Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, personaggi storici: Io, il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me: Giacomo Matteotti tra lotta e impegno politico

Io, il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me: Giacomo Matteotti tra lotta e impegno politico [ di Simone Balocco e Paola Maggiora ]

Cos'è la “democrazia”? Una domanda che ha dato il via ad un'infinita manualistica, la cui risposta è il perno del Mondo moderno. Frutto dell'unione fra le parole demos e kratos (popolo e potere), per “democrazia” si intende una forma di governo basato sul potere del popolo e sulla sua sovranità sulla vita di uno Stato. La democrazia è parte integrante dell'umanità, soprattutto dopo la fine del Secondo dopoguerra con la caduta dei regimi dittatoriali e con il diritto di voto esteso anche alle donne. La democrazia fa parte del nostro essere, oggi come oggi.
L'Italia è considerata una democrazia giovane, poiché la Carta costituzionale è in vigore dal 1° gennaio 1948 e il diritto di voto universale è “attivo” solo dal 2 giugno 1946, con il referendum sulla scelta tra monarchia e repubblica. Anche se qualche settimana prima, per le prime elezioni amministrative, alcune donne si sono recate per la prima volta a votare.
Il regime fascista, ça va sans dire, non è stato un regime democratico: dittatoriale, liberticida, nemico delle opposizioni, fondato sull'uso sconsiderato della forza e della violenza in maniera gratuita e coercitiva per imporre il proprio credo.
E proprio su questo si batté il deputato socialista Giacomo Matteotti, rimettendoci la vita. Un politico che ha messo la democrazia, e il rispetto della legge, al primo posto nella sua vita di politico vicino al popolo e ai proletari.
Perché Matteotti è così importante nella storia italiana contemporanea? Vediamo.


I primi approcci politici

Giacomo Matteotti nacque il 22 maggio 1885 a Fratta Polesine, in provincia di Rovigo, da Girolamo (di origini oggi trentine, allora austroungariche) ed Elisabetta, famiglia di modesta estrazione sociale. Quella zona d'Italia (il Polesine) era caratterizzata da una forte vocazione agricola e il PSI, nato il 14 agosto 1892, ebbe molti consensi tra cui quello dei Matteotti.
A 19 anni Giacomo Matteotti prese la tessera del partito dopo aver capito che quell'idea politica lo soddisfaceva e rispecchiava il suo essere. Sin da giovanissimo si interessò alla politica, avvicinandosi ai movimenti socialisti molto in voga in quegli anni. E il Polesine (e le odierne province della Romagna) erano caratterizzate da cooperative e leghe che aiutavano gli abitanti a tirare la fine del mese.
Nel 1907 Giacomo Matteotti si laureò in giurisprudenza presso l'Alma Mater Studiorum di Bologna: il suo futuro non sarebbe il foro ma la scena politica 24 ore su ventiquattro, 7 giorni su sette, 365 giorni su trecentosessantacinque.
Tra il 1912 ed il 1914 (a cavallo tra la guerra di Libia e lo scoppio della Prima guerra mondiale (fu in entrambi i casi in favore della neutralità senza se e senza ma) venne eletto in molti consigli comunali, diventando sindaco di Villamarzana e Boara Polesine e consigliere provinciale di Rovigo. I suoi comizi e i suoi interventi fecero breccia nel cuore dei vertici socialisti tanto che nel 1916 fu eletto segretario del Partito per il Rodigino Iniziò anche l'attività giornalistica sulle colonne de “Lotta proletaria”, dove poté mettere nero su bianco le sue idee socialiste neutraliste. Si fece notare per il temperamento e la parlata forbita per i tempi di allora. Ma soprattutto come amministratore attento e scrupoloso.
Molto preparato e abile oratore, non prese parte alla Prima guerra mondiale poiché figlio maschio di madre vedova. Fu un fervente neutralista: non voleva che l'Italia partecipasse alla Grande guerra e per questo ebbe non pochi problemi, oltre che essere accusato di essere filo-austriaco per via delle sue origini paterne. Nel 1916 sposò Velia Ruffo ed ebbe tre figli (Giancarlo, Gianmatteo e Isabella).


