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Battaglia delle Egadi: la Trafalgar di Roma [ di Carlo Ciullini ]

Per quanto separate temporalmente da millenni, la battaglia delle isole Egadi e quella di Trafalgar assumono, alla resa dei conti, lo stesso significato risolutivo, se le poniamo al cospetto di due lunghe guerre (la prima punica e quella contro Bonaparte) che hanno distinto a chiare note la Storia del mondo occidentale.
I due eventi bellici acquistano una rilevanza storica similare: entrambi, infatti, determinarono un decisivo assestamento delle forze in campo a vantaggio di chi, poi, vinse la guerra, nel primo caso la Repubblica romana e nel secondo il Regno Unito.
Dopo le Egadi Roma volse a suo completo favore il dominio sulla parte Ovest del bacino mediterraneo, impedendo a Cartagine il suo naturale accesso alle grandi rotte commerciali e militari: da lì in poi, l'Urbs sarebbe stata combattuta dai Punici esclusivamente attraverso grandi ed epocali battaglie campali.
In egual maniera, dopo Trafalgar, Napoleone dovette limitarsi a contrastare soltanto in ambito terrestre le potenze europee che si erano poste in coalizione contro di lui, giacché la vittoria di Nelson al largo della costa spagnola privava del tutto la Francia di ogni possibilità di competizione nei confronti delle flotte britanniche che, incontrastate, potevano (vieppiù dopo il trionfo nello scontro cruciale), governare i mari a proprio piacimento.
Il 21 Ottobre 1805, presso il Capo Trafalgar, in acque iberiche, ebbe luogo la famosa battaglia navale che, assegnando definitivamente la supremazia marina al Regno Unito, incanalò, sebbene a lungo termine, le coalizioni anti-napoleoniche verso la vittoria finale.
Il dominio inglese sulle rotte mediterranee e oceaniche, in effetti, inficiò gravemente le capacità logistiche dell'Impero francese; e il controllo britannico sui rifornimenti dei beni di consumo e sugli approvvigionamenti agli eserciti impegnati in guerra, che da quel giorno attanagliò Bonaparte, fu il preludio a una lenta ma inesorabile inversione di forze e di equilibri, non solo strategico-militari, ma anche economici e produttivi.
La vittoria di Horatio Nelson, dando inizio al logoramento transalpino, risultò dunque pienamente decisiva, per quanto precedesse di un decennio la madre di tutte le battaglie napoleoniche, quella divampata a Waterloo il 15 Giugno del 1815.
I trentatré vascelli inglesi, avendo in quel fatidico pomeriggio autunnale avuto la meglio sulla flotta franco-spagnola, scrissero non solo la storia di una lunga guerra, ma probabilmente anche quella dell'Europa moderna.
La gloria raggiunta da Nelson a Trafalgar, là dove lasciò al tempo stesso la vita, segnò imperitura la memoria, devota e riconoscente, del popolo d'oltremanica: l'eroismo della flotta britannica, in quella circostanza inferiore all'avversario per uomini e navi, viene ancora vivamente omaggiata, passati più di due secoli.
La vittoria accese la scintilla dell'escalation che, inesorabile, portò alla disfatta francese anche in continente: senza il mare, Napoleone si vedeva definitivamente privato della possibilità di rifornirsi, di spostare armate per via marina e quindi in modo più celere, di contrastare la potenza dei Tre leoni anche fuori della terraferma.
Il famoso “blocco continentale”, una sorta di embargo con cui l'imperatore tentò di impedire l'attracco, nei porti controllati dalla Francia, delle navi britanniche indiscusse regine delle rotte, risultò in fin dei conti un flebile palliativo.
Il predominio marittimo aveva sancito chi, alla lunga, avrebbe vinto la guerra e chi l'avrebbe persa.
La stessa dinamica si determinò, venti secoli prima di Trafalgar, in un contesto nel quale due superpotenze ingaggiarono una titanica lotta per il totale controllo del Mediterraneo e delle terre che vi si affacciavano.
