Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia autori: Cento anni di Giorgio Almirante

Cento anni di Giorgio Almirante [ di Simone Balocco e Paola Maggiora ]

Il 27 giugno scorso Giorgio Almirante, il leader storico e carismatico del Movimento Sociale Italiano, avrebbe compiuto cento anni. Fine oratore e massimo esponente di “una generazione che non si è mai arresa”, è morto il 22 maggio 1988 a 74 anni e la sua mancanza è ancora viva nell'immaginario collettivo della destra italiana, una destra che grazie a lui è riuscita ad allontanarsi dal “ghetto” dove è stata confinata durante la “Prima repubblica” (e dove lei stessa è andata a finire). La figura di Giorgio Almirante è stata difficile ma centrale, complessa ma anche riformatrice all'interno della destra, fino al 1994 senza un vero partito di riferimento.


I primi anni fascisti. Giornalista per passione. La vicinanza con Ferdinando Mezzasoma. La nascita del MSI.

Nato a Salsomaggiore Terme, nel Parmense, da una famiglia di origine molisana attiva nel mondo cinematografico muto, Giorgio Almirante girò l'Italia con la sua famiglia per motivi di lavoro della stessa: a Torino si diplomò e a Roma conseguì la laurea in Lettere. La politica in quei tempi non fu la sua funzione primaria, mentre lo fu il giornalismo, tanto da diventare redattore del quotidiano fascista romano “Il Tevere” diretto da Telesio Interlandi, fino alla chiusura dello stesso nel 1943.
Fascista della prima ora, non ebbe mai ruoli primari durante il Ventennio, ma partecipò a ben due “Littoriali” nella sezione “critica cinematografica” e “giornalismo”, quando era studente universitario.
Il salto di qualità (come giornalista, per l'epoca), Almirante lo fa divenendo redattore del quindicinale “La difesa della razza”, un'altra “creatura” di Interlandi, incentrato sulla difesa della razza ariana e sulla superiorità della stessa al confronto con le altre. Almirante divenne segretario di redazione accettando la politica fascista sulle leggi razziali. Non a caso Interlandi era conosciuto nell'ambiente come un acceso sostenitore delle leggi contro gli ebrei propugnate dal regime.
Con l'entrata in guerra dell'Italia, Almirante partì per Nord Africa a combattere contro gli Alleati. Rimase fascista anche dopo il 25 luglio ed aderì alla Repubblica Sociale Italiano, diventando capo di gabinetto di Ferdinando Mezzasoma, titolare del MinCulPop. Fu ancora chiamato a combattere in Val d'Ossola e Toscana meridionale dal novembre 1944 fino al gennaio 1945 contro i partigiani.
Dal 25 aprile 1945 entrò in clandestinità per un anno anche se non era ricercato e si disse che fu aiutato da un amico ebreo che lo stesso giornalista avrebbe salvato durante un rastrellamento antiebraico (ma la fonte non è ancora oggi del tutto veritiera).
Finite guerra e latitanza, Almirante alternò l'insegnamento alla figura del rappresentante, ma capì che il suo destino era fare politica attiva, scegliendo di farla dalla parte dei “vinti” della Seconda guerra mondiale, i fascisti.
Almirante partecipò il 26 dicembre 1946 alla fondazione, nello studio romano dell'assicuratore fiorentino, ed ex vicefederale di Roma, Arturo Michelini, del Movimento Sociale Italiano. Lui ed i suoi sodali erano stufi di fare politica al buio e decisero che era giunto il momento di deporre le armi delle bande clandestine, uscendo allo scoperto politicamente, cercando uno “spazio vitale” nella nascente vita politica della Repubblica italiana. Doveva quindi nascere un nuovo partito che si sarebbe posto come l’unico erede dei due anni di vita della Repubblica di Salò, diventando il punto di integrazione fra i vinti della Seconda guerra mondiale, delle varie sigle di movimenti illegali presenti in quei mesi (i Fasci di Azione Rivoluzionaria furono il gruppo più attivo) e vari fogli (“Rataplan”, “Fracassa”, “Rivolta ideale”).
La principale organizzazione presente in quei mesi fu il FAR (Fasci di Azione Rivoluzionaria), sigla esistita un solo anno che però compì diverse azioni dimostrative. Giorgio Almirante è uno degli animatori insieme di questo gruppo a Pino Romualdi, fascista della prima ora e durante il periodo della Repubblica di Salò, vicesegretario del Partito Fascista Repubblicano.


I primi comizi. Il confino. L'ingresso alla Camera.

