Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, storia contemporanea: Incrociatori italiani 1920-1943 (parte 1)
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Incrociatori italiani 1920-1943 (parte 1)

di Ernesto Di Marino

Nella II G.M. la Regia marina impiegò venticinque incrociatori, mentre altri quattordici non entrarono mai in servizio, non avendo completato l'allestimento o essendo rimasti allo stadio di progetto.
Dei venticinque incrociatori impiegati, alcuni si coprirono di gloria fino a diventare leggendari; altri soccombettero onorevolmente in battaglia; altri affondarono nell'adempimento di missioni di scorta ai convogli, alcuni, infine, giunsero alla conclusione del conflitto , dopo aver preso parte anche alle azioni del periodo di cobelligeranza.
dal 1940 al 1945 gli incrociatori svolsero un ruolo importante nella guerra navale nel Mediterraneo e furono intensamente impiegati: basti pensare che nell'aprile 1945 rimanevano alla Regia Marina solo nove incrociatori; gli altri erano scomparsi.
Spesso, l'esatta comprensione di avvenimenti bellici che ebbero gli incrociatori italiani per protagonisti non sempre fortunati, è legata alla conoscenza di tali navi, dei motivi per i quali furono costruite, dei concetti ispiratori delle loro fondamentali caratteristiche. In questo articolo si passeranno in rassegna i veterani della I G.M., le costruzioni del periodo 1930/1938, le costruzioni di guerra, i progetti e le prede.

I VETERANI DELLA I G.M.
Incrociatore corazzato SAN GIORGIO

Nato col gemello PISA al principio del 1900, aveva costituito il perfezionamento degli incrociatori corazzati classe PISA e aveva felicemente coronato l'evoluzione dell'incrociatore corazzato italiano iniziata col GARIBALDI del Masdea. Ottimo esempio di questa categoria di navi, robusto, veloce, bene armato, aveva scafo con prora a sperone e poppa arrotondata; a prora era dotato di castello, contrariamente al PISA, per far si che le artiglierie principali si trovassero quanto più possibile in alto rispetto al galleggiamento.
La protezione era concentrata in un ridotto corazzato che comprendeva tutta la zona delle artiglierie principali: altrove, nelle zone di estrema prora (30 m circa) ed estrema poppa (20 m circa), lo scafo aveva uno spessore di quasi 60 mm. Nelle zone del ridotto la protezione era così costituita: la corazzatura verticale , di acciaio Krupp cementato e acciaio al cromonichel, era applica alla struttura con l'interposizione d'uno strato di legno teak in funzione ammortizzante. Al galleggiamento essa formava una cintura di 5 m di altezza, dello spessore massimo di 200 mm che, verso le estremità, si riducevano a 180. Trasversalmente questa cintura era collegata da due traverse dello spessore di 100 mm. La murata, al di sopra della cintura, in corrispondenza del ponte di corridoio, era protetta da piastre dello spessore di 180 mm che si riducevano alle estremità, a 160 mm. Qui le traverse di collegamento avevano uno spessore di 130 mm (quella prodiera) e di 170 mm (quella poppiera). Più in lato, in corrispondenza quindi del ponte di batteria, la corazza aveva uno spessore di 180 mm ed era limitata, in senso longitudinale, alla zona degli impianti da 190/45 mm.
La protezione orizzontale era affidata ad un ponte costituito da due strati di lamiere sovrapposte; lo strato inferiore , di piastre d'acciaio ad elevata resistenza, aveva uno spessore di 15 mm; quello superiore , di acciaio duro speciale, era spesso 30 mm. In totale, quindi, la protezione orizzontale, assommava a 45 mm. Le sei torri delle artiglierie principali erano sistemate su pozzi protetti da una corazza curva dello spessore di 180 mm; la torre di comando era protetta da 250 mm. Contro le offese dei siluri , la nave disponeva di un doppiofondo diviso in 48 compartimenti stagni che si estendevano al centro per una lunghezza pari al 50 per cento della nave.