Le Egadi sono una manciata di piccole isole che si trovano a un tiro di scoppio dall'odierna Trapani, nella estrema punta occidentale siciliana.
Fra questi aspri scogli dell'antica Trinacria si svolse una battaglia leggendaria tra la flotta romana e quella cartaginese, scontro che avrebbe portato, dopo cinque lustri sanguinosi per ambo le parti (264-241 a.C.), alla determinante sconfitta punica; perso il secolare controllo sul mare, la metropoli africana dovette non solo trattare la resa con Roma vincitrice, ma fu anche costretta, nelle due grandi guerre successive (218-202 e 149-146 a. C.), a scontrarsi con gli eserciti della Repubblica unicamente sul suolo continentale.
Qui i Romani, malgrado tragiche sconfitte assurte a mito (Trasimeno, Canne) riuscirono ad abbattere definitivamente il gigante nemico, facendo della Sicilia la prima delle loro province: la lupa capitolina, spinta dalla sua implacabile sete di conquista, iniziava così ad abbeverarsi al calice del dominio extra-italico.
E'' il 10 Marzo 241 (secondo le fonti dello storico Eutropio): la data della soluzione finale, quella della via del “non-ritorno” per chi fosse uscito sconfitto dalla giornata campale.
Ci affidiamo allo stilo sapiente e credibile di Polibio, per inseguire le fila di quelle ore che fatalmente variarono i rapporti tra forze in espansione eguali e contrarie.
Lo storico ellenico fu anche valente uomo d'armi, e il suo contributo narrativo in ambito bellico ci appare sempre persuasivo e dettagliato.
Una flotta di duecento quinqueremi - racconta - sotto il comando di Lutazio Catulo, salpò all'inizio dell'estate.
Presentatosi inaspettato al largo della Sicilia, il Romano si impadronì del porto di Trapani e della rada di Lilibeum [l'odierna Marsala], in assenza della flotta cartaginese, che era ritornata in patria.
(...) Nè aveva dimenticato che, fin dall'inizio della spedizione, i Romani erano convinti che solo con una battaglia per mare si potesse giungere a una conclusiva decisione della guerra”.
Polibio sottolinea con vigore quanto l'Urbs ben comprendesse come fosse necessario strappare definitivamente alla rivale lo scettro della superiorità navale: una volta raggiunto tale obiettivo, la dea Vittoria avrebbe volto lo sguardo benigno verso il Tevere.
Lutazio Catulo era conscio di quanto niente dovesse esser lasciato al caso, e che la cura di ogni dettaglio potesse poi, in battaglia, fare la differenza: “Non permetteva perciò che le ciurme consumassero il tempo inutilmente nell'ozio, ma ordinava che gli equipaggi giornalmente si esercitassero e si preparassero”.
Gli Africani, al comando di un valente ammiraglio quale Annone, erano fortemente intenzionati a inviare cibo e rinforzi all'esercito punico assediato dai legionari presso il monte Erice, monte che sovrasta il litorale trapanese a poche miglia in linea d'aria dalle Egadi stesse.
I Cartaginesi, quando giunse loro la notizia inattesa che i Romani avevano armato un'altra flotta e di nuovo miravano alla supremazia marittima, subito allestirono le navi e, dopo averle caricate di grano, le inviarono in Sicilia, poiché desideravano che nulla venisse a mancare alle truppe all'Erice.
Annone, preposto alla flotta -prosegue Polibio- salpò e approdò all'isola Sacra [l'odierna Marettimo, la più occidentale delle Egadi]: da qui contava sia di passare al più presto all'Erice all'insaputa dei nemici per depositarvi le vettovaglie, alleggerendo così le navi e imbarcando come marinai il nerbo delle forze mercenarie alleate [dei Punici,n.d.A], sia di affrontare in tal modo i Punici”.
Nelson, a Trafalgar, malgrado la inferiorità rispetto alla flotta franco-spagnola seppe abilmente cogliere l''attimo favorevole, dando luogo a una azione improvvisa e risoluta, estranea alle canoniche regole d'ingaggio, e prendendo di sorpresa i suoi avversari.