Giorgio Almirante venne nominato secondo segretario del MSI nel giugno 1947, vincendo in successione i congressi di Napoli e Roma, rimanendo in carica fino al 15 gennaio 1950, quando fu sostituito da Augusto de Marsanich, già deputato durante il fascismo e durante la RSI presidente del Banco di Roma e poi dell'Alfa Romeo.
Nel settembre 1947 un suo comizio fu interrotto a causa di un elevato numero di contestatori che non volevano che i missini potessero parlare. Il 10 ottobre a Roma, nei pressi di piazza Colonna, nel pieno delle elezioni amministrative di Roma, un altro comizio fu interrotto e negli scontri morì anche un esponente missino di Rieti.
Il primo banco di prova dell'”Almirante politico” furono proprio le elezioni per il Campidoglio del 12 ottobre. Il partito ottenne oltre 24.500 voti, pari al 4%, e riuscì ad eleggere tre consiglieri comunali che votarono la nomina del democristiano Salvatore Rebecchini a sindaco: il loro apporto fu determinante, ma non entrarono nella nuova giunta, che fu un “tricolore” democristiano-liberal-qualunquista.
Pochi giorni dopo, il neo sindaco ricevette una lettera da parte della Questura di Roma in cui si invitava il consigliere comunale Giorgio Almirante ad un anno di confino in quanto “elemento pericoloso all'esercizio delle libertà democratiche, non solo per l'acceso fanatismo fascista dimostrato sotto il passato regime e particolarmente in periodo repubblichino, ma più ancora per le sue recenti manifestazioni politiche di esaltazione dell'infausto ventennio fascista e di propaganda di principi sovvertitori delle istituzioni democratiche”: i fatti di piazza Colonna non passarono inosservati. Il 4 novembre il segretario missino fu inviato a Salerno, ma non appena arrivato a destinazione, il prefetto locale gli comunicò che la decisione era stata annullata così come l'accusa di apologia del fascismo, ma dovette abbandonare l'insegnamento come conseguenza.
Almirante poté tornare a Roma e fare politica attiva mettendoci cuore ed anima cercando di fare decollare il nuovo partito politico, in un contesto “di fuoco” visto che ogni comizio elettorale era un banco di prova per le forze dell'ordine.
Almirante si sprecò, si impegnò e i risultati alla fine arrivarono. Ovviamente i voti non furono tanti, ma sei deputati missini ed un senatore riuscirono a varcare l'ingresso del Parlamento del nuovo sistema politico italiano con le elezioni politiche del 18 aprile 1948. Tutti gli eletti provenivano da circoscrizioni dell'Italia meridionale. Alle prime elezioni repubblicane il Movimento ottenne il 2% dei voti, pari a poco più di 520 mila preferenze: poche, ma un punto di partenza. Tra i primi deputati risultò eletto anche lo stesso Almirante, che fu eletto per ben dieci legislature consecutive. I voti arrivarono da tanti cittadini che nel 1946 avevano votato per il Fronte dell'Uomo Qualunque del drammaturgo napoletano Guglielmo Giannini: praticamente scioltosi ad inizio 1948, il suo elettorato votò (quasi) in massa MSI alle prime elezioni politiche della Repubblica non avendo più il partito di riferimento.
Almirante negli anni Cinquanta si spese molto affinché la città di Trieste potesse tornare in territorio italiano e non essere più “Territorio Libero”. Il partito della Fiamma fu l'unico a battersi veramente perché la città potesse tornare italiana e sia Almirante che Romualdi tennero diversi comizi in città. Trieste nel 1954 tornò italiana dopo la “rivolta” dell'anno precedente ed il partito fu uno dei più votati in quella che sarà la futura Regione Friuli Venezia Giulia. Alle prime elezioni cui votò la Provincia di Trieste da “italiana”, la Provincia triestina diede il 14.8% delle preferenze al partito della Fiamma. Nel 1950 però Almirante fu sostituito alla segreteria da Augusto de Marsanich, che si trovò tra le mani un partito già ben organizzato ed avviato, con la prima organizzazione giovanile già attiva, il Raggruppamento giovanile studenti e lavoratori.


Gli obiettivi della seconda segreteria Almirante

La morte di Arturo Michelini, che diresse il Movimento dal 1954 al 1969, mise il “Comitato centrale” del partito ad un bivio:il prossimo segretario sarebbe stato o un “continuativo” della politica micheliniana o sarebbe stato un innovatore. Venne scelto Giorgio Almirante, l'unico in grado di portare, gradualmente, alla defascistizzazione il partito, mobilitare la base e continuare la politica “dell'inserimento”. La seconda segreteria almirantiana si insediò il 29 giugno 1969 e rimase in carica per ben diciannove anni, Almirante, nel suo “ventennio”, vinse ben sei congressi consecutivi e la sua segreteria attraversò gli anni più caldi della storia della “Prima repubblica”, oltre alle battaglie del partito e le morti di giovani militanti durante i cosiddetti “anni di piombo”.
La politica attuata dal segretario missino fu definita “del doppiopetto”, per significare un'azione politica che oscillava tra il passato fascista ed il futuro inserimento completo nella politica italiana. Con Almirante segretario, il MSI entrò in una fase nuova e vitale della sua storia, capendo che la politica italiana si stava allontanando dalle sue posizioni tipiche, così come tutti i partiti. Il partito avrebbe dovuto approfittare di questa possibilità e per prima cosa dovette cambiare linguaggio. Tra i fondamenti della “dottrina” almirantiana ci furono il ritorno al corporativismo, la cogestione della socializzazione, l'alternanza al sistema, l'essere nazionalisti “creativi” ed avere nostalgia dell'avvenire.
I primi cinque anni dell'”Almirante II” (1969-1974) videro un Movimento sociale più responsabile, aperto alla collaborazione con altri partiti per consolidare la politica dell'ordine, avvicinandosi ancora di più alle classi disagiate ed emarginate. Si cercò di rafforzare il movimento giovanile, puntando a raccogliere tutti i voti di quelli “smarriti” dalle proteste “sessantottine”, cercando di tornare in piazza e dimostrare la lontananza del partito dal terrorismo. Almirante, alfiere della “sinistra”, era contrario all'ingresso dell'Italia nella NATO (istituita dal nemico americano) ed era a favore di una politica sociale, mentre la segreteria Michelini era stata molto moderata, avendo cercato accordi con la Democrazia Cristiana per un inserimento, nonché filoatlantista.
Appena insediatosi, nel partito rientrò la frangia movimentista del “Centro Studi Ordine Nuovo”, guidato da Pino Rauti che nel 1956 si staccò subito dopo il congresso di Milano. Il partito allora guidato da Michelini non sembrava più in grado di continuare la lotta rivoluzionaria contro il sistema e molti ex missini pensarono che oramai era inutile far parte di un movimento di “centrodestra” e vicino alle istanze della Democrazia Cristiana. Almirante cercò di superare “da destra” la segreteria Michelini, cercando di riunire nel partito tutte le frange (microscopiche) della destra nazionale, con il sogno di creare un unico partito di destra, alternativo e più vero della Democrazia Cristiana. La frangia più estrema di ON non rientrò e si trasformò in un movimento radicale, Movimento Politico Ordine Nuovo, che fu attivo dal 1969 al 1973 quando fu sciolto dal Ministero dell'Interno, allora guidato dal democristiano Paolo Emilio Taviani, per tentata ricostruzione del disciolto partito fascista.
Quando Almirante divenne segretario, il partito arrivava dalla batosta elettorale delle elezioni politiche del 1968, dove ottenne il suo peggior risultato elettorale, a parte le elezioni del 18 aprile 1948, il 4.4% alla Camera ed il 4.5% al Senato. Il partito doveva darsi una forma, doveva diventare un'”alternativa al sistema” ed il nuovo segretario non cercò mai il compromesso coi democristiani, cercandosi uno spazio a sé a destra, il suo vero obiettivo.