L'apparato motore, che aveva dato ottimi risultati, era di tipo tradizionale: consisteva in 14 caldaie a carbone Blechynden e di macchine alternative a triplice espansione. La potenza totale di progetto era di 18.000 HP. Alle prove di macchina, effettuate al principio del 1910, l'apparato motore aveva sviluppato 14.100 HP nella prova a tiraggio normale della durata di 18 h; la velocità ottenuta era stata di 21,7 nodi. La prova di 6 h a tiraggio forzato, aveva permesso di rilevare una velocità di 23,2 nodi - superiore di un nodo a quella di progetto - con lo sviluppo di 19.595 HP.
Il SAN GIORGIO fu uno degli ultimi incrociatori italiani ad avere apparato motore con macchina alternativa: dopo di esso vennero ancora dotati di tale macchina gli incrociatori LIBIA, CAMPANIA e BASILICATA; ma già sul SAN MARCO, gemello del SAN GIORGIO, era stato installato, a titolo sperimentale, un apparato motore a turbina.
L'armamento era costituito da IV pezzi da 254/45 mm in due torri binate a comando elettrico disposte assialmente, una sul castello di prora e l'altra a poppa sul ponte di coperta, e da VIII -190/45 mm in quattro torri binate, pure a comando elettrico, sistemata a murata, sul ponte di coperta a mezza nave. L'armamento era completato da XVIII pezzi da 76/40 mm variamente disposti; non mancavano, in base alle concezioni dell'epoca, III tubi lanciasiluri subacquei (due a prora e uno a poppa) e altre armi minori.
Ottima nave, dunque, il SAN GIORGIO, rispetto all'epoca della sua entrata in servizio; nave senz'altro sorpassata, però, dopo oltre due decenni di attività. Difettava, ormai, la velocità anche se, nel 1910, era stata una delle più elevate raggiunte da incrociatori corazzati: difettava l'armamento non già nel calibro, che rimaneva del tutto rispettabile da quando la CONFERENZA DI WASHINGTON aveva limitato quello degli incrociatori pesanti a 203 mm, ma nella modernità delle artiglierie quanto a gittata, cadenza di fuoco, peso di bordata; difettavano le apparecchiature per una moderna direzione del tiro; difettava, infine, la protezione che, alla nascita della nave, era stata forse la caratteristica di maggior rilievo. Infatti, mentre la protezione verticale poteva ancora essere considerata ottima, quella orizzontale, studiata per resistere all'urto di proietti destinati a colpire con scarsa velocità residua, era ormai divenuta insufficiente per resistere all'impatto di bombe d'aereo; né la protezione subacquea poteva considerarsi all'altezza dei tempi, dati i progressi notevoli che aveva compiuto il siluro. Per avere un'idea di quanto risultasse invecchiata, attorno al 1935, una nave come il SAN GIORGIO, basterà confrontarlo con allo ZARA, ottimo rappresentante degli incrociatori WASHINGTON da 10.000 ton.

SAN GIORGIO:
Dislocamento: 10.167 ton.; Cannoni: IV-254/45 - peso del proietto 225 Kg - peso lanciato in un 1' 2.700 Kg - gittata 18.000 m;
IV-190/45 - peso proietto 91 Kg - peso lanciato in 1' 2.184 kg - gittata 14.000 m;
Protezione: verticale 200 mm - protezione ponte 45 mm - percentuale sul peso totale 19%;
Apparato motore: peso 1.236 ton. - 18.000 HP

ZARA:
Dislocamento: 11.010;
Cannoni: VIII-203/53 - peso del proietto 118 Kg - peso lanciato in 1' 5.764 Kg - gittata 30.000 m;
Protezione: verticale 150 mm - ponte 70 mm - percentuale sul peso totale 25%;
Apparato Motore: peso 1.407 ton. - 95.000 HP

Da questo raffronto si può notare, anche se si tralasciano gli elementi meno appariscenti ma non per questo meno importanti di quelli presi in considerazione, che il SAN GIORGIO era una nave concepita per combattere in un'epoca del tutto diversa da quella in cui si trovava; anzi, il SAN GIORGIO non avrebbe potuto competere con i moderni incrociatori neanche a costo delle più radicali trasformazioni. Il Comitato Progetto Navi della Regia Marina, infatti, nell'elaborarne il progetto di trasformazione, s'indirizzo verso l'unica soluzione possibile: rinunciando ad ogni velleità di ringiovanimento forzato della nave, per metterla in grado di svolgere un'attività di primo piano, risolse di utilizzarla a guisa di grosso e potente monitore. Infatti, quella che era stata una delle più brillanti costruzioni del mondo, poteva ormai considerarsi come una robusta piattaforma per buone artiglierie. E' sintomatico, al proposito, ricordare che nel corso di questa trasformazione - iniziata nel 1937 nel Regio Arsenale di La Spezia - fu ridotta la potenza dell'apparato motore mediante lo sbarco di sei caldaie, per cui la velocità fu ridotta a 17 nodi. Le otto caldaie rimaste a bordo vennero modernizzate adattandole alla combustione a nafta. In conseguenza di ciò i fumaioli si ridussero da quattro a due, essendo stati sbarcati i due estremi: i rimanenti furono dotati di cappa.