La medesima cosa seppe fare Lutazio Catulo, che osò affrontare la natura avversa e la situazione sfavorevole, venendo alla fine premiato per tanto ardimento.
Lutazio, quando fu informato dell''arrivo di Annone e dei suoi, indovinando il piano avversario, prese con sé il fior fiore delle forze di fanteria e partì per l'isola di Egussa [oggi Favignana, delle Egadi la più vicina alla costa].
Il mattino seguente, vedendo che un vento forte soffiava in poppa al nemico -raccontano le pagine polibiane- e che ai suoi sarebbe stata difficile la navigazione controvento, in un mare gonfio e agitato; considerando che, se avesse attaccato durante la tempesta, avrebbe combattuto contro Annone e le sue forze soltanto, mentre le navi puniche erano ancora cariche di grano, ritenne opportuno non lasciare passare l'occasione propizia, e salpò in tutta fretta.
Le sue unità resistevano bene ai flutti grazie alla destrezza dei marinai e ben presto, disposte le navi su un'unica fila, Lutazio schierò la sua flotta contro quella avversaria”.
Lo spirito d'iniziativa dell''ammiraglio romano, la prontezza di riflessi grazie alla quale poté incunearsi con decisione nel punto debole avversario, furono doti che arrisero a Roma in quel fatidico giorno e di riflesso nell'intera guerra.
I Cartaginesi, visto che i Romani tagliavano loro il passaggio, ammainarono le vele e (…) cozzarono contro i nemici.
I Romani avevano cambiato il metodo di costruzione delle navi e avevano eliminato ogni peso, tranne quello del materiale indispensabile alla battaglia navale: i marinai, esercitati ai movimenti concordi, prestavano un servizio eccellente, mentre i soldati imbarcati erano uomini scelti fra i più sicuri della fanteria.
Presso i Cartaginesi
-evidenzia Polibio- era tutto il contrario: le navi, a pieno carico, erano in condizioni del tutto inadatte alla battaglia; i marinai risultavano, in complesso, impreparati e raccogliticci; i soldati di leva recente erano nuovi ad ogni disagio e pericolo.
Convinti infatti che i Romani mai più avrebbero osato aspirare di nuovo alla egemonia sul mare i Punici, per disprezzo del nemico, avevano trascurate le loro forze navali. Non appena dunque fu ingaggiata la battaglia -conclude lo storico di Megalopoli- apparve la loro inferiorità, ed essi ben presto furono messi fuori combattimento: cinquanta dei loro scafi furono affondati, e settanta furono presi con gli equipaggi. Il resto della flotta spiegò di nuovo le vele e si ritirò all'isola Sacra col favore del vento
”.
E'' l'atto finale: “Il console romano salpò verso Lilibeum dove raggiunse il resto dell'esercito e si occupò dell'utilizzazione delle navi tolte al nemico: problema non indifferente, perché i prigionieri presi durante la battaglia erano non meno di diecimila”.
Va sottolineato come, al riguardo, le fonti storiche siano discordanti: per autori quali Orosio e Eutropio, ad esempio, i prigionieri punici furono ben oltre i trentamila, con tredici/quattordicimila caduti tra le schiere africane.
Come a Trafalgar, lo scontro navale al largo delle Egadi dettò il nuovo “stato delle cose”, stato in cui una delle due potenze in lotta acquisiva il governo delle operazioni in un teatro, quello marittimo, di vitale importanza, tanto più se si considera che, nei periodi storici presi in esame, non esisteva ancora la superiorità aerea.
Aver ben saldo in pugno il traffico marittimo di qualunque genere, economico-commerciale, militare, diplomatico-politico, volgeva a proprio favore, sul tavolo cruento della guerra, le carte in mano ai contendenti.
Dopo le Egadi, il Mediterraneo occidentale cominciò davvero ad assumere le caratteristiche del “Mare nostrum”: vele al vento e rostra fendenti le onde, l'influenza romana si ampliava a dismisura, e le nuove conquiste militari (Sicilia e isole attigue) venivano messe in sicurezza dalle flotte dell'Urbs.