Gli anni Settanta: il decennio d'oro (o quasi) del Msi almirantiano

Giorgio Almirante, essendo un esponente della “sinistra” missina, fu un movimentista e seppe cogliere al balzo gli eventi della “rivolta di Reggio Calabria”. I moti della città calabrese misero il partito in prima linea grazie al capo carismatico della sommossa, Francesco “Ciccio” Franco, sindacalista ferroviario della Cisnal, il sindacato missino. Iniziarono le barricate affinché non venisse concesso lo status di capoluogo della nuova Regione Calabria alla città dello Stretto e non a Catanzaro. La guerriglia durò dal luglio 1970 al febbraio 1971: Almirante all'inizio fu dubbioso se assecondare la rivolta o meno, in quanto all'inizio erano stati i partiti della sinistra a farsi sentire maggiormente, ma quando capì che il partito poteva avere uno spazio concreto durante la “rivolta”, condivise la guerriglia pienamente, anche se la violenza dei militanti missini fu molto forte.
Almirante non appena fu nominato segretario decise di dare un nuovo imprinting al partito, cambiando i quadri dirigenziali e la struttura organizzativa invocando una mobilitazione del partito verso un decennio che sarebbe diventato importante per il partito, in quanto voleva “sghettizzarlo” e portarlo ad essere un'”alternativa al sistema”. Decise inoltre di fondere in un unico gruppo i due movimenti giovanili, il Raggruppamento dei Lavoratori e degli Studenti e la Giovane Italia, chiamato Fronte della Gioventù. Almirante decise di accentrare sulla figura del segretario (ovvero su di lui) il potere decisionale.
Il primo congresso dell'”Almirante II” fu innovativo: unitario ma con un nuovo look, eliminando i richiami ai primi congressi post-1946 e al passato, puntando su tricolore, doppiopetto ed incitamento ai giovani di unirsi contro la sovversione comunista. Almirante decise di creare un “Fronte Articolato Anticomunista”: il partito da nostalgico decide di trasformarsi in un partito d'ordine contro la minaccia che proveniva oltre la “cortina di ferro”.
Sebbene contrario all'istituzione delle Regioni, il partito nelle prime elezioni regionali della storia repubblicana del 7 giugno 1970, ottenne il 5.2% a livello nazionale, con punte del 16% in Sicilia: il partito iniziava ad avvicinarsi alle classi disagiate, godendo dell'immobilismo sociale e riformista della Democrazia Cristiana. Inoltre il partito fu determinante per l'elezione del democristiano Giovanni Leone alla Presidenza della Repubblica, che al ventitreesimo scrutinio risultò eletto anche grazie alla strategia missina di votare per lui invece di esprimere, come detto alla stampa e nelle sedute fino a quel momento, scheda bianca.
Il congresso di Roma del 20-23 novembre 1970, il primo guidato da Almirante, si aprì con uno slogan di otto lettere che il leader missino usò per avvicinarsi alle tre “correnti” del partito, tentando di riappacificare le “anime” del partito: MSI destra nazionale, Idea corporativa, alternativa al sistema.
Nelle elezioni amministrative il partito ebbe un risultato clamoroso: alle Regionali ottenne il 13% nell'Italia meridionale, il 16% a Roma ed il 21 % nella sola Reggio Calabria. Andò ancora meglio per le prime elezioni dell'Assemblea Regionale Siciliana dove il movimento ottenne il 16% a livello regionale, con il picco del 23% nel Catanese. Il partito si consolidò una volta per tutte nel Sud Italia, il vero bacino elettorale.
Le elezioni amministrative parziali del giugno 1971 videro un successo del partito della Fiamma che si assestò sul 13.9% nazionale, con punte del 21.5% a Catania e il 16.2% a Roma. Il partito, che fondava il suo bacino elettorale più numeroso al Sud, decise di avvicinarsi ai proletariati urbani e agli emarginati, ponendosi come baluardo nella lotta alla “questione meridionale”.
Gli anni Settanta, elettoralmente, videro la nascita del “Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale”: il partito missino si unì con il Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica, il movimento vicino alla restaurazione della monarchia in Italia nato nel 1959 e guidato da Alfredo Covelli, che divenne co-Presidente del partito. “Destra Nazionale” nacque come unione tra istanze “meridionaliste” ed ambienti conservatori, ma non nostalgici. La “maggioranza silenziosa” milanese aveva fallito e l'opinione pubblica doveva essere coinvolta in un altro modo. Il movimento monarchico confluì nel MSI ed insieme ottennero l'8,7% alla Camera ed il 9,1% al Senato, portando in dote 56 deputati e 26 senatori in Parlamento. In quelle elezioni, tenutesi domenica 7 maggio 1972, Giorgio Almirante candidò i contestati “Ciccio” Franco al Senato e Pino Rauti alla Camera, ed entrambi furono eletti.
Il successo del MSI durante la campagna elettorale del 1972 si deve a Giorgio Almirante che iniziò a dare un restyling delle parole usate nei suoi (lunghi) comizi o tribune elettorali: la democrazia e la libertà diventano prioritarie, irrinunciabili e la Resistenza un valore fondato sulla libertà. Iniziano ad entrare grazie a questo nuovo corso missino personalità non provenienti da un passato fascista, come l'ammiraglio Gino Birindelli e il filosofo marxista Armando Plebe.
