Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, medio evo: Dall’Inghilterra all’Egitto, nel Medioevo: i viaggi trecenteschi di Sir John Mandeville e Ibn Battuta
>> Medio Evo > Nel Mondo

Dall’Inghilterra all’Egitto, nel Medioevo: i viaggi trecenteschi di Sir John Mandeville e Ibn Battuta

di Davide Arecco


Un viaggiatore inglese del Trecento fra realtà e fantasia

Se la storia del viaggio, anche quanto a documentazione, acquisisce importanza e ci è nota in particolare dal Quattrocento, in concomitanza con quella delle scoperte ed esplorazioni geografiche, già durante il XIV secolo non mancarono, ad ogni modo, casi di grandi viaggiatori. Tra questi, vi fu il britannico Sir John Mandeville. I Travels di quest’ultimo, conosciuti anche come Voyage d’outre mer, sono il resoconto di un periplo articolato e complesso. Il manoscritto cominciò a circolare tra il 1356 e il 1366, redatto in lingua anglo-normanna.
L’opera di Sir John Mandeville appartiene al filone della letteratura di viaggio, con larga parte lasciata all’immaginazione: un filone ben presente, in seguito, tra Sei e Settecento, all’interno della cultura europea, sulla spinta anche e soprattutto delle grandi scoperte geografiche. L’importanza dei Travels è tuttavia ancor maggiore, se se pensa che la stesura dell’opera avvenne nel Medioevo, cioè prima che nascesse e si affermasse in Europa una vera e propria cultura scientifica dell’esplorazione attenta ai dati cartografici, medici, naturalistici e nautici.
Viaggio, per lo più, immaginario, ma raccontato dall’autore in maniera così realistica da farlo ritenere autentico, per più di due secoli, il testo dei Travels fu eccezionalmente popolare, lettissimo da dotti ed eruditi fra tardo Medioevo e prima età moderna. La lettura dell’opera influenzò non poco esploratori successivi, quali Colombo e Frobisher. Proprio il fantastico a cui Mandeville aveva dato un così vasto spazio nel proprio diario fu una delle molle che innescarono la curiosità di esploratori e viaggiatori, portandoli sovente ad affrontare i mari dell’ignoto, in cerca di terre inesplorate, mossi da un insopprimibile desiderio di avventura sulle rotte di oceani sconosciuti.
Mandeville era un cavaliere inglese, di origini francesi, nato e cresciuto a Saint-Albans, forse pseudonimo di Jean de la Barbe. Secondo alcuni studiosi ed interpreti, la sua opera potrebbe anche essere stata assemblata da più autori: una sorta di officina intellettuale, al servizio della letteratura di viaggio e dell’immaginazione, espressione quest’ultima dei miti e simboli depositati nella coscienza collettiva dell’uomo di allora, nel secondo Trecento anglo-francese. Il Voyage d’outre mer ebbe poi, dal XV secolo in avanti, varie edizioni a stampa. Fu edito a Milano, dal tipografo tedesco Uldericho Scinzeneler, nel 1497. Altre impressioni a stampa furono, poi, quella veneziana (1496) di Manfredo da Monferrato, quella bolognese (1497) di Gianni Antonio de’ Benedetti, quella fiorentina (1497) di Lorenzo de’ Morgiani e di Giovanni da Magonza, l’altra felsinea (1498) di Ugo Rogerio, e la prima meneghina (1480) uscita dai torchi di Pietro da Corneno. Tutte queste tirature fecero infatti entrare i Travels nella nascente cultura geografica italiana, a cavallo ancora fra letteratura e scienza.
L’autore ed il protagonista del Voyage d’outre mer è da identificarsi, stando alle notizie (quasi certamente veritiere), ricavabili dal libro stesso, come si diceva, con un nobile inglese, che avrebbe compiuto, tra il 1322 ed il 1356, un lungo viaggio in Oriente, e si sarebbe ritirato, poi, a Liegi, dove sarebbe morto nel 1372 (secondo un epitaffio presente in una chiesa della città, e scomparso con la Rivoluzione francese). Circolante in francese tra il 1357 e il 1371, il Voyage d’outre mer è, in larga parte, un’ampia compilazione, da molteplici fonti precedenti (Guglielmo di Boldensale, Odorico da Pordenone, in particolare Vincenzo di Beauvais), non senza peraltro informazioni e notizie di prima mano, specie per quanto concerne i luoghi santi, dall’autore effettivamente visitati. Da questo punto di vista, il Voyage è altresì la cronaca di un pellegrinaggio religioso, del resto comunissimo durante il secolo XIV, testimonianza di un genere letterario particolarmente diffuso nel tramonto del Basso Evo.