L'elezione a deputato e l'antifascismo
Nelle elezioni del 16 novembre 1919, Giacomo Matteotti fu candidato alla Camera dei deputati tra le fila del Partito Socialista Italiano, diventando deputato del Regno nella circoscrizione Ferrara-Rovigo. Risultò essere stato il deputato socialista più votato di tutti.
L'Italia l'anno prima era uscita vincitrice dalla guerra, ma i trattati di pace avevano lasciato l'amaro in bocca sia alla classe politica che alle persone comuni. In più, in quel periodo il nostro Paese si apprestava ad entrare nel cosiddetto “biennio rosso”, il periodo durato dal 1920 al 1922 durante il quale la Penisola era spaccata da scioperi e agitazioni sociali di ogni genere, perpetrati dagli estremisti di sinistra. Sempre in quel periodo (il 23 marzo 1919) era stato fondato da Benito Mussolini, socialista della prima ora ed ex direttore de “L'Avanti!”, un nuovo partito politico, i Fasci di Combattimento, diventato Partito Nazionale Fascista il 10 novembre 1921. Questo nuovo partito fu una novità per la destra italiana e, grazie all'aiuto indiretto della classe industriale, impaurita che in Italia potesse arrivare una sorta di “rivoluzione russa 2.0”, appoggiarono le violenze da parte dei fascisti contro tutti quelli che erano contro di loro per paura che potessero prendere il potere, ovvero i proletari e i comunisti. Per i partiti di sinistra, le idee dei Fasci di Combattimenti erano “balzane”, frutto del momento negativo dell'Italia dopo la fine del conflitto mondiale: rabbia mista a populismo, due concetti facilmente estinguibili con il ritorno della normalità. Non fu per niente così, perché il movimento di Mussolini piacque ed iniziò ad avere i primi consensi.
Giacomo Matteotti fu da sempre un oppositore del fascismo. Nell'ottobre 1919, durante il congresso del PSI a Bologna, si collocò nell'ala riformista. Il Partito era diviso, ma Giacomo Matteotti voleva che si unisse e andasse al potere. Matteotti fu confermato deputato nelle successive elezioni del 1921 e del 1924, sempre nella sua circoscrizione di Ferrara-Rovigo.
Nel dicembre 1920 fu nominato segretario della Camera del Lavoro di Ferrara, città che in quel periodo vide gravi violenze tra sinistra e squadracce nere fasciste.
Durante il Biennio rosso diresse le lotte agrarie contro lo squadrismo fascista, accusato di usare violenze contro braccianti e proletari.
Battagliero e molto convincente, Matteotti capì che il nemico da sconfiggere erano proprio i fascisti e nel 1921 pubblicò un libretto in cui elencava tutte le violenze fatte dalla camicie nere durante la campagna elettorale per le elezioni del 1921. L'opera si chiamava “Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia”: la zona della Romagna, divisa tra rossi e neri, fu molto colpita dalle violenze e ci furono anche dei morti (da entrambe le parti) durante i tumulti.
Nello stesso periodo in cui Mussolini divenne Presidente del Consiglio, il partito socialista fece anch'esso una rivoluzione: espulsione di tutta la corrente riformista dal partito. Furono espulsi gente come Turati (fondatore del partito), Giuseppe Emanuele Modigliani, Claudio Treves oltre allo stesso Matteotti. I fuoriusciti si raggrupparono in un nuovo movimento, il Partito Socialista Unitario che ebbe lo stesso Matteotti deputato.
Nell’ottobre 1922, dopo la scissione tra massimalisti e riformisti, Matteotti spinse nel far comprendere ai suoi “seguaci” che i nemici erano il comunismo rivoluzionario ed il fascismo. Due forze anti-sistema agli antipodi pericolosi per il Paese.
In questo periodo, l'indice di antifascismo di Matteotti toccò forse l'apice con la pubblicazione, nel 1924, di un altro libro (“I fascisti allo scoperto: un anno di dominazione fascista”). Ancora più che nell'altro libro, qui Matteotti riportò tutte le violenze fasciste contro oppositori e chi si metteva contro il loro ideale di forza e violenza.
Il 1924 è l'anno in cui l'Italia conobbe il coraggio, la forza e la determinazione di Giacomo Matteotti. Peccato che il deputato socialista unitario non poté vederne i risultati alla fine.