Il successo del 1972 poteva essere il trampolino di lancio di una nuova destra italiana, ma come al solito i missini non colsero (o non vollero cogliere) al balzo l'occasione a causa delle (solite) divisioni interne e l'incapacità di non sapere gestire la frangia giovanile, ma anche per colpa della DC che non coinvolse il partito missino per nessun motivo, “tradendo” un accordo precedentemente preso.
Ma sul segretario del Msi iniziò a muoversi la magistratura. Il 27 giugno 1971 il foglio del Partito Comunista Italiano, “L'Unità”, gli fece un amaro regalo di compleanno, pubblicando un documento che lasciò senza fiato i lettori: durante la lotta partigiana in Toscana, Giorgio Almirante aveva controfirmato, in quanto capo di gabinetto di Mezzasoma, un manifesto, datato 17 maggio 1944, in cui veniva stabilito che gli “sbandati” (i partigiani) che non si fossero arresi e consegnato le armi, sarebbero stati fucilati. Il documento fu trovato da alcuni storici dell'Università di Pisa in un faldone dell'Archivio comunale di Massa Marritima, nel Grossetano, suscitò scalpore e fece subito il giro del Paese: Almirante era stato un “fucilatore”. Non si seppe quanti “sbandati” consegnarono le armi e quanti furono uccisi, fatto sta che la pubblicazione del manifesto portò ad una feroce campagna contro di lui. Almirante smentì il fatto facendo partire numerose querele. Due anni dopo fece pubblicare la sua biografia che ebbe un titolo emblematico, “Autobiografia di un fucilatore”.
Nel giugno 1972 il Capo della Procura di Milano, Luigi Bianchi d'Espinosa, fece pervenire ad Almirante l'autorizzazione a procedere contro di lui con l'accusa di apologia del fascismo ed ordinò lo scioglimento del MSI per tentata ricostruzione del partito fascista, in ottemperanza alla disposizione transitoria finale numero XII della Costituzione. Essendo Almirante deputato, la richiesta fu fatta pervenire alla Camera, la quale votò in favore dell'autorizzazione a procedere il 24 maggio 1974 con 484 voti a favore e 60 contro. Il magistrato, con un passato azionista ed attivo nella lotta partigiana, morì poco dopo e l'azione a procedere nei confronti di Almirante, passata poi a Roma, non fu portata a termine. Anche da sinistra si cercò sempre di porre fine alla carriera politica di Almirante e del suo partito, ma ogni accusa non andò avanti e sia il segretario che il partito continuarono la loro attività. Anche la Democrazia Cristiana scaricò in quel momento il MSI almirantiano, conscio di fargli perdere credibilità e voti.
Il triennio 1973-1976 fu duro per il partito, in difficoltà tra il limbo scioglimento/non scioglimento, il “giovedì nero” milanese e le stragi di Brescia e dell'”Italicus”, fattori che resero il partito agli occhi dell'opinione pubblica non più d'ordine, ma vicino alle istanze terroristiche. E nel 1976, con le elezioni politiche, il MSI retrocedette di 2.6 punti percentuali, nonostante nel 1975 Almirante lanciò la “Costituente di destra”, un contenitore politico che unì al partito anche alcuni soggetti ex democristiani ed indipendenti, comunque lontani dal fascismo salotino.
Un altro colpo per il partito fu la scissione di ventisei parlamentari della corrente interna “Democrazia Nazionale”. Gli “scissionisti” volevano che Giorgio Almirante rompesse il cordone che legava il partito al nostalgismo, al concetto di alternativa al sistema e rompere una volta per tutti con i violenti. Si staccarono monarchici, indipendenti ed alcuni missini storici come Ernesto de Marzio, Giovanni Roberti e Gino Birindelli, oltre a tanti consiglieri regionali, provinciali e comunali. Il piccolo movimento si presentò fin da subito alle tornate elettorali ma la carenza di alleaze gli impedì di crearsi un proprio bacino elettorale e dopo le elezioni politiche ed Europee del 1979 , ottenendo pochi voti, sparì, per la gioia di Almirante. L'operazione svolta da Democrazia Nazionale potrebbe essere definita “pre-Fiuggi”, ma con diciotto anni di anticipo ed in un contesto ancora non maturo del tutto.
A seguito del “giovedì nero” (12 aprile 1973), Almirante ed il MSI istituirono una taglia affinché fossero date notizie in merito all'attentatore (o gli attentatori) della vita del poliziotto Antonio Marino, morto a seguito di una bomba lanciata durante uno scontro tra missini e forze dell'ordine: si scoprì che gli attentatori furono due ed entrambi attivi nel mondo missino milanese, Vittorio Loi e Maurizio Murelli. Nel triennio 1972-1975 (coincidente con il periodo dei “sanbabilini”), a seguito degli scontri di piazza e della violenza, la gente iniziò ad avere paura del partito quasi a riconoscerlo come eversivo. Ed i partiti di centro e di sinistra ringraziarono elettoralmente.


