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Giovanni Benedetto Castiglione detto il 'grechetto' [ di Paola Pettinotti ]

Cenni biografici

Gio. Benedetto Castiglione viene battezzato il 23 marzo 1609 nella chiesa delle Grazie a Genova. Secondo il Soprani l’artista studiò lettere umane, quindi viene messo a bottega presso Gio.Battista Paggi, dove è documentato dal ’26 al ’27. A seguito della morte del Paggi frequenta altre botteghe genovesi, fra cui quella di Gio. Andrea De Ferrari , di Van Dyck e di Sinibaldo Scorza.
Da questa matrice formativa genovese e fiamminga, l’artista desume alcune qualità peculiari del suo futuro operato: il gusto animalistico mutuato principalmente dallo Scorza e dal Roos; i brani di natura morta tipici dell’attenzione lenticolare dei fiamminghi verso la realtà oggettuale; nonchè il solido impianto teorico-filososfico fornitogli dal colto entourage della bottega del Paggi, la cui ricca biblioteca e collezione di stampe fornirono al giovane pittore i supporti iconografici anche per le opere future. Mutua inoltre da Rubens e van Dyck la tecnica del pennello asciutto, che avrà un ruolo di grande rilievo nella sua produzione grafica.(2) Fra il 1627 e il 1631 il Castiglione parte per Roma per ultimare la propria formazione, e risulta dal ’32 al ’34 negli archivi dell’Accademia di S.Luca. Di questo periodo è il dipinto datato 1633 che raffigura il Viaggio di Giacobbe (New York, Coll. Privata) il cui paesaggio idealizzato testimonia la conoscenza di Claude Lorrain e soprattutto del Poussin, autore a cui il Grechetto spesso si rifarà anche a livello tematico e iconografico, in quanto le composizioni ispirate all’antichità e alla cultura classica di questo artista ben si adeguavano all’erudizione filosofica del nostro.
Oltre al già citato Viaggio di Giacobbe esegue numerosi Viaggi patriarcali (tanto da essere indicato in un documento del ’35 come uno il quale dipingeva spesso li viaggi di Giacobbe), probabilmente per un mercato collezionistico relativamente modesto e non su commissione. A questi anni è riconducibile Le lacrime di S. Pietro, che ripete nell’impostazione della figura principale una stampa del Ribera datata 1621, mentre i drappi blu ricordano analoghi brani in Poussin.
Nel ’35 si trasferisce a Napoli, dove si possono individuare alcune tangenze fra le sue opere e quelle di Aniello Falcone e del suo entourage. Le opere di questo periodo sono perdute e ne restano solo alcuni cenni documentari.
Forse in seguito tornò a Roma dove però non è documentato, quindi nel 1639 raggiunge nuovamente Genova.
A questo periodo risalgono le principali opere di destinazione pubblica, come la Natività di S.Luca (1645), S.Giacomo che scaccia i Mori per l’Oratorio di S.Giacomo della Marina e la Visione mistica di S. Bernardo oggi nella chiesa di S.Maria della Cella. Inoltre compone, probabilmente per gli Spinola, I Quattro Elementi, e alcune tele per Gerolamo Balbi, raggiungendo in queste opere un nuovo livello di complessità nonchè un nuovo senso del monumentale e del drammatico, frutto della lezione romana, mentre la tavolozza si inclina verso il colorito veneziano.
Oltre che come pittore in questo periodo si afferma come incisore, soprattutto in acquaforte (Temporalis Aeternitatis è del ’45, poco successive Diogene, Melanconia, La fuga in Egitto) , rivelando una forte attrazione per il chiaroscuro rembrandtiano, mentre a livello tematico si moltiplicano gli argomenti eruditi e filosofici, oltre a quelli religiosi e mitologici. Per intensificare gli aspetti notturni delle proprie stampe, ed enfatizzarne l’espressionismo, crea il monotipo (3), mezzo con cui spesso riproduce composizioni precedenti, il più delle volte rovesciate rispetto all’originale.
Nel 1647, secondo il suo biografo Niccolò Pio, si vede rifiutato una pala commissionatogli dai Lomellini per la SS. Annunziata del Vastato, e a seguito di questa delusione si reca di nuovo a Roma, dove per un periodo rifiuta di dipingere ma si dedica al disegno astrologico sotto la protezione del mercante d’arte Pellegrino Peri. È di questo periodo l’incisione con Il genio del Castiglione, un’orgogliosa affermazione artistica della propria fama e eccellenza. Nel 1647 riceve la commissione per la pala con L’Immacolata venerata dai santi Francesco e Antonio da Padova per la famiglia Fiorenzi di Osimo ( oggi al Minnesota Institute of fine Arts).
Dal 1651 alla metà del 1655 torna a Genova, dove gli vengono commissionati sei dipinti da Ansaldo Pallavicino, fra cui un Viaggio di Abramo e una Circe, in cui, pur ripetendo molte delle sue composizioni già precedentemente svolte, il ductus risulta più sciolto, avvicinandosi agli esiti delle opere tarde di Tiziano e del Veronese; scioltezza e velocità di stesura confermate dall’indagine IRR che riscontra una realizzazione alla prima con poca preparazione sottostante. Inoltre nel 1654 dipinge il Miracolo di Soriano per la Cappella dei Lombardi in S.Maria di Castello.
Dagli anni ’50 il connotato monumentale della sua pittura si accentua ancora, soprattutto nel pendants Allegoria in onore del duca di Mantova e Temporalis Aeternitatis (1655), nonchè nell’imponente Allegoria in onore del duca di Mantova del 1660, grandi tele che attestano i rapporti con i Gonzaga intercorsi già a partire dall’inizio del decennio, per quanto egli risulti documentato a Mantova solo in tre brevi periodi nel 1659, nel ’61, e dal ’63 fino alla morte, avvenuta in questa città il 5 maggio 1664.