Le elezioni politiche del 1924 ed il suo discorso alla Camera

Nella primavera 1924, Matteotti andò in Belgio e Inghilterra per incontrarsi e discutere con alcuni politici socialisti. In Gran Bretagna si confrontò su due ambiti di interesse del fascismo: il gioco d'azzardo e lo sfruttamento delle risorse petrolifere in Italia. Su questo secondo aspetto si concentrarono le sue indagini, scoprendo che il governo aveva stipulato un accordo con la compagnia petrolifera americana “Sinclair Oil” per l'esclusività di questa compagnia nel cercare ed estrarre il petrolio in Italia. Scoprì che questo accordo (stipulato tra marzo e aprile 1924) era stato frutto di accordi di corruzione.
Il 6 aprile si votò per il rinnovo della Camera. Matteotti fu rieletto, ma anche questa volta oltre ad essere state elezioni per nulla democratiche, la violenza squadrista fu ancora più aspra della tornata precedente, conscia del fatto che ora il fascismo era al governo. Il PSU ottenne solo 422mila voti (5,9%) e 24 seggi: insieme al Partito Popolare Italiano era il maggior partito di opposizione. Un'opposizione “immobile” a causa della nuova legge elettorale.
Le elezioni politiche si tennero con la tanto contestata “legge Acerbo”, la legge elettorale che prevedeva l'assegnazione di 2/3 dei seggi alla lista che avesse preso almeno il 25% dei voti nazionali. Chiaro era l'intento di dare al PNF una forte maggioranza, visto che questa legge elettorale era stata fatta proprio per questo motivo, dando le briciole alle opposizioni che nei cinque anni successivi non avrebbero avuto molto da fare. Dal punto di vista democratico, la “Acerbo” fu per nulla democratica, non privilegiando l'uguaglianza del voto tra gli italiani (maschi) chiamati alle urne, ma raddoppiando di fatto il singolo voto dato ai fascisti.
Vennero eletti 374 deputati vicini al fascismo e 161 all'opposizione: i partiti di sinistra presero tanti voti al Nord, pochi al Sud, il contrario del “Listone” fascista composto da fascisti e fiancheggiatori.
Su cosa di batté Matteotti in Parlamento? Non far convalidare l'elezione di tutti i deputati del Partito Nazionalista Fascista entrati a Montecitorio con il premio di maggioranza, oltre che far notare che le elezioni furono contraddistinte da violenze, soprusi e brogli. La proposta di Matteotti fu respinta, ma lui in cuor suo sapeva che la sua proposta sarebbe stata bocciata, il suo scopo era di smuovere le coscienze nazionali, anche parlamentari.
Il 30 maggio 1924 ci fu una concitata discussione alla Camera proprio sulle elezioni: la Giunta aveva ammesso gli eletti della maggioranza alla carica di deputato. Matteotti preparò un discorso passato poi alla storia, un discorso che il deputato aveva preparato in gran segreto, sfogliando carte e carte, libri e documenti vari come al suo solito, essendo lui una persona alquanto minuziosa.
Oltre a sostenere che la pratica era sbagliata, il deputato socialista unitario disse che in tutto il Paese le elezioni non si erano tenute in maniera del tutto democratica e tranquilla, frutto ancora una volta della violenza fascista durante il periodo elettorale. Il discorso spaccò l'aula: da una parte gli applausi dell'opposizione, dall'altra le grida di proteste dei fascisti che interruppero più volte il suo discorso.
Al termine, mentre riceveva gli applausi e i commenti positivi dei colleghi di partito, ad un compagno disse una fase premonitrice: “Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me“. Giacomo Matteotti sapeva che il suo discorso gli avrebbe creato non pochi problemi, auto-recitandosi il requiem.


Il rapimento e la scoperta del cadavere. La “scissione dell'Aventino”

