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La società e l’economia nell’Impero arabo

del Prof. Giovanni Pellegrino


Gli arabi dotarono l’impero, di un efficiente sistema amministrativo.
Il califfo, posto a capo della complessa organizzazione dell’impero, era considerato il successore di Maometto, dunque la suprema autorità religiosa e politica dell’impero arabo. A lui spettava il compito di difendere l’ortodossia religiosa, di proteggere il territorio dell’impero e di reprimere qualsiasi forma di ribellione.
Le province erano governate da un suo rappresentante, chiamato emiro.
A Bagdad, come prima a Damasco, il califfo era affiancato da un articolato apparato di funzionari amministrativi, “il divano”, da cui dipendevano il mantenimento dell’esercito, la gestione delle entrate fiscali, la cancelleria e il servizio postale.
A capo dell’amministrazione nel suo complesso stava il visir, che era sia la figura di vertice della burocrazia araba, sia il consigliere più influente del califfo.
In tutti i paesi conquistati dopo la morte di Maometto, gli arabi non rappresentavano più del 5% della popolazione. Per questa ragione, essi avevano la necessità di appoggiarsi alle precedenti classi dirigenti, sia nell’azione di governo, sia nell’organizzazione delle attività economiche. Così, nelle province di nuova conquista, le terre coltivabili rimasero per la maggior parte nelle mani dei vecchi proprietari.
Dobbiamo tenere presente, che i beduini arabi erano abituati da secoli alla vita nomade del deserto e avevano scarsa dimestichezza con la coltivazione dei campi, ed inoltre erano troppo pochi per gestire in prima persona l’attività agricola.
Tuttavia, esisteva una certa quota di terre, che a causa della morte o della fuga dei proprietari, oppure perché appartenevano alle dinastie regnanti dei paesi conquistati, entrarono a far parte della proprietà del califfo, che poteva eventualmente suddividerle in lotti da assegnare ai propri fedelissimi.
L’abitudine a vivere in condizioni estreme, nelle quali l’acqua rappresentava un bene raro e prezioso, aveva indotto gli arabi ad affinarne le tecniche di approvvigionamento, conservazione e distribuzione. A tale scopo essi avevano costruito canali sotterranei, che riducevano al minimo l’evaporazione dovuta al calore.
Inoltre, gli arabi perfezionarono le ruote idrauliche (già presenti in Mesopotamia fin dal III secolo a.C.), che erano in grado di sollevare l’acqua rispetto al livello della fonte di approvvigionamento, per facilitare l’irrigazione.
Presso Murcia, in Spagna, è ancora visibile una macchina di questo tipo, ed è interessante mettere in evidenza, che ne rimanga un'altra identica nella città siriana di Hama. Questo dato di fatto, dimostra come queste e altre tecniche, vennero diffuse dagli arabi in tutto il loro immenso impero.
Riguardo la varietà e diffusione delle culture, dobbiamo dire che l’espansione araba favorì la diffusione anche in Occidente, di piante fino ad all’ora sconosciute.
Citiamo come esempi il riso, proveniente dall’India, la canna da zucchero, nonché frutti oggi a noi familiari come il limone e l’arancia.
In generale dobbiamo mettere in evidenza, che l’attenzione all’incremento delle aree coltivate e alla qualità e varietà delle colture, costituisce uno degli aspetti più importanti della politica economica dell’impero arabo, specialmente durante il primo periodo di potere degli abbasidi.
Un’agricoltura prospera, in grado di produrre eccedenze rispetto alle necessità di consumo locale, favoriva chiaramente la disponibilità di prodotti da immettere sul mercato.
La posizione geografica dell’impero e della sua capitale Bagdad, che ne faceva un ponte tra Oriente e Occidente, incrementò gli scambi ed esaltò le capacità commerciali degli arabi, anche se naturalmente i mercanti non erano soltanto arabi.
L’area di Bagdad si trovava al crocevia di una fitta rete di traffici. Da un lato la città era collegata con l’estremo Oriente, da cui provenivano in particolare seta, spezie e porcellane, dall’altro era in contatto con l’impero bizantino, che nei periodi di pace costituiva per gli arabi il partner commerciale privilegiato.
Infine, altre vie di traffico mettevano in comunicazione Bagdad con le zone dell’Asia centrale e del Volga, della regione dell’attuale Russia europea.
Ovviamente i commerci seguivano anche altre rotte, per esempio lungo i tragitti che collegavano la costa nord-africana, con le regioni a sud del Sahara, dalle quali arrivavano principalmente oro, avorio e schiavi.