I Travels – si diceva – ebbero vastissima fortuna. Furono tradotti in latino, tedesco ed italiano: quasi trenta le versioni a stampa, nel solo secondo e tardo Quattrocento. Ne esistono, in inglese, tre diverse redazioni, due come The Buke of John Maundeuill being the Travels of Sir John Mandeville Knight e una con l’altro titolo The voyage and travaile of Sir John Mandeville knight. L’opera fu, tra gli altri, nota a Leonardo, che la cita in un foglio del Codice Atlantico, tra i libri posseduti, col titolo Giovan di Mandinilla e, soprattutto, a Colombo, forse tra le fonti di ispirazione dietro al viaggio che nel 1492 lo avrebbe condotto, cercando l’Asia, in America. Il desiderio di oltrepassare le colonne d’Ercole del sapere ed il fascino dell’ignoto troneggiano in molte pagine del Voyage d’outre mer, ad esempio laddove leggiamo che

"in quel regno di Abchas vi è una grande meraviglia. Poiché una intera provincia del paese, i cui contorni lontani distano ben tre giorni di viaggio, e che la gente del luogo denomina Hanyson, è per intero sommersa nelle tenebre, senza il fulgore della più piccola luce, cosicché nessuno vi si possa fare vedere o sentire e niuno possa accedervi. Nonostante ciò, la gente del posto dice non di meno che talora essi sentono giungere dalle tenebre voci umane e nitriti di cavalli, nonché canti di uccelli. E la gente sa che in quel buio abitano degli uomini, sia pure senza sapere di quale genere. Essi raccontano altresì che le tenebre caddero poi dopo un miracoloso intervento divino. Dato che un imperatore cattivo della Persia, di nome Saures, perseguitava e duramente tutti i cristiani, al fine di annientarli o costringerli a sacrificare ai suoi idoli, a cavallo di un possente esercito, dovunque egli arrivasse portava rovina al popolo di Dio. Ma, giunto nel regno, cadde su di lui la tenebra e in eterno egli ancora vi cavalca, alla guida dei suoi soldati, nella vana ricerca di ogni via di fuga da quel buio eterno."

Difficile, nell’opera di Sir John Mandeville, stabilire in maniera univoca dove finisca la realtà, e dove inizi la fantasia. Le due, nella ricca ed affascinante trama del racconto, neppure si possono in fondo separare, entrambi fattori culturali che concorrono combinati a definire l’universo geografico della mentalità medievale, fra teologia e scienza, letteratura e gusto dell’esotico. Il mondo di allora era ancora quello del pressappoco e non un universo della precisione – anche le mappe trecentesche esageravano in rappresentazioni di terre, contorni e, soprattutto, distanze – sia pure con l’eccezione luminosa che stiamo per andare a trattare.


