Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia autori: Dalla 'Bolognina' alla nascita del Partito Democratico della Sinistra

Dalla 'Bolognina' alla nascita del Partito Democratico della Sinistra [ di Simone Balocco e Paola Maggiora ]

Il biennio che cambiò le sorti del PCI (12 novembre 1989 - 3 febbraio 1991)

Bologna, laboratorio del post-comunismo


La città di Bologna ha molti soprannomi: la “dotta” per via della sua storica università, la prima fondata in Europa; la “grassa” in quanto il mangiar bene lì è di casa nonchè un mantra ed una virtù; la “rossa” essendo il rosso nel suo centro storico il colore dominante di muri e palazzi. Politicamente è chiamata la “rossa” in quanto a partire dal 1945, salvo la parentesi Guazzaloca dal 1999 al 2004, ha sempre avuto sindaci e maggioranze consiliari espressi dalla sinistra (PCI-PDS-DS-PD).
E dalla città di Bologna l'allora segretario del Partito Comunista Italiano, Achille Occhetto, il 12 novembre 1989, partecipando come ospite in occasione della commemorazione di una battaglia partigiana, venne invitato a porgere un saluto e lui, senza consultare il partito, disse che il Partito Comunista Italiano doveva cambiare nome ed ideologia, visto che tre giorni prima era caduto il Muro di Berlino.
Quel discorso è passato alla storia come la “svolta della Bolognina”.


Cade il Muro, cambia il Mondo

Il 9 novembre 1989 era un giovedì e passò alla storia come il giorno in cui cadde (nel senso fisico del termine) il Muro di Berlino, dal 13 agosto 1961 divideva Berlino ovest (controllata dagli Alleati) dal resto della Germania democratica ed era il simbolo della “guerra fredda” e del Mondo diviso in blocchi ed ideologie differenti e contrapposte.
La caduta era nell'aria da qualche tempo, soprattutto da quando Mikhail Gorbaciov divenne segretario del Partito Comunista dell'Unione Sovietica (11 marzo 1985), iniziando a scardinare un sistema politico, culturale ed ideologico prossimo all'implosione. Quando il politico russo divenne segretario fu il più giovane di sempre (aveva 54 anni) ed introdusse alcuni cambiamenti epocali nel partito, fondando la sua politica su due concetti nuovi alla nomenklatura comunista, la perestroijka e la glasnost, la ristrutturazione del sistema economico ed un nuovo sistema di trasparenza per far sapere a tutti i sovietici cosa facesse il governo.
In cinque anni si alternarono ben tre nuovi segretari del PCUS: a parte Breznev, in carica dal 1964 e morto nel 1982, i comunisti sovietici elessero prima Jurij Andropov, che morì nel 1984, e Konstantin Černenko, eletto nel 1984 e morto appena un anno dopo. I due leader comunisti, diventati segretari a oltre 70 anni compiuti, furono il segno che qualcosa doveva cambiare a Mosca e si decise di mettere a capo del Partito, e della Nazione, una personalità molto più giovane che aveva compiuto anche diversi viaggi all'estero, soprattutto nei Paesi del blocco “nemico”.
Gli anni '80 sono stati gli anni dell'impennata del capitalismo grazie all'edononismo reaganiano e alla forza degli yankees nel Mondo, mentre il blocco comunista iniziava a perdere il suo appeal: il celebre discorso che tenne Ronald Reagan davanti alla porta di Brandeburgo il 12 giugno 1987 in cui spronava Gorbaciov ad abbattere il Muro per dare al suo Paese pace, prosperità e libertà, fu la definitiva “spallata” al regime comunista.
Gorbaciov era conscio che l'URSS avrebbe perso la “guerra fredda” e che era destinata a sparire. L'Unione Sovietica iniziò, a partire dal 1988, ad abbassare il livello di controllo nei suoi Paesi “satellite” che nel giro di un anno videro crollare tutti i regimi comunisti senza violenza ed in maniera spontanea, salvo in Romania dove la rivoluzione si macchiò di sangue visto che il dittatore Nicolae Ceaucescu e la moglie Elena furono destituiti dai rivoluzionari anticomunisti (fedeli al regime fino a pochi giorni prima) ed il giorno di Natale vennero fucilati, portando al ritorno della democrazia.
Il 19 agosto 1991 un golpe guidato da cospiratori all'interno del PCUS e dell'esercito portò all'arresto di Gorbaciov ed il 26 dicembre successivo ci fu lo scioglimento dell'Unione Sovietica e la nascita delle singole repubbliche indipendenti dall'8 dicembre.
In due anni era crollato il Muro, si erano riunite le due Germanie, era crollato il comunismo in tutto il Mondo, salvo in alcune realtà (ancora oggi attive come la Repubblica Popolare Cinese, Cuba, la Corea del Nord, Laos e Viet Nam). E in Italia, dove era presente il più forte partito comunista d'occidente, cosa stava succedendo?


