Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia autori: Qualunquismo ante litteram: il Fronte dell'Uomo Qualunque

Qualunquismo ante litteram: il Fronte dell'Uomo Qualunque [ di Simone Balocco e Paola Maggiora ]

La parola “qualunquismo” è da anni presente nei vocabolari e sentirselo dire non è un qualcosa di gratificante. Il sito treccani.it, alla voce “qualunquismo”, riporta tale definizione: “atteggiamento, morale e politico, polemico nei confronti dei partiti politici tradizionali in nome di una gestione tecnocratica e non ideologica del potere, assunto dai promotori e sostenitori del movimento qualunquista”. In pratica, una parola che significa, grettamente, “insoddisfazione”. Ma anche “menefreghismo” e “essere distanti da qualcosa in cui non ci si riconosce”.
E la politica è il luogo dove questa parola è più usata e gli anni Dieci di questo secolo possono essere considerati, sotto molti aspetti, anni politici qualunquisti: alto astensionismo alle urne, rassegnazione davanti ai candidati e alle scelte politiche con la scusa che “tutto cambia per non cambiare”. “Qualunquismo” fa rima anche con “demagogia”, “populismo” (termine forse azzardato, ma che ci può stare nel concetto) e “rabbia”. E l'ultima campagna elettorale per le “politiche” dello scorso 4 marzo, cruda e fatta di colpi bassi per screditare l'avversario di turno (come sempre, del resto), ha avuto un alto grado di qualunquismo. Ma non solo queste ultime: tutte quelle dal 2008 in avanti hanno registrato vette qualunquiste.
Dove nasce la parola “qualunquismo” in politica? C'è da fare un passo indietro e tornare alla Roma del periodo post liberazione, dall'8 giugno 1944 in avanti.


La situazione italiana tra il 1944 ed il 1945

Il 1944 è riconosciuto da parte degli storici e dagli esperti come l'anno più duro di tutta la Seconda guerra mondiale: il processo di Verona, la battaglia di Monte Cassino, lo sbarco americano di Anzio, le ventidue Repubbliche partigiane, l'eccidio di via Rasella e il conseguente massacro delle Fosse ardeatine, l'abdicazione di Vittorio Emanuele III per il figlio Umberto II (ultimo re d'Italia e noto per il “decreto luogotenenziale”), l'operazione Overlord in Normandia, Roma città aperta, i tanti eccidi e le morti sommarie dei partigiani da parte dei nazifascisti. Senza contare che nelle camere a gas dei campi di concentramento nazisti morirono migliaia (se non milioni) di persone. Un anno duro, quel 1944.
Allora il nostro Paese era diviso in due parti prima dalla linea Gustav (dal confine laziale-campano ad Ortona, in Provincia di Chieti, dal Tirreno all'Adriatico) e poi dalla “Gotica” (dalla costa massese a quella pesarese): più gli Alleati si dirigevano verso Nord, più la lotta partigiana di liberazione si faceva aspra e sanguinosa. Questi avevano cinque obiettivi in uno: sconfiggere la Repubblica Sociale Italiana, cacciare dal paese i tedeschi, liberare il Paese dall'invasore, ripristinare la pace e la democrazia. Roma aveva allora lo status di “città aperta”: onde evitare la sua distruzione, in un contesto bellico, la nostra capitale era in mano ai nazisti e dal 14 agosto 1943 al 4 giugno 1944 visse dieci mesi di terrore e paura. Il fascismo era caduto il 25 luglio 1943 ed era risorto sotto il nome di Partito Fascista Repubblicano dentro la RSI, ed i rastrellamenti e le violenze erano all'ordine del giorno. Una cosa però era certa: i nazifascisti non avrebbero vinto la guerra, l'Italia sarebbe uscita sconfitta dal conflitto e dalla ceneri della dittatura sarebbe poi nato uno Stato repubblicano e democratico. Si sarebbe dovuto però aspettare il referendum del 2 giugno 1946, l'insediamento della prima Assemblea costituente, l'entrata in vigore della Costituzione e le elezioni politiche del 18 aprile 1948. Ma facciamo un passo alla volta.
Il 27 dicembre 1944 nelle edicole della capitale uscì un nuovo foglio con un nome particolare, “L'Uomo qualunque”. Il simbolo? Anch'esso particolare: due mani che giravano un tornio che schiacciava un uomo ed in sovrimpressione una grossa U rossa con accanto una piccola q nera. A dirigere questa novità nel panorama editoriale romano una persona altrettanto particolare, Guglielmo Giannini.


