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Eulero, la matematica e le scienze in Liguria tra XVIII e XIX secolo

di Davide Arecco


Le memorie settecentesche di tanti viaggiatori – sia inglesi (da Addison in avanti), sia francesi (da Montesquieu in poi) – che soggiornarono a Genova nel corso del XVIII secolo fotografano ed in maniera quasi sempre impietosa, a parte forse Lalande e Coyer, una Repubblica decisamente spenta e grigia, chiusa in se stessa e avulsa al nuovo dei fermenti culturali altrove imperanti.
In effetti, nel tramonto dell’antico regime, la città ligure – a parte paesaggi e natura – offriva molto poco, specie a chi la visitasse in cerca di contatti accademici e vita intellettuale. L’Università di Genova, sorta a fatica dalle ceneri dell’ex collegio gesuitico fra il 1774 e il 1784, era poverissima di docenti: solo undici nei primi anni e considerati buoni a tutto (un professore di aritmetica poteva, l’anno dopo, essere riciclato per la cattedra di eloquenza greca). Il più grande illuminista genovese, Agostino Lomellini, morì nel 1791, nel magnifico isolamento della sua villa di Pegli: era stato doge, ambasciatore a Parigi (qui amico e in seguito traduttore di d’Alembert), nonché geometra finissimo, tra i migliori del suo secolo, e non solo in Liguria, eppure la Serenissima lo mise da parte. E isolare Lomellini – in contatto epistolare, fra gli altri, con i newtoniani Frisi e Algarotti – era come fermare e bloccare, di fatto, i Lumi. Anche l’abate Celesia, disgustato dalla sua terra, dovette cercare altri e più stimolanti spazi per sé: a Londra, Parigi e Madrid. Le nuove tecniche poi languivano: mentre, in Gran Bretagna, si preparava una rivoluzione industriale poi esportata anche sul continente, solo con padre Ageno, singolare alfiere del matrimonio fra clero e aristocrazia colta, si ebbe a fine secolo un qualche interesse non del tutto privo di competenza verso la neonata aerostatica. Ma, intorno, quasi null’altro, in un triste vuoto dalle voci flebili e sparute.
I luoghi della fisica non erano deserti, ma abitati nel cuore della Repubblica di San Giorgio da pochi studiosi davvero validi: sempre Lomellini cercò di introdurre i parafulmini frankliniani, ma la cosa non ebbe conseguenze di riguardo. L’Accademia Ligustica – per mano sua, di Celesia, e di non molti altri – fu un’istituzione dalla nascita tardiva e, nel complesso, poco incisiva se confrontata con la rete analoga di esperienze italiane ed europee. Vi si coltivavano, in base ai criteri della classica e vecchia erudizione tardo-barocca, in particolare storia e lettere, ma la nuova cultura enciclopedica non attecchì mai sino in fondo. Gli stampatori non mancavano tuttavia producevano soprattutto testi teologici e devoti, legati ancora – pensiamo, ad esempio, allo Scionico – alla controversistica post-tridentina, alla metafisica scolastica e alla filosofia morale.
Le cose andavano, globalmente, un po’ meglio nel campo delle scienze empiriche. Il medico e naturalista Cesare Nicolò Canefri (1752-1800) introdusse la nuova chimica di Lavoisier e Fourcroy, oltre a venire scelto per accompagnare l’Imperatore asburgico, nelle miniere d’Ungheria. Domenico Viviani (1772-1840), suo migliore allievo, diede interessanti contributi alla botanica e collezionò in biblioteca una serie di libri interessanti. Nella prima metà dell’Ottocento Giannantonio Mongiardini fu un valido esponente e della medicina e della clinica. Ma si tratta di gocce nel mare. Diversamente da altrove, dentro e fuori i confini italiani, non vide mai la luce una grande tradizione, né culturale, né scientifica. Si segnalarono, giusto, alcuni casi, luminosi ed isolati, che le sclerotiche istituzioni e strutture politico-sociali liguri però non valorizzavano o ascoltavano quasi mai.