Il PCI deve stare al passo con i tempi: urgono cambio di nome ed ideologia. Occhetto da vice- a Segretario

I fatti del 1989 non passarono inosservati in Italia dalla parte comunista dando una “mossa” al partito comunista: parafrasando un noto testo di Lenin, “Che fare?” ora che il Mondo stava cambiando?
Il Partito Comunista Italiano era, da sempre, dopo la Democrazia cristiana, il più votato tra i partiti che si presentavano alle tornate elettorali e nelle elezioni politiche del 1976 prese il 34,3% e alle elezioni europee del 1984 il 33.3%, superando in quest'ultima occasione il partito democristiano. Nel 1976 si parlò di un possibile ingresso della “falce e martello” nella compagine governativa per salvare la Nazione dalla crisi, dalla strategia della tensione e da possibili svolte eversive, il “compromesso storico”. Se il “compromesso storico”, pensato da Berlinguer a partire dal colpo di stato cileno (11 settembre 1973), subì un contraccolpo con la vicenda di Aldo Moro, il clamoroso voto europeo è da spiegare in quanto successivo alla morte del segretario sardo (11 giugno 1984), morto per i postumi di un ictus che lo colpì durante un suo comizio a Padova quattro giorni prima.
Inoltre il PCI, sotto la segreteria Berlinguer, a partire dal 1976 con la nascita dell'”eurocomunismo” (un'alleanza tra i partiti comunisti di Italia, Francia e Spagna per creare una propria via nazionale al comunismo indipendente da Mosca) e con il distacco (quasi) definitivo da Mosca nel dicembre 1981 a seguito del golpe polacco di Wojciech Jaruzelski, decretava conclusa la spinta iniziata con la “rivoluzione d'ottobre” ed aveva voluto avviare un graduale distacco dal PCUS, deus ex machina di tutti i partiti comunisti cercando “the Italian way to communism”. Eppure il partito da tempo continuava a subire un'emorragia di iscritti: se nel 1976 erano oltre 1,8 milioni, nel 1990 questi erano calati a 1,2 milioni con un'emorragia di oltre 156 mila tesserati tra il 1989 ed il 1990.
Nel 1985 il partito subì un contraccolpo vedendosi sconfitto nel referendum sulla “scala mobile” da lui promosso e perso in maniera schiacciante. La segreteria Natta dovette fare i conti al suo interno e cercare un nuovo modo per risalire la china. L'opportunità erano le elezioni del 1987. Quelle “politiche”, le prime senza Berlinguer, videro il partito assestarsi sul 26.5%, un risultato negativo che arretrava ad un minimo elettorale che mancava dal 1968. I vertici del PCI iniziarono a capire che qualcosa non stava andando per il meglio, anche perché gli iscritti non aumentavano, Si pensò che il partito stesse esaurendo la sua forza e che non aveva capito le esigenze del suo elettorato e degli italiani.
I voti persi andavano nel più moderato Partito Socialista Italiano, oramai governativo (dal 1983 al 1987 Bettino Craxi fu Presidente del Consiglio e sotto il suo governo l'Italia divenne la quinta potenza economica mondiale e “la crisi di Sigonella” non era passata inosservata nel Mondo). Il Garofano ha sempre voluto che i comunisti diventassero più socialisti, più europeisti ed occidentali, ma la Democrazia cristiana non voleva assolutamente che il suo avversario storico si avvicinasse al governo, dove la Balena bianca aveva da sempre la maggioranza relativa.
Nel maggio 1988 il segretario Alessandro Natta chiamò come vice Segretario Achille Occhetto: per la prima volta un vice- non veniva eletto, ma nominato. Poche settimane dopo lo stesso Natta fu colpito da un leggero infarto e dovette cedere, poco tempo dopo, la carica di segretario proprio ad Occhetto, il 21 giugno 1988.
Alle elezioni europee che si tennero nel 18 giugno 1989 il PCI ottenne il 27.6% (con una dimunuzione di oltre 6 punti percentuali) mandando a Stasburgo ventidue eurodeputati e, sopratutto, 2,2 milioni di voti in meno rispetto al boom del 1984. Urgeva un qualcosa per muovere le acque.