Guglielmo Giannini, il commediografo stufo della politica

Guglielmo Giannini è stato un personaggio cruciale della storia politica a cavallo tra le fine della guerra e l'immediato periodo post bellico. Napoletano del 1891, era un giornalista con un passato “tuttofare” e con la passione per la satira. Fascista tiepido durante il Ventennio, a partire dalla Liberazione di Roma colse l'occasione di esprimere il suo disagio attraverso le poche pagine di un settimanale nato dalla sua fantasia, “L'Uomo qualunque” per l'appunto. Venduto prima nella Capitale (5 lire) e poi in tutto il Lazio e zone limitrofe (una lira in più), il giornale di Giannini esprimeva la rabbia verso la politica e l'oppressione che questa ha avuto sugli italiani negli anni precedenti. Non a caso, il simbolo del quotidiano era un uomo stilizzato schiacciato da un tornio.
Ma chi era Giannini? Un personaggio, come detto, sui generis: alto, distinto e con un monocolo sull'occhio destro a dare una parvenza di altezzosità ma di rispetto. Combatté la guerra italo-turca e successivamente la Grande guerra. Era noto per la sua attività di commediografo e le sue opere furono molto apprezzate in tutto il Paese.
In età giovanile attratto dal comunismo, Giannini si mosse in età matura verso idee liberali e liberiste. Non fu mai un fascista scaldato nonostante fosse iscritto al Partito, ma fu sempre contrario all'ingresso in guerra dell'Italia al fianco dei tedeschi, intuendo che il Paese sarebbe finito male e sconfitto. Nel 1942 perse il figlio Mario in guerra: questo grave lutto lo portò ad allontanarsi dal fascismo e a scrivere un'opera a lui dedicata, “La folla”. Fu molto disincantato, ma voleva che la politica uscisse dalla vita delle persone, così come i leader uscissero dalla politica. Nonostante amasse e seguisse da sempre la politica, il pensiero di Giannini era molto variopinto nelle parole e nei modi.
Come poté Giannini a manifestare il suo dissenso? Semplice, mettendo nero su bianco i suoi ideali. Per questo motivo, la mattina del 27 dicembre 1944, dalle edicole romane fece capolino una nuova rivista, “L'Uomo qualunque”. Gli articoli erano volutamente provocatori e sopra le righe con un unico obiettivo: far prendere coscienza agli italiani e allontanarli dalla politica. Il settimanale volava nelle vendite: almeno 800mila copie vendute ed una forte attrazione del ceto medio verso le idee di Giannini. Eppure il pensiero del commediografo non fu colto in pieno dagli italiani: se nelle zone dell'Italia meridionale le sue idee erano apprezzate, al Nord erano poco prese in considerazione. Distanza di pensiero sicuramente, ma c'è da tenere conto che al Sud non ci fu la lotta partigiana e non ci fu il Comitato di Liberazione Nazionale, oggetto di molte battute di scherno da parte di Giannini, tanto da apostrofare il “vento del Nord” (la lotta partigiana) come “rutto del Nord”, definendo l'antifascismo come una sorta di nuovo fascismo.
Il suo pensiero fece presa nella piccola classe borghese dell'Italia meridionale che non aveva vissuto la lotta partigiana di liberazione, ma aveva timori sul successo (nel caso) del comunismo nel Mondo. Anche il Partito d'Azione fu un bersaglio de “L'Uomo qualunque”, definendolo un partito “ridicolo”. E gli azionisti non ebbero mai espressioni tenere nei confronti del gruppo di Giannini.
E poi la differenza vitale tra “capo” e “folla”, tra politici di professione abili solo a sottomettere gli elettori e coloro che li votano, la maggioranza degli italiani, che lo fa in buona fede ma che invece rimane fregata dai politici di professione.
“L'Uomo qualunque” usava toni sprezzanti al limite della diffamazione e della volgarità. E proprio qua stava il core del movimento: prendere in giro coloro che avevano mandato alla rovina l'Italia e alcuni soggetti che, nel mondo di vedere di Giannini, non avrebbero fatto il bene del Paese, allontanando gli elettori/cittadini dalla politica. Il pezzo forte, oltre alla verve critica di Giannini, era anche la rubrica di pettegolezzi (del tempo) “Le vespe”, dove si prendevano in giro i politici dell'epoca, storpiando loro i nomi.
Nell'agosto 1945 il successo del settimanale era incredibile e Giannini, a meno di un anno dal referendum e dal voto dell'Assemblea costituente, decise di trasformare il suo pensiero in un movimento politico lontano dalla dicotomia destra-sinistra, ma con la volontà di sparigliare le carte in tavola.
Qual era la ricetta di Giannini? Creare un partito politico. Nella sua idea, il capo del governo sarebbe dovuto rimanere in carica un anno solare, dimettersi e fare spazio ad un erede che continuasse il suo operato, così continuando ogni cinque anni: una sorta di Stato altamente burocratizzato che avrebbe potuto far rinascere l'Italia.
Per “politica” si intende tutta la politica, senza distinzioni di idee e valori: gli obiettivi della penna di Giannini sono i due partiti maggiori, la Democrazia cristiana ed il Partito Comunista Italiano, e a tutta la classe dirigente politica nazionale.
In questo humus ecco ergersi una parola nuova: “qualunquismo”. Ergo, lo scetticismo verso la politica, le sue idee e i suoi dirigenti puntando a dire “no” al profitto personale, “no” alla corruzione, “no” ai politicanti di professione.
L'abitazione di Giannini di piazza Argentina a Roma era il centro del suo pensiero, mentre l'ufficio politico fu in corso Vittorio. Perché “politico”? Perché decise che doveva entrare in politica.

