala e occultismo nell’età elisabettiana, Einaudi, Torino, 2002. Documento inserito il: 24/05/2024
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