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Tre temerari sulle macchine volanti

di Francesco Caldari


Si vola a Kitty Hawk

Tutto ebbe inizio a Kitty Hawk, contea di Dare, nella Carolina del Nord, Stati Uniti. Era il primo aereo ad alzarsi in volo, progettato da Orville e Wilbur Wright. Il 17 dicembre 1903 i due fratelli testarono con successo una “macchina volante più pesante dell’aria”, pilotata da un essere umano (il Flyer, primo velivolo a motore), che spinta su una rotaia decollò con la potenza del proprio propulsore e rimase in volo al primo tentativo per 12 secondi e, dopo aver percorso 36 metri, atterrò senza troppe scosse.
In molte parti del mondo si alzò la temperatura della febbre del volo. Pure in Italia l'aviazione visse un periodo di grande fermento e innovazione, con figure chiave che ne hanno segnato la storia. In questa nostra breve cronaca ci occuperemo di tre dei numerosi pionieri che sfidarono la forza di gravità: Mario Calderara della Regia Marina Militare, Ernesto Cabruna dei Carabinieri Reali e Luca Bongiovanni della Regia Guardia di Finanza.
Ci volle qualche anno da quel primo volo a Kitty Hawk perché un nostro pilota fosse riconosciuto in grado di condurre un aereo sì da acquisire la certificazione ufficiale. A dare il viatico fu, di fatto, proprio Wilbur Wright a seguito di un corso appositamente tenuto sul territorio italiano. Wilbur fu invitato nel contesto di quel crescente interesse per l'aviazione in Italia che aveva l’ambizione di formare piloti nazionali. Chiamato dal Circolo degli Aviatori di Roma - co-fondato dal maggiore Maurizio Moris comandante della, nel frattempo, appositamente formata Brigata Specialisti del Regio Esercito - arrivò il 1° aprile 1909 in treno a Roma da Parigi. Portava con sé il Flyer N°4, costruito su licenza in Francia dalla ditta Bariquand & Marre, smontato e posto dentro alcune casse, e rimase nella Capitale sino al 26 aprile. Ricomposto il suo aereo, per la somma di 25.000 lire compì 67 voli su un primordiale campo di volo a Centocelle, inclusi alcuni con passeggeri. Il campo (conosciuto allora come “pratone”) era già stato utilizzato dal 1884 dal tenente Alessandro Pecori Giraldi che ivi aveva compiuto ascensioni frenate e libere con i "palloni" del francese Godard. Fu posto a disposizione del Circolo degli Aviatori dalla famiglia Macchi di Cellere, cosa che valse alla ardimentosa contessina Mary l’avventura sul Flyer per consentirle di divenire la prima donna “volante” in Italia. Il 15 aprile Wilbur tenne un tirocinio pratico di sei ore di pilotaggio sul velivolo al sottotenente di vascello della Regia Marina Mario Calderara, sì che quest’ultimo il 10 maggio 1910 poté poi acquisire il primo brevetto italiano di pilota d’aeroplano. Wright dichiarò che Calderara era pronto a volare da solo e a insegnare ad altri, anche grazie al Flyer da lui venduto (per la ulteriore somma di 25.000 lire) al Circolo degli Aviatori. Calderara potrà a sua volta portare a termine l’addestramento del tenente del Genio Militare Umberto Savoja, brevetto n. 2 della nascente aviazione italiana.
L'epoca vide anche l'emergere di eventi significativi come la prima esposizione di aviazione italiana a Milano, sempre nel 1909, dove furono presentati numerosi modelli di aeroplani e motori. La produzione di mezzi volanti "più leggeri dell'aria" aveva già portato nel 1907 in Italia alla nascita del primo nucleo industriale aeronautico, con la creazione della Società Leonardo da Vinci da parte dell'ingegnere Enrico Forlanini, che lavorò su aeromobili a motore con struttura semirigida. Fu seguito dalla fondazione della Fabbrica Italiana Aerostati Milano (FIAM), dedicata alla costruzione di dirigibili. All’inizio del secolo anche l’industria aeronautica italiana, quindi, crebbe rapidamente (Officine Franz Miller di Torino e Biplano Spa-Faccioli), alimentata dalla domanda militare e dall’entusiasmo del pubblico per l’aviazione. Sebbene inizialmente dipendente dalla tecnologia straniera (eliche integrali francesi Chauvière e aerei francesi Voisin, Blériot, Nieuport, Farman), l’industria sviluppò capacità nazionali, affrontando difficili sfide tecniche e organizzative. Durante la Prima guerra mondiale, poi, l’industria subì una forte espansione per soddisfare le esigenze militari, ma rimase frammentata e priva di una pianificazione strategica a lungo termine.
Prima della guerra, le diverse manifestazioni aeree servivano anche come piattaforme per mettere alla prova le abilità dei piloti. Ritornando al 1909, eventi come il circuito aereo di Brescia – il primo in Italia - contribuirono a stimolare l'interesse pubblico e a migliorare le competenze dei partecipanti.