Dal foglio alla Costituente: nasce il Fronte dell'Uomo Qualunque

“L'Uomo qualunque” non ebbe vita facile, tanto che subì uno stop nelle pubblicazioni dopo appena due mesi, riprendendo con vigore le pubblicazioni dopo il 25 aprile, tanto da arrivare fino a 800mila copie vendute.
Questo fu il quid per far capire a Giannini che il suo sforzo dove tramutarsi in un impegno politico, diverso ovviamente da quanto professavano gli altri partiti. Giannini trovò consensi in tutte le regioni del Sud, ma il salto di qualità non poteva esserci perché un partito non si improvvisa e sarebbe stato opportuno che anche nel Nord i cittadini si potessero avvicinare al nascente movimento, cosa che invece non accadde.
Il 7 novembre 1945 fu pubblicato il programma elettorale del partito, nacquero le prime sedi e le prime segreterie. Giannini voleva che il suo movimento avesse l'avallo del Partito Liberale Italiano di Benedetto Croce, il quale non accettò l'ingresso dei “qualunquisti” nel suo partito. Questo niet portò Giannini a creare un proprio partito, ribattezzato appunto Fronte dell'Uomo qualunque.
I capisaldi del “Fronte” erano l'anticomunismo, la lotta al capitalismo, espansione del liberismo, limitazione del prelievo fiscale, uno Stato non presente nella vita sociale del Paese. Il Fronte dell'Uomo qualunque si poneva come una terza via tra le due ideologie vincenti del primo dopoguerra, il comunismo e il capitalismo.
La prima assemblea programmatica del nuovo partito si tenne a Roma presso l'aula magna dell'Università tra il 16 ed il 19 febbraio 1946, mentre il partito fu creato effettivamente il 18 febbraio, a tre mesi e mezzo dall'importante referendum istituzionale del 2 giugno.
Ovviamente questa notizia non fu accolta positivamente dagli altri partiti: il PCI accusò il movimento di neofascismo e gli altri partiti guardarono con diffidenza alla “creatura” di Giannini. Il motivo era semplice: avrebbe preso tanti voti e più voti avrebbe preso il “Fronte”, meno ne avrebbero presi i partiti tradizionali.
Nella primavera 1946 si tennero le prime elezioni amministrative democratiche italiane della storia e il Fronte dell'Uomo qualunque si presentò in molte città, ma ebbe successo solo in quelle dell'Italia meridionale e dove non poté andare solo si alleò con il PLI. Ovviamente il “Fronte” ebbe risultati scarsi al Nord ma eccelsi al Sud, tanto da guadagnare due sindaci in Sicilia (a Palermo e a Messina). A Roma fu addirittura il secondo partito più votato dopo la Democrazia cristiana. Alle elezioni amministrative del 1946, il rapporto di eletti nei consigli comunali tra Nord e Sud fu di circa 1 a 40 e gli eletti furono complessivamente milletrecento. Non male per un partito nato da poco tempo grazie ad una rivista.
Il vero banco di prova furono il referendum e l'elezione della Costituente. Perché se le amministrative potevano essere un fenomeno locale, a questo punto era necessario fare presa a livello nazionale. C'era da dare un futuro al Paese: continuare con la monarchia o cambiare forma di governo con il passaggio ad una repubblica? E poi dovevano tornare i partiti, doveva cambiare la legge elettorale, varare una Costituzione ed eleggere le persone che avrebbe contribuito a scrivere la nuova Costituzione. Chi avrebbe vinto, avrebbe avuto un compito molto difficile: ridare speranza ad un Paese distrutto dalla guerra, uscito sconfitto dalla stessa e ridare una speranza democratica dopo venti anni di dittatura ad un popolo in cerca di certezze. Il 2 giugno 1946 si tenne il primo referendum a suffragio universale diretto, dove per la prima volta poterono votare anche le donne. Quello stesso giorno, 23 milioni di italiani furono chiamati alle urne anche per votare i partiti politici e i rappresentanti dell'Assemblea costituente. Di questi 556 eletti, settantacinque furono incaricati di redigere la nuova Costituzione.
Votò l'89% degli aventi diritto: vinse la repubblica con 12,7 milioni di voti, contro i 10,7 della monarchia, 54% contro 46%. Nella contestuale elezione per l'Assemblea costituente, il partito più votato fu la Dc con il 35%, seguito dal Partito Socialista Italiano e Partito Comunista Italiano con il 20,7 ed il 18,9 per cento. Tra i partiti che presero voti ce n'era uno particolare, nato pochi mesi prima e che ottenne addirittura il 5,3%, oltre 1,2 milioni di voti, quinto partito più votato e portando in dote ben trenta eletti. Quel partito era il Fronte dell'Uomo Qualunque.