Per quanto riguarda l'armamento, restando immutato quello principale, i lavori portarono ad un completo cambiamento di quello secondario: furono sbarcati i 76 mm, tutte le armi minori, e i tre tubi lanciasiluri, e furono installati VIII-100/47 mm, in quattro impianti binati scudati su apposite piattaforme elevantesi all'altezza della tuga, che potevano essere impiegati, avendo un'elevazione di 85 gradi, sia per il tiro anti-silurante che per quello anti-aereo. Per rafforzare la difesa AA vennero anche installata IV mitragliere da 13,2 mm.
Circa nel 1940, cioè poco prima che il SAN GIORGIO fosse inviato a Tobruk, essendo chiaro che avrebbe rappresentato il perno della difesa AA e navale della piazza, fu imbarcato un nuovo impianto binato da 100/47 mm sul castello di prora, a proravia dell'impianto da 254/45 mm, e un congruo numero di mitragliere da 37/54 mm 20/65 mm che, alla fine, raggiunsero il numero di XI.
In questa veste il SAN GIORGIO prese il suo posto all'ormeggio nella baia di Tobruk il 13 maggio 1940. Qui la nave venne racchiusa completamente in un recinto di forma rettangolare costituito da reti parasiluri. In seguito, a bordo, furono formate recinzioni protettive degli armamenti delle artiglierie e mitragliere AA, tramite opportuna disposizione di sacchetti di sabbia. Più precisamente, vennero innalzati parapetti di altezza variabile da 1,30 m a 1,60 m attorno al complesso da 100/47 mm di estrema prora, così come attorno ai IV impianti da 100/47 sistemati sulla piattaforma all'altezza della tuga, nonché attorno alle varie postazioni di mitragliere. Con uno strato di sacchetti sul ponte, si cercò di aumentare la scarsa protezione da esso offerta nelle zone attorno agli impianti da 254/45 mm.
L'epopea del SAN GIORGIO a Tobruk è cosa troppo nota per essere qui oggetto di un'approfondita disamina; diremo soltanto che la nave dal 12 giugno 1940, rimase in allarme per 322 volte in 212 giorni e che le sue artiglierie intervennero per ben 212 volte. Il 22 gennaio 1941 fu la fine: il giorno prima, i grossi calibri del SAN GIORGIO avevano sparato per l'ultima volta bersagliando i carri armati britannici comparsi sul costone che si eleva alle spalle della città. Undici ore di fuoco che significarono undici ore di stasi nell'avanzata delle truppe inglesi. Alle 04.15 h del 22 gennaio, il SAN GIORGIO veniva autoaffondato, tramite il brillamento di cariche sistemate nei depositi munizioni, mentre le truppe inglesi entravano in Tobruk. La nave, dopo 31 anni di servizio comprendenti tre guerre, terminava la sua vita di combattente guadagnandosi la Medaglia d'Oro.
Fu recuperata con non poco lavoro da un'impresa italiana nel 1951: lo scafo del SAN GIORGIO, con la bandiera nazionale issata a prora su un residuo di sovrastrutture, venne preso a rimorchio dal rimorchiatore URSUS della Soc. Panfido & C. di Venezia per essere condotto in Italia. Il 20 luglio 1951, a 140 mg. a nord-ovest di Tobruk, il cedimento del tampone d'una falla provocava l'affondamento dell'unità.

Incrociatore leggero TARANTO
Lo STRASSBURG era stato varato a Wilhelshaven; alla sua classe appartenevano altre tre unità, allora classificate esploratori. La loro linea era classicamente tedesca: dritto di prora ad andamento rettilineo, leggermente inclinato sul davanti, castello corto, poppa a incrociatore e quattro alti fumaioli.