La produzione di argomento sacro.
Definito come uno il quale dipingeva spesso li viaggi di Giacobbe, il Grechetto deve in parte alla sua grande abilità di animalista il proprio successo, come testimonia l’alto numero delle sue opere riscontrabile negli inventari delle quadrerie genovesi.
Secondo il Ratti: i soggetti sacri più suoi preferiti erano: Dio padre, che crea gli animali; Noè, che entra nell’Arca, o che ne esce; Abramo, che sta per sacrificare il figlio; Giacobbe, che presenta la gradita vivanda al cieco genitore Isacco; Gesù che discaccia i venditori e i compratori dal Tempio; e simili, presi dai libri divini. (4) Visto che questi soggetti offrivano il destro ad ampi stralci di nature morte e a molteplici raffigurazioni d’animali, non stupisce avesse un largo successo presso la committenza genovese, in cui da tempo era vivo il gusto per la pittura di genere di matrice nordica.
Considerare però il Castiglione un mero animalista, o bambocciante, sarebbe alquanto riduttivo, trattandosi invece di un artista raffinato, dalla profonda cultura letteraria e filosofica, le cui opere, di difficile lettura, racchiudono messaggi interpretabili a diversi livelli..
Oltre infatti alla formazione presso la bottega del Paggi, vivo centro di dibattito culturale, si ascrivono al nostro raffinate frequentazioni romane nella cerchia del Poussin e di Cassiano Dal Pozzo, mentre in ambito genovese fu in contatto con Anton Giulio Brignole Sale, autore di una larga produzione letteraria sia profana che religiosa, e con Agostino Mascardi.
Verso la metà del ’600 si riscontra in ambito genovese un mutamento nel gusto della committenza, che da scelte iconografiche (inerenti soprattutto l’affresco) volte all’esaltazione del potere familiare tramite scene eroiche e narrative, legate in particolar modo ad episodi bellici, passa a prediligere immagini allegoriche in cui valori e simboli risultino mediati dal richiamo mitologico, fermo restando il messaggio finale indirizzato all’ epos famigliare.
Il Castiglione si inserisce a pieno titolo nella linea di tendenza intellettualizzante e criptica, che si oppone alla larga comunicazione e alla chiarezza richiesta da i dettami post-tridentini.
Ad esempio, ricorre in molte sue opere uno schema compositivo che pone in primo piano gli elementi secondari, di genere, in un affastellamento cromatico e materico che affascina l’occhio e lo coinvolge; mentre il vero argomento della tela è spostato verso il fondo, quasi nascosto, trattato con un ductus più vago, quasi evanescente, che contrasta con la precisione degli oggetti esibiti sul proscenio. Il rimando intellettuale di questa impostazione è l’offrire una chiave di lettura limitata a pochi eletti, a chi riesce ad andare oltre le apparenze della materia, carnalmente esibita in primo piano come esca, ma oltrepassandola sa raggiungere il vero senso dell’evento. Usando le parole del Marino, acciocchè i divini arcani si tenessero alla gente vulgare appannati e occulti( 5)
Operando però in questo modo, l’autore contravviene sistematicamente agli indirizzi forniti dalla controriforma; il Paleotti infatti afferma che: Delle pitture... altre sono che, se bene paiono infruttuose, nondimeno non è così e servono per ornamento, et imitando il vero terminato dalla ragione dell’arte, figurano compartimenti di broccati, ricami, fregi, marmi, porfidi, bronzi.... Queste non riproviamo, nè mettiamo propriamente in numero delle vane, purchè siano fatte con il suo decoro et proporionate ai luoghi., mentre Federico Borromeo, nel De Pictura sacra, precisa ulteriormente che: Si deve poi altamente biasimare l’imperizia di quelli che, nella descrizione del campo pittorico, pongono gli accessori al primo posto e il principale e il tema dell’opera quasi velano e occultano....Molto più opportunamente si sarebbe rappresentata quella varietà di scene in un’altra tavola, consacrando invece tutta quella tavola alla figura per la quale era stata preparata. (6)
Bisogna tuttavia notare che nelle opere del Castiglione l’uso d’anteporre gli accessori ed occultare il tema ricorre preponderante nelle scene tratte dall’Antico Testamento, mentre le iconografie tratte dal Nuovo o connesse alle vite dei Santi appaiono a prima vista più conformi alle direttive.
In realtà anche in queste opere sottili variazioni inficiano una lettura univoca e alla prima suggerendo nuovi contenuti e rimandi, pur all’interno di schemi accreditati.
Risulta evidente, fin dalle prime opere, come il Castiglione solesse comporre le proprie creazioni utilizzando brani di autori diversi come elementi da riassemblare in vario modo, in questo non discostandosi dal principio di Santo plagio” invocato in difesa della fede dalla Controriforma, in particolare dal Bellarmino e dal Possevino, che non solo legittimavano la copia ma la invocavano in antitesi ai rischi introdotti dalla novità. Malgrado però la apparente adesione ai dettami sopraccitati, gli esiti del Castiglione vertono in tutt’altra direzione, visto che in lui l’impadronirsi delle figure altrui diviene stimolo ad un arricchimento di significati ulteriori, trasmutando le iconografie originali in soluzioni originalissime.
Pur nell’amplissima produzione sacra dell’autore, si possono individuare alcuni nuclei tematici più volte ripetuti, benchè con notevoli varianti: ovvero viaggi di Patriarchi e tematiche legate a Noè, desunti dall’ Antico Testamento; mentre per quel che riguarda il Nuovo Testamento, pare prediligere scene incentrate sulla Natività e Adorazione di pastori e sulla Crocifissione