Achille Occhetto tra Togliatti, svolte e cambiamenti epocali

La “miccia” in Italia scoppiò durante le proteste di piazza Tien An Men, a Pechino, durate dall'aprile al giugno 1989, dove molti giovani decisero di manifestare contro il partito comunista cinese che represse la rivolta nel sangue (celeberrima l'immagine dello studente che si mise davanti ad un carrarmato per impedirgli di passare). Il PCI per la prima volta scese in piazza a manifestare e molti esponenti della scena politica nazionale espressero un parere favorevole all'idea, sostenendo che in Polonia il governo non era più comunista, in Ungheria idem e si erano aperte le frontiere ed il passo decisivo lo dovevano fare Occhetto e soci: “perché anche voi non vi adeguate e prendete le distanze?” era la domanda più ricorrente nei corridoi delle Camere.
Torinese del 1936, Achille Occhetto aderì sin da giovane alla causa comunista. Segretario della Federazione Comunista Giovanile Italiana dal 1963 al 1966, fu contrario all'invasione sovietica dell'Ungheria, ma appoggiò il '68 e tutti i suoi movimenti. Convinto togliattiano, è ricordato come l'ultimo segretario del PCI ed autore della “svolta della Bolognina”. In cosa consistette questa famosa “svolta”?
Bologna, e il suo territorio, sono stati teatri di bombardamenti durante la Seconda guerra mondiale, dell'eccidio di Marzabotto, di due attentati dinamitardi su due treni (Italicus e Rapido 904 nei territori di San Benedetto Val di Sambro) e della “strage della stazione”, la cui bomba causò il più alto numero di vittime in Italia in tempo di pace (85 morti, 200 feriti) alla stazione ferroviaria della città felsinea. Un territorio dove il comunismo era una fede ed un modo di intendere la vita.
Achille Occhetto fu invitato dall'amico, ed ex partigiano, “William” Michelini a partecipare alla commemorazione della battaglia di Porta Lame, svoltasi in città il 7 novembre 1944 tra le truppe tedesche e il 7° GAP e che vide la vittoria di quest'ultimo, ma che causò molte vittime.
Il 12 novembre Occhetto, inizialmente restio a partecipare alla celebrazione, fu invitato dall'amico partigiano a dire le cosiddette “due parole” ed in sei minuti cambiò le sorti del partito comunista più votato nel blocco occidentale: a seguito dei fatti di Berlino e di tutta la situazione che si stava svolgendo nell'est Europa, il PCI avrebbe dovuto cambiare nome ed ideologia. “L'Unità”, l'organo del partito, il giorno dopo uscì con un breve trafiletto in merito alla vicenda della “Bolognina”, non dando molto peso alla vicenda.
Le parole che il politico piemontese disse nel quartiere Navile furono un fulmine a ciel sereno: nessuno si aspettava un gesto di quella portata, anche se durante il XVIII congresso del Partito, tenutosi a Roma dal 18 al 22 marzo 1989, Occhetto parlò di dare un nuovo “passo” al movimento e la dirigenza fu rinnovata premiando, per la prima volta, molti giovani.
Per la prima volta, il PCI andava incontro ad una forza “interna” che gli stava cambiando i “connotati” (la crisi interna del 1956 e lo strappo da Mosca furono dovuti a “cose” esterne, ovvero è stata l'Unione Sovietica a portare dissenso e dibattito interno, quindi fu un fatto “esterno”).