Mussolini ebbe parole di fuoco contro Matteotti, ma capì che si trovava di fronte un quinquennio parlamentare molto caldo a causa dell'opposizione che aveva preso coscienza di sé e sarebbe stata battagliera.
Giacomo Matteotti dava fastidio. Quel discorso è stato la goccia che fece traboccare un vaso già colmo di risentimento ed antipatia nei suoi confronti da parte dei fascisti. Cosa dovevano fare i fascisti, secondo loro? Semplice: fargli capire che doveva cambiare atteggiamenti verso il governo. Verso fine maggio, il fascismo decise di far pedinare Matteotti dal 20 maggio al 10 giugno, per non farlo parlare l'11 giugno alla riapertura della Camera.
Martedì 10 giugno 1924, Matteotti uscì di casa verso le 16:30 per dirigersi verso la Camera. Prese la strada che dalla sua abitazione che portava al Lungotevere Arnaldo da Brescia, tra via Scialoja e il Lungotevere, poco distante da piazza del Popolo. Ad un certo punto, gli si affiancò una Lancia Lambda, con a bordo cinque persone. Queste scesero, lo aggredirono e cercarono di farlo salire in macchina. Ne nacque un parapiglia, una lite furibonda ed il deputato socialista fu messo con la forza dentro la macchina. Volutamente, Matteotti gettò dal finestrino il suo tesserino parlamentare, cosicché chi avesse assistito alla scena potesse capire chi era la persona aggredita. Alla scena assistettero due portieri di uno stabile che annotarono il numero di targa del veicolo e si rivolsero alle forze dell'ordine.
A Montecitorio non si accorsero dell'assenza di Matteotti, ma qualcuno si insospettì visto che non era solito non far sapere di sé. I colleghi di partito, e di opposizione, temettero che gli fosse successo qualcosa.
La notizia del rapimento andò su tutti i giornali. L'”equipaggio” della Lancia nera era composta da Amerigo Dumini, Albino Volpi, Augusto Malacria, Amleto Poveromo e Giuseppe Viola. Si scoprì che la macchina fu noleggiata dal direttore de “Il Corriere italiano”, Filippo Filippelli. Filippelli scappò in Francia, ma venne fermato. Collaborò e disse di aver prestato la macchina ad Amerigo Dumini, il capo della “Ceka”.
Filippelli disse agli inquirenti, già il 10, che Dumini gli riferì che avevano ucciso Matteotti, Filippelli aiutò Dumini a pulire l'auto prima di ridarla all'autonoleggio. Iniziarono le indagini e si immaginò che Matteotti fosse stato senza dubbio ucciso dai suoi rapitori.
Tornando ai primi momenti del rapimento Matteotti, il 17 giugno 1924, si dimisero dai loro incarichi Cesare Rossi, Aldo Finzi ed Emilio de Bono, rispettivamente quadrumviro del Partito, capo della Regia aeronautica e della polizia. L'indiziato principale per la morte (presunta) di Matteotti fu Amerigo Dumini, capo della “Ceka” fascista. Anche Mussolini si “dimise”: il nuovo ministro degli Interni divenne Luigi Federzoni. Il governo di Mussolini stava traballando in maniera molto forte.
Il 26 giugno 1924 fu un giorno storico per la politica italiana, non solo del tempo ma anche dei giorni nostri: l'opposizione parlamentare si riunì in una sala di Montecitorio e decise di attuare uno sciopero parlamentare ad oltranza, fino a quando non sarebbe venuta a galla la verità. Le opposizioni si radunarono sul colle dell'Aventino dando il via alla “secessione aventiniana”. Iniziò un periodo molto intenso per Turati e compagni, fatto di assenze dall'aula parlamentare, commemorazioni e la volontà di sfidare il governo e portarlo alla caduta.
Su questo il governo ci marciò alla grande, tanto che l'8 luglio 1924 fu approvata a larghissima maggioranza una proposta di censura della stampa e alcuni accorgimenti affinché un qualsiasi giornale per non essere chiuso dovesse nominare un direttore responsabile, allora non presente in nessuna testata nazionale. Per la maggioranza fu gioco facile visto che socialisti, popolari e altri partiti di minoranza non furono presenti alle votazioni. Il gesto delle opposizioni sul colle nella zona sud della città, già abitata dai plebei (il popolo) nell'epoca dell'Età romana repubblicana, fu forte, mediatico per i tempi di allora per portare la verità in un contesto politico omertoso e poco limpido.
Il 12 agosto fu trovata la giacca insanguinata di Matteotti in un canale di scolo sulla via Flaminia.
La mattina del 16 luglio arrivò la notizia che nessuno avrebbe voluto sentire: il ritrovamento del cadavere di Giacomo Matteotti da un cane di un brigadiere dei carabinieri nei pressi della via Flaminia, nel bosco di Quartarella, nel comune di Riano, a 30 chilometri da Roma. Il politico del Polesine fu trovato dentro una fossa.