La prima legislatura: fine di tutto. La diaspora qualunquista

Giannini fu il terzo candidato più votato all'Assemblea costituente dopo Alcide de Gasperi e Palmiro Togliatti, i due politici italiani più importanti di quel periodo: il “Fronte” si stava imponendo davvero come una terza via. E proprio la maggior parte dei voti del Fronte dell'Uomo qualunque proveniva proprio da delusi democristiani e da altri elettori altrettanto delusi dagli altri partiti e dalla politica del tempo e quel legame DC-PCI-PSI non piacque agli elettori della Balena bianca. Dei 30 deputati eletti dal “Fronte”, uno solo proveniva dal Nord Italia, mentre gli altri da tutto il Sud.
L'anno dopo, alle prime elezioni regionali siciliane, il “Fronte” non si presentò solo ma in coalizione con il Partito Liberale Italiano costituendo il Blocco Democratico Liberal Qualunquista, diventando il terzo partito più votato, con il 15%, e portando in dote dodici deputati.
La Dc iniziò a capire di avere a che fare con un degno avversario, solo che sia de Gasperi (dal 13 luglio 1946 Presidente del consiglio nel primo dei suoi sette governi) e gli industriali guardarono con il fumo negli occhi il partito di Giannini.
Chi era l'elettore medio del Fronte? Una persona vicina al fascismo nel Ventennio e gli imprenditori terrieri ed industriali che temevano (come nel “biennio rosso”) che le forze di estrema sinistra potessero prendere il sopravvento nel Paese.
E poi arrivò il 18 aprile 1948, il giorno più importante della neonata Repubblica italiana: il giorno delle le prime elezioni politiche. Si stava entrando nella Guerra fredda e l'Italia, “inglobata” nella parte di Europa sotto la tutela degli Stati uniti d'America, si stava preparando per un voto cruciale per il suo futuro. La Costituzione era in vigore da quattro mesi e mezzo ed il primo parlamento democraticamente eletto stava per insediarsi. La campagna elettorale fu molto impegnativa per gli schieramenti e a contendersi la maggioranza parlamentare c'erano la Democrazia cristiana del Presidente del Consiglio uscente de Gasperi, il Fronte Democratico Popolare (coalizione costituita da PCI e PSI) e l'Unità socialista di Ivan Lombardo.
Il partito più votato fu quello dello “scudo crociato” (48,5% e 453 parlamentari), seguito dal “Fronte” di Togliatti con quasi venti punti percentuali e 153 parlamentari in meno. I socialisti uniti superarono di poco il 7% per un totale di 56 eletti.
Il quarto partito più votato fu la coalizione del Blocco democratico che univa i liberali di Roberto Lucifero d'Aprigliano e il Fronte dell'Uomo qualunque di Giannini. E proprio la “creatura” di Giannini fu il partito che uscì sconfitto dalla contesa elettorale: il “Blocco” ottenne il 3,82% alla Camera ed il 5,4% al Senato, portando a Roma quattordici deputati e sette senatori. Di questi ventuno eletti, sette furono solo quelli “frontisti” (quattro deputati e tre senatori). Un passo indietro notevole, ma non del tutto inaspettato.
In difesa del Blocco democratico e degli altri partiti che si presentarono all'elezione (tra cui per la prima volta il Movimento Sociale Italiano) c'è da dire una cosa: fu un'elezione aspra e combattuta pienamente da Dc e PCI e chi avrebbe vinto avrebbe sancito il futuro del Paese. Per questo un partito debole come il “Fronte” non poteva che uscire sconfitto. Ma un conto è uscire sconfitto, un altro è uscirne sconfitto con le ossa rotte.