Almirante e il terrorismo. E le vittime missine.

Almirante ha sempre cercato di prendere le distanze dal terrorismo, anche se tanti militanti passati dalla lotta di strada allo “spontaneismo armato” avevano frequentato le sezioni del partito. Ambiguo è stato il rapporto che ebbe la sua segreteria con alcuni soggetti i cui nomi comparvero nelle strategie golpiste e che furono poi eletti tra le fila del partito: nel 1968 fu eletto deputato il generale Francesco de Lorenzo, ideatore del “piano Solo”, già a capo del SIFAR e comandante generale dell'Arma; nel 1976 Vito Miceli, ex direttore del SID, arrestato nel contesto della “Rosa dei venti” e fiancheggiatore del “golpe Borghese”, che rimase deputato fino 1987; Massimo Abbatangelo, coinvolto nella “strage di Natale” del Rapido 904 del 23 dicembre 1984 e membro della Camera dei Deputati dal 1979 al 1994.
Certa anche la confidenza con il generale Junio Valerio Borghese, promotore del tentativo fallito di colpo di stato passato alla storia come il “golpe dell'Immacolata” (7-8 dicembre 1970). Si è parlato spesso dell'incontro tra il segretario del MSI e dell'ex generale della Decima Flottiglia Mas in cui dovevano decidere se dare il via ad un'azione militare o politica, con rispettive responsabilità in merito. Borghese era stato “Presidente onorario” del MSI ed era vicino ad Almirante, ma nel 1968 creò un nuovo partito neofascista, il Fronte Nazionale, che si sciolse nel 1970.
Ma Almirante durante un comizio a Genova vide morire il primo missino sul campo: il 18 aprile 1970 venne ucciso il trentatreenne Ugo Venturini, capo del servizio d'ordine del partito, i “Volontari Nazionali”. Ad ucciderlo fu una bottiglia lanciata da un commando di estremisti della sinistra extraparlamentare che assaltò il palco in piazza della Vittoria. Almirante continuò a pensare che la sua morte poteva essere evitata e restò al suo capezzale per tutto il periodo di coma del giovane. Per venire incontro alle difficoltà delle famiglie che persero un loro caro durante gli anni di piombo, il Partito, sotto il suo controllo, diede loro un vitalizio.
Inoltre non fu mai chiaro il suo “rapporto” con la strage di Peteano del 31 maggio 1972: nel 1978 fu accusato di aver favorito uno degli autori dell'attentato, Carlo Cicuttini, in cui morirono tre carabinieri. Si disse che fece subire un'operazione alle corde vocali allo stesso Cicuttini, visto che chiamò lui stesso la caserma dove accorsero i tre militari. Almirante fu accusato di favoreggiamento insieme ad un avvocato goriziano, ma nel giugno 1986 non fu processato perché usò in suo favore l'immunità parlamentare e godette di un'amnistia. Quello fu l'unico lato grigio della storia di Giorgio Almirante, anche se il 15 luglio 1974 lui ed Alfredo Covelli si recarono dal prefetto di Roma Emilio Santillo perché un impiegato dell'Università di Roma disse loro di aver trovato, tre giorni prima, negli scantinati della facoltà un vero arsenale ed una cartina di Roma con un cerchio sulla stazione “Roma Palatino”, il nome di un treno “Roma-Parigi” e la scritta “5:30”. Almirante e Covelli gli riferirono ciò che sentirono. Subito partì la perquisizione che ebbe esito negativo ma si scoprì che a quell’ora non partivano treni: per sicurezza fino al 1° agosto la stazione romana venne tenuta sotto osservazione e tre giorni dopo scoppiò l’ordigno, passato alla storia come “strage dell'Italicus” che causò dodici vittime e quarantotto feriti.
Giorgio Almirante non prese mai le distanza dagli altri regimi autoritari europei ed espresse favore verso il golpe di Augusto Pinochet in Cile e della “rivoluzione argentina” dei militari del 1976. In merito alla dittatura militare greca, Almirante in un'intervista, disse che i colonnelli greci avevano salvato il Paese mediterraneo e la NATO dal comunismo e che l'estrema sinistra era un pericolo ovunque questa si palesava.
Il gesto più simbolico di Almirante (e della moglie Assunta) fu l'aver preso parte ai funerali dei due figli del segretario della sezione missina di Primavalle, Mario Mattei, Virgilio e Stefano, arsi vivi all'interno della loro casa nell'omonimo quartiere per mano di alcuni esponenti di Potere Operaio la notte del 16 aprile 1973. Ma è la “strage di Acca Larentia” del 7 gennaio 1978 a lasciare il segno nella vita politica di Almirante: quel tardo pomeriggio un gruppo giovani militanti del Fronte della Gioventù uscì dalla sede del partito in via Acca Larentia, nel quartiere Tuscolano, per andare a fare del volantinaggio per un gruppo musicale. Uscirono dalla sede cinque ragazzi e furono investiti da una sparatoria premeditata. Morirono Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta ed in serata ci furono pesanti scontri tra i militanti missini e le forze dell'ordine contro l'attentato. Negli scontri morirà un terzo missino, Stefano Recchioni, per uno sparo da parte di un poliziotto.
Almirante fu subito avvisato della strage e si diresse personalmente sul luogo della tragedia, senza scorta e con la propria autovettura scendendo dall'auto con il suo solito impermeabile fece capire che lui era li per loro e che metteva a repentaglio la sua vita essendo uscito senza scorta. La strage del gennaio 1978 è considerata la causa dello “spontaneismo armato” e della nascita dei Nuclei Armati Rivoluzionari: i giovani missini più duri e puri andarono contro la dirigenza Almirante incolpandola di essere troppo lasciva e di aver perso la verve rivoluzionaria.
Nel 1981, durante gli ultimi fuochi della “strategia della tensione”, Almirante si prodigò nella raccolta firme per una petizione per far tornare la pena capitale contro i crimini perpetrati dai terroristi, di qualsiasi “colore” politico: il leader con questa decisione, che però non ebbe corso, stabilì una volta per tutta la distanza del partito dagli estremisti “neri” e dalla “strategia della tensione”.