Pro-svolta, anti-svolta: un partito diviso ma che alla fine si unirà. Tranne il suo 3%

Occhetto parlò, quasi commosso, a titolo personale non avvisando il partito. I vertici del Partito decisero di convocare un Comitato centrale tre giorni dopo per discutere sule parole di Occhetto. Il partito si spacca in tre fazioni: riformisti, “continuisti” e filosovietici.
Tra i “continuisti” si afferma uno dei padri nobili della sinistra italiana, Pietro Ingrao. Il politico comunista, a Madrid durante la “Bolognina”, non accettò per nulla l'idea del Segretario: non si poteva cancellare in quattro-e-quattrotto un'ideologia che ha visto impegnati milioni di italiani. Come lui, anche un altro politico di spicco come Giancarlo Pajetta non fu per nulla d'accordo con la svolta occhettiana, sostenendo che ciò avrebbe significato un gettare alle ortiche la loro vita personale e politica: il politico-partigiano ricordò che quando si formò il CLN non chiesero al Partito di cambiare nome per combattere, ma di partecipare alla Resistenza e combattere. Il Mondo, e la storia, però stavano andando da un'altra “parte” ed il segretario del PCI fu il primo a metterci la faccia e a capire che bisognava cambiare registro per evitare di essere travolti dalla Storia.
Il partito nato a Livorno nel gennaio 1921 da una costola del PSI era in crisi, paradossalmente, dalla vittoria elettorale delle europee del 1984: nonostante il clamoroso boom, il movimento non aveva trovato nè in Natta nè in Occhetto il carisma che aveva contraddistinto Berlinguer.
Il Comitato centrale fu convocato nella sede storica di via delle Botteghe oscure al civico 5 il 20 novembre 1989 e proseguì fino al 24 novembre, quando si decise di mettere ai voti la proposta di Occhetto: passò la linea del segretario con 219 voti a favore, 73 contrari e 34 astenuti. Sotto il palazzo uno sparuto numero di militanti antiocchettiani contestò i possibili “voltagabbana”, coloro che avrebbero potuto rinnegarsi rinnegando il passato. Gli oppositori però diedero un ultimatum comunque: entro quattro mesi si sarebbe dovuto convocare un congresso straordinario.
Il congresso fu convocato a Bologna dal 7 all'11 marzo 1990 e fu la XIX assise del Partito Comunista Italiano. Alla convention furono presentate le tre mozioni proposte da Occhetto, Ingrao e Cossutta: “Dare vita alla nuova fase costituente di una nuova formazione politica”; “Per un vero rinnovamento del PCI e della sinistra”; “Per una democrazia socialista in Europa”. Fu una vittoria schiacciante per Occhetto: l'ex segretario della FGCI venne confermato segretario, mentre Presidente fu eletto Aldo Tortorella, esponente della frangia “ingraiana”. Alla mozione Occhetto andarono 726 voti (67%), a quella ingraiana 322 (30%) e a quella capitanata da Armando Cossutta appena 37, pari al 3 % dei delegati.
La Regione che premiò più di tutte Occhetto fu l'Emilia Romagna che votò la sua mozione con circa il 79% dei voti: la “rossa” Emilia Romagna fu la culla del nuovo riformismo della sinistra italiana. Il congresso bolognese è stato uno dei più importanti organizzati dal PCI e la figura di Achille Occhetto ne uscì fortemente rafforzata.


Il XX congresso del Partito Comunista Italiano: l'ultimo. Le analogie con il congresso del PCUS del 1956