Cartografare il mondo: i viaggi in Africa, Asia ed Europa di Ibn Battuta

Sempre nel corso del XIV secolo, un grandissima figura di viaggiatore fu quella dello storico e giurista marocchino Ibn Battuta (1304-1369). Egli visitò pressoché tutto il globo allora conosciuto e ne diede ragguaglio nel suo resoconto di viaggio, al-Rihla in arabo, in cui troviamo osservazioni e ricordi di peregrinazioni protrattesi per oltre tre decenni. Molti materiali sulla sua vita ci vengono in effetti proprio dai suoi racconti di viaggio, per certi versi quasi un’autobiografia, scritta descrivendo spazi e contesti fra di loro anche assai differenti.
Nato a Tangeri, da una famiglia islamica di origine berbera, Ibn Battuta fece tre lunghi viaggi, il cui resoconto – per volere del governatore del Marocco di allora, Abu Inan Faris – egli dettò dopo essere tornato in patria a Ibn Juzavy, uno studioso che aveva conosciuto a Granada. Il primo viaggio di Ibn Battuta (1325-1332) nacque come un pellegrinaggio religioso dalla terra natia alla Mecca. Fu un viaggio soprattutto carovaniero, visitando i sultanati dell’Africa settentrionale, l’odierno Iraq, la Persia, la penisola arabica, la Somalia e la costa svahili. Nella primavera del 1326 fu ad Alessandria d’Egitto, per poi dirigersi al Cairo, ed attraversare la Valle del Nilo, alla ricerca, anche, di antiche e perdute testimonianze archeologiche della civiltà egizia. Raggiunti i porti del Mar Rosso, lo storico e geografo arabo seguì un itinerario volto a condurlo a Damasco, in Siria. Lungo la via, vide le città sacre di Hebron, Gerusalemme e Betlemme affrontando non pochi pericoli. Attraversati gli altipiani iracheni e persiani, Ibn Battuta raggiunse Baghdad, visitandovi il mausoleo di Alì, quarto califfo e primo Imam sciita. Seguendo il fiume Tigri, si portò, quindi, a Bassora. Il percorso del viaggiatore musulmano si sovrappose, inoltre, per diversi tratti, a quello della Via della Seta. Ibn Battuta visitò Mosul ed altre città, ai confini turchi. Attraversò poi con alcune carovane il deserto arabico e giunse nella leggendaria città vecchia di San’a, nello Yemen, tra il 1327 ed il 1328. Salpando dal porto di Gedda, raggiunse Mogadiscio e visitò la ‘Terra dei Berberi’, denominazione che all’epoca si dava al Corno d’Africa. Sempre accolto con grande cordialità dagli emiri e visir, Ibn Battuta si spinse sino a Mombasa, visitò quindi l’attuale Tanzania e infine l’Oman, per fare a quel punto ritorno alla Mecca, la vera stella polare del suo primo viaggio. Fu un’esperienza altamente formativa e straordinaria, a dire poco, ed unica per quel tempo: un vero aprirsi di orizzonti, dischiusi agli occhi del viaggiatore e scrittore musulmano, che li affidò alle proprie carte manoscritte.
Il secondo viaggio di Ibn Battuta – che gli avrebbe fatto incontrare Andronico III Paleologo, a Costantinopoli, sul finire del 1332 – venne da lui compiuto dal 1332 al 1348. Viaggio lunghissimo, di oltre tre lustri, che vide il geografo marocchino fare tappa principalmente sul Mar Nero, in Asia centrale e meridionale, in India, nel sud-est asiatico e infine in Cina. Nell’autunno del 1332, l’arabo partì per l’Anatolia, attraversò il Mar Rosso e il deserto orientale, giungendo nella Valle del Nilo, e