Quale, o quali sono stati i motivi che hanno spinto gli italiani di allora a punire il Fronte dell'Uomo qualunque?
I motivi sono prettamente tre: il bipolarismo DC-PCI, la fine del periodo di disgusto degli italiani per la politica, le scelte politiche controverse di Giannini. Se i primi due elementi sono legati tra loro e fisiologici, Giannini commise degli errori di gestione (politica) del suo partito. Innanzitutto i parlamentari eletti non furono particolarmente attivi in aula, anche se tra di loro ci fu la prima donna candidata come capo dello Stato, nonché una delle ventuno donne presenti nell'Assemblea costituente e membro della Commissione per la Costituzione per la stesura della Carta: Ottavia Penna Buscemi. Giannini iniziò a fare ciò che ad “qualunquista” non piaceva: cercare alleanze con altri partiti. E fin qui niente male, se non che Giannini cercò accordi sin da subito con la Democrazia cristiana. La Balena bianca respinse la richiesta di alleanze, nonostante il “Fronte” votò la fiducia al de Gasperi IV, un governo senza comunisti e socialisti. Era troppa la distanza tra il partito nato dal settimanale satirico e il partito nato dalla ceneri del Partito Popolare Italiano di don Sturzo. Il merito fu anche della Dc che diede una sterzata atlantista al Paese e il partito dello scudo crociato si prese, in pratica, molti voti andati ai “frontisti” al momento dell'elezione della Costituente. Tutto, in pratica, era tornato alla normalità.
Chiuse le porte della Dc, Giannini ci provò allora con il MSI a trovare un'alleanza ma anche dalle parti della Fiamma non andò a buon fine. La terza porta dove andò a bussare fu quella del PCI, il nemico per antonomasia del partito di Giannini.
Tre richieste fuori luogo secondo l'elettorato (disorientato) del “Fronte”. Alla fine si aprì la porta dei liberali, ma in un contesto di coalizione tripartitica con il Partito liberale e l'Unione per la Ricostruzione Nazionale, ripetendo l'esperimento delle regionali siciliane dell'anno precedente. Perché continuare a votare un partito incoerente con se stesso e senza un vero programma? Alle urne, i voti furono pesanti e in pratica due punti percentuali per un partito di poco superiore al 5% furono una batosta. E come se non bastasse, la coalizione liberale andò a rotoli dopo poco tempo e Giannini, ad un anno dall'ingresso nella I legislatura della sua creatura politica, decise di chiudere i battenti del partito. Da novità del palcoscenico politico a meteora dello stesso palcoscenico. I parlamentari “frontisti” approdarono tra Dc, MSI e altri partiti, mentre Giannini rimase nel gruppo misto.
L'assenza di un background definito e di uno “zoccolo duro” elettorale (che ogni partito ha sempre), unite a qualche errore marchiano nella gestione politica, fecero suonare il de profundis al partito di Giannini.
Nel 1953, per le elezioni della II legislatura, Giannini si candidò come indipendente (senza tessera quindi) tra le fila della Democrazia cristiana, ma non fu eletto. Cinque anni dopo (terza legislatura) ci riprovò con il Partito Nazionale Monarchico, ma anche lì non fu eletto parlamentare. Si chiudeva in malissimo modo la parabola di Guglielmo Giannini, che morì il 13 ottobre 1960, il giorno prima del suo sessantanovesimo compleanno. Il sogno di trasformare la politica italiana nell'anti-politica e il Paese in uno Stato burocratizzato guidato da gente consapevole era naufragato in maniera pesante.