Analizziamo queste ultime due tematiche argomentali:

Natività e adorazione dei pastori. Per quel che riguarda la postura della Vergine nelle rappresentazioni della Natività, il Concilio di Trento si rifece alla lettura dell’evento data da Marcos Eugenicos, ovvero: La Vergine, avendo partorito sena sofferenza, non è stanca nè pallida, non prova il bisogno di stendersi, ma siede gravemente come una regina e i Magi prosternati adorano il Re Bambino retto fra le sue mani. .(7)
Tuttavia in genere più che a queste parole, gli artisti tendono a rifarsi alla visione di Santa Brigida, che afferma di avere visto Maria in ginocchio in adorazione davanti al Bambino.
E quella dell’adorazione è in effetti la postura in cui ritroviamo la Vergine in tutte le opere del Castiglione.
Analizzando la Natività della chiesa di S.Luca (1645) riscontriamo che la composizione della tela presenta a destra un affollamento di figure che fanno da contraltare all’isolamento della Vergine sul lato sinistro, alle cui spalle si apre uno squarcio di paesaggio che rivela un’ascendenza poussiniana.
La Vergine con il Bambino divengono il fulcro di una raggiera di linee formate dai personaggi di destra ( le mani giunte del pastore, il gesto di Giuseppe, il corpo del suonatore di dulciana), mentre lo spazio superiore è scandito da un volo sincopato d’angeli, che se si rifanno alla lezione romana possono tuttavia anche richiamarsi alla rubensiana Circoncisione della Chiesa del Gesù.
Per quanto riguarda l’illuminazione della scena, per quanto sia indubbio provenga da destra, mi permetto di non accettare l’affermazione del dott. Magnani secondo la quale essa promana dal giaciglio del Salvatore Bambino (8), in quanto il volto della Madonna presenta l’ombra portata del naso e labbro inferiore e curva della mascella in basso, come se la luce piovesse dall’alto, e non verso l’alto, come accadrebbe ad un volto che riceve illuminazione dal basso.
Secondo il Màle il primo esempio di Bambino luminoso è databile al 1530 per mano del Correggio, mentre Rèan sottolinea come lo si ritrovi già in area nordica in pale di Peterus Christus e di Tot Sint Jans, e ritiene che abbia come origine testuale la Visione di S. Brigida, che, nel XIV sec., affermava di aver visto come lo splendore luminoso del Bimbo oscurasse totalmente lo splendore materiale della candela accesa da Giuseppe.
Indipendentemente dalla visione della Santa , il Bambino radioso può essere anche una trasformazione dell’iconografia ancora bizantina della luce della stella cometa che si addensa verso il basso seguendo un unico fascio a indicare il Redentore.
Nell’opera del Castiglione presa in esame, comunque, il concetto di Gesù luminoso è, sottolineato dall’aureola raggiante del Bimbo, diversa da quella circolare posta sul capo della Sacra Famiglia. L’aureola raggiante si riscontra anche in altre Natività dell’autore, sempre e solo sul capo di Gesù, ma non in tutte: ad esempio nell’Adorazione del Louvre il Bimbo ha un’aureola tonda, mentre è addirittura sprovvisto di aureola nel disegno con il medesimo soggetto di Venezia, nel monotipo dell’Albertina, nel’’acquaforte Natività con il Padre Eterno, lo Spirito Santo e due angeli, e nella Natività con tre angeli di Palazzo Rosso.
A confermare l’identità simbolica fra Cristo e la luce, vi è anche la lampada spenta sotto la mangiatoia, rinvio alla luce del paganesimo ormai superata dalla vera fede, lampada per altro iconograficamente identica a quella che si riscontra nel Diogene che cerca l’uomo del Prado, ma che compare anche legata al’asino nell’acquaforte La fuga in Egitto di Pavia.
Sulla colonna alle spalle della Vergine si arrampica dell’edera, simbolo di resurrezione, mentre curiosa è la presenza dei cani, ripetuta anche nella Natività di Londra.
Il cane può, essere simbolo di fedeltà, o essere letto nell’accezione di un rinvio all’ordine monastico dei domenicani, ma non è comunque di un animale usuale nelle Adorazioni. D’altro canto, non pare neanche che l’autore avesse una personale predilezione per questo animale: facendo una veloce analisi quantitativa, la rilevanza del cane nelle opere del Grechetto comprendenti vari animali, siano esse di soggetto pagano o cristiano, non è significativa. ( 9) È quindi credibile che la loro presenza sottolineata abbia un significato simbolico preciso.