Un’eccezione, mai troppo ricordata, fu quella di Francesco Pezzi, l’unico grande matematico genovese, di tutto il secolo XVIII, traduttore e continuatore di Eulero. A soli ventidue anni, Pezzi si mise in contatto per via epistolare con il matematico ed ingegnere veronese Anton Mario Lorgna. Il loro carteggio durò dal 20 agosto 1786 al 14 novembre 1795, e venne cominciato da Pezzi al fine di conoscere i geometri dell’Accademia dei Quaranta, il prestigioso consesso scientifico ubiquitario di cui Lorgna era fondatore e segretario nella Repubblica veneta, a Verona.
Pezzi, laureatosi a Genova, nel 1781, aveva trascorso un periodo di viaggi e studi in Francia, quindi aveva fatto ritorno negli spazi della Repubblica di San Giorgio, avviando relazioni coi nomi più importanti ed illuminati del patriziato colto genovese, tra cui Giambattista Grimaldi, il figlio di Pier Francesco, già Doge, dal 1773 al 1775. Pezzi si legò a Ferdinando Galiani e a Giacomo Filippo Durazzo (massimo apostolo ligure della scienza linneana nord-europea), nonché ai fratelli Serra. Il luogo dei loro incontri era l’Accademia durazziana, nata nel 1782, istituzione che vedeva presenti i pochi naturalisti, aristocratici ed illuministi genovesi. Lettore e seguace dell’Encyclopédie, nemico del mesmerismo, allora di moda a Parigi, ammiratore dei francesi Bailly e Lavoisier, membro della Accademia delle Scienze di Bologna, dal 1789, Pezzi venne nominato da Lorgna socio dei Quaranta nel 1802, nonché collaboratore delle Memorie di matematica e fisica. Pezzi fu aggregato da Lorgna ai Quaranta insieme al viaggiatore e tecnico ligure Carlo Amoretti, a Tommaso Valperga di Caluso, al matematico e poeta Lorenzo Mascheroni, a Francesco Soave (seguace di Condillac, all’Università di Parma) e al galileiano Giuseppe Toaldo (massimo sostenitore e diffusore di Franklin, nel nord-est italiano di fine Settecento).
Nelle trentotto lettere di Pezzi a Lorgna, oggi conservate nella Biblioteca civica di Verona, si parla, quasi solo, di calcolo infinitesimale – newtoniano, ma scritto con notazione leibniziana – e di di fisica matematica. Troneggiano pertanto le scienze esatte, e le loro applicazioni pratico-concrete, specie in campo idraulico e costruttivo. Molti sono i maestri e colleghi, di cui Pezzi scrive a Lorgna: tra questi, vi è il francese Yves Gravier (1739-1800), che contribuì, con una massiccia importazione di libri europei a Genova, in particolare da Parigi, ad introdurre negli spazi sociali e culturali liguri idee ed opere innovatrici, se non altro nel campo scientifico (il ceto politico dirigente restava, come detto, sostanzialmente sordo al nuovo che avanzava).
Pezzi, in occasione del suo carteggio, ricorda a Lorgna l’opera di Fontaine des Bertins (1705-1771), un matematico francese il quale aveva lavorato sulle condizioni di integrabilità delle funzioni differenziali di primo grado a due variabili. Fa menzione, anche, dell’astronomo newtoniano Alexis Clairaut (1713-1765), in questo caso per i suoi studi sul calcolo integrale. Ma il vero eroe di Pezzi, e insieme il grande protagonista della sua corrispondenza con Lorgna, resta, naturalmente, lo svizzero – anche teologo e botanico – Eulero, punto di riferimento per la Repubblica dei Matematici europea del XVIII secolo, con le sue Institutiones calculi differentialis e con le sue memorie scientifiche, nel frattempo edite sui Mémoires della Accademia delle Scienze di Berlino, riformata da Federico II di Prussia in direzione illuministico-newtoniana a partire dagli anni Cinquanta, chiamando presso di sé Voltaire, Maupertuis, Diderot, La Mettrie, Algarotti e appunto lo stesso Eulero fra i molti altri.