Il 20 luglio, dopo che il corpo fu riconosciuto (a fatica) dai parenti stretti, il cadavere partì da Roma verso Fratta Polesine dove si sarebbero tenute le esequie. L'autopsia fatta sul cadavere in stato di decomposizione disse che Matteotti morì sulla macchina colpito da una coltellata.
Il governo indisse funerali solenni nella città di Matteotti, quasi come a discolparsi delle accuse, ma in una pesante lettera al ministro dell'Interno Luigi Federzoni la vedova scrisse che non voleva nessun funerale solenne per il marito e non voleva per nessuna ragione la presenza di rappresentanti del governo e di nessuna camicia nera tra Roma e la chiesa della funzione. Sarebbe stato un affronto, nonché un comportamento ipocrita, verso il coniuge ucciso.
Le indagini furono curate dai magistrati Mauro Del Giudice e Umberto Guglielmo Tancredi: i cinque assalitori di Matteotti furono arrestati. L'indagine si fermò pochi giorni dopo per volontà di Mussolini e sparirono le prove. Molti deputati cambiarono “schieramento” e le opposizioni andarono sull'Aventino. Il re tentennò e anche gli industriali vacillavano sul continuare o meno a dare fiducia al Presidente del Consiglio. Il governo vacillava, i giorni erano duri, ma l'Aventino fu politicamente inutile, ma buono dal punto di vista morale.
Le persone coinvolte nel rapimento furono Aldo Putato, Giuseppe Viola, Albino Volpi, Amleto Poveromo, Otto Thiershald, Filippo Panzeri, Augusto Malacria, tutti provenienti da Milano. L'ordine di uccidere Matteotti si disse arrivò da Cesare Rossi e Giovanni Marinelli, rispettivamente un sansepolcrista ed il direttore amministrativo del Partito. Thiershald venne subito scarcerato, mentre Panzeri fu latitante fino al processo.
Il 20 ottobre 1924, Amerigo Dumini fu interrogato a Regina Celi e si scoprì che la morte di Matteotti fu accidentale a causa di una violenta emotitisi durante la colluttazione. Il rapimento fu deciso, disse Dumini, all'ultimo perché Matteotti era a capo di un'organizzazione segreta che, si disse, uccise un fascista importante in Francia.
E il ruolo del re quale fu? Il re si chiuse nella sua ortodossia costituzionale e disse che un Premier eletto non poteva essere sfiduciato perché godeva della fiducia delle Camere. E Mussolini non si volle dimettere.
Nel novembre 1924 si riaprì il Parlamento, con il ritorno dall'Aventino dei soli comunisti. Gli altri oppositori rimasero sul colle. Il fascismo era in crisi, ma grazie alla sbagliata tattica dell'opposizione e con l'appoggio del re si riprese con vigore.
Il 4 dicembre 1924, Mussolini fece diramare un comunicato dove si disse contrario alla ratifica della convenzione con la “Sinclair”, nascondendo le traccie di corruzione del suo operato di governo e nominò Roberto Farinacci segretario del PNF. Gli oppositori dissero che l'operato di Tancredi e del Giudice era troppo attendista e Giuseppe Donati, direttore de “Il Popolo”, promosse l'iniziativa di togliere l'incarico ai due magistrati (Tancredi e del Giudice) perché errarono nell'indagare de Bono: essendo un senatore, in base allo Statuto albertino, doveva essere giudicato dai suoi pari nelle vesti di Alta corte. L'inchiesta venne tolta ai due magistrati, l'indagine fu fermata e de Bono fu prosciolto nel giugno 1925.
Perché Matteotti fu ucciso? Innanzitutto si pensò che il rapimento fosse finito male e nell'idea dei fascisti Matteotti doveva solo subire una lezione per i problemi che stava dando a Montecitorio, ma la situazione era subito degenerata dentro l'automobile. Il motivo principale della “lezione” fu il non far parlare Matteotti un'altra volta, perché il deputato romagnolo avrebbe sicuramente annunciato l'accordo corruttivo tra il governo e la “Sinclair Oil”. Si vociferava che nell'accordo fosse coinvolto anche Arnaldo Mussolini, fratello del Primo ministro e allora direttore de “Il popolo d'Italia”. Si disse che i soldi della “Sinclair Oli” fossero finiti nelle casse del giornale, non nelle tasche dei Mussolini. Matteotti si pensava avesse le prove della combutta e volesse smascherare il governo.
L'opinione pubblica era spaccata: Mussolini sapeva? Mussolini avrebbe avallato l'uccisione di Matteotti? Erano vere le voci di tangenti che coinvolgevano il governo e quella compagnia petrolifera? Cosa sarebbe successo al governo?
Bisogna andare al 3 gennaio 1925 per capire.


