Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, storia moderna: Baliani, Grassi e la scienza gesuitica in Liguria al tempo di Galileo
>> Storia Moderna> L'Italia del 1600

Baliani, Grassi e la scienza gesuitica in Liguria al tempo di Galileo

di Davide Arecco


Un discepolo e critico di Galileo fra astronomia, idraulica e idrostatica

Nel non certo ricco panorama scientifico genovese e ligure tra XVI e XVII secolo, spiccano le figure del collezionista Demetrio Canevari e del medico aristotelico Fortunio Liceti, di Gian Battista Baliani e del gesuita savonese Orazio Grassi. I primi due – rispettivamente, riscoperto da Rodolfo Savelli e massimo esponente della cultura scientifica di Rapallo e del levante ligure nell’autunno del Rinascimento – sono oggi abbastanza noti. Baliani e Grassi sono invece da approfondire. Sovente, li si trova citati en passant, nei testi e repertori dedicati alla storia della scienza, ma su di loro in fondo non è mai stato scritto moltissimo e non possono certo bastare, al riguardo, certi profili di carattere agiografico e celebrativo tipici della storiografia ottocentesca, viziata in Liguria da pregiudizi tanto campanilistici quanto positivistici.
Baliani fu ricordato, ancora nel XVIII secolo, a Magdeburgo dal leibniziano Christian Wolff (in Elementa Matheseos Universae, 1715), ad Amsterdam dal matematico elvetico Jacob Hermann (Phoronomia sive de viribus et motibus corporum solidorum et fluidorum Libri, 1716), a Brescia da Gianmaria Mazzuchelli (Gli scrittori d’Italia, 1758), a Roma da Ottaviano Cametti (Lettera critico-meccanica, 1758), a Firenze da Giovanni Targioni Tozzetti (Atti e memorie inedite dell’Accademia del Cimento, 1770), a Treviso dall’architetto e newtoniano Vincenzo Riccati (Lettera in difesa di Giovanni Battista Baliani cavaliere genovese, 1771), a Milano dal cosmografo barnabita Paolo Frisi (Elogio del Galileo, 1775), a Parigi da Alexandre Savérien (Histoire des progrés de l’esprit humain dans les sciences exactes, 1776) e da Etienne Montucla (Histoire des mathématiques, II, 1799), ed a Modena da Gerolamo Tiraboschi (Storia della letteratura italiana, IV, 1788). Ancora nel corso del XIX secolo, Baliani fu menzionato in Inghilterra nella History of the Inductive Sciences di Whewell ed in Italia dalla Biblioteca matematica riccardiana. Il segno, indubbiamente, di un apporto tecnico-scientifico non localistico o provinciale, nel quale pure avevano cercato di confinare Baliani durante il Seicento scrittori liguri come Soprani (1667), Giustiniani (1667) ed Oldoini (1680). E a proposito del Seicento: quando le opere di Gassendi, il padre dell’atomismo cristiano di età moderna, vennero pubblicate a Firenze dalle cerchie newtoniane e illuministe nel 1727, anche in questo caso vi furono due veloci ma significativi cenni a Baliani (VI, 88, 300).
Matematico e fisico, studioso di meccanica e di astronomia, il genovese Gian Battista Baliani (1582-1666) apparteneva ad una nota famiglia della capitale ligure ed era stato inizialmente avviato dal padre, senatore della Serenissima, a una carriera politica che lo vide ricoprire molti e importanti incarichi, con trattati e negoziazioni stipulate per conto della Repubblica. Nel 1623, Baliani entrò in senato, per poi (1647) mediare, in veste di governatore di Savona, evitando uno scontro navale nel porto tra la flotta francese di Richelieu e quella napoletana. Impegni di carattere pubblico al servizio dello Stato e delle istituzioni patrizie, che non impedirono al Baliani di dedicarsi in maniera attiva e costante anche alla ricerca scientifica. Quest’ultima era del resto – e sin dagli anni giovanili – il suo principale campo di interessi. Uomo di lettere, nemico di una filosofia chiusa alle applicazioni, egli si impegnò e nella difesa e nell’approfondimento del nuovo metodo sperimentale galileiano e nella lotta ai vuoti vaniloqui della scolastica aristotelica, impegnandosi in indagini, soprattutto di fisica, sull’equilibrio meccanico delle masse e sul moto naturalmente accelerato. Per Baliani, la scienza si costruiva, materialmente e concretamente, trasformando in laboratorio le esperienze in esperimenti, valorizzando gli strumenti e facendo derivare le teorie dalla pratica, sino a geometrizzare la Natura in chiave quantitativa e rifiutando le essenze della metafisica.