Le unità di questa classe erano le prime in cui alla protezione molto era concesso: essa infatti consisteva in un ponte corazzato dello spessore uniforme di 50 mm, che si estendeva senza interruzioni per oltre il 94 per cento della lunghezza della nave; in più, rispetto ai DRESDEN, dei quali erano lo sviluppo, dal collegamento del detto ponte con le murate, aveva inizio una corazzatura verticale dello spessore di 60 mm formante cintura. Essa aveva un'altezza di 2,50 m e scendeva sotto il galleggiamento estendendosi, in senso longitudinale, per oltre il 78 per cento della lunghezza dello scafo. Completava la difesa passiva un doppiofondo comprendente il 45 per cento della lunghezza della nave. Come si vede, lo scafo era concepito in maniera semplice , ma tale da conferire alla costruzione una notevole robustezza e protezione. Si noti che negli esploratori costruiti per la Regia Marina nello stesso periodo - tipi BIXIO minori di sole 1.000 ton. - la protezione era ancora affidata unicamente ad un ponte dai bordi inclinati dello spessore di 40 mm al centro, che si riduceva a 20 mm verso i bordi. Nello STRASSBURG, poi, anche il ponte di comando e le artiglierie erano protetti rispettivamente con 100 e 50 mm di acciaio.
L'apparato motore era costituito da 16 caldaie a combustione mista tipo Schultz-Thornycroft; esse alimentavano due gruppi turboriduttori Parsons sistemati a poppavia dei fumaioli e agenti su due assi. da notare che lo STRASSBURG era l'unica unità della sua classe ad avere due assi, avendone tre il MAGDEBURG,e lo STRASLUND e quattro il BRESLAU. La potenza sviluppata da questo apparato motore, progettato per erogare 25.000 HP, fu alle prove di 33.742 HP. Con tale potenza la nave superò i 28 nodi, ma la velocità operativa era di 27 nodi.
L'armamento originale era composto da XII cannoni Krupp da 10,5 cm lunghi 45 calibri e da IV lanciasiluri da 500 mm. Già durante la I G.M., però, la Kaiserliche Marine provvide a modificarlo, sistemando VII cannoni da Krupp da 15 cm lunghi 45 calibri e IV da 8,8 cm lunghi anch'essi 45 calibri, lasciando immutato il numero e il calibro dei lanciasiluri. La nave era anche attrezzata per l'imbarco e la posa di 120 mine. L'armamento era così disposto: tre impianti scudati da 15/45 cm sul castello, uno aventi e due ai lati del ponte di comando; tre impianti dello stesso tipo sul ponte di coperta, a tre quarti di nave verso poppa, ai lati della tuga, e uno subito a poppavia della tuga stessa; un impianto sulla tuga a poppavia dell'albero. Tra il quarto fumaiolo e l'albero poppiero, erano sistemati due complessi in pezzi scudati da 8,8/45 cm costituenti l'armamento secondario. Infine, sul ponte di coperta, in corrispondenza dello spazio tra il terzo e il quarto fumaiolo, erano sistemati due tubi lanciasiluri, uno per lato, mentre gli altri erano subacquei e sistemati a prora.
In definitiva, questa, per l'epoca, era una buona nave, solida e ben armata, relativamente veloce e con un'autonomia di 5.000 mg. Potremmo affermare che era questo il tipo di nave dal quale avrebbe potuto derivare in breve tempo quel tipo di incrociatore complessivamente equilibrato che, invece, la maggioranza delle Marine riuscì ad ottenere solo nel periodo immediatamente precedente la II G.M., con l'unica eccezione degli italiani ZARA.
Basti pensare, infatti, che poco più di un decennio dopo la costruzione dello STRASSBURG, l'evoluzione di caldaie e turbine permetteva di realizzare apparati motore eroganti un HP ogni 14 Kg circa di peso, contro l'HP ogni 70 Kg ottenibile nel 1911. Evidentemente sarebbe bastato solo questo progresso per permettere la costruzione di navi secondo la formula ispiratrice dello STRASSBURG, sfruttando così il risparmio di peso e volume sull'apparato motore per far luogo all'installazione di moderne artiglierie e apparecchiature per la direzione del tiro, pur aumentando la velocità e ferma restando la protezione. Ma le varie Conferenze Internazionali avrebbero introdotto, con le limitazioni di tonnellaggio e armamento, una componente politica nel delicato e già complesso quadro delle componenti tecniche delle costruzioni navali, riuscendo a deviare dal suo alveo logico l'evoluzione delle stesse.