Fisico e astronomo di Basilea, oltre che grandissimo matematico, lo svizzero Eulero giunse, in Prussia, a Berlino, già celebre: nel 1736, si era segnalato per le sue ricerche sui poligoni e poliedri convessi, ponendo le basi per la nascita della moderna topologia. Inoltre, a lungo corrispondente di Christian Goldbach, nella capitale russa Eulero aveva coordinato il lavoro degli allievi matematici e membri della Accademia delle Scienze di San Pietroburgo (su tutti, Anders Lexell e Nicolaus Fuss), nonché fornito fondamentali contributi alla cartografia imperiale e, quindi, allo studio delle funzioni trigonometriche di seno e coseno. Maestro di tutti i matematici dell’età dei Lumi – come avrebbe, in seguito, affermato Laplace – Eulero arrivò nel 1741 a Berlino, ove trascorse venticinque anni. Ebbe anche l’opportnità di conoscere Bach e fece da tutore alla Principessa di Anhalt-Dassau, scrivendo, a lei, oltre duecento missive – le famose Lettres à une Princesse d’Allemagne, stampate tra il 1768 e il 1772 – in merito alla cultura scientifica e non solo: il libro attesta ancora oggi le notevoli doti di divulgatore di Eulero e testimonia le sue vive quanto fervide credenze religiose.
In area tedesca, l’uomo di scienza elvetico cominciò a pubblicare sugli Acta eruditorum, editi a Lipsia, con articoli sul magnetismo, apparsi tra il 1744 e il 1755. Nell’attuale Germania, Eulero si dedicò con competenza e rigore impressionanti, davvero instancabile e versatile, ad ogni ramo dello scibile. Nella Solutio problematis ad geometriam situs pertinentis (1741) studiò – impiegando come base Fermat, punto di partenza anche per le sue ricerche sul calcolo delle variazioni – il cerchio, la retta e gli angoli. Nell’ambito della geometria analitica, e dell’algebra, poi oggetto di una specifica pubblicazione a Lipsia, nel 1770, Eulero si occupò, dottamente e per esteso, di equazioni in grado di descrivere cono, cilindro e diverse superfici di rotazione, con una particolare predilezione verso le curve (coniche, sinusoide), da lui classificate, in dettaglio e sistematicamente. Con pochi e persino semplici teoremi geometrici, egli dimostrò, inoltre, l’allineamento, nel triangolo, del baricentro, del circocentro e dell’ortocentro. Nella Dissertatio de magnete (1743), oltre ad esaminare e la bussola e le coordinate polari, diede importanti contributi alla neonata geodesia newtoniana europea. Presso la corte prussiana, tuttavia, Eulero portò avanti nella fattispecie gli sviluppi dell’analisi complessa, la quale deve storicamente soprattutto a lui la propria crescita. Nel dominio del calcolo infinitesimale, Eulero si consacrò a limiti, logaritmi, quantità negative e composte, arco-tangenti, serie armoniche (prendendo le mosse, nella teoria musicale, da padre Mersenne), identità newtoniane, somme di due quadrati, leggi della reciprocità quadratica – da lui, per primo, intraviste e congetturate – integrali e frazioni continue. Estendendoli alle matematiche applicate, Eulero unì il metodo delle flussioni (di Newton e della scuola anglo-britannica) ed il calcolo integrale (di Leibniz e della scuola germanica, preferito solo dal punto di vista della notazione usata per la scrittura): un lavoro nel quale l’elvetico fu affiancato dal matematico scozzese Colin Mac Laurin (1698-1746).