Fondamentale, per Baliani, fu l’incontro con Galileo. Nel 1613, venne presentato per lettera a Galilei da Salviati, il quale lo descrisse al suo maestro dicendo che «che si ride di Aristotile e di tutti i Peripatetici... [e che] a molte cose mi ha date l’istesse ragioni che ho intese da lei» (Edizione Nazionale delle Opere di Galileo Galilei, XII, 44). Prese in tale modo avvio, con una lettera scritta da Galileo a Baliani il 25 di gennaio 1614 un carteggio scientifico fra i due, protrattosi per cinque lustri, sino al gennaio 1642. Identico era il loro approccio metodologico alla scienza, la loro fiducia nella combinazione di matematiche, di tecnica e di esperimenti. Galileo scrisse a Baliani che «[...] il Sig. Filippo [...] mi scrive aver trovato gran conformità tra le sue speculazioni e le mie; di che non mi sono meravigliato, poiché studiamo sopra il medesimo libro e con i medesimi fondamenti», al che confermava Baliani «e invero io mi sono sempre riso di tutte le conclusioni filosofiche che non dipendano (oltre quelle che sappiamo essere vere per lume di fede) o da dimostrazioni matematiche o da esperienze infallibili; [...] io conosco aver incartato più volte nell'istesse sue opinioni; il che [...] non è per altro che per aver ambidue studiato nello stesso libro [...]» (Edizione Nazionale, XIX, 268).
Il 4 aprile 1614, Baliani comunicò a Galileo di aver fatto una formidabile scoperta: un sistema per cuocere senza fuoco. Riempita una pentola di acqua, la si teneva ferma, sopra un piatto di ferro, che, girando in maniera vorticosa, provocava attrito e calore, facendo bollire l’acqua. Questo primo esperimento confermava dunque la trasformazione dell’energia in calore (Edizione Nazionale, XIV, 125-127, 157-161). Baliani fu uno degli uomini di scienza che Galileo più stimò. Si conobbero, nel 1615, a Firenze, durante un viaggio politico-diplomatico e di studio, fatto dal nobile genovese negli spazi granducali. Fu sempre Galileo a candidare Baliani a membro dei Lincei, con parole registrate da Cesi, nel verbale dell’adunanza accademica del 26 di gennaio 1616: «maximopere laudavit animi candorem, ingenii sublimitatem, morum suavitatem et verum philosophandi modum [...]» (Edizione Nazionale, XVII, 413). Baliani era oltretutto un fine oratore e un ammiratore sincero dell’eloquenza toscana e del volgare illustre, in linea qui con i Cruscanti fiorentini.
Baliani detiene un posto di rilievo, anche nella storia degli studi sulla pressione dell’aria, che portarono alla nascita prima della pneumatica e in seguito dell’aerostatica. Nel 1630, facendo lavori nel porto di Genova, aveva notato la salita anormale dell’acqua, in un sifone, informandone Galileo e chiedendo a lui un parere competente. Baliani continuò a interessarsi della questione e pervenne in maniera indipendente alle stesse conclusioni cui erano giunti Beeckman a Dordrecht e Descartes ad Amsterdam, verificando che la salita dell’acqua nel sifone era generata, non dall’antico principio di stampo finalistico dell’horror vacui aristotelico, ma dalla pressione, uniforme, esercitata dall’aria. Il 24 ottobre 1630 Baliani mise a parte dei propri risultati sperimentali Galileo, che sosteneva la tesi di Erone Alessandrino, riguardo la mancanza di peso di acqua ed aria nei loro luoghi naturali. Nacque, così, la famosa querelle tra i savants parigini, guidati da padre Mersenne (Correspondance du Père Marin Mersenne, I, 524, 596, 620; II, 58, 212, 321, 478; III, 71, 90, 304, 388, 434, 633; IV, 454) e la scienza italiana di allora, conclusasi poi solo tra il 1657 e il 1661, grazie alle scoperte convergenti di Schott e Boyle, ottenute facendo tesoro delle fondamentali acquisizioni e risultanze di Torricelli e Pascal.
Galileo – con i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, stampati a Leida dagli Elzeviri nel 1638 – avrebbe dato forma definitiva ai suoi manoscritti scientifici giovanili tardo-cinquecenteschi, riguardo e al moto e alla meccanica, già circolanti, in maniera clandestina, in Olanda, Baliani lo precedette, di pochi mesi, pubblicando un suo trattato De motu naturali gravium solidorum, basato sulle medesime conclusioni galileiane e stampato a Genova, quel medesimo anno (una riedizione ampliata dal titolo De motu naturali gravium solidorum et liquidorum avrebbe visto la luce sempre a Genova, nel 1646). Stavolta senza richiamarsi al collega toscano, Baliani rivendicò con il suo libro l’originalità e la priorità delle sue scoperte risultanti da esperimenti risalenti al 1611, effettuati nella rocca di Savona (l’odierno Priamar), sulla «indipendenza della velocità di caduta dei gravi dal loro peso; e la stessa enunciazione delle proposizioni sull'isocronismo delle oscillazioni pendolari e di quelle riguardanti le proprietà del moto uniformemente accelerato». Baliani mandò a Galileo una copia della propria dissertazione, e confermò al gesuita Niccolò Cabeo la solo presunta priorità delle sue scoperte. Il fisico ignaziano ne avrebbe riferito, di lì a non molto, in occasione del suo Commentarius in Meteorologica Aristotelis (I, 88), stampato a Roma nel 1646 e libro chiave del sapere scientifico di area gesuitica in epoca barocca, lettissimo a Roma ancora negli anni di Cristina di Svezia e dell’Accademia fisico-matematica ciampiniana, grazie a padre Eschinardi.