da lì proseguì in direzione del Cairo. Ibn Battuta attraversò la penisola del Sinai, per arrivare quindi in Palestina. Continuando verso nord, si imbarcò su una nave, diretta in Crimea, e raggiunse la città portuale di Azov alla fine del 1333. Nel 1334, Ibn Battuta proseguì nel suo viaggio, passando il Mar Caspio e il Lago d’Aral, giungendo dapprima a Bukhara e poi a Samarcanda, dove poté incontrare il re mongolo locale. Da lì si spostò a sud attraversando l’Afghanistan e superando il passo dell’Hindu Kush. In settembre fu in India, dove a Delhi incontrò diversi sufi. A quel punto, decise di portarsi in Cina: navigò verso Calicut – dove il portoghese Vasco de Gama sarebbe sbarcato, due secoli dopo – e deviò per visitare le Maldive. Qui, raccolse dalla popolazione nativa notizie circa le leggende dei demoni del mare, sempre attratto dai miti religiosi e dalle credenze locali delle terre che, di volta in volta, attraversava. Ibn Battuta proseguì pertanto verso lo Sri Lanka ed il Bangladesh, entrando così nel sud-est asiatico: navigò verso Malacca, nella penisola malese, qui ospitato, per alcuni giorni, dal governatore della città. Fu quindi in Vietnam e nelle Filippine. Deciso a rientrare in Cina, giunse a Quanzhou, allora sotto il dominio mongolo, nel 1345. Ne visitò le moschee rimaste e poi viaggiò, in direzione meridionale, lungo la costa della Cina, sino ad arrivare a Canton. Qui sostò, per un paio di settimane, frequentando i ricchi mercanti della città. Approfittò anche della sosta – sempre curioso – per studiare i costumi religiosi del luogo ed in particolare la divinità solare che vi veniva adorata: un culto che lo colpì moltissimo. Giunto quindi a Pechino, Ibn Battuta fu il primo viaggiatore a parlare della Grande muraglia cinese. Fu di fatto l’ultima tappa del suo viaggio. Intenzionato a fare ritorno in Marocco, passò lo Stretto di Hormuz e nel 1348 giunse infine a Damasco, non prima di aver fatto un’ultima deviazione in Sardegna, a Cagliari.
Il 1349 vide Ibn Battuta a Tangeri, ma, sempre irrequieto e desideroso di viaggiare, non restò a lungo nella città natia. In quello stesso anno, egli intraprese infatti il suo terzo (ed ultimo) viaggio, durato sino al 1354. Questa volta, le tappe principali furono il Nord Africa, la Spagna e vaste zone dell’Africa occidentale. Il motore del viaggio fu quello di vedere l’interno delle terre musulmane, in Andalusia, nella penisola iberica. All’epoca, il Re Alfonso XI di Castiglia – come il padre devoto a scienze e magia cerimoniale, medicina ed astrologia – minacciava di attaccare Gibilterra. Pertanto, nel 1350, Ibn Battuta proseguì il proprio viaggio in Spagna scegliendo di visitare le città di Valencia e Granada. Deciso stavolta a continuare nel suo itinerario attraverso il Marocco, Ibn Battuta arrivò a Marrakech, divenuta allora – dopo la Peste nera del 1347-1348 e lo spostamento della capitale a Fès – quasi una sorta di città fantasma, che il viaggiatore arabo trovò affascinante e decaduta, piena di ombre e di misteri. Quindi il deserto, ancora una volta: oltre seicento chilometri di aree inospitali e brulle, per superare le quali la carovana impiegò due mesi. Lo affascinavano le dune, e ancora di più gli antichissimi templi pagani sepolti