3 gennaio 1925: il non ritorno del regime

Che differenza c'è tra un regime democratico e uno dittatoriale? Gli italiani lo capirono la mattina del 3 gennaio 1925. La morte di Matteotti aveva fatto tremare i vertici del PNF, del governo e lo stesso Mussolini, si diceva, avesse le ore (politiche) contate. Tra il Natale ed il 28 dicembre 1924 Mussolini pensò al coup de théâtre: il discorso del 3 gennaio 1925.
Cosa fare per riprendersi la scena? Mussolini, alla Camera, il 3 gennaio 1925 fece capire all'Italia che da quel momento sarebbe cambiato tutto. Se il 30 maggio 1924 Matteotti tenne un discorso storico, altrettanto storico fu quello di Mussolini dal tavolo del governo.
Per prima cosa rimandò al mittente le accuse che lo volevano coinvolto direttamente nell'omicidio del deputato del PSU, ma poi usò 61 parole che trasformarono il fascismo da regime democratico a dittatoriale:
«Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi». Questo discorso è il secondo tenuto da Mussolini da quando venne nominato Presidente del Consiglio: il primo fu quello del “bivacco” del 16 novembre 1922 dove presentò il suo governo e dove si nominò ministro degli Esteri e ministro degli Interni.
Benito Mussolini si prese la responsabilità di tutto quello che aveva portato alla morte di Matteotti (ma non il coinvolgimento effettivo) e l'aver portato nel Paese un clima di violenza politica, ponendosi come capo del fascismo: da Presidente del Consiglio si trasformò in un dittatore. Moralmente e storicamente si accusò dell'omicidio di Matteotti, ma non di averlo ucciso e di esserne il mandante.
Da quel momento iniziò la dittatura, con disposizione di ordine pubblico, sorveglianza su tutto ciò che potesse mettere il bastone nelle ruote del fascismo, fermare e arrestare chi si opponesse al regime, aumentando in maniera esponenziale la censura alla stampa.
Il 12 gennaio 1925 un decreto stabilì il divieto di apertura di nuovi circoli e il divieto per i dipendenti pubblici di far parte di qualunque associazione, arrivando poi a colpire magistrati, docenti universitari e le associazioni combattenti. Chiusero quel giorno 95 circoli, 25 organizzazioni “sovversive” sospette, 120 gruppi e associazioni anti-costituzionali, 150 esercizi pubblici considerati ritrovo di sovversivi: 111 sovversivi arrestati, 655 perquisizioni domiciliari, 611 reti telefoniche controllate, così come tutti gli abbonati (oltre 4.000).
Il 14 gennaio 1925 la Camera approvò le prime “leggi fascistissime”, i decreti legge del governo che portarono il Paese, fino al 1926, ad essere uno Stato autoritario, nazionalista e militarizzato.
Al posto di Tancredi e del Giudice, nel giugno 1925, vengono nominati Antonio Albertini e Nicodemo del Vasto, quest'ultimo cognato di Farinacci e allora giudice istruttore del processo. Nel luglio 1925 fu varata un'amnistia per delitti politici: ad hoc per il delitto Matteotti? Assolutamente si.
Rossi, Marinelli e Filippelli furono esclusi dal procedimento. Nel marzo 1926 a Chieti iniziò il processo e fu una farsa: Dumini, Volpi e Poverono furono condannati a 5 anni, 11 mesi e 20 giorni, ma 4 anni furono amnistiati e dopo due mesi furono scarcerati. Malacria e Viola furono assolti e scarcerati.