Gli anni 80: tentativo di inserimento, il boom di Bolzano, il “delfino” Gianfranco Fini.

Gli anni Ottanta possono essere consideranti gli anni più attivi di Giorgio Almirante nello scacchiere politico nazionale: il segretario missino incominciò a parlare di un cambiamento del sistema politico nazionale che doveva abbandonare il bicameralismo rigido in favore di una nuova Repubblica di stampo presidenziale, con il Capo dello Stato eletto dai cittadini, come avveniva (ed avviene tuttora) nella V Repubblica francese. Inoltre le Camere sarebbero dovute essere sostituite da una Camera eletta dal popolo ed una nominata tra i rappresentanti dei lavoratori, delle arti, dei mestieri e della cultura: un “Consiglio nazionale delle corporazioni” ex post, quindi. Ed il numero di parlamentari sarebbe dovuto diminuire sensibilmente.
Nel suo concetto di riforma, Almirante era contrario alla partitocrazia così come si era creata a partire dal 1945 ed espresse sempre dubbi sul regionalismo che avrebbe creato discontinuità con lo Stato punendo le classi meno abbienti. Essendo un nazionalista puro, il leader missino era contrario anche al pensiero federalista, ma soprattutto rimase anticomunista, volle una maggiore presenza dei lavoratori nella gestione delle aziende ed un'Europa più etica e vicina ai cittadini. Altre campagne che Almirante portò avanti furono quelle di creare un esercito di puri professionisti e dare alle casalinghe una sorta di pensione.
Almirante durante la sua attività politica ha sempre “sparato a zero” sulla Repubblica italiana e le sue istituzioni (e funzioni) nate a seguito della Resistenza. Fu sempre orgoglioso che il suo partito non avesse mai fatto parte dell'”arco costituzionale”.
L'anno di svolta fu il 1983: a seguito delle elezioni politiche Bettino Craxi, leader del PSI, venne incaricato di formare un nuovo governo. Il MSI ottenne il 6.8% alla Camera e il 7.3% al Senato. Il politico socialista fece una mossa senza precedenti nella storia repubblicana, invitando esponenti missini per le consultazioni di governo: mai fino a quel momento il partito erede di Salò era stato invitato alle consultazioni. Craxi fu chiaro, poiché era giunta l'ora di saltare il muro dell'indifferenza e superare l'”arco”, l'insieme di tutti i partiti che hanno contribuito alla stesura della Carta costituzionale: del resto il partito, secondo il segretario del Garofano, aveva sempre avuto rappresentanze parlamentari ed era giusto confrontarsi anche con loro. Nonostante l'invito, Almirante non trasformò l'MSI in un “partito di governo” ma un movimento con una sua eredità da portare avanti, con propri valori ed una propria eredità. Del resto, gli anni Ottanta sono stati anni meno ideologici e meno ideologizzati dei Settanta.
Nelle elezioni europee del 1984 il Movimento Sociale Italiano di Almirante ottenne il 6.4%, eleggendo a Strasburgo ben cinque eurodeputati. Era la legislatura che vide un avanzamento delle destre europee: Almirante in accordo con Jean Marie Le Pen, leader del francese Front National, creò un gruppo parlamentare molto attivo, forte del 10% del partito neofascista d'Oltralpe che portò all'Europarlamento ben 10 deputati. Prima delle prime elezioni europee del 1979, il leader missino aveva dato il via, insieme ad altri esponenti europei di estrema destra, al movimento “Eurodestra”, madre di quella che tra il 1984 e il 1989 fu il “Gruppo delle Destre Europee”. Sempre nel 1984 si tenne il congresso numero XIV del partito e Almirante volle che lo slogan fosse “dalla protesta alla proposta”, a significare il fatto che il partito non aveva perso la sua personalità polemica ma le critiche dovevano diventare costruttive e portate, appunto, a nuove proposte da porre alle forze di governo.