Qualunquismo anni Duemila Dieci

Dalla fine dell'esperienza del Fronte dell'Uomo Qualunque, il panorama politico italiano ha avuto, più o meno, partiti che si rifacevano all'esperienza di Giannini. Dalla “discesa in campo” di Achille Lauro, l'armatore napoletano che tra il 1946 al 1979 fu sindaco di Napoli e deputato prima monarchico e poi missino, puntando sulla dicotomia do ut des (vedasi la storia di una sola scarpa regalata in cambio di un voto dove sarebbe stata data anche l'altra) o il successo del MSI-DN alle politiche del 1972 con l'8,7% dei suffragi, miglior risultato fino a quel momento del partito paria per antonomasia del panorama politico italiano. Ma è solo nel 1987 che qualcosa si mosse, con l'elezione dei primi due parlamentari della Lega Nord in Parlamento, tra cui l'allora leader Umberto Bossi, passato alla storia (politica) italiana con il nomignolo di senatur. Partito nato come anti-sistema contro la politica di “Roma ladrona” e con una sorta di “malessere” verso le regioni del Sud, la Lega Nord durante il periodo di Tangentopoli cavalcò l'onda dell'anti-politica e del disprezzo verso i politici della Prima repubblica, conquistando alle elezioni del 1992 oltre cento parlamentari e arrivando due anni dopo al governo con Berlusconi. La Lega Nord all'inizio è stato considerato una sorta di “Fronte 2.0”, ma con il passare del tempo si è spostata su posizioni governative o comunque non più tanto sui generis come i primi mesi di vita.
Lo scettro di partito anti-sistema che, più o meno, si avvicina al movimento di Giannini è il Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo. Il movimento grillino è nato nell'ottobre 2009 grazie all'ex comico genovese e al guru della comunicazione web Gianroberto Casaleggio (deceduto nell'aprile 2016). Nato a seguito dei Meet up e dei V-day del triennio 2006-2008, l'embrione del futuro movimento (per scelta non chiamatosi mai “partito politico”), allora chiamato “Amici di Beppe Grillo”, decise di corre per la prima volta nelle elezioni amministrative del 2008, riportando risultati modesti. Ma da quel momento in poi, il successo fu inarrestabile: primo partito più votato nelle elezioni politiche del 2013 (25% alla Camera, 24% al Senato, 109 deputati e cinquantaquattro senatori), un centinaio di consiglieri regionali, diciassette eurodeputati (21% alle elezioni del 25 maggio 2014), i sindaci di città importanti (Roma, Torino, Livorno, Parma e ora primo partito in Sicilia dopo le scorse elezioni regionali). Dal 2013 in avanti, ad ogni elezione amministrativa, i “pentastellati” sono sempre il secondo o il terzo partito più votato. Un successo senza fine, con la consacrazione delle ultime elezioni politiche che hanno visto primeggiare, a livello nazionale, di Maio e soci, incrementando di ben otto punti percentuali rispetto alla precedente tornata.
Cosa differenzia il Fronte dell'Uomo qualunque dal M5S? Nonostante l'”amore” per l'anti-politica, i cinque stelle hanno un seguito maggiore, sono più attrezzati e hanno dei programmi: tutto ciò che è mancato al movimento di Giannini. Erano anche altri tempi, tanto che i “pentastellati” hanno anche più visibilità poiché sono presenti in tutto il territorio nazionale e usano il web e i social network per diffondere le loro idee e la loro protesta. Cose che Giannini non poteva avere, visto che poteva contare solo sul suo settimanale che veniva venduto in sporadiche zone d'Italia.