Galileo si risentì non poco della cosa, come attesta una sua lettera del 12 marzo 1639 al nobile genovese Daniele Spinola. Il fisico genovese continuò, nondimeno, a sostenere la priorità delle sue scoperte, sostenuto da Cabeo e da Mersenne. Il minimo francese gli scrisse, il 25 ottobre 1647, che «ho gran gusto che Vostra Signoria mi habbia imparato per l’ultima sua che Galileo non sia il primo che ha osservato la proporzione del moto dei corpi gravi che cadono giù, perché io pubblicherò a tutti quanti che in ciò siete stato il primo osservatore, come l’ha confermato il Padre Cabeo, nel luogo citato da voi nelle sue meteore».
Al di là della polemica fra i due, Baliani e Galileo ebbero moltissimo in comune. Lavorarono, entrambi, con le bilance archimedee, e condussero esperimenti sull’isocronismo delle oscillazioni pendolari, rappresentate in forma geometrica. Baliani si occupò, inoltre, di arte iatrica e di politiche sanitarie, scrivendo un Trattato della pestilenza, pubblicato a Savona nel 1647 e ristampato, quindi, nel 1653. L’opera fa data nella storia dell’epidemiologia italiana, al pari di quella di padre Antero in merito alla peste genovese del 1656-1657.
Baliani fu un intelletto versatile e poliedrico. Si interessò a quasi ogni ramo del sapere, come molti enciclopedisti ed eruditi del suo tempo. Si rivolse, infatti, anche a selenografia, dottrina delle maree (negli stessi anni di Keplero e di De Dominis), atmosfera terrestre ed astronomia. Nel campo della cosmologia, l’aristocratico genovese accettò la teoria kepleriana (poi riconfermata da Newton, nei Principia del 1687) della spiegazione lunare delle maree. Per lui, sposare la scienza di Galileo – non solo la teoria fisico-geometrica del moto accelerato dei gravi, ma, anche e soprattutto, l’ipotesi cinetica – implicava supporre che la Terra, oltre ai movimenti di rotazione e di rivoluzione, avesse, pure, un moto periodico mensile. Una conclusione a suo parere incontestabile. Il problema rimaneva identificare astronomicamente e definire in linguaggio matematico tale terzo movimento. A Baliani, il quale faceva sempre derivare le ipotesi di spiegazione teorica da osservazioni sperimentali e dati strumentali a disposizione (in questo, come il danese Tycho Brahe, a Copenhagen e a Praga), pareva che la sola possibilità per salvare i fenomeni celesti fosse quindi far muovere il nostro globo, con un periodo eguale a quello della rotazione apparente della Luna. Secondo lui, tale espediente era anche un modo abbastanza convincente ed utile per andare incontro al modello copernicano. Ma Baliani si spinse molto più oltre. Di fatto, egli declassò la Terra a satellite della stessa Luna, supponendo che fosse il nostro pianeta a ruotarle attorno, girando a sua volta intorno al Sole centrale nel cosmo. Uno schema in parte pertanto selenocentrico – ma solo parzialmente, appunto – o meglio ancora seleno-eliostatico. Un modello dell’universo unico nel Seicento, così come in tutta la storia dell’astronomia di età moderna, molto poco considerato, di solito, dagli storici della scienza. Tra i pochissimi i quali ne hanno riferito, Lucio Russo vi ha visto un modello ultra-copernicano, che sarebbe errato leggere solo come una curiosa bizzarria di poco conto. In realtà, lo schema cosmologico balianeo – unendo, in una teoria scientifica unificata, ipotesi cinetica e dati osservativi – ebbe una funzione importante, ancorché oggi assai poco conosciuta, nella storia della dinamica celeste, rappresentando sul versante storico una sorta di ponte e di anello di congiunzione fra la meccanica terrestre galileiana e la nuova astronomia gravitazionale, newtoniana e inglese (non si dimentichino i contributi di Hooke riguardo la legge del quadrato della distanza). Vero è che Baliani non pubblicò mai i propri studi, a proposito delle maree o del modello luni-solare, peraltro già ellenistico. Soltanto nel 1651, il gesuita felsineo Giambattista Riccioli ne fornì una sintesi, sulle pagine del suo Almagestum novum. L’opera, oltre a confermare la stima scientifica di cui il patrizio ligure godeva, presso le cerchie ignaziane, garantì a Baliani il marcato interesse da parte dei membri del ceto colto di allora, attirando, sui suoi scritti, le attenzioni dei maggiori uomini di scienza, attivi verso la metà del Seicento. Per l’appunto, come si diceva, dopo Galileo e prima di Newton. Un periodo fra l’altro chiave per le scienze.
Baliani non lasciò purtroppo allievi, né riuscì a creare una scuola. La situazione per la scienza a Genova non era di certo buona, né lo sarebbe stata, successivamente, come confermato dai diari e dalle memorie dei viaggiatori francesi e inglesi, sei-settecenteschi. La vocazione degli abitanti della Liguria, terra stretta fra gli Appennini e il mare, era quasi solo rivolta a commerci e traffici di natura mercantile. La stessa Università, sorta con lentezza e fatica dalle ceneri del Collegio gesuitico, fra il 1774 e il 1784, avrebbe avuto un posto assolutamente secondario nei dibattiti della Repubblica delle Lettere tardo-illuministica. Né i Lumi a Genova attecchirono mai realmente, a differenza d’altrove.