Il 20 luglio 1929, la Regia Marina prendeva in consegna nel porto di Cherbourg la preda bellica contraddistinta con la lettera "O", che altro non era che lo STRASSBURG. E poiché questa era una delle navi che la "magnanimità degli alleati le concedeva di conservare, la Regia Marina provvedeva a iscriverla nel quadro del naviglio militare con il nome di TARANTO e a classificarla come esploratore. Dopo opportuni lavori di riparazione effettuati nel Regio Arsenale di Taranto, questa nave entrò in Squadra: durante detti lavori vennero sbarcati i due pezzi da 8,8/45 cm e sostituiti da II-76/40 mm sistemati ai lati del quarto fumaiolo; con questa sostituzione la potenza dell'armamento secondario risultò ridotta del 30 per cento circa. Inoltre, i II lanciasiluri subacquei vennero sbarcati. Nessuna modifica venne apportata all'armamento principale, anche se il cannone Krupp da 15/45 cm fu designato come 149/43 mm; ciò perché nella Marina italiana il calibro si misurava in mm ( e quello di questo cannone era di 148,1 mm) e la lunghezza in calibri si riferiva a quella dell'anima e non a quella totale dell'arma, contrariamente a quanto avveniva nella Marina tedesca. Successivamente, in epoca imprecisata, vennero rimossi i II lanciasiluri sopracquei.
Il TARANTO svolse un'intensa attività effettuando molte crociere, stazionando nel Mar Rosso, nell'Oceano Indiano, visitando i porti spagnoli e libanesi, finché nel 1936 (dal 1929 aveva assunto la classifica d'incrociatore) entrò nuovamente in Arsenale per lavori di trasformazione. In quest'occasione vennero sbarcate due caldaie (dal primo locale contando da prora) sicché la potenza installata scese a 13.000 HP e, conseguentemente, la velocità a 21 nodi. Questi lavori comportarono la più grossa modifica estetica subita dalla nave: i fumaioli furono ridotti a tre. Il primo, contando da prora, venne sbarcato e i condotti del fumo delle due residue caldaie vennero convogliati nel secondo fumaiolo attraverso un raccordo a profilo triangolare. Tutti i fumaioli vennero dotati di piccole cappe. I concetti ispiratori di questa trasformazione paiono essere i medesimi che consigliarono quella del SAN GIORGIO.
La II G.M. trovò l'incrociatore TARANTO nelle condizioni dette: va da sé che le missioni affidategli fossero di secondaria importanza: posa di mine e cannoneggiamenti contro-costa in Adriatico, questi ultimi molto efficaci grazie alla bontà del 149/43 mm che realizzava, specie col munizionamento originale, una notevole compattezza di salva.
Nel 1941, parve profilarsi per il TARANTO la possibilità di partecipare ad un'azione brillante e decisiva: l'occupazione di Malta, occupazione però che non andò mai a compimento per molteplici ragioni politico-militari. Al TARANTO non rimase quindi che ritirarsi nel Regio Arsenale di La Spezia per riparazioni. Nel 1942 venne posto in riserva e il 9 settembre 1943 fu affondato dall'equipaggio per evitare la cattura da parte dei tedeschi. Recuperato perché servisse come ostruzione all'imboccatura della diga foranea, la vita del TARANTO si concluse a La Spezia sotto le bombe degli aerei anglo-americani dopo 31 anni di servizio.

Incrociatore leggero BARI
Il terzo incrociatore di cui ci interesseremo in questa prima parte ha una storia per molti versi simile a quella del TARANTO. Anche il BARI, infatti, era preda bellica: come il TARANTO era stato preso in consegna dalla Regia Marina nel porto di Cherbourg il 20 luglio 1920, contrassegnato dalla lettera "U", e come il TARANTO era di costruzione tedesca. Tuttavia esso si distaccava per concezione costruttiva dalle contemporanee unità germaniche, poiché era stato impostato nel cantiere Schichau di Danzica per conto della Marina zarista col nome di MURAWIEW AMURSKI.