Calderara, il numero 1

Quella di Calderara non era una passione improvvisa: nato a Verona il 10 ottobre 1879, figlio più giovane del generale Marco e di Eleonora Tantini, fu affascinato dalla vita marinara fin da piccolo. Frequentò l'Accademia Navale di Livorno nel 1898 acquisendo il grado di guardiamarina nel 1901. Attratto dalla possibilità di volare, si appassionò ai primi successi dei fratelli Wright, cui scrisse chiedendo dettagli sulle loro esperienze, intrecciando una fitta corrispondenza.
Nel 1904 fece i suoi primi esperimenti di volo su di una cellula biplana facendosi rimorchiare dal cacciatorpediniere "Lanciere". Nel 1907, sempre nel golfo della Spezia, con un biplano trainato da una nave raggiunse un'altitudine di oltre 30 metri ma si schiantò in acqua, rischiando di annegare. Nel 1908 incontrò l'ingegnere e costruttore francese Gabriel Voisin: ottenne una licenza straordinaria semestrale per recarsi in Francia a scopo di studio presso lo Stabilimento di aviazione di questi a Billancourt. Dal 1° ottobre Calderara restò in terra francese con l’incarico di esercitarsi nel “maneggio e nel pilotaggio dei vari tipi di aeroplani in esperimento presso gli stabilimenti privati”. I due ebbero il contributo economico di Ambroise Goupy, e progettarono e costruirono il Calderara Goupy, un aereo biplano ad elica traente, ovvero situata anteriormente, che volò con successo l'11 marzo 1909. Fu in quel periodo che il nostro a Le Mans conobbe personalmente Wilbur Wright, il maggiore dei due fratelli, che, come abbiamo scritto, sarà a breve suo istruttore sul campo di Centocelle. Questi stava effettuando un tour in Europa con il suo Flyer, che si era evoluto rispetto al primo pioneristico volo ed era ora in grado di rimanere in aria per un più lungo periodo di tempo.
Nel 1911, Calderara progettò e costruì il suo idrovolante, il più grande aeroplano del suo tempo, che volò nella primavera del 1912 nel golfo della Spezia, trasportando tre passeggeri. L'idrovolante era un monoplano ad ala alta con un'apertura di oltre 17 metri e una superficie alare di circa 70 metri quadrati. Poteva sollevarsi e posarsi sull'acqua grazie a galleggianti appositamente progettati, con ivi incorporate piccole alette sui per facilitare il decollo, migliorando così le prestazioni del velivolo.
Tale sviluppo della componente aerea portò ad una presa di coscienza della Forza Armata di appartenenza, la Regia Marina, che costituì una Sezione aeronautica all’interno del Primo Reparto dell’Ufficio del Capo di Stato Maggiore.
La professionalizzazione del settore aviazione stava rapidamente evolvendo, con un crescente interesse da parte delle autorità militari per la formazione di piloti qualificati. Ciò significava per questi ultimi non solo avere coraggio da vendere per affrontare e domare una “macchina volante” assai pericolosa, ma varie competenze, consistenti in una formazione teorica basata su conoscenze di aerodinamica, tecniche di navigazione aerea, inclusi l'uso delle carte e degli strumenti di navigazione, e meteorologia, per saper riconoscere le condizioni meteo e la loro influenza sul volo. Inoltre, bisognava saper manovrare l'aereo in diverse situazioni, inclusi decolli, atterraggi e manovre, ed essere addestrati a gestire situazioni di emergenza, come guasti meccanici o malfunzionamenti. Si dovevano inoltre vantare conoscenze fondamentali sulla manutenzione e il funzionamento dei motori e dei sistemi dell'aereo. Non ultimo, bisognava essere in grado di operare in modo disciplinato, seguendo le procedure stabilite dalle autorità aeronautiche.
Il 1° luglio 1912 l’Esercito costituì il Battaglione Aviatori in Torino (la nascita della Regia Aeronautica Militare avverrà solo nel 1923). Tre scuole di volo furono basate a Cascina Costa, Aviano e Pordenone. L’aviazione militare italiana era pronta ad affrontare l’ormai prossimo, devastante, conflitto mondiale, in cui l'utilizzo del mezzo aereo per scopi bellici assunse una notevole importanza. L’Italia entrò in guerra il 24 maggio del 1915, quando l’aviazione si era diffusa e consolidata. Nel 1915 il Battaglione Aviatori del Regio Esercito era stato riorganizzato in un Battaglione Squadriglie Aviatori, ove affluirono militari di altri Corpi, impiegati nel combattimento e continuando a mantenere uniforme e appartenenza di quelli di origine, compresi Carabinieri e Guardia di Finanza.
La Grande Guerra vedrà assi come Francesco Baracca, Pier Ruggero Piccio, Fulco Ruffo di Calabria e molti altri scrivere pagine di coraggio ed ardimento, sapientemente esaltate dalla propaganda: abilità e valore individuale contarono in modo determinante, sì che l’aereo fu nel corso del conflitto un'arma decisiva, largamente utilizzata non solo come strumento di ricognizione ma anche di offesa (“caccia”, “bombardiere”).