Da Savona a Roma: la scienza peripatetica contro il galileismo toscano

Orazio Grassi (1583-1654), ignaziano savonese, fu un valido matematico e architetto. Studiò a Roma, entrando a ottobre del 1600 nel Noviziato di Sant’Andrea. Tre anni dopo, si trasferì presso il Collegio romano, dedicandosi a filosofia naturale e scienze esatte, soprattutto geometria euclidea, il campo di ricerca in cui eccelleva, all’epoca, la Compagnia di Gesù (Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, III, coll. 1684-1686; Polgar, Bibliographie sur l’histoire de la Compagnie de Jésus, III, 2, 96; Kristeller, Iter Italicum, III, col. 147b; IV, col. 389a; la raccolta gesuitica delle stampe e dei disegni relativi ai lavori di Grassi, nell’ambito dell’ingegneria edile, si trova, a Parigi, nel fondo antico della Nazionale).
Nel Collegio romano, Grassi rimase sino al 1610, approfondendo le matematiche e la teologia sotto la guida rispettivamente dei confratelli tedeschi Clavio e Grienberger. Nel 1614, ottenne poi di poter ritornare in Liguria, inviato dal generale dell’ordine a Genova, per rientrare a Roma, nel 1616, chiamato ad insegnare matematica al Collegio. Due anni più tardi, Grassi pronunciò i voti. Durante le sue lezioni, trattava in particolare questioni attinenti alla meccanica, alla cosmologia, all’ottica e alla scienza delle costruzioni. Ad uso didattico, pubblicò nel 1617 la De iride disputatio optica, con lo pseudonimo di Galeazzo Mariscotto. In questo periodo, il gesuita di Savona scrisse molto: di lui, ci sono rimasti manoscritti lo studio di gnomonica e fisiologia della visione, dal titolo Tractatus tres de sphera, de horologis ac de optica (1617) e un commento latino a Vitruvio del 1624, che segue da vicino le orme di Egnazio Danti. Come architetto, Grassi progettò la Chiesa di Sant’Ignazio, e fece, a Roma, approfonditi studi di statica e fisica tecnica. Il suo nome, peraltro, è rimasto legato – come, ampiamente, noto – alla sua disputa con Galileo sulla natura delle comete.
La controversia sorse a seguito della apparizione, nei cieli, di tre comete, nel 1618. All’inizio del 1619, Grassi fece stampare la sua De tribus cometis anni MDCXVIII disputatio astronomica, in cui affermò che la terza cometa apparsa l’anno precedente era un corpo celeste privo di luce propria e orbitante circolarmente in una traiettoria fra la Luna e il Sole. A questa tesi, si oppose, pochi mesi dopo, a Firenze, il Discorso delle comete di Mario Guiducci, ispirato da Galilei, il quale ribatté che le comete fossero, in realtà, addensamenti di vapori terrestri illuminati, dal Sole. Grassi nuovamente replicò in ottobre, con il trattato Libra astronomica ac philosophica qua Galilaei Galilaei opiniones de cometis, celandosi sotto lo pseudonimo di Lotharius Sarsius Sigensanus (anagramma di Horatius Grassius Salonensis). La dissertazione mirava a riassumere e prendere in esame tutte le teorie, allora proposte dagli studiosi di meccanica celeste, sull’origine dei fenomeni cometari, con una particolare attenzione (se non predilezione) verso il sistema geo-eliocentrico, modello astronomico apprezzato, allora, specie dai Gesuiti italiani, che non ebbero problemi ad accettarlo sul piano dottrinario.