Antifascismo e rispetto della democrazia: il lascito di Matteotti

Per quanto concernette la prosecuzione delle indagini, con la fine del fascismo ed il ritorno della democrazia, nel 1946 iniziò il vero processo Matteotti: la causa della morte di Matteotti fu dovuta alla coltellata al torace per mano di Volpi, disse la moglie di quest'ultimo, come reazione ad un calcio
. La sentenza del 4 aprile 1947 stabilì che Cesare Rossi fu prosciolto per amnistia dall'accusa di costituzione della “Ceka” e dell'organizzazione del sequestro ed assolto per insufficienza di prove per correità nell'omicidio; Dumini, Viola e Poveromo furono condannati all'ergastolo, commutato poi in 30 anni. Nel 1951 la Corte di Appello condonò 11 anni a Dumini e Poveromo. Il 22 marzo 1956 Dumini uscì dal carcere con la condizionale. Morì, come Rossi, nel 1967: Malacria nel 1934; Volpi ebbe un infarto nel 1939; de Bono e Marinelli furono uccisi a Verona nel gennaio 1944; Poveromo morì a Parma in carcere nel 1951.
Il discorso del 3 gennaio scoprì, come detto, le carte del fascismo. Quel giorno è ricordato come lo start della dittatura e del Ventennio, terminato (a secondo dei punti di vista) il 25 luglio 1943 o il 25 aprile 1945. Durante questi venti anni, l'Italia divenne liberticida, un esempio per tutti gli altri regimi autoritari e dittatoriali d'Europa del periodo, oltre che razzista, autarchica, nemica della Società delle Nazioni, filo-nazista, neutrale prima guerrafondaia poi e infine moralmente, fisicamente e psicologicamente distrutta.
La morte di Matteotti fu il quid che divise in due il Paese: o di qua (fascista) o di là (antifascista). Non si poteva non schierarsi. Matteotti capì che il suo discorso lo avrebbe condannato, ma decise di non starsene zitto e subire, agì: il discorso del 30 maggio 1924 lo condannò a morte, ma lui, uomo libero e contrario alle angherie e ai soprusi, disse la sua. Non a caso l'opposizione esultò durante il suo discorso e la maggioranza protestò. Proprio come una democrazia. Peccato che poi il suo cadavere fu trovato dentro una buca in un anonimo bosco fuori Roma.
E si ritorna la punto di partenza: la violenza. I fascisti iniziarono a praticarla contro i loro avversari sin dall'inizio, ma con l'omicidio di Matteotti fecero il salto di qualità: non più violenza perpetrata da un gruppo di esaltati senza coscienza, ma violenza governativa. E la morte del politico di origine polesana fece tremare il governo che, per salvarsi, divenne dittatoriale.
Si poteva impedire tutto questo? A posteriori tutto è possibile, ma la “secessione aventiniana” fu un ottimo spot contro il fascismo, anche se servì a poco: il fascismo si prese tutto il Paese, tutti i poteri e creò un Impero coloniale, finendo a scatafascio nel biennio 1943-1945.
Giacomo Matteotti ebbe tre figli che negli anni della loro maturità continuarono il discorso avviato (ma interrotto) dal padre: le idee di sinistra, l'antifascismo, il continuare a professare e a rispettare la democrazia. Proprio ciò che mancava quando Matteotti senior decise di sfidare Mussolini e quello che poi divenne il “bivacco di manipoli”. I due figli maschi di Matteotti furono due deputati della Repubblica: Giancarlo (1918-2006) fu stato eletto all'Assemblea costituente e nelle prime tre legislature (1946-1963) ricoprendo anche l'incarico di sottosegretario al Bilancio nel Fanfani IV; Gianmatteo (1921-2000) fu deputato dall'Assemblea costituente e fino al termine dell'ottava legislatura (1946-1983), ricoprendo anche la carica di segretario del PSDI.
In memoria del politico di Fratta Polesine, oggi tutte le città italiane presentano una toponomastica a lui dedicata e durante la guerra di Resistenza gli venne dedicata una brigata partigiana (la “Matteotti”): fu proprio questa a liberare dal carcere i due antifascisti Saragat e Pertini, due che scriveranno la storia della democrazia in Italia. Pertini, ad esempio, sin dal 1924, era socialista e si iscrisse al Partito Socialista Unitario proprio sull'onda dell'emozione per la sorte capitata a Matteotti.
Il rispetto della democrazia è stato il fil rouge della vita di Matteotti, uno che amava la politica e la sua terra, tanto da lasciare, il 21 gennaio 1921, l'assise della nascita del Partito Comunista d'Italia a Livorno per tornare a Ferrara per aiutare gli antifascisti locali.
Il discorso del 30 maggio 1924, il suo lascito, sono la base per far comprendere alle persone libere e sincere il rispetto verso gli altri: potevano morire, ma le loro idee non sarebbero sparite con loro, ma avrebbero continuato nelle parole, e nei gesti, di chi avrebbe creduto in queste.
La sua atroce morte, soprattutto il rinvenimento del suo corpo, fu un colpo per il Paese: il governo di Mussolini si era spinto fino ad uccidere un suo oppositore affinché tacesse per sempre e non tirasse fuori quei documenti che avrebbero provato la corruzione dilagante fra i membri del PNF. Un'onta per un movimento che si poneva come novità contro il vecchio della politica italiana. Mussolini, furbamente, “aggirò l'ostacolo” dando la colpa a sé stesso per il clima vigente allora in Italia, quando fu lui stesso, indirettamente, ad uccidere Matteotti: non sono stato io, ma se lo hanno ucciso è stata colpa mia. Non si puniscono le intenzioni, ma era chiaro che per il nostro Paese la democrazia aveva le ore contate.
Matteotti è morto (anzi, è stato ucciso) 93 anni fa e il suo lascito deve (o meglio, dovrebbe) essere tatuato nel cuore e nella mente di tutte le persone: lottare per un qualcosa, per qualunque cosa che possa permettere a tutti di dire la propria. Anche a costo di farsi dei nemici, che sono solo avversari “di idee” e non da punire o far tacere per sempre. Studi approfonditi hanno sancito che Voltaire non disse mai la celebre massima “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire”, eppure Matteotti l'avrebbe apprezzata e magari portata avanti all'estremo.
Viviamo in un periodo storico dove la democrazia è consolidata nel Mondo, anche se in alcuni Stati non è proprio al top. E il “potere del popolo” deve essere il baluardo contro i populismi e tutto ciò di negativo che ha il suffisso “-ismo”.
Il Mondo è, purtroppo, pieno omicidi politici come quello di Matteotti: da Gandhi ai fratelli Kennedy, dall'Imperatore Francesco Ferdinando d’Austria a Benazir Bhutto, da Aldo Moro ai fratelli Rosselli, da Martin Luther King a Malcom X a tutte le vittime di mafia. Per non parlare del delicato caso di Anna Politkovskaja, la giornalista russa uccisa nel 2006 e autrice di reportage per mostrare il mancato rispetto dei diritti umani in Russia e in Cecenia da parte del governo di Mosca e dell'esercito. E la lista dei giornalisti scomodi è molto lunga e si potrebbe scrivere (se non l'hanno già fatto) tesi di dottorato.
Molti (allora come oggi) non farebbero ciò che fece Matteotti: scontrarsi contro il potere in maniera forte e decisa. “Ok, ma lo hanno ucciso”, direbbe il commentatore. Non si deve uccidere o usare violenza contro chi la pensa contrariamente a noi.
Sarebbe anarchia e l'anarchia è l'ultima cosa delle ultime cose di cui abbiamo bisogno.
Matteotti è stato un martire della democrazia? Assolutamente sì. Avrebbe potuto continuare a protestare sullo scranno di Montecitorio o in piazza, ma la Storia ha deciso in un altro modo.
Matteotti diede il via ad una campagna antifascista che portò molte persone ad essere tacciate, arrestate o inviate al confino. Vicino alle cause del popolo, Matteotti, a 93 anni dal suo omicidio, è ancora oggi un esempio e questo, la sua storia ed il rispetto della democrazia devono essere analizzate ed ammirate ancora oggi. Un periodo storico in cui troppo spesso ci si dimentica del nostro passato e di cosa provarono i nostri nonni per colpa di quel “bivacco di manipoli”.