L'indiscussa supremazia nell''elemento-acqua, cioè l'habitat naturale dei Punici, i più grandi dei navigatori ed eredi diretti dei Fenici, veniva loro sottratta: nei decenni seguenti, la capacità commerciale cartaginese si affievolì considerevolmente.
L''odio profondo che ne scaturì, e la brama di rivincita degli Africani avrebbero poi trovato pieno sfogo nelle figure dei Barcidi, la nobile famiglia degli Amilcari, degli Annibali e degli Asdrubali che seppe riaccendere violentemente il colossale scontro tra due civiltà.
I Cartaginesi e il loro leggendario condottiero portarono guerra a Roma direttamente in continente, partendo dall'Hispania e dalla tragica presa di Sagunto, per giungere infine in terra italica attraverso l'epico passaggio delle Alpi.
Non era davvero, per Karthago, più il tempo dei grandi e invincibili ammiragli, ma quello invece di generali eccelsi; il grande Annibale affrontò le legioni romane in casa propria, e per di più attraversando in lungo e largo lo stivale italiano: ciò va a sua maggior gloria.
Tuttavia il mare, il vero regno del popolo anfibio dei Punici, figli di Tiro e di Didone, era ormai perso per sempre.
La battaglia delle Egadi risultò perciò fondamentale, e il suo esito fu decisivo per marcare a fondo la vittoria romana: a partire da quella cruenta giornata siciliana, l'altalena della Storia issò in alto la città dei Latini, ed abbatté miseramente quella punica.
Le due ulteriori guerre condotte dai Cartaginesi si sostennero quindi sul valore di comandanti e armate (non più flotte...); la sfida alla Repubblica romana poteva oramai esser portata esclusivamente in campo terrestre, con tutti i privilegi di cui godevano le legioni, quasi imbattibili piedi saldi al terreno o comunque in grado di ricostituirsi in breve tempo: il mare, immenso e benigno, era per i Punici solo fonte di tristi ricordi e nostalgie...
Molto tempo dopo, Trafalgar impresse a fuoco, proprio come avvenuto alle Egadi, il marchio della sconfitta irrimediabile anche per i Francesi: con la perdita di Oceano e Mediterraneo, l'aquila napoleonica mancò di ossigeno vitale, e Waterloo segnò alla fine il fisiologico, scontato epilogo di un lento ma inesorabile declinare delle sue forze.
Horatio Nelson e Lutazio Catulo, ammiragli che fecero la Storia, seppero ambedue cogliere l'attimo propizio con audacia e risolutezza, cancellando definitivamente dalle acque la presenza militare dei loro avversari.
Con l'invenzione dell''aereo, il controllo del cielo avrebbe sovvertito per sempre i valori usuali: dominare dall'alto il nemico consegnava la piena egemonia nelle mani di chi pur fosse stato, paradossalmente, inferiore per uomini e mezzi in terra e mare; ma ciò, come ben sappiamo, si determinò solo a partire dal XX° secolo.
Prima di allora, vinceva quasi sempre le guerre chi, senza opposizione, avesse imposto tra i flutti la presenza delle proprie navi, a scapito di un avversario spogliato dei suoi contatti vitali.
Roma e Gran Bretagna, lontane tra loro nel tempo e nello spazio, ma non nei modi coi quali dettarono al mondo civile la loro supremazia, seppero porre le proprie prue dinanzi a quelle dei loro mortali nemici con coraggio, perizia e buona sorte: dopo le Egadi e Trafalgar, le due nazioni impugnarono concretamente il timone della vittoria definitiva.

Nell'immagine, il rostro di una nave romana recuperato nel 2008 nel tratto di mare tra l'isola di Levanzo e Trapani.


Riferimenti bibliografici

POLIBIO, “Storie” (I°libro), Mondadori, Milano, 1988 FREMONT-BARNES G., “Trafalgar 1805”, Libreria Editrice Goriziana, Gorizia, 2014 Documento inserito il: 02/12/2015
  • TAG: roma antica, battaglia isole egadi, guerre puniche, lutazio catulo, annone

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