Cabruna, 1 contro 11

Tra i “cavalieri del rischio” ci piace citare un pilota passato alla storia come il “carabiniere volante”. Seppure l’Arma benemerita abbia festeggiato da non molto i 60 anni del proprio servizio aereo, in realtà è da più di cento che propri appartenenti hanno solcato i cieli. In particolare, trattiamo del tortonese Ernesto Cabruna, uno dei 173 Carabinieri aviatori che nel corso del primo conflitto mondiale fecero parte del Corpo Aeronautico dell’Esercito.
Nato nel 1889 da una famiglia di commercianti, arruolatosi nel 1907 a diciotto anni come carabiniere a piedi, solo tre anni dopo fu contagiato dalla febbre del volo, tanto da richiedere alla Prefettura di Torino un “Attestato di Privativa Industriale” (l’odierno brevetto) per un suo progetto innovativo di aeroplano e successivamente per una elica sia per aerei che per imbarcazioni, seppure le sue invenzioni non trovarono attuazione pratica. Aveva già una decina d’anni di servizio e sembrava destinato ad una ordinaria carriera nell’ambito del comparto territoriale dell’Arma quale comandante della Stazione di Salbeltrand, nei pressi di Torino, quando, rivestendo il grado di brigadiere, fu volontario in prima linea sull’Altopiano di Asiago e chiese di diventare aviatore, talché il 12 luglio 1916 venne assegnato al Deposito dell'Aeronautica di Torino. Dopo tre mesi, pilotava un Farman 14, ed il 10 dicembre si trovava in zona di guerra, nelle giornate prossime alla nona e decima battaglia dell'Isonzo. Impegnato in missioni di ricognizione e di caccia effettuate sul fronte del Carso prima e poi del Piave, ottenne otto vittorie in novecento ore di volo, l’abbattimento di un pallone di osservazione Draken e la distruzione di due velivoli al suolo. Rimarrà nell’immaginario degli italiani il combattimento del cielo di Ponte di Piave del 29 marzo 1918, quando, isolato, attaccò una formazione austro-ungarica formata da un bombardiere scortato da dieci caccia. Abbatté il capostormo e riuscì a disperdere gli aerei restanti. Con una sintesi che gli fa onore per umilità, riportò l’azione sul modulo che i piloti dovevano compilare a fine missione: “Affrontati, da solo, undici apparecchi nemici, abbattutone uno, messi in fuga gli altri. Cielo del Piave, 29 marzo 1918”. L’impresa gli varrà la promozione al grado di sottotenente per meriti di guerra il 4 aprile 1918 e la copertina del settimanale Domenica del Corriere disegnata dal famoso illustratore Achille Beltrame dal titolo "1 contro 11". La sua ultima azione d’attacco fu il 2 novembre 1918, quando – convalescente da un grave incidente occorsogli in fase di atterraggio solo un mese prima in cui aveva riportato commozione cerebrale grave, frattura della clavicola destra ed escoriazioni in più parti del corpo – condusse il suo velivolo in volo di crociera sulle difese austriache, spingendosi fino al campo volo di Aiello, attaccando una squadriglia di caccia pronti al decollo, colpendo due aerei austro-ungarici che andarono a fuoco. Il tutto avendo il braccio destro al collo! Per il complesso delle sue azioni durante il conflitto, gli fu concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Uno SPAD VII, il biplano da caccia monoposto prodotto durante la Prima guerra mondiale dalla azienda francese Société Anonyme Pour l’Aviation et ses Dérivés e, su licenza, dalle italiane Fiat ed Ansaldo, noto per la robustezza e le buone prestazioni in volo, pilotato tra gli altri da Cabruna, restaurato e riportante le sue insegne (un “cuore rosso” abbinato allo stemma della sua città natale, Tortona) è conservato – in ricordo delle gesta del carabiniere aviatore – presso la caserma sede della Scuola Ufficiali dell’Arma, sulla via Aurelia a Roma. Lo SPAD VII originale del carabiniere volante è esposto presso il Museo Storico dell’Aeronautica Militare a Vigna di Valle, vicino Roma.