Una cosa che accomuna i due partiti (vissuti in epoca politiche diametralmente opposte) sono il numero dei punti focalizzanti, cinque: lotta al comunismo, poca influenza dello Stato nella vita pubblica, liberismo economico, prelievo fiscale limitato e lotta al capitalismo; tutela acqua pubblica, trasporti, sviluppo, connettività, e ambiente. I cinque stelle non sono politici di professione, si eleggono tra loro, possono essere eletti solo per due mandati consecutivi e fanno del concetto di “un voto, una testa” il proprio mantra.
Se il Fronte dell'Uomo qualunque fin da subito ebbe una matrice destrorsa, i cinque stelle sono al di la della concezione di destra-sinistra-centro, puntando a prendere voti da tutti.
I pentastellati sono qualunquisti come era ai tempi il Fronte? Assolutamente no. Il Movimento Cinque Stelle si pone davvero come una ventata di nuovo nello scenario nazionale: candidati puliti senza aver mai avuto problemi con la legge (nono, rinuncia al vitalizio, restituzione di buona parte dello stipendio mensile e di tutti i benefit e privilegi (auto blu in primis), candidati eletti dalla “base” del partito tramite il web (comunarie, regionarie, parlamentarie), il concetto di democrazia diretta, le dirette streaming. Insomma, un qualcosa di nuovo per fare in modo che gli italiani si possano avvicinare alla politica dopo decenni di cattiva politica. Se i “frontisti” erano diffidenti ed ostili verso la politica del tempo, i “grillini” sono diffidenti ed ostili verso i partiti e dai politici che, a loro modo di vedere, hanno rovinato l'Italia. I “grillini” sono il movimento “qualunquista” che ha avuto più successo in Italia dai tempi del “Fronte” di Giannini. Per carità, ci sono stati altri partiti che hanno cercato di sparigliare le carte in tavola negli ultimi quindici anni (da Rivoluzione civile di Ingroia a Sinistra Ecologia Libertà di Vendola e Pisapia fino a l'Italia dei valori di Di Pietro), ma il Movimento Cinque Stelle è quello più radicato e più votato, pur non avendo uno “zoccolo duro” elettorale come i partiti più grandi e radicati. Il movimento di Giannini invece fu il primo vero anatema contro la politica, intesa come voglia di nuovo e di non sottomissione del cittadino alla stessa.
E all'estero? Il “qualunquismo” ha sempre attecchito in molti Paesi: ogni Paese è diverso dall'altro, ma i malesseri sono comuni a tutti. Ed ecco che “qualunquisti” sono Podemos in Spagna, Syriza in Grecia, il Partito del Progresso in Danimarca, il Partito pirata europeo e tanti altri. Insomma, ad ognuno il suo.
L'Italia era diventata una dittatura ed era entrata in guerra al fianco dei tedeschi, il re era fuggito da Roma, il Paese era in mano ai nazifascisti e la Resistenza era riuscita a liberare il Paese, una Nazione a pezzi che doveva ripartire da zero economicamente, socialmente, psicologicamente, politicamente e moralmente. Ed ecco che un commediografo freddamente fascista e totalmente disincantato sull'andamento politico dell'Italia di allora si mise ad un tavolo e tirò fuori prima un settimanale satirico e poi un partito che aveva le basi per poter dare una nuova linfa all'Italia. Peccato che poi essendo troppo demagogico, senza una vera direzione da prendere e, per i tempi di allora, populista il Fronte si accartocciò su se stesso e in meno di un anno dal suo ingresso in Parlamento si sciolse.