L'11 giugno 1984 morì il leader del Partito Comunista Italiano Enrico Berlinguer e Giorgio Almirante, insieme a Pino Romualdi, si recò alla camera ardente allestita in via delle Botteghe oscure mettendosi in coda come “compagni” qualunque. La loro presenza colpì i militanti, ed i dirigenti comunisti. Almirante disse che era lì per rendere omaggio ad un avversario, non ad un nemico: un chiaro segnale che i tempi stavano cambiando.
Nel 1985 il partito ottenne un ottimo 6.5% alle elezioni regionali, il Movimento Sociale Italiano divenne il partito “italiano” più votato nella città di Bolzano alle elezioni comunali. Oramai il partito si era inserito negli schemi politici nazionali, anche se il partito neofascista appoggiò il “si” per il referendum abrogativo della norma che prevedeva il taglio di quattro punti della “scala mobile”. Il PSI e tutti i partiti di governo, compresi i radicali, furono in favore del “no” (che vinse) ed il partito missino iniziava (anzi, ricominciava) ad isolarsi dalla scena politica nazionale.
In più, Almirante iniziava a non stare bene di salute e si incominciò a pensare ad un passaggio di mano, idea già portata avanti nel 1984, ma al congresso di Roma Almirante non poté dimettersi in quanto fu acclamato ancora una volta segretario. Nonostante tutto, il 25 gennaio 1985 Giorgio Almirante tenne un comizio all'interno del teatro “Lirico” di Milano in ricordo dell'ultimo discorso tenuto da Mussolini prima della sua morte, parlando di politica dell'”entrismo”, ma di non rinnegazione del fascismo.
Le sue ultime elezioni politiche furono quelle del 14 giugno 1987, le penultime di quella che sarà la “Prima repubblica”, dove il partito ottenne il 5.9%, “portando a casa” 35 deputati e 16 senatori.
Dal 10 al 14 dicembre 1987 si tenne il congresso di Sorrento, l'ultimo cui partecipò Giorgio Almirante. Gianfranco Fini, trentacinquenne deputato bolognese segretario del Fronte della Gioventù, fu indicato come possibile segretario al posto dello stesso Almirante, che lo defìnì “delfino” e suo uomo di fiducia, durante la “Festra tricolore” nel comune ferrarese di Mirabello, sede della “Festa dell'Unità” missina a partire dal 1982.
Si candidarono anche Franco Servello, Pino Rauti, Domenico Menniti, Pino Romualdi e Mirko Tremaglia. Al ballottaggio andarono il leader giovanile (532 voti) e l'ex capo di Ordine Nuovo (441). La vittoria andò a Fini, sul quale conversero i voti degli sfidanti che capirono che poteva davvero essere il “nuovo” Almirante: 727 voti contro 608. Fini vinse il congresso di Sorrento e divenne il nuovo segretario del Msi, il quinto della storia, il primo ad essere nato dopo il 1945. Il congresso di Sorrento, l'ultimo di Almirante, fu duro perchè si capì che finiva un'era per il partito.


22 maggio 1988: muore Giorgio Almirante

Il 24 gennaio 1988 Giorgio Almirante divenne Presidente del partito, ma la sua salute era in caduta libera.
Dopo un attacco emorragico cerebrale, si spense il 22 maggio. Il destino volle che il giorno prima morisse un altro “padre storico” del neofascismo italiano, Pino Romualdi. Almirante e Romualdi lottarono tutta la loro vita “politica” per il reinserimento di quelli che sono stati considerati gli “esuli in patria”.
La dirigenza missina, in accordo con le due famiglie, decise di fare un unico funerale. La camera ardente venne allestita nella sede storica del MSI, in via della Scrofa 43, a pochi passi dal “tridente” romano. Vi parteciparono moltissimi militanti e simpatizzanti, ma anche una delegazione del Partito Comunista Italiano, come “scambio di cortesia” della visita degli stessi Almirante e Romualdi, alla camera ardente allestita dopo la morte di Enrico Berlinguer.
Il funerale si tenne nella chiesa di sant'Agnese, nella centralissima piazza Navona, e fu una cerimonia maestosa con tantissimi militanti, simpatizzanti e curiosi che al passaggio delle salme alzarono al cielo il braccio destro, in puro stile fascista. La salma di Giorgio Almirante è tumulata presso il cimitero del Verano di Roma.