Bongiovanni e la intuizione dell’esplorazione aerea per il servizio d’istituto della Guardia di Finanza

Il Capitano Luca Bongiovanni fu il primissimo pilota della Regia Guardia di Finanza. Conseguì il brevetto di Pilota Aviatore al termine del 1° Corso per Piloti Militari che si tenne ad Aviano negli anni 1912 - 1913. Originario di Bagnasco, in provincia di Cuneo, la sua grande intuizione fu quella di cogliere i vantaggi che l’esplorazione aerea avrebbe potuto portare al dispositivo di difesa costiero, allora costituito da una serie di brigate e distaccamenti litoranei e battelli di modestissima capacità operativa. D’altra parte, Bongiovanni aveva prestato servizio a Como, ed aveva ben chiaro cosa fosse la lotta al contrabbando, fenomeno che aveva combattuto sui sentieri dei cippi di confine tra il varesotto ed il comasco ed il Canton Ticino. Il confine tra la Svizzera e l’Italia è ben definito anche visivamente, con oltre 7000 termini di vario tipo, prevalentemente in pietra. Il confine del Canton Ticino conta circa 700 cippi. Fu proprio su sua proposta che la Guardia di Finanza fece costruire una barriera per contrastare il contrabbando, costituita da una rete metallica alta oltre 3 metri, provvista di cancelli, che in parte ha resistito al passare del tempo ed in alcuni tratti si vede ancora oggi.
Lo scoppio del conflitto non consentì a Bongiovanni di implementare il concetto di esplorazione aerea per tale tipo di attività d’istituto, ma la sua mente brillante continuò ad applicarsi anche ad aspetti tecnici, quali il sistema meccanico della “contromarcia”, ovvero la capacità di invertire il senso di rotazione dell’elica. Lo seguirono sulla via area altri finanzieri, tra i quali il Tenente Mario De Bartolomeis, che -per confermare quanto può essere sorprendente la ricerca storica – scopriamo fu istruttore presso la Scuola di Foggia dell’aspirante pilota Fiorello La Guardia, proprio l’italo-americano che dal ’34 al ‘45 ricoprì la carica di sindaco di New York e che allora era stato inviato dall’aeronautica statunitense in Italia per addestrarsi. Non a caso gli è stato intitolato uno degli aeroporti della città che governò da Primo Cittadino.
Bongiovanni fu anche un entusiasta promotore dell’aviazione italiana e capace nell’acquisire le novità presso altre nazioni. Fu inviato per questo a Parigi e Londra. Sfortunatamente durante un volo su Malpensa fu vittima di un incidente tanto grave da costargli l’idoneità al volo. Rientrò quindi nel 1916 al servizio ordinario presso la Guardia di Finanza, sempre impegnato in ricerche e studi.