Bibliografia consigliata

AA.VV., Mussolini. Pro e contro, a cura di P. Bianchi e L. Aleotti), Mondadori, Milano, 1972;
AA.VV., Giacomo Matteotti. Un riformista rivoluzionario, a cura di E. Montali, Fondazione di Vittorio, Donzelli Editore, Roma, 2015;
G. Arfé, Giacomo Matteotti uomo e politico, Editori Riuniti, Roma, 2014;
G. Borgognone, Come nasce una dittatura. L'Italia del delitto Matteotti, Laterza, Roma-Bari, 2013;
M. Canali, Il delitto Matteotti, il Mulino, Bologna, 2004;
G. Romanato, Un italiano diverso. Giacomo Matteotti, Longanesi, Milano, 2011;
G. Tamburrano, Giacomo Matteotti. Storia di un doppio assassinio, Utet, Torino, 2004;

Sitografia
http://pochestorie.corriere.it/2017/06/10/10225/
http://www.globalist.it/politics/articolo/2000439/giacomo-matteotti-il-martire-della-liberta-assassinato-dal-fascismo.html
https://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06/10/giacomo-matteotti-uccidete-me-non-ucciderete-le-idee-che-sono-in-me/1021581/

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Documento inserito il: 03/12/2017
  • TAG: giacomo matteotti, socialismo, ventennio fascista, fascismo, delitto matteotti, dittatura, benito mussolini

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