Per quel che riguarda la presenza dei pastori intorno al presepe, la fonte testuale è il Vangelo di Luca: Pastores venerunt festinantes et invenerunt mariam et Joseph et infantem positum in praesepio. (Luca, 2, 15-21). (10)
In genere, i pastori, in numero di due o tre ( in parallelo con la Santa Famiglia o con i Magi) rappresentano gli ebrei, così come i Magi rappresentano i gentili.
Anche i doni che essi tradizionalmente portano hanno significati simbolici: l’agnello con le zampe legate rimanda al sacrificio di Gesù; il vincastro, cioè il bacchetto di vimini usato per condurre le greggi, a Gesù pastore di anime, ma anche prefigurazione del flagello della passione; mentre la zampogna significa che fedeli seguiranno Cristo come un nuovo Orfeo.
Dopo il Concilio di Trento, in ricordo dell’arte primitiva cristiana, il pastore èspesso raffigurato come Buon Pastore.
Nel caso della Natività, del Castiglione presa in esame, la zampogna tradizionale diviene una dulciana, ma il pastore che la suona in primo piano richiama palesemente la figura di un satiro, simboleggiando forse nella sua genuflessione il piegarsi del paganesimo alla Vera Fede, in un discorso di integrazione sincretica del mondo classico con quello cristiano.
Appaiono inoltre il bue (nella Natività di Londra) e l’asino (nella Natività di S.Luca), per quanto la Controriforma avesse proposto di allontanarli dall’immagine, in quanto poco nobili e apocrifi.
Si tratta di due animali dalla radicata valenza simbolica: in Egitto l’asino rosso incontrava l’anima dopo la morte, mentre veniva sacrificato a Delfi dai greci. Gesù entra in Gerusalemme su un’asina bianca, simbolo di umiltà (Mt. 21, 2) mentre secondo il Libro dei numeri l’asino è l’animale che capisce Dio più di quanto riescano gli stessi uomini ( Nm, 22, 22). A sua volta il bue, simbolo di fora e pazienza, era considerato sacro in Asia orientale e animale sacrificale in Grecia.
Nella parte bassa della tela si riscontano dei particolari secondari che potrebbero avere essi pure riscontri simbolici: a fianco del cesto di vimini rovesciato infatti si nota una chiocciola, o lumaca, vicino a un rametto di legno secco. La chiocciola potrebbe significare il peccato o più, in particolare la pigrizia, mentre il legnetto, posto ovviamente che non sia un particolare puramente decorativo, un rimando al legno della croce e quindi alla Passione.
Il bastone di legno si riscontra per altro in analoga posizione anche nella Natività di Londra, e nella Natività con il Padreterno, lo Spirito Santo e due angeli, Roma.
La variante iconografica più, significativa, comunque, rimane la presenza di turibolo e navicella fra le mani degli angeli in volo, riscontrabile anche nella Natività di Londra, e nella Natività, con Dio e Angeli della Sabauda.
Dato che l’incensazione è liturgicamente riservata al Sacramento, il Castiglione identifica il momento dell’apparizione del Dio-uomo nel mondo con la fruizione rituale del Dio-ostia che si svolge quotidianamente nella Messa.
Un’altra variante iconografica che ricorre in varie incisioni e disegni che hanno per soggetto la Natività, è, l’irruzione di Dio Padre sorretto da angeli che scende da uno squarcio fra le nuvole, con un lembo del mantello a formargli come un nimbo o arco introno al capo.
Si tratta di una teofania per tutto simile a quella raffigurata nell’Allegoria dell’Eucarestia di Firenze, in Dio appare a Giacobbe di New York e nei vari Sacrifici di Noè.
Particolarmente interessante a livello di lettura simbolica è la Natività con il Padreterno, lo Spirito Santo e due angeli di Roma. Quest’acquaforte, oltre a Dio Padre, comprende anche lo Spirito Santo che da Egli promana verso il gruppo Vergine-Bambino, e quindi potrebbe essere letta come una contaminatio fra una Natività e un’Annunciazione, vista anche la postura dell’angelo in basso a destra. Inoltre in primo piano il suolo presenta una specie di scalino che potrebbe essere letto come un sepolcro aperto, vista una certa attinenza con quello che appare nell’acquaforte Teseo trova le armi del padre di Bologna. Il bastone che si appoggia di sbieco a questo sepolcro potrebbe essere un rinvio al legno della croce: verremo così ad avere un’opera in cui viene ad essere sintetizzata per simboli tutta la parabola cristologica, dall’annunciazione alla resurrezione passando per la nascita e la Croce.