Le lezioni apprese dalla Prima Guerra

La Prima Guerra Mondiale dimostrò che l'aviazione non era solo un mezzo di ricognizione, ma un elemento che poteva divenire cruciale per il successo militare. L'uso degli aerei per attacchi, bombardamenti e supporto alle truppe sul campo evidenziò la necessità di sviluppare capacità dedicate e specializzate. Lo sviluppo tecnologico degli aeromobili accelerò, portando a innovazioni significative come la mitragliatrice sincronizzata, che consentiva ai piloti di sparare attraverso l'elica senza danneggiarla. Ma l'esperienza della guerra mise in evidenza anche l'importanza dell'addestramento dei piloti. Inizialmente rudimentale e pericoloso, si svilupparono programmi di formazione più strutturati e sicuri, per meglio prepararli ad affrontare le sfide del volo in combattimento.
I nostri tre protagonisti non rimasero nel periodo post-bellico, comunque, con le mani in mano.
Calderara nel corso della guerra era stato sottratto al pilotaggio, costretto ad un ritorno ai compiti di servizio navale, tanto che comandò una torpediniera in Adriatico. Da capitano di corvetta (grado equipollente a maggiore delle altre Forze Armate) fu posto diciotto mesi al comando di una scuola per piloti di idrovolanti statunitensi, sulle sponde del lago di Bolsena. L’alleato americano, grato, gli conferì la “American Navy Cross”. Nel 1923 fu nominato addetto aeronautico presso l’Ambasciata italiana a Washington. Quando nel ’25 terminò l’assegnazione, decise di lasciare la Regia Marina (aveva raggiunto il grado di capitano di fregata/tenente colonnello) per recarsi a Parigi, ove assunse la rappresentanza di varie società americane che producevano motori per aerei e pannelli di strumenti di volo. Nel 1939, con la Seconda guerra mondiale ormai alle porte, rientrò in Italia, ove affrontò difficoltà economiche e di salute, dovute anche al tabagismo, che lo stroncarono nel 1944, nel suo letto.
Cabruna visse un periodo più turbolento. Intrecciò una corrispondenza con D’Annunzio (che del volo, a pari di molti altri all’epoca, era appassionato) che lo volle con lui per l’impresa di Fiume, dedicandogli anche dei versi: “E il nostro eroe, quale altro nome dare a un tale uomo? Continua ad essere il solitario cacciatore, che non conta i suoi avversari, pronto a battersi con intere squadriglie”. Si dimise quindi dall’Arma per essere libero legionario e fu primo aviatore ad atterrare nella città irredenta. Non mancò di sfidare a duello con pistola – rimanendo ferito - l’ardito Mario Carli che in un articolo aveva accusato i Carabinieri di volere abbandonare la città. Dopo l’annessione di Fiume ottenne il reintegro nell’Arma dei Carabinieri, per poi transitare, con il grado di capitano, nella Regia Aeronautica, dove fu impiegato come aiutante di campo del Capo di Stato Maggiore Piccio. Isolato (era rimasto strenuo difensore del “legionarismo” in chiave antifascista, cosa che gli costò le antipatie di Balbo), fu congedato per motivi di salute nel 1932. Durante la Seconda guerra mondiale pare abbia avuto contatti con uomini della Resistenza e, forse, anche con gli Inglesi. Nel dopoguerra svolse la sua opera come commissario dell’Associazione Mutilati. Negli ultimi anni, malato di cuore, rimase in solitudine, sempre in luoghi di cura. Dal 1959 nella clinica Villa Azzurra a Rapallo, dove morì il 9 gennaio 1960 e dove venne sepolto per sua espressa volontà. Nel 1963 la salma è stata traslata a Gardone Riviera, al Vittoriale degli Italiani, dove il “carabiniere volante” riposa.
Luca Bongiovanni a sua volta lasciò la Regia Guardia di Finanza. Costruì un laboratorio a Torino-Mirafiori, ove proseguì i suoi studi, sino a tarda età. Si spense infatti nel 1966, a 92 anni.
E, forse non ci crederete, c’è chi giura di vedere ancora, all’imbrunire, tre biplani sorvolare i cieli italiani, pilotati da altrettanti ardimentosi cavalieri del rischio, con il viso sporco del grasso del motore e, così come recita la Preghiera dell’Aviatore, mostrando orgogliosi “le ali delle aquile, lo sguardo delle aquile, l’artiglio delle aquile”.


Nell'immagine, Mario Calderara della Regia Marina Militare, Ernesto Cabruna dei Carabinieri Reali e Luca Bongiovanni della Regia Guardia di Finanza.

Documento inserito il: 15/01/2025
  • TAG: Calderara, Bongiovanni, Cabruna, aviazione, aeronautica

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