Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, storia contemporanea: Gli scioperi del 1920
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Gli scioperi del 1920

Gli scioperi contro il costo della vita iniziati nel 1919, continuarono anche per tutto il 1920. Tutte le categorie ne furono coinvolte ed in tutte le regioni italiane. Il numero degli iscritti alla Confederazione Generale del Lavoro, la CGL, in pochi anni si quadruplicò, superando di larga misura il numero di un milione e mezzo di adesioni. Per risolvere quello che per il Governo rappresentava un grosso problema sotto tutti gli aspetti, il Presidente del Consiglio Nitti, nell'aprile del 1920 varò una iniziativa tra le più impopolari dalla fine della guerra: il Governo decise infatti di tesserare la vendita di alcuni prodotti di prima necessità quali il pane, la pasta, l'olio, il burro ed i formaggi. Per rispondere alle agitazioni di piazza ormai sempre più frequenti, Nitti decise di utilizzare il sistema del bastone e della carota. Gli scontri fra le forze dell'ordine ed i manifestanti furono molto aspri e alla fine si contarono circa 150 morti tra i lavoratori ed un numero infinitamente minore tra le forze di polizia e dell'esecito.Alla Guardia Regia, istituita da Nitti come forza di repressione, si affiancarono i fascisti, che iniziarono in quel periodo le loro prime spedizioni punitive contro gli avversari politici e contro alcune istituzioni: nel febbraio del 1920, una squadra fascista assaltò la sede della Camera del lavoro di Bari devastandola. Lo sciopero non fu l'unica forma di lotta adottata dai lavoratori, già dal primo semestre del 1920 si assistette alle prime occupazioni di fabbriche. La sinistra appoggiava queste azioni, ma era spaccata al suo interno: mentre la CGL desiderava mantenere la lotta nell'ambito delle rivendicazioni sindacali, i socialisti insistevano sull'aspetto puramente politico, senza tuttavia appoggiare uno sblocco rivoluzionario della situazione, sostenuta invece da molti operai e da alcuni intellettuali socialisti, che facevano sentire la propria voce per mezzo di una rivista uscita a Torino il 1° maggio del 1919: L'Ordine Nuovo, fondata da Antonio Gramsci, Angelo Tasca, Umberto Terracini e Palmiro Togliatti. Davanti ad una situazione che precipitava di giorno in giorno, gli industriali fecero fronte comune e nel marzo del 1920 nacque la Confederazione Generale dell'Industria. La prima dimostrazione di forza del padronato avvenne nelle Indistrie Metallurgiche a Torino: davanti alle pressanti richieste normative e salariali rilanciate dal sindacato, la proprietà decise il licenziamento di tre dei membri della commissione interna e con la chiusura degli stabilimenti. A seguito di ciò vi fu uno sciopero generale che coinvolse tutti i lavoratori piemontesi. Nel frattempo, a causa dei continui insuccessi e della sua ormai scarsa popolarità, Nitti fu costretto a rassegnare le proprie dimissioni. Al suo posto fu richiamato l'ormai anziano Giolitti, che non commise l'errore del suo predecessore, e anzichè inviare la forza pubblica a sedare le manifestazioni di piazza, cercò di sedare i disordini con la trattativa: promise di colpire i profitti di guerra, di rendere più trasparenti i titoli azionari con la nominatività, di introdurre imposte sulle successioni e di permettere lo sfruttamento delle terre incolte. In politica estera, egli risolse con la diplomazia la questione di Fiume, lasciatale in eredità dal precedente governo. Il 12 novembre del 1920, a Rapallo venne siglato un accordo con la Jugoslavia che prevedeva l'attribuzione all'Italia della città di Zara, mentre Fiume sarebbe divenuta città libera. D'Annunzio, che non accettò il trattato, venne fatto sgomberare dalla città con la forza alla fine di dicembre. Per quanto concerneva la politica interna, Giolitti continuò a giocare la carta della trattativa e delle riforme, riuscendo in tal modo a mantenere la situazione sotto controllo, anche se le lotte operaie si estesero dal Piemonte a tutto il territorio nazionale. Ciò avvenne nel mese di agosto, quando la Federazione degli Operai Metalmeccanici, la FIOM, invitò tutti i lavoratori del settore a scendere in campo per ottenere dei miglioramenti salariali. Il 31 dello stesso mese, la Confindustria proclamò la serrata di tutti gli stabilimenti, a cui fece seguito, nei giorni seguenti, l'occupazione delle fabbriche ad opera dei lavoratori. La produzione non subì rallentamenti, nonostante l'opera di ostruzionismo messa in atto dalle banche e il boicottaggio delle materie prime, ma venne condotta direttamente dagli operai. Anche in questo caso Giolitti rimase fermo, nonostante il parere negativo degli industriali, che avrebbero preferito l'uso della forza. Egli riuscì invece a far dialogare i padroni ed i sindacati, che raggiunsero un accordo sugli aumenti salariali e approvarono congiuntamente un disegno di legge riguardante il controllo della produzione da parte degli operai, disegno di legge che non giunse mai all'attuazione effettiva. Se da una parte Giolitti indugiva davanti agli scioperi e alle occupazioni della sinistra, dall'altra egli temporeggiava anche nei confronti delle attività delle squadre fasciste che, secondo i suoi piani, avrebbero potuto fargli comodo in funzione antisocialista. Questa inattività del Presidente del Consiglio, dava credito a certe voci secondo le quali, a seguito del trattato di Rapallo, Mussolini avrebbe rinunciato a sostenere la causa di D'Annunzio in cambio della libertà d'azione delle camice nere. Gli episodi di violenza erano ormai all'ordine del giorno, fino a giungere verso l'ultimo quarto dell'anno ad una situazione di guerriglia quotidiana. Nonostante tutto, nelle elezioni amministrative di novembre, i socialisti mantennero gli stessi voti conquistati nelle precedenti elezioni del 1919, riuscendo a conquistare più di duemila Comuni, fra i quali Milano e Bologna.In Emilia, la vittoria della sinistra fu schiacciante: vennero conquistati ben 233 Comuni su un totale di 280. Questa travolgente vittoria, ottenne il risultato di far aumentare in quella regione le azioni delle squadre d'azione fasciste, sostenute finanziariamente dai grandi latifondisti locali che non vedevano di buon occhio le amministrazioni di sinistra.


Nell'immagine, Antonio Gramsci fu, oltre che primo segretario del Partito Comunista Italiano, fra i fondatori della rivista L'Ordine Nuovo.
Documento inserito il: 05/01/2015
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