sotto le sabbie. In Egitto aveva fantasticato su Luxor, il che ha portato successivamente i cultori di archeologia misteriosa a immaginarlo riscoprire perdute rovine di epoca atlantidea. Ibn Battuta proseguì nel suo viaggio in direzione sud-ovest – lungo un fiume da lui ritenuto ancora il Nilo, quando in realtà si trattava del Niger – e nel 1341 giunse a Timbuctù, nei territori dell’Impero del Mali. La sua ultima e per molti più grande ‘scoperta’, guardata, come ogni volta, con gli occhi pieni di meraviglia e stupore: le due categorie del viaggio di esplorazione, fra il tardo Medioevo e la primissima modernità, stavolta però al di fuori di quel mondo europeo al quale siamo sempre abituati a pensare.
Ibn Battuta fu, senz’altro, il più grande viaggiatore del Trecento, sempre spinto da curiosità ed ansia di conoscere, da coraggio e determinazione. Volle vedere il mondo – nella sua accezione più ampia – e raccontarlo in forma scritta, con una precisione rara tra l’altro nella stessa epoca presso la cultura cristiana occidentale. Nell’arco di tutta la sua vita, Ibn Battuta viaggiò – e nelle condizioni del mondo di allora – per quasi centoventimila chilometri visitando l’equivalente di quarantaquattro paesi attuali. L’elenco dei luoghi da lui visti ed attraversati delinea una geografia, oltremodo vasta, che va dal Maghreb (fu a Algeri, Tunisi e Tripoli) al Mashrek (a Medina visitò la tomba del profeta Maometto, per portarsi a Jedda, nell’odierna Riyad e nel Bahrain), dall’Impero bizantino all’Europa orientale (raggiunse Kazan ed il fiume Volga), dall’Asia centrale (egli si trovò nelle aree Pashtun dell’Afghanistan orientale e nel Pakistan settentrionale) a quella meridionale (fu nell’India del nord, nonché nel Sindh, a Malabar e nel Regno Pandya, poi ancora nell’attuale Bangladesh e nel Bengala occidentale, sino a raggiungere il fiume Brahmaputra), dalla Cina (ad Hangzou, per lui la città più grande ed estesa del mondo da lui attraversato), sino all’Asia meridionale (la Birmania, la Sumatra del nord, l’Indonesia, Malacca e la penisola malese), dall’Africa occidentale alla Mauritania. Al suo tempo, nessuno viaggiò come Ibn Battuta, ogni volta attento alla geografia dei luoghi visitati, a città e popolazioni, usi e credenze religiose, abitudini e costumi, storia e ordinamenti politici, architettura e vestigia del passato.
Per Ibn Battuta, viaggiare non era solo un’esperienza fatta nello spazio, ma altresì nel tempo: storico, oltre che geografo di rango, sapeva che territorio, edifici e costruzioni religiose avevano un passato che era compito dello studioso riportare alla luce. Con Ibn Battuta, la geografia iniziò per la prima volta a farsi scienza, ad assumere contorni precisi e via via meglio definiti ed il resoconto dei vari viaggi a farsi descrizione circostanziata quanto attenta di spazi e luoghi visitati: la strada – poi, nei secoli successivi – percorsa da una cultura, quella europea, che pure l’arabo aveva osservato ma che non era stata sua. Di quella grande stagione definita da alcuni storiografi Illuminismo islamico, che arriva appunto sino al Trecento per poi quasi eclissarsi, Ibn Battuta fu l’ultimo e forse maggiore esponente, aperto e cosmopolita forse persino più del nostro Colombo.


