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La società italiana nel primo dopoguerra.

Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, la situazione economica in Italia era molto difficile a causa degli enormi debiti contratti all’estero, ed in particolare quelli con gli Stati Uniti, oltre che per la debolezza della lira, che si svalutava sempre più rapidamente. Il mercato internazionale era soggetto ad una forte contrazione a livello commerciale per diversi motivi: principalmente a causa dell’uscita dell’Unione Sovietica, che limitò gli accordi commerciali con i paesi occidentali per evitare condizionamenti politici; quindi per le misure protezionistiche adottati da alcuni Stati, ed infine a causa del Dollaro americano, che si stava proponendo sui mercati come la nuova moneta forte, soppiantando la sempre più debole Sterlina inglese.Tutto questo si ripercuoteva negativamente su tutte le classi sociali italiane, traducendosi con una maggiore pressione fiscale ed un aumento del costo della vita e della disoccupazione, che raggiunse limiti mai toccati prima di allora. Tutto ciò suonò come un tradimento per i reduci che tornavano dal fronte: nessuna delle promesse fatte per mantenerli buoni nelle trincee durante il conflitto era stata infatti mantenuta. L’aumento della pressione fiscale bloccava infatti gli investimenti, creando nuova disoccupazione. Ma la cosa peggiore era costituita dal fatto che, gli introiti derivanti dal gettito fiscale, servivano anche per restituire, con i relativi interessi, i debiti che lo Stato aveva contratto durante la guerra per coprire le spese militari. Questi debiti derivavano dall’immissione sul mercato di Buoni del Tesoro, acquistati da coloro che la guerra la vedevano solo sulle pagine dei giornali e che ora reclamavano il frutto dei loro investimenti. Anche gli operai dell’industria premevano per l’accoglimento di una serie di rivendicazioni economiche, ed in particolare per la giornata lavorativa ridotta a otto ore ed un controllo operaio sulla produzione, oltre a rivendicazioni di ordine politico, come ad esempio una partecipazione di rappresentanti delle forze operaie nell’amministrazione dei comuni. Anche nelle campagne, i braccianti ed i contadini si battevano per il possesso delle terre. Queste agitazioni non potevano non impensierire gli industriali e i grandi latifondisti che si sentivano fortemente minacciati da queste agitazioni sociali, dai continui scioperi e dalle sempre più frequenti occupazioni di fabbriche e terreni. In questo scenario, il fossato che divideva interventisti e neutralisti, divenne ancor più profondo. I contadini per esempio, pur partecipando alle lotte sociali, si allontanarono sempre più dal partito che in questo settore era più attivo: il Partito Socialista. Quest’ultimo, continuava ad attaccare i politici e i militari che avevano voluto la guerra senza poi preoccuparsi dei problemi di quella parte della popolazione che l’aveva fatta: principalmente i contadini appunto, dato che gli operai erano necessari nelle fabbriche per alimentare la produzione bellica. Gli ex combattenti, al loro ritorno dal fronte non trovarono le terre che erano state loro promesse al momento della partenza e neppure un posto di lavoro, occupato da quelli che essi definivano gli imboscati. Tra i reduci vi erano anche centossessantamila ufficiali congedati, che avevano grossi problemi di reinserimento nel mondo del lavoro. La maggior parte di essi provenivano dalla media borghesia e nella vita civile precedente la guerra avevano svolto lavori da impiegati, commessi o piccoli professionisti. Durante la guerra essi si erano abituati a comandare sui loro sottoposti e come ufficiali avevano sempre avuto a disposizione una discreta quantità di denaro da spendere. Per loro era quindi molto più difficile tornare al ritmo della vita di tutti i giorni. Per questa ragione la maggior parte di questi uomini entrò fin dal momento della sua fondazione nel movimento fascista, dopotutto chi esaltava le doti degli ufficiali e dei militari in genere, chi gettava benzina sul fuoco del risentimento nazionale era la destra.


Nell'immagine, il leader del Partito Socialista Italiano Filippo Turati.
Documento inserito il: 25/11/2014

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