La Crocifissione
Un’altra tematica neotestamentaria ricorrente nella produzione del Castiglione è quella inerente alla crocifissione di Cristo. Il punto di riferimento iniziale è indubbiamente Van Dyck, pur risentendo della composizione del Sangue di Cristo del Bernini, a sua volta ispirata dagli scritti di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi.
Non si tratta di composizioni storiche ma di una meditazione sulla passio Christi, seguendo i dettami degli Exercitia spiritualia di Ignazio di Loyola, basati proprio sulla compartecipazione mistica del fedele all’evento sacro attraverso il potere dell’immagine, con una particolare attenzione agli strumenti di martirio. Infatti fu proprio per volere dei gesuiti che nel 1582 in S.Stefano Rotondo vennero affrescate scene di martirio inerenti i primi martiri della Chiesa, filologicamente corrette e con la legenda, dove appunto detti strumenti campeggiavano per la meditazione pietistica dei fedeli. Così le immagini della Crocifissione del Castiglione possono essere ascritte all’esaltazione del dogma, antistorico, normativo e disciplinare, voluto dalla chiesa post-tridentina, i cui appelli alla chiarezza delle immagini e al recupero storico delle stesse vertevano in realtà verso un fine apologetico, esemplare e celebrativo, non propriamente realistico. A livello compositivo le Crocifissioni del Castiglione presentano la Croce in posizione dominante con in basso un gruppo di figure che si stagliano contro un cielo tempestoso appena accennato.
Nella Crocifissione di Palazzo Bianco il gruppo delle Marie e S. Giovanni è sulla destra, mentre in terra a sinistra giacciono un piatto e forse una lancia. Potrebbero essere raffigurazioni del Graal e della lancia di Longino, e in questo caso la forma piatta del Graal sarebbe un richiamo formalmente corretto all’origine storica e concreta del recipiente in questione, non coppa, come comunemente interpretato, ma oggetto da cucina ( il gradale appunto) atto a contenere dei cibi. Stupisce però, la matericità, metallica dell’oggetto, essendo il Grechetto genovese e quindi senz’altro a conoscenza del piatto ottagono in vetro verde custodito nella Cattedrale e all’epoca ritenuto il vero Santo Graal.
Nel Cristo crocifisso, le Marie e S,Giovanni ai piedi della croce di Genova, coll. priv., si riscontra un’analoga composizione ma il gruppo di figure è, spostato sulla sinistra.
Nel disegno Cristo crocifisso compianto dagli angeli di Windsor Castle manca il gruppo di figure sottostante ed è sostituito da un volo di angeli sulla sinistra, mentre due serafini sulla destra bevono il sangue dai piedi di Cristo, analogamente a quanto appare nella Visione mistica di S. Bernardo della chiesa di S. Maria della Cella. Per terra a sinistra si distinguono un piatto simile a quello della Crocifissone di Palazzo Bianco, un vaso e un bastone.
Nel monotipo Cristo in croce di Parigi invece campeggia isolata la figura di Cristo, mancando ogni altra figura o riferimento compositivo, fuorchè una linea dell’orizzonte fortemente ribassata.
Questa breve indagine iconologica ovviamente non vuol essere esaustiva, non comprendendo le tele di destinazione pubblica legate al culto dei santi, nè disegni e stampe di soggetto religioso non riconducibile ai due temi presi in esame nel presente saggio, ed essendovi soprattutto molte opere di argomento apparentemente pagano che offrono invece una possibile lettura in chiave cristologica, quali ad esempio quelle che trattano di Orfeo o di Pan, ascrivibili al dibattito, vivissimo in ambito romano, sulla continuità fra il paganesimo e il cristianesimo, in cui il primo termine veniva rivalutato non solo rifacendosi alla priorità estetica del mondo classico ma anche a livello simbolico e filosofico.