Con Il Saggiatore, capolavoro metodologico del 1623, Galileo rispose a Grassi. Il titolo della storica pubblicazione galileiana non era tra l’altro affatto casuale, dato che il verbo ‘ saggiare’ stava ad indicare la bilancia di precisione (il modello galileiano era ancora una volta quello della statica di Archimede, grande riscoperta cinquecentesca), contrapposta alla comune e meno precisa ‘libra’. Nel Saggiatore, il grande pisano ribadiva la propria chiave di lettura, lasciando intendere, inoltre, la sua adesione all’atomismo meccanicistico democriteo (dove, nella dissertazione, si diffondeva a trattare della natura corpuscolare della luce). L’opera galileiana ebbe subito grande successo, presso i dotti della comunità scientifica, accolto inizialmente non notevole favore anche negli ambienti culturali della curia pontificia. Il Saggiatore, nella prima stampa, recava inoltre sul frontespizio lo stemma di famiglia di Urbano VIII Barberini, nonché l’emblema dell’Accademia dei Lincei (che aveva accolto Galileo tra il 1611 e il 1612, quindi oltre dieci anni prima).
Adirato, Grassi volle controbattere ancora. Rispose al Saggiatore con la Ratio ponderum, nel 1626, presentando pure al Tribunale dell’Inquisizione romana una denuncia, anonima, contro le tesi corpuscolariste galileiane. La cosa finì presto nel nulla, poiché a condurre le indagini furono quegli ecclesiastici favorevoli a Galileo che non erano, nella Roma di quegli anni, poco numerosi, nonché presenti nelle alte gerarchie della corte papale. La cosa sarebbe stata tuttavia rispolverata, nel 1632, all’indomani della stampa del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, in occasione dunque del processo e a Galileo e al copernicanesimo. Grassi, nel suo tentativo (personale e non solamente) di tacitare Galileo e la libertas philosophandi, ricoprì pertanto un ruolo non certo secondario e pure gli attriti fra i due furono alle origini delle vicende giudiziarie in cui incorse il matematico toscano, sino alla condanna davanti al Sant’Uffizio, nel 1633. Ai Gesuiti, diedero infatti enorme fastidio tutte le implicazioni teologico-religiose del ferreo nominalismo galileiano, una rigorosa applicazione del quale avrebbe potuto portare, ai loro occhi, a negare il dogma della stessa transustanziazione e dello stesso cerimoniale liturgico. Terminato nondimeno il processo con l’abiura di Galileo e la condanna dell’eliocentrismo copernicano, tutti i chierici intransigenti vennero allontanati da Roma. Grassi, in tale modo, poté fare ritorno nella sua città natale, per poi recarsi a Genova e costruire lì il Collegio nuovo di strada Balbi, divenuto in seguito la Biblioteca universitaria della città.
Sulla scienza genovese e in generale ligure, calò, da metà Seicento, una cappa di oscurantismo e decadenza intellettuale. Non per nulla, nella seconda metà del XVII secolo, Cassini – formatosi, anche lui, presso i Gesuiti – e Paolo Mattia Doria scelsero altri spazi per sé, il primo spostandosi a Bologna e poi nella Parigi del Re Sole, il secondo migrando a Napoli, ove divenne grande amico di Vico e caposcuola riconosciuto – neoplatonico e neopitagorico – della corrente dei veteres, contro i novatores. Con il secolo dei Lumi, per Genova e per la Repubblica ligure, la situazione complessiva non cambiò, lasciando margini di azione ridottissimi alla nuova scienza sperimentale e ai più recenti fermenti culturali. Chi poteva, si faceva mandare in missione diplomatica altrove: Ageno a Londra, Celesia in Francia, in Inghilterra e Spagna. Per chi scelse di restare – Agostino Lomellini, finissimo geometra ed accademico, gran seguace dell’enciclopedismo, amicissimo e primo traduttore italiano di d’Alembert – la sola via era quella del ripiegamento interiore. Intorno, il deserto o quasi.