Lo scafo di questa nave era protetto, infatti, da un ponte dai lembi inclinati a murata dello spessore di 20 mm nella parte centrale e di 40 mm in quella laterale inclinata. Veniva così a mancare la cintura corazzata al galleggiamento che, per i suoi incrociatori, la Kaieserliche Marine aveva adottato già nel 1911, a partire dai MAGDEBURG. E' interessante notare, a questo punto, che gli Almanacchi navali italiani riportano, parlando di questa nave, un valore di 85 mm per la protezione verticale e di 25 mm per quella orizzontale. Altre pubblicazioni, tra cui una recente dell'Ufficio Storico della Marina Militare, non fanno alcuna menzione circa una protezione verticale, come più sopra riportato. La verità pare essere quest'ultima: infatti, in una pubblicazione dell'Archivio della Marina germanica a cura del Koppen, il PILLAU (questo era il nome assunto dopo la requisizione del MURAWIEW AMURSKI, che doveva poi diventare il BARI) è compreso tra gli incrociatori dotati di ponte corazzato e ciò sprovvisti di protezione laterale.
L'aspetto della nave, alla sua entrata in servizio, era caratteristico: prora dritta, poppa molto arrotondata, addirittura rientrante, sormontata da un terrazzino all'altezza del ponte di coperta, per agevolare le operazioni di posa delle mine. All'entrata in servizio l'armamento comprendeva VIII pezzi Krupp da 15/45 cm di tipo leggero. Detti cannoni erano sistemati in impianti singoli protetti da scudi dello spessore di 50 mm: 2 erano sistemati sul castello a proravia del ponte di comando, due a poppa sulla tuga e quattro, due per lato, sul ponte di coperta. Poiché gli impianti prodieri e poppieri erano affiancati ma non in posizione sfalsata, il tiro al traverso poteva avvenire solo con quattro pezzi, mentre nei similari incrociatori tedeschi, armati con VII pezzi in luogo di VIII, poteva effettuarsi con cinque pezzi. L'armamento secondario era costituito da II impianti singoli da 8,8/45 cm e II tubi lanciasiluri da 500 mm subacquei sistemati sul ponte di coperta, uno per lato, a metà nave.
Appena la Regia Marina prese in consegna questa nave, la sottopose a lavori di modifica e riattamento , durante i quali vennero sbarcati i II pezzi da 8,8/45 cm che furono sostituiti con III-76/40 mm.
Esercitazioni e crociere rappresentarono l'attività del BARI, che dal 1929 aveva assunto la classifica d'incrociatore, abbandonando quella iniziale di esploratore, fino al 1931. Fu poi a Venezia dove, assieme ai caccia MONFALCONE e ZENSON, costituì il Gruppo Navi Scuola Meccanici, che effettuò una crociera nel Levante, al termine della quale il BARI venne posto in riserva. Nel 1934 entrò nel Regio Arsenale di Taranto per lavori di trasformazione, era stato deciso, infatti, di attrezzare il BARI come nave coloniale. A tal fine era necessario aumentare la disponibilità di spazio, per migliorare l'abitabilità della nave, che avrebbe dovuto operare costantemente in climi tropicali o comunque caldi.
Ciò fu ottenuto con gli stessi accorgimenti adottati nelle trasformazione del SAN GIORGIO e del TARANTO: riduzione della potenza motrice, e quindi della velocità, con recupero di peso e spazio da devolversi a favore di altri fattori. Sul BARI vennero sbarcate le sei caldaie a carbone, contenute nel primo locale contando da prora, e il relativo alto fumaiolo. La potenza motrice diminuì a 21.000 HP con una velocità massima di 21 nodi.
Nel locale libero ottenuto vennero ricavati un deposito nafta della capacità di 400 ton., e al di sopra, ampi locali adibiti ad alloggi. Terminati questi lavori, il BARI venne dislocato nel Mar Rosso dove si trattenne sino al 1937, quando fu rilevato dalla nuova nave coloniale ERITREA. Da questa data all'inizio della II G.M. rimase ai lavori. Quindi, dal 10 giugno 1940 al 25 ottobre dello stesso anno, fu assegnato alla difesa di Taranto.