Nell'immagine, l'Incipit del Voyage d'outre mer nell'edizione del 1497.


Bibliografia:

John AUBREY, Vite brevi di uomini eminenti, Milano, Adelphi, 1977.
Anthony BALE, Viaggiare nel Medioevo, Milano, Hoepli, 2024.
Ibn BATTUTA, I viaggi, Torino, Einaudi, 2018.
Josephine WATERS BENNETT, The Rediscovery of Sir John Mandeville, New York, Krauss, 1971.
Jerry BENTLY, Old World Encounters, Oxford, Oxford University Press, 1993.
Riccardo CAPOFERRO, Frontiere del racconto. Letteratura di viaggio e romanzo in Inghilterra, Roma, Meltemi, 2007.
Charles Dexter CLEVALAND, A Compendium of English Literature, from Sir John Mandeville to William Cowper, Chicago, Barnes, 1871.
Ross DUNN, Gli straordinari viaggi di Ibn Battuta, Milano, Garzanti, 2005.
Erich FOLLATH, Al di là dei confini. Viaggio nel mondo dell’Islam sulle tracce del grande avventuriero Ibn Battuta, Torino, Einaudi, 2017.
James George FRASER, Il ramo d’oro, Roma, Newton, Compton, 1992.
John Michael GREER, Atlantide, Roma, Venexia, 2012.
Stephen HAW, Marco Polo’s China, London, Routledge, 2009.
John HOPKINS, Corpus of Early Arabic Sources, New York, Weiner, 2000.
Malcolm LETTS, Sir John Mandeville, London, Batchworth, 1949.
Richard HAKLUYT, Navigations, Voyages and Discoveries, London, Macmillan, 1900.
Richard HAKLUYT, I viaggi inglesi, Milano, Longanesi, 1966.
Noel KING, Ibn Battuta in Black Africa, Princeton, Princeton University Press, 2005.
Samuel LEE, The Travels of Ibn Battuta in Near East, Asia and Africa, New York, Cosimo, 2009.
Iain MACLEOD HIGGINS, The Book of John Mandeville, Indianapolis, Hackett, 2011.
John MANDEVILLE, Itinerarium, Londra, British Library, Ms. Cotton Otho.D.I.
John MANDEVILLE, Itinerarium de mirabilibus mundi, Cambridge, Corpus Christi College, Ms. 275.
John MANDEVILLE, Itinerarius a terra Angliae, Vienna, Biblioteca nazionale austriaca, Ms. 4459.
John MANDEVILLE, Voyage d’outre mer, Firenze, Pescia, 1500.
John MANDEVILLE, The Voyages and Travels, London, Cassell, 1886.
John MANDEVILLE, The Mervellous Adventures, Westminster, Constable, 1895.
John MANDEVILLE, Viaggi, Milano, Il Saggiatore, 1982.
John MANDEVILLE, The Travels, Harmondsworth, Penguin, 1983.
John MANDEVILLE, The Book of Marvels, Oxford, Oxford University Press, 2012.
Patrizia MANDUCHI, Da Tangeri a la Mecca passando per la Cina. Per una storia del viaggio nel mondo musulmano sulle orme di ibn Battûta, Cagliari, Cuec, 2000.
Giles MILTON, The Riddle and the Knight. In Search of Sir John Mandeville, London, Hodder, 2001.
Seyyed Hossein NASR, Scienza e civiltà nell’Islam, Milano, Fentrinelli, 1977.
Andrea PACILLI, Il Roteiro e i viaggi di Vasco da Gama. La narrazione delle navigazioni portoghesi verso le Indie orientali, Manfredonia, Pacilli, 2024.
Sanjay SUBRAHMANYAM, Vita e leggenda di Vasco da Gama, Roma, Carocci, 2018.
Francesco SURDICH, La Via della Seta antica e moderna, Genova, Il Portolano, 2021.
Franz TAESCHNER, The Encyclopaedia of Islam, I, Leiden, Brill, 1986.
Rosemary TZANAKI, Mandeville Medieval Audiences. A Study on the Reception of the Book of of Sir John Mandeville, Aldershot, Ashgate, 2003.
Tana WADE, Anthony Reid and the Study of the Southeast Asian Past, Institute of Southeast Asian Studies, 2012.
André WINK, Al-Hind, the Slave Kings and the Islamic Conquest (11th-13th Centuries), Leiden, Brill, 2002.

Documento inserito il: 05/01/2025
  • TAG: storia delle esplorazioni e delle scoperte geografiche, Medioevo, antico Egitto, Atlantide, letteratura di viaggio, Asia, civiltà perdute, viaggi immaginari, archeologia, storia del viaggio

Note legali: il presente sito non costituisce testata giornalistica, non ha carattere periodico ed è aggiornato secondo la disponibilità e la reperibilità dei materiali. Pertanto, non può essere considerato in alcun modo un prodotto editoriale ai sensi della L. n. 62 del 7.03.2001.
La responsabilità di quanto pubblicato è esclusivamente dei singoli Autori.

Sito curato e gestito da Paolo Gerolla
Progettazione piattaforma web: ik1yde

www.tuttostoria.net ( 2005 - 2023 )
privacy-policy