Nel caro ricordo dell’amico Fausto Bagnus


Nell'immagine, la copertina de la Libra astronomica ac philosophica di Orazio Grassi.


Bibliografia

Fonti primarie

Giovanni Battista BALIANI, Opere diverse, Franchelli, Genova, 1792 (prima stampa 1666).
Orazio GRASSI, Libra astronomica, Naccarini, Perugia, 1619.
Orazio GRASSI, De tribus cometis anni MDCXVIII disputatio astronomica, Mascardi, Roma, 1619.
Orazio GRASSI, Ratio ponderum, Nucci, Napoli, 1627.
Eustachio MANFREDI, Replica ad alcune considerazioni nella materia delle acque, Gonzaga, Roma, 1717.
Eustachio MANFREDI, Ragioni contra l’introduzione del Reno nel Po, Benacci, Bologna, 1746.


Letteratura secondaria e studi critici

AA.VV., Il porto di Genova, Alfieri, Milano, 1963.
AA.VV., Catalogo della mostra tecnico-storica del porto di Genova, Olcese, Genova, 1953.
Davide ARECCO, Genova, Firenze e Londra. Viaggiatori italiani in Inghilterra, tra Seicento e Settecento, Città del silenzio, Genova, 2023.
Ugo BALDINI, Legem impone subactis. Studi su filosofia e scienza dei gesuiti in Italia, 1540-1632, Bulzoni, Roma, 1992.
Carlo BRICARELLI, Il Padre Orazio Grassi, architetto della Chiesa di Sant’Ignazio in Roma, in Civiltà cattolica, LXXIII, 1922, pp. 13-25.
Gian Luigi BRUZZONE, Orazio Grassi e la sicurezza della navigazione, in Societas, XXXV, 1986, pp. 96-101.
Dino CINTI, Biblioteca galileiana, Sansoni, Firenze, 1957.
Bernard COHEN, La rivoluzione newtoniana, Feltrinelli, Milano, 1982.
Giuseppe COSENTINO, Le matematiche nella Ratio studiorum della Compagnia di Gesù, Istituto di Storia moderna e contemporanea, Università di Genova, 1970.
Giuseppe COSENTINO, Religione, didattica e cultura nel Collegio genovese, in Il palazzo dell’Università di Genova. Il Collegio dei Gesuiti nella strada dei Balbi, Università di Genova, Genova, 1987, pp. 109-115.
Giuseppe COSENTINO – Laszlo LUCAKS, Church, culture and curriculum. Theology and mathematics in the Jesuit Ratio studiorum, Saint Joseph’s University Press, Filadelfia, 1999.
Claudio COSTANTINI, Un battello insommergibile ideato da Orazio Grassi, in Nuova Rivista storica, L, 1966, pp. 731-737.
Claudio COSTANTINI, Baliani e i gesuiti, La Nuova Italia, Firenze, 1969.
Claudio COSTANTINI, La Repubblica di Genova nell’età moderna, Utet, Torino, 1978.
William DAMPIER, Storia della scienza, Einaudi, Torino, 1953.
Augusto DE FERRARI, Benedetto Castelli, in Dizionario biografico degli Italiani, XXI, 1978, ad vocem.
Stillman DRAKE, Galileo. Una biografia scientifica, Il Mulino, Bologna, 1988.
Stillman DRAKE, Galileo Galilei pioniere della scienza, Muzzio, Padova, 1992.
Enzo GRILLO, Giovanni Battista Baliani, in Dizionario biografico degli Italiani, V, 1963, ad vocem.
Gianfranco FAINA, Storia della tecnica, Marzorati, Milano, 1966.
Gianfranco FAINA, Ingegneria portuale genovese del ‘600, Giunti Barbèra, Firenze, 1968.
Gianfranco FAINA, L’evoluzione della scienza e della tecnica, Marzorati, Milano, 1969.