Il 31 gennaio 1991 iniziò il XX congresso del PCI, l'ultimo, quello dello scioglimento. La sede fu la fiera della città di Rimini, uno dei tanti feudi elettorali emiliano-romagnoli del Partito.
Il discorso letto da Occhetto fu di trentadue pagine in cui non citò mai Marx, ma volle far capire di dover abbandonare la “zavorra” del marxismo, dell'ideologia e del passato, parlando però di “condivisione del tormento” che aveva colpito i compagni. La filosofia marxista rimaneva per molti un punto fermo, ma andava “edulcorata” e messa al passo con i tempi, perché la storia stava andando da un'altra parte.
Ironia della sorte, l'ultimo congresso del Partito Comunista Italiano è stato il ventesimo, come il congresso della “destalinizzazione” del PCUS, quando l'allora segretario Nikita Kruscev espose davanti alla platea, e al Mondo, tutti i crimini perpetrati da Josif Stalin quando era alla guida dell'Unione Sovietica e leader del PCUS: il mito di Stalin venne distrutto in quanto durante il trentennio a guida della potenza sovietica non era stato né un mito né un leader, ma un tiranno ed un dittatore sanguinario e senza scrupoli, intollerante verso gli oppositori. Se allora iniziò un raffreddamento della “guerra fredda”, durata (almeno) fino alla crisi cubana (15-28 ottobre 1962), a Rimini si cambiò la storia, a livello partitico, di parte della Repubblica italiana.
Il 3 febbraio ci fu la svolta epocale: si scioglieva il Partito Comunista Italiano e nasceva la nuova “creatura” occhettiana, il Partito Democratico della Sinistra, il PDS. Il simbolo del nuovo movimento divenne la quercia, simbolo di forza, solidità ed eternità, con in basso un cerchio con all'interno il vecchio simbolo del PCI: quello che un tempo era un brand, la falce e martello con la stella a sinistra (la bandiera dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) e sotto la bandiera italiana, ora era rilegato in basso in un piccolo cerchio.
Occhetto ottenne 807 voti su 1259 da parte dei delegati, il 64 %, ma non gli bastò per diventare il primo segretario del nuovo partito, in quanto per dieci voti si dovette andare ad un secondo scrutinio: l'assenza di 132 delegati alzò il quorum della maggioranza degli aventi diritto al voto. Occhetto ottenne 264 voti su 415 delegati, mentre al secondo “colpo” ce la fece, ottenendo 376 voti su 524, pari al 72%. Al secondo tentativo Occhetto fu eletto, l'8 febbraio 1991, ed il 16 il costituzionalista calabrese Stefano Rodotà, già Ministro della Giustizia nel “governo ombra” guidato da Occhetto, divenne il primo Presidente del partito. Occhetto fu eletto dal Consiglio nazionale, l'erede di quello che fu il Comitato centrale.
Alla fine i “continuatisti” decisero ugualmente di aderire alla nuova formazione politica, in primis Pietro Ingrao, l'oppositore più concreto di Occhetto.
Il Partito Comunista Italiano, che durante quella che fu la Prima repubblica (1948-1994) non ha mai avuto responsabilità di governo ma è sempre stato il primo partito di opposizione ai governi (la conventio ad excludendum), si era sciolto e il PDS apriva una nuova “frontiera” politica nazionale ma anche una nuova casa per il riformismo italiano della gauche. Il PCI, a parte le brevi esperienze con i governi de Gasperi II-III (14 luglio 1946 - 2 febbraio 1947; 3 febbraio 1947 - 1 giugno 1947), non ha mai espresso né Presidenti del Consiglio, ministri o sottosegretari di Stato, ma due Presidenti della Camera, Pietro Ingrao (1976-1979) e Nilde Iotti, prima donna a ricoprire lo scranno più alto di Montecitorio, tra il 1979 e il 1992.
Nel 1991 gli iscritti furono 989 mila, ovvero l'ultimo valore del Pci mentre nel 1994 questi erano scesi a poco più di 680 mila, con un calo del 31,24% in tre anni.