Col 25 ottobre divenne nave ammiraglia della Forza Navale Speciale. Qui la storia del BARI si fonde con quella del TARANTO.
Nel 1943 la Regia Marina sentiva fortemente la necessità di navi adatte alla scorta dei convogli, di quel tipo di nave cioè compreso nel Programma Navale 1938 che rimase parzialmente irrealizzato per l'inadempienza dei Tedeschi alle clausole segrete del PATTO D'ACCIAIO, che prevedevano l'entrata in guerra dell'Italia solo nel 1942.
La necessità era così forte che la Regia Marina si dispose a studiare la possibilità di trasformare il BARI in incrociatore A.A. per la scorta ai convogli. Tale trasformazione avrebbe dovuto comportare l'installazione dei pezzi da 90/50 mm singoli, imbarcati sulle navi da battaglia DORIA e LITTORIO, o dei nuovi cannoni da 65/64 mm, anch'essi in impianti singoli, ma ancora in fase di messa a punto.
Ciascuna delle due soluzioni sarebbe stata piuttosto complessa: adottando le armi da 90/50 mm sarebbe stato sufficiente installarne otto, in sostituzione degli otto impianti da 149/43 mm, sostituendo però anche il sistema di rifornimento che si presentava più complesso. Ciò avrebbe comportato lavori di notevole entità su di uno scafo vecchio e non di robusta costruzione. Con gli VIII pezzi da 90/50 mm, il BARI avrebbe potuto sparare complessivamente 200 colpi/minuto, ciascuno di 10 Kg, a 8.000 m. Entro questo raggio, la capacità di fuoco del BARI sarebbe stata pari al 118 per cento di quella dei COVENTRY e al 48 per cento di quella dei CAPETOWN (costruiti rispettivamente nel 1917 e nel 1919 e rimodernati dalla Royal Navy prima della II G.M.), ma avrebbe rappresentato solo il 42 per cento della potenza di fuoco degli inglesi BELLONA, il 34 per cento degli americani ATLANTA e il 33 per cento degli inglesi DIDO, tipici rappresentanti dell'incrociatore A.A. appositamente costruito nei primi anni di guerra.
Se invece la conversione in incrociatore A.A. fosse stata effettuata con l'adozione del 65/64 mm, si sarebbero presentati vari problemi: infatti, per ottenere una difesa A.A. valida con un cannone di calibro così limitato, avrebbero dovuti essere imbarcati circa una quindicina di pezzi. Inoltre, il calibro 65 mm non avrebbe potuto garantire, contrariamente a quello da 90 mm, alcuna valida difesa in caso di attacco di forze navali di superficie, sia pur di limitato dislocamento.
In ogni caso, qualunque fosse il numero e il calibro dei cannoni imbarcati, si sarebbe dovuto risolvere il problema rappresentato dalla sistemazione di sviluppate e complesse apparecchiature per l'elaborazione dei dati e la direzione dei tiro A.A., senza le quali esso avrebbe mancato della necessaria tempestività, fattore primo della sua efficacia. Questo rimodernamento, che in realtà era ritenuto poco conveniente, avrebbe richiesto un lungo tempo di realizzazione e, probabilmente, anche se intrapreso, sarebbe stato interrotto dall'Armistizio.
Mentre si studiava questa trasformazione, il BARI era ai lavori a Livorno per imbarcare VIII mitragliere A.A. da 37/54 mm ed altrettante da 20/65-70 mm che avrebbero dovuto rafforzare la difesa A.A., fino ad allora rappresentata da mitragliere da 13,2 mm. Nell'incursione aerea che colpì il porto di Livorno il 28 giugno 1943, alcune bombe, scoppiate vicino all'unità, ne determinarono l'affondamento, provocando altresì una gravissima lesione alla carena. Sabotato l'8 settembre dello stesso anno per evitarne la cattura da parte dei Tedeschi, il BARI fu da questi ultimi demolito sul posto.

Nell'immagine l'incrociatore San Giorgio.
Articolo pubblicato sul n° 63 del mese di gennaio 1970, della rivista Interconair Aviazione e Marina
Documento inserito il: 20/12/2016
  • TAG: incrociatori italiani, san giorgio, bari, taranto, regia marina, grande guerra

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