Nelle Institutiones calculi differentialis (1755), forse il massimo frutto matematico del lungo soggiorno euleriano presso gli Hohenzollern, fu approfondito dallo svizzero il concetto di funzione, allargando lo sguardo alle funzioni esponenziali ed a quelle speciali (come la funzione gamma). Per diretto interesse del sovrano berlinese, Eulero concentrò gli sforzi anche sulle opere di ingegneria – peraltro, non sempre apprezzate a corte – e di fluido-dinamica. In questo settore, partendo dalle basi galileiane e newtoniane, egli matematizzò vari problemi di idraulica, usando derivate parziali al fine di descrivere i movimenti privi d’attrito viscoso. In terra prussiana, Eulero si dedicò ad astronomia e meccanica celeste, realizzando vari lavori (successivamente completati durante il secondo ed ultimo soggiorno russo), circa l’esatta determinazione delle leggi governanti i moti cometari e di altri corpi stellari, incluso il calcolo della parallasse solare. Un’ulteriore conferma del suo genio e gusto, figli della tradizione enciclopedica settecentesca, la stessa che, senza troppa fortuna, Pezzi, traducendolo, tentava, in quel medesimo torno di anni, d’impiantare in Genova. Eulero rimase presso l’Accademia delle Scienze berlinese sino al 1766. Un anno prima di ritornare nella Russia zarista, fece stampare la Theoria motus corporum solidorum seu rigidorum (1765), dissertazione di stereometria ed ultima fatica dei suoi fecondi anni tedeschi.
Alla Berlino di Eulero e del Grande Federico rimanda anche la figura di un altro matematico e viaggiatore citato nelle lettere pezziane, il toscano Gerolamo Lucchesini, nella capitale prussiana a partire dal 1778: una massima autorità, nel mondo culturale tedesco. Lo valorizzò, fra le mura della accademia berlinese, in seguito, anche Federico Guglielmo III, il quale utilizzò Lucchesini in veste di abile diplomatico, all’estero, presso le maggiori corti europee. Prima di spegnersi, a Firenze, nel 1825, il matematico e diplomatico toscano scrisse alcuni purtroppo dimenticati libri scientifici, e tra il 1787 e il 1788 soggiornò a Genova: un viaggio del quale non si sa pressoché nulla e su cui sono, a ben guardare, scarsissime le fonti (non aiutano nemmeno gli Avvisi genovesi di quegli anni). Prima della morte, Lucchesini pensò anche a pubblicare una edizione critica dei frammenti matematici di Diofanto: progetto accarezzato, a Parigi, pure da Lagrange. Quest’ultimo, prima di trasferirsi, anche lui, nella Berlino federiciana – nel 1766, al posto di Eulero, ritornato in Russia, a San Pietroburgo – si era formato sui testi matematici dei Bernoulli (presenti anche fra le letture di Pezzi, a Genova e a Parigi), ed era stato tra i fondatori (1759) del primo nucleo della futura Accademia delle Scienze di Torino, poi riconosciuta, nel 1783, da Re Vittorio Amedeo III di Savoia, negli anni in cui la cultura scientifica piemontese si apriva al verbo dei Lumi e, mediante Condorcet, all’utopia neo-baconiana della Nuova Atlantide. Assieme proprio a Condorcet e d’Alembert – anzi, prima di loro – Eulero fu eletto socio corrispondente della società scientifica sabauda. Nel periodo in cui Pezzi faceva tesoro degli insegnamenti matematici di tutti loro, Lorgna, anche scrivendo al Tiraboschi (1780), si era, da poco, messo anche lui in contatto con il monarca subalpino, per ottenerne la nomina a cavaliere del Regno sardo. Se ne trova un’eco ancora nel carteggio del matematico ligure.
Al mondo tedesco con il quale venne in contatto Eulero appartiene anche il matematico Carl Friedrich Hindenburg (1741-1808), del quale si parla nel carteggio Pezzi-Lorgna. Hindenburg fu il capostipite della così detta scuola combinatoria tedesca, e lo scopritore di nuove tecniche di calcolo, di estrema utilità per sviluppare e invertire le serie di Wallis e di Newton, nonché al fine di studiare le probabilità, indagate nella Francia dei Lumi da d’Alembert, Diderot e Condorcet. Un altro illustre matematico, ricordato da Pezzi a Lorgna, è il newtoniano scozzese James Stirling (1692-1770), che, in quanto giacobita, era fuggito dal Regno Unito a Venezia, per insegnarvi matematica. Fu Newton a farlo rimpatriare senza conseguenze. Stirling aveva, d’altra parte, nei suoi primi lavori scientifici, commentato e incrementato la matematica newtoniana e il calcolo nello specifico, riprendendo pure le ricerche precedenti sull’analisi del francese Abraham de Moivre (1667-1754), altro collaboratore ed amico dello stesso Newton, studioso di trigonometria e di teoria dei numeri, trasferitosi a Londra nel 1687, qui sodale anche di Halley e fellow della Royal Society dal 1697.