Il debutto elettorale, ma la “discesa in campo” porta alle dimissioni Occhetto

Il nuovo partito si presentò alle elezioni della XI legislatura, nel 1992. Il risultato fu deludente in quanto la Quercia ottenne solo il 16%. I “cugini” di Rifondazione comunista ottennero il 5. Nel frattempo in Italia era esploso il fenomeno “Tangentopoli”, che mise ko un intero sistema partitico vigente dal 1948: il PDS fino a quel momento non fu però intaccato dalle indagini, ma, essendo anche lui un partito politico, venne punito dagli elettori, perdendo molti voti. La Quercia ottenne 107 deputati e 64 senatori.
La vera batosta il PDS la prese nelle elezioni politiche del 27 marzo 1994. Per la prima volta non si presentarono singolo partiti, ma si presentarono coalizioni di partiti già prefissate in partenza (e non create post elettoralmente come in passato).
Si presentarono due coalizioni: il Polo delle Libertà/del Buon governo, di centrodestra, guidata da Silvio Berlusconi e al cui interno c'erano la sua “creatura” Forza Italia, nata appena due mesi prima, il MSI-AN (che stava “studiando” da Alleanza Nazionale), i cristiano democratici di Buttiglione e l'altra novità politica del tempo, la Lega Nord di Umberto Bossi; il centrosinistra si presentò con la coalizione Alleanza dei Progressisti guidati da Occhetto, e al cui interno, oltre ai Democratici, c'erano Rifondazione comunista, il Partito Socialista Italiano di Ottaviano del Turco, i Verdi e la Rete.
Occhetto era certo della vittoria contro il Presidente di Fininvest e del Milan, considerato un parvenue della politica in quanto “sceso in campo” appena due mesi prima. Mentre l'ultimo leader del PCI già si vedeva a Palazzo Chigi, ecco arrivare la “doccia gelata”: la coalizione berlusconiana battè sonoramente la “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto. Il PDS conquistò 109 deputati e 76 deputati all'interno però della coalizione, non tutti pidiessini quindi.
Come se non bastasse i PDS non sfondarono neanche alla elezioni europee del maggio successivo, con il Partito Democratico di Sinistra fermo al 19% e Forza Italia al 30,6%: la Quercia ottenne 1 punto percentuale in meno in tre mesi, mentre il partito forzista aumentò di oltre 9 punti.
Occhetto decise allora di dimettersi (pratica inconsueta) e le sue dimissioni furono accettate dal Consiglio nazionale. Per la sua successione si fronteggiarono due giovani di scuola “berlingueriana”: Walter Veltroni e Massimo d'Alema, direttore de “l'Unità”. Vinse Massimo d'Alema, che rimase in carica fino al 1998, quando nel congresso di Firenze il partito divenne DS (Democratici di Sinistra): pochi mesi dopo fu nominato Presidente del Consiglio, carica che mantenne fino al 25 aprile 2000, divenendo il primo politico proveniente dal PCI a diventare Presidente del Consiglio (ad oggi è ancora l'unico).
Le dimissioni rilegarono Occhetto ai margini del partito e nel 2004 uscì dai Democratici di Sinistra, per tentare la “fortuna” con il partito politico dell'ex magistrato di “Mani Pulite”, Antonio di Pietro, l'Italia dei Valori. Eletto a Strasburgo al posto di di Pietro nel 2006, uscì dal partito nel 2007. Oggi risulta iscritto al partito Sinistra Ecologia Libertà.


I cugini “più a sinistra” della Quercia: Rifondazione Comunista

Chi decise di non “turarsi il naso” e di non aderire al progetto di Occhetto fu la frangia guidata da Armando Cossutta, un pezzo storico del comunismo milanese.
Non volendo diventare un liberal-riformatore, Cossutta abbandonò i lavori e si portò con sé il suo 3% congressuale: il 15 dicembre successivo fu tra i fautori del nuovo partito che voleva “rifondare”, e non “rivoluzionare”, l'ideologia marxista in Italia, il Movimento per la Rifondazione Comunista. Con l'ingresso dei “demoproletari”, il partito di trasformò poco dopo in Partito per la Rifondazione Comunista.
Il nuovo movimento discendeva direttamente dal PCI e Cossutta si portò via oltre 90 delegati.
Il primo segretario fu il torinese Sergio Garavini che rimase in carica fino al giugno 1993 e la Toscana era la Regione con più iscritti. Nel partito entrarono comunisti storici come Lucio Magri e Luciana Castellina, ma Cossutta in poco tempo vide la sua “creatura” prendere una forma diversa da come voleva, dal punto di visto ideologico e strategico. Il punto saldo era la lotta al capitalismo e l'alternativa di classe.
Il partito si presentò per la prima volta, come la Quercia, alle politiche del 1992, ottenendo un lusinghiero 5.6%, con 35 deputati e venti senatori, diventando il quinto partito nazionale.
Ma il nuovo sistema elettorale entrato in vigore con le elezioni del 1994 portò i dirigenti di “Rifondazione” a cercare alleanze, visto che difficilmente il partito avrebbe potuto avere esponenti in parlamento: alle elezioni del marzo 1994 il partito non sfondò ed ottenne il 6%, meno del previsto. A febbrario Fausto Bertinotti, sindacalista della CGIL ed ex PDS, divenne il nuovo segretario.