Nel corso del Medioevo, gli arabi furono i principali mercanti di schiavi, catturati principalmente nell’Africa sub sahariana, oppure frutto delle razzie compiute in mare e lungo le regioni costiere dell’Europa cristiana dai pirati saraceni.
A differenziare in modo significativo l’area sotto il controllo mussulmano dall’Europa cristiana del tempo, era una fitta presenza di città.
Mentre nel nostro continente l’Alto Medioevo vide un considerevole spopolamento degli antichi centri urbani, gli arabi da un lato rivitalizzarono e ampliarono città già importanti in epoca romana o bizantina, dall’altro fondarono numerose nuove città, molte delle quali nate come accampamenti per alloggiare gli eserciti di occupazione. Altre città invece vennero costruite, per ospitare i conquistatori (è il caso di Bagdad, sede dei califfi abbasidi).
Significativamente il cuore dei centri vecchi e nuovi era costituito da un lato, dal palazzo che ospitava il califfo o l’emiro, dall’altro, dalla moschea, generalmente una per ogni città, anche se Bagdad arrivò a contarne sei.
La moschea non era solo un edificio di culto, ma anche un luogo d’incontro e di insegnamento della dottrina coranica.
Uno dei motori dell’espansione islamica fu la volontà di diffondere la religione di Maometto, anche mediante la guerra contro gli infedeli. Questo però non autorizza a pensare che alla conquista, seguissero sempre conversioni estorte con la violenza: a scongiurare questo rischio, c’era tra l’altro la prescrizione del Corano, secondo la quale la fede non dev’essere imposta con alcuna costrizione.
Nel vicino Oriente, nell’Africa del nord e in Spagna, la religione dominante prima della conquista araba era il Cristianesimo. Inoltre, ovunque nel Mediterraneo, esistevano comunità ebraiche più o meno consistenti.
Nei confronti di queste religioni, la politica dei califfi fu generalmente improntata alla tolleranza: cristiani ed ebrei, non solo potevano continuare a risiedere nelle zone conquistate, ma conservavano la libertà di culto, il proprio clero, ed il diritto di utilizzare chiese e sinagoghe.
Entrambe le comunità dovevano versare un'imposta, obbedire all’autorità politica del califfo, rispettare alcune regole, come il divieto di matrimonio tra mussulmani e non mussulmani.
L’intelligente scelta di tolleranza, fu una delle chiavi del successo arabo.
Tuttavia, con il tempo, la maggioranza delle popolazioni dell’impero aderì alla religione dei conquistatori.
Si trattò di un processo lento, che si svolse in tempi diversi a seconda delle zone geografiche, ma in ogni caso avvenne dovunque e spesso con risultati duraturi.
Le ragioni alla base della conversione potevano essere molte: in primo luogo la condizione di non mussulmani comportava una serie di svantaggi, sia dal punto di vista dei rapporti sociali, sia sotto il profilo fiscale. In secondo luogo, specialmente per le aristocrazie dei paesi conquistati, che aspiravano a conservare il loro potere anche sotto i nuovo padroni, la conversione costituiva un passaggio indispensabile per continuare a ricoprire una posizione di rilievo.
La diffusione della nuova religione procedé di pari passo con la lingua.
Dobbiamo dire che, il prestigio dell’arabo, dipendeva dal fatto che esso non era solo la lingua dei conquistatori, ma anche quella nella quale era scritto il Corano.
Nel corso dei secoli, l’arabo si impose in tutte le aree sottomesse dai mussulmani. In alcuni casi, gli idiomi precedentemente parlati scomparvero del tutto, mentre in altri rimasero limitati a ristrette minoranze.
In seguito a questo fenomeno, la stessa parola arabo, finì per cambiare di significato, dal momento che con esso non si designavano più le popolazioni originali della penisola arabica, ma tutti coloro che, indipendentemente dall'etnia di appartenenza, si esprimevano in arabo e si riconoscevano nella religione islamica.
Voglio concludere questo articolo mettendo in evidenza che, le parole mussulmano e arabo non sono sinonimi, dal momento che esistono milioni di credenti dell’Islam che non sono arabi. Ad esempio, si pensi ai mussulmani che vivono nell’Africa sub sahariana o in Indonesia.


Nell'immagine, l'Impero arabo tra il 632 e l'anno 1000.

Documento inserito il: 24/12/2024
  • TAG: Arabi, abbasidi, visir, califfo, emiro, Islam, Corano

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