La dialettica, l'eredità e la sua politica: cosa rimane di Giorgio Almirante oggi?
Quando si parla di Giorgio Almirante subito viene in mente la parola “discorsi”. Nota la sua dialettica e la sua arte oratoria : su ogni tematica che stette a cuore sia a lui che al movimento, parlava per ore e ore senza mai annoiare chi lo stesse ad ascoltare. L'esempio più lampante fu il discorso in commissione d'aula sull'istituzione della Regione Trentino Alto Adige a statuto speciale., dove Almirante parlò per ben nove ore consecutive, illustrando il suo pensiero in favore della tutela della minoranza italiana nella nascente Regione che secondo lui era svantaggiata rispetto a quella tedesca. Altre sue battaglie furono la non nazionalizzazione dell'acqua e la “legge Scelba”, la legge che vieta la ricostruzione di un altro partito fascista in Italia e che vieta l'apologia del fascismo. La dialettica almirantiana fa rima con “ostruzionismo” contro la legge elettorale della Democrazia Cristiana del 1953 (la cosiddetta “legge truffa”), la nazionalizzazione dell'energia elettrica e la riforma della scuola media.
A cento anni dalla nascita, e a ventisei dalla morte, di Giorgio Almirante sicuramente rimane questo ricordo: lui ed Enrico Berlinguer chiusero un'era, ancora prima dello scoppio di “Tangentopoli”, essendo stati dei veri “maestri della politica” favorendo sempre l'interesse del partito rispetto a loro. Almirante avrebbe sempre voluto che la sua creatura (anche se non è “il” fondatore ma uno “dei”) uscisse dal “ghetto” che la politica italiana l'aveva relegata per entrare nella vita e nella scena politica nazionale con tutti i crismi del caso. Solo negli anni '80 il segretario missino ebbe modo di vedere realizzato il suo sogno. Ci riuscirà del tutto Gianfranco Fini, l'erede designato, il “delfino”, nel 1995 con la “svolta di Fiuggi” portando per la prima volta a quarant'anni dalla fondazione del partito alcuni missini storici a ricoprire incarichi di governo. Fini ha rivoltato il partito quasi come un calzino portando il MSI-AN con le elezioni del 1994, le prime della “Seconda repubblica”, ad un record storico: 13,47% al proporzionale della Camera con 108 deputati, 48 senatori ed un vicePresidente del Consiglio.
Tornando ad Almirante, il politico missino è stato amato e odiato, non solo dagli avversari politici ma anche dai colleghi di partito. Inoltre è stato una figura centrale della vita politica nazionale. E' colui che ha cercato di portare nell'Italia post-1945 l'idea di creare una destra allora inesistente ma che voleva fosse simile ai repubblicani in America, i conservatori in Inghilterra, ai gollisti in Francia. In Italia invece c'è stata troppa ambiguità, le denunce contro il Movimento e le accuse ad Almirante stesso per la ricostruzione del partito fascista, non sono mai state portate a termine. Ancora adesso nel 2014, non esiste un vero partito che rappresenti a pieno titolo la parola “destra italiana”.
Almirante ha dato il via alla creazione di una destra di pacificazione nazionale, di condizionamento politico, di alternativa al sistema, corporativa, europea, occidentale.
Il suo successo è stato nell'aver guidato un partito come il Movimento Sociale Italiano in anni difficili, salvaguardandone la sua identità tra mille difficoltà e scissioni. Nonostante l'essere stato un politico “contro-”, si è guadagnato il rispetto degli avversari politici.
L'unico cruccio di Almirante è stato quello di non aver trasformato il Movimento Sociale Italiano in una forza governatrice: gli anni Ottanta lo hanno portato a dialogare per la prima volta con un Presidente del Consiglio incaricato, ma ha preferito rimanere nell'ambito della nostalgia e dei bracci tesi.
Giorgio Almirante ha guidato un partito che ha preso tanti voti per protesta, ma ha anche guidato gente che si è messa in discussione, come lui stesso, per portare avanti un pensiero ed un ideale scomodo.
Sarebbe bello sapere cosa penserebbe ora Almirante della “svolta di Fiuggi”, dell'idea di centrodestra nata con Silvio Berlusconi, dell'alleanza con lo stesso Berlusconi, dell'alleanza con i secessionisti della Lega Nord e di tutte le scelte compiute da Gianfranco Fini negli anni Duemila oppure della situazione politica, e partitica, nazionale attuale.
A chi ha seguito Almirante e a chi lo ha adorato poco importa. Per tanti missini la politica è finita quel pomeriggio del 24 maggio 1988 in piazza Navona.


Bibliografia di riferimento

P. Ignazi, Il polo escluso. Profilo del Movimento Sociale Italiano, il Mulino, Bologna, 1989;
P. Ignazi, Postfascisti? Dal Movimento Sociale Italiano a Alleanza Nazionale, il Mulino, Bologna,1994;
N. Rao, La fiamma e la celtica. Sessant'anni di neofascismo da Salò ai centri sociali di destra, Sperling&Kupfer, Milano, 2006;
M. Tarchi, Dal Msi ad An, il Mulino, Bologna, 1997;
L. Telese, Cuori neri. Dal rogo di Primavalle alla morte di Ramelli. 21 delitti dimenticati degli anni di piombo, Sperling&Kupfer, Milano, 2006.
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Articoli pubblicati da Simone Balocco e Paola Maggiora


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