“Svolta della Bolognina” e “svolta di Fiuggi”: due faccie diverse della stessa medaglia

Con la “svolta della Bolognina”, il Partito Comunista Italiano si è sciolto e il partito nato dalle sue ceneri, il PDS, è diventato post-comunista, revisionista dell'ideologia e molto più vicino alle sinistre riformiste europee, socialiste e democratiche.
Nel settembre 1992 entrò a fare parte dell'Internazionale socialista, l'unione di tutti i partiti di sinistra vicini alla socialdemocrazia ed al laburismo mondiale, e due mesi dopo fu tra i fondatori del nuovo raggruppamento politico di riferimento a Strasburgo, il Partito Socialista Europeo. Uno degli artefici, anche in questo caso, è stato Occhetto. Se Gramsci e Lenin venivano accantonati i nuovi eroi del pensiero pidiessista erano ora Norberto Bobbio, Ralf Dahrendorf ed i pensarori liberaldemocratici europei novecenteschi.
Il PCI non ha dovuto fare una “Bad Godesberg” come fece la SPD tedesca il 15 novembre 1956 quando il partito socialdemocratico tedesco, nella cittadina nei pressi di Bonn, decise di mutare il suo “aspetto” abbandonando la via marxista per entrare nel gruppo dei partiti di sinistra riformista europei (al pari, del PSF in Francia o dei laburisti in Inghilterra).
Occhetto è stato un riformista tout court che ha fatto un grosso passo verso il riformismo, anche se ottenne molto meno di quanto avrebbe potuto avere, anche per il passaggio travagliato alla Quercia. Molti paragonano la svolta bolognese a quella di Salerno del 1944, ma quella post 9 novembre 1989 ha cambiato per sempre le sorti del Partito, sciogliendolo, mentre Togliatti, grazie al parere favorevole dell'Urss, avvicinò il PCI alla piena legittimità democratica. Il Partito Comunista Italiano è stato da sempre un partito istituzionalizzato e con tendenze fluide al suo interno e per questa ragione la “svolta” di Occhetto fu vista in malo modo dalla maggior parte degli iscritti e dai vertici del movimento. Ma molti paragonano la “Bolognina” con la svolta politica che Fini sancì a Fiuggi il 27 gennaio 1995, sciogliendo il Movimento Sociale Italiano per dare vita alla nuova creatura di destra moderata, Alleanza Italiana, abbandonando gli ideali del partito che aveva riunito gli eredi della Repubblica di Salò.
Queste due “svolte” sono per un certo verso simili, in quanto trasformano i due partiti all'estremo del partitismo italiano della Prima repubblica per abbracciare idee, pur sempre contrapposte tra loro, più moderate. Un punto d'incontro fra i due nuovi partiti fu che gli ex simboli da “centrali” ora erano all'interno di un piccolo cerchio in basso ai nuovi simboli, la quercia e la bandiera biancoblù. Il crollo del Muro di Berlino e la fine della “guerra fredda” posero fine al “secolo breve” pensato da Eric Hobsbawm ed il Mondo doveva guardarsi allo specchio e riformarsi visto che ora avrebbe avuto davanti a sé altre difficoltà, prima fra tutte la guerra del Golfo.
Il Partito Democratico della Sinistra, una delle grandi novità nel panorama dei partiti della prima fase della Seconda repubblica, ha rappresentato in poco tempo ciò che il PCI non è riuscito a fare in quarant'anni: diventare una forza di governo.
Con il “muro” sono crollate tante illusioni, ma la sua caduta ha dato pepe alla scena politica italiana. E per questo, forse, ad Achille Occhetto dovremmo essere tutti grati.


Bibliografia essenziale

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P. Bellucci - M. Maraffi - P. Segatti, Pci, Pds, Ds, Le trasformazioni dell’identità della sinistra di governo, Donzelli, Roma, 2001

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P. Ignazi, Partiti politici in Italia. Da Forza Italia al Partito democratico/i>, il Mulino, Bologna, 2008

R. Mulè, Dentro i DS, il Mulino, Bologna, 2007

L. Telese, Qualcuno era comunista, Sperling & Kupfer, Milano, 2009
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