di Paola Pettinotti


Note
(1)I dati riportatati sono stati desunti da: Thimothy STANDRING in: Il genio di G.B. Castiglione, il Grechetto, Sagep, Genova 1990

(2)Il pennello imbevuto d’olio viene passato nel pigmento in polvere e quindi fatto correre sul foglio, con una tecnica simile a quella dell’acquerello, ottenendo di volta in volta colori densi e opachi o lievi e trasparenti a seconda della quantità d’olio addizionata al pigmento.

(3)La lastra viene inchiostrata completamente, quindi il disegno viene tracciato con una punta variamente sottile che rimuove l’inchiostro, di modo che sul foglio stampato risultino tratti bianchi su fondo nero. Sfumando l’inchiostro si possono ottenere varie gradazioni di grigio che conferiscono profondità alla scena, mentre gli scavi bianchi delle linee creano effetti di luce abbaglianti. Il Grechetto ha operato anche tramite monotipo su fondo bianco, in cui il disegno è tracciato sulla lastra con un pennello, e quindi i segni lasciati dall’inchiostro vengono ulteriormente elaborati con una punta.

(4)In: Federica LAMERA, La pittura in Liguria, il secondo seicento. Sagep. Genova, 1990 p.172

(5)In: Lauro MAGNANI, La pittura in Liguria, il secondo seicento p.266

(6)In: F. BOLOGNA, L’incredulità, di Caravaggio. p.130

(7)In: Louis Réan, Iconographie de l’art chrétienne Paris, 1957 vol. II tomo II p. 218

(8)Lauro MAGNANI , Il genio….. p. 119

(9)Analisi quantitativa su un campione di opere in cui appaiono vari animali:
Natività di S. Luca: cani n° 1
Natività del Louvre: cani n° 2
Circe di Milano: cani n° 0
Circe di New York: cani n°0
Circe dell’Ordine di Malta: cani n° 1
Orfeo di Roma: cani n°3 (su 51animali)
Educazione di Bacco di Torino: cani n°1
Offerta al Dio unico di Ottawa: cani n° 1
Viaggio biblico di Rouen: cani n°2
Sacrificio di Noè di Genova: cani n° 0
Viaggio di Abramo di Genova: cani n°1

10) REAN op. Cit.
Documento inserito il: 23/12/2014
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