Contemporaneo di de Moivre fu, anche, un altro matematico, a cui si fa cenno nelle lettere di Pezzi a Lorgna, il tedesco Walther Tschirnhaus (1651-1708). Formatosi a Gorliz e all’Università di Leida, ove nel 1674 fece la conoscenza di Spinoza, del quale diventò sotto alcuni aspetti un cauto e attento discepolo, eccellente algebrista, apprezzato e dai matematici e dai filosofi naturali olandesi, Tschirnhaus viaggiò in Inghilterra. Qui, nella capitale inglese, si vide con Oldenburg – segretario a Londra della Royal Society e principale referente all’interno di essa di Newton – e soprattutto con il matematico (ed agente librario newtoniano sul continente) John Collins. I due discussero a lungo di calcolo aritmetico ed equazioni algebriche. Grazie ad Oldenburg, nel 1675, Tschirnhaus fu a Parigi, ove incontrò Huygens e Leibniz. In Francia, si appassionò al cartesianesimo e continuò a studiare le curve algebriche, entrando in polemica con il newtoniano elvetico Fatio de Duillier, tra il 1687 ed il 1689, appena prima che questi si trasferisse nell’Inghilterra dei matematici newtoniani.
Altri scienziati di cui recano traccia le missive pezziane a Lorgna sono Joseph Cousin (1739-1800), fisico e docente al Collège de France (poi imprigionato per le sue posizioni moderate sotto il Terrore giacobino) e il barnabita milanese Francesco Maria Franceschinis (1756-1840), che a Roma fece studi approfonditi di matematica, apprezzato anche per questo dal Cardinale Gerdil. Al mondo della cultura lombarda settecentesca rinvia anche il riferimento di Pezzi allo stampatore e libraio di Milano Giuseppe Galeazzi, editore di almanacchi e di libri scientifici ed illuministici.
Lorgna, durante la sua corrispondenza con Pezzi, mise il matematico ligure anche in contatto con l’accademico felsineo Sebastiano Canterzani. A quest’ultimo, allievo a Bologna del newtoniano Francesco Maria Zanotti, Pezzi indirizzò quattordici lettere, dal 16 di dicembre 1786 al 20 febbraio 1792. Nel carteggio si discorre sempre di analisi matematica e tecniche di calcolo infinitesimale, ma anche questa volta vengono nominati personaggi di rilievo (e da riscoprire) nella storia della scienza italiana del XVIII secolo. Viene, infatti, citato il teatino Pietro Cossali (1748-1815), membro sia dei Quaranta di Lorgna sia dell’Accademia delle Scienze di Padova, dal 1781, studioso di aeronautica e anche valente storico. Si fa, poi, il nome di Girolamo Saladini (1735-1813), il monaco celestino che fece i suoi primi studi in ambito umanistico, per dedicarsi, quindi, alla matematica, studente presso l’Archiginnasio bolognese del trevigiano Vincenzo Riccati, fra il 1765 e il 1767, membro a Bologna dell’Istituto delle Scienze ed analista fra i maggiori di tutto il Settecento. Più misteriosa è la figura del livornese Pietro Paoli (1759-1839), allievo dei Gesuiti e poi docente all’Università di Pisa. Paoli fu, poco più che ventenne, insegnante anche a Mantova e nel 1782 gli fu affidata a Pavia la cattedra di matematiche elementari. Il governo toscano lo chiamò due anni dopo a insegnare presso l’Ateneo pisano, dove si occupò di questione idrauliche ed agronomiche, prima di presiedere, negli anni della occupazione napoleonica, la giunta incaricata di compilare il catasto della Toscana. Nel 1780, Paoli aveva già dedicato al Granduca, Pietro Leopoldo, i suoi Opuscula analytica, stampati a Livorno, dai torchi di Aubert, già editore nel 1764 del celeberrimo Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria.


Nell'immagine, la copertina della prima edizione di Losanna (1748) dell'Introduzione all'analisi di Eulero.


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Documento inserito il: 18/11/2023
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