Gianfranco FAINA, Metodi genovesi di costruzione e conservazione dei porti nel Seicento, in Les grandes escales, II, Les temps modernes, Éditions de la Librairie Encyclopédique, Bruxelles, 1972, pp. 296-297.
Antonio FAVARO, Galilei e il padre Orazio Grassi, in Memorie del Regio Istituto veneto, XXIV, 1891, pp. 203-220.
Umberto FORTI, Storia della tecnica, Sansoni, Firenze, 1957.
Alexandre KOYRE’, Studi galileiani, Einaudi, Torino, 1976 (ristampa 1979).
Carlo MACCAGNI, Scienza e arte militare in Giovanni Battista Baliani, in La storia dei genovesi, V, 1986, pp. 423-427.
Bronislaw MALINOWSKI, Teoria scientifica della cultura e altri saggi, Feltrinelli, Milano, 1974.
Renzo MORCHIO, Una biografia della scienza, Mursia, Milano, 2005.
Luciana MULLER PROFUMO, Orazio Grassi ed il Collegio dei Gesuiti a Genova, in Miscellanea storica ligure, XIX, Dipartimento di storia moderna e contemporanea, Università di Genova, 1984, pp. 393-405.
Alpinolo NATUCCI, Giovanni Battista Baliani, letterato e scienziato genovese del secolo XVII, in Atti della Accademia ligure di scienze e lettere, XV, 1960, pp. 13-27.
Cesare PRETI, Orazio Grassi, in Dizionario biografico degli Italiani, LVIII, 2002, ad vocem.
Giovanni ROTONDI, Due trattatelli inediti del Padre Orazio Grassi, in Rendiconti del Regio Istituto lombardo di scienze e lettere, LXII, 1929, pp. 261-266.
Lucio RUSSO, Flussi e riflussi. Indagine sull’origine di una teoria scientifica, Feltrinelli, Milano, 2003.
Lucio RUSSO – Emanuela SANTONI, Ingegni minuti. Una storia della scienza in Italia, Feltrinelli, Milano, 2010 (ristampa 2019).
Maurizio TORRINI, Giovanni Ciampoli filosofo, in Novità celesti e crisi del sapere, Giunti Barbèra, Firenze, 1984, pp. 267-275.
Maurizio TORRINI, Galileo copernicano, in Giornale critico della filosofia italiana, XIII, 1993, pp. 26-42.
Maurizio TORRINI (a cura di), La diffusione del copernicanesimo in Italia, Olschki, Firenze, 1997.
Maurizio TORRINI (a cura di), Science et religion de Copernic à Galilée, Ecole Française de Rome, Roma, 1999.
Giovanni VAILATI, Scritti, Seeber, Firenze, 1911.
Vito VITALE, Breviario della storia di Genova, Società ligure di storia patria, Genova, 1955.
Lynn WHITE, Tecnica e società nel Medioevo, Il Saggiatore, Milano, 1976.
Documento inserito il: 28/09/2024
  • TAG: Seicento, nuova scienza, Gesuiti, storia della cultura italiana, fisica, teologia, matematiche, architettura, galileismo, storia politica e istituzionale, storia moderna, Genova

Note legali: il presente sito non costituisce testata giornalistica, non ha carattere periodico ed è aggiornato secondo la disponibilità e la reperibilità dei materiali. Pertanto, non può essere considerato in alcun modo un prodotto editoriale ai sensi della L. n. 62 del 7.03.2001.
La responsabilità di quanto pubblicato è esclusivamente dei singoli Autori.

Sito curato e gestito da Paolo Gerolla
Progettazione piattaforma web: ik1yde

www.tuttostoria.net ( 2005 - 2023 )
privacy-policy