Quell'uomo schiacciato dal tornio era stato un faro per molti italiani, salvo poi diventare come tutti gli altri: “inciucista” ed incoerente con se stesso. E quegli oltre 1,2 milioni di italiani decisero di punirlo, togliendogli il voto. E per i partiti togliere voti e come per gli umani togliere il respiro: morte certa.
Eppure il “qualunquismo” di questi anni Duemila fu rima (non solo come suffisso) con “populismo” e l'Europa ne è piena: Alba dorata in Grecia, Front national in Francia, Partito della Libertà in Austria, Partito del Progresso in Danimarca, Alternativa per la Germania nel Paese della Merkel, Jobbik in Ungheria, Partito per la Libertà in Olanda, Veri finlandesi in Finlandia, Diritto e Giustizia in Polonia o l'Ukip in Gran Bretagna. Partiti che traggono linfa dal malessere della loro nazione ed in molti casi, i loro voti sono sempre a due cifre al momento delle elezioni.
Eppure l'unico vero erede del “Fronte” in Europa fu il movimento poujadista francese, attivo tra il 1953 ed il 1958. A fondarlo, Pierre Poujade, un uomo che prima di dedicarsi alla politica aveva svolto le mansioni più disparate (come il giovane Giannini) e che nel 1953 creò dal nulla un partito (l'Unione Difesa Commercianti Artigiani) che si oppose al governo del conservatore Pierre Mendès France che aveva inasprito il regime fiscale francese, punendo, appunto, i commercianti e gli artigiani. Poujade mise in piedi dal niente (proprio come Giannini) un partito che, presentatosi per la prima volta alle politiche del 1956 (con il nome di Unione e Fraternità Francese), ottenne quasi il 12% dei consensi (2,4 milioni di voti) mandando all'Assemblea nazionale (la loro Camera dei deputati) ben cinquantadue deputati. E come per il “Fronte”, anche il partito poujadista, finita la benzina “qualunquista”, terminò la sua esistenza. Se per il Fronte dell'Uomo qualunque il membro più importante fu Ottavia Penna Buscemi, per l'Unione e Fraternità Francese il rappresentante più celebre è stato Jean-Marie Le Pen, futuro deus ex machina del Fronte nazionale.
Eppure il Fronte dell'Uomo qualunque ha avuto un primato: essere stato il primo partito a portare alla ribalta il malessere dei cittadini contro la cattiva politica, dando voce a chi era stufo di questa situazione cercando di cambiare le cose come stavano. Poi si è accartocciato su se stesso, diventando totalmente non credibile, incoerente e falso. Eppure ha fatto scuola. In Italia, in Europa e nel Mondo.
Se oggi “qualunquismo” è un'accezione negativa, anche nel quinquennio 1944-1949 lo era, ma Giannini creò una pagina irripetibile della politica nazionale. Ma in politica, come ogni aspetto della vita umana, se non si hanno le fondamenta crolla tutto, ma ora tutti i partiti “qualunquisti” (o presunti tali) europei, viste anche le esperienze del passato, sembrano essere fatti di cemento armato.


Bibliografia consigliata

Carlo Maria Lomartire, Il qualunquista. Guglielmo Giannini e l'antipolitica, Mondadori, Milano, 2008;
Sandro Setta, L'Uomo Qualunque 1944-1948, Laterza, Roma-Bari, 2005;


Sitografia

Il Fronte dell’Uomo Qualunque. La storia del movimento a cui viene paragonato quello di Grillo: ebbe un grande e momentaneo successo e dette una nuova parola alla lingua italiana, ilpost.it, 11 maggio 2012,
www.ilpost.it/2012/05/11/fronte-uomo-qualunque-giannini;
Fabio Carrozzo, Quelle somiglianze tra Giannini e Grillo, Istituto di Politica,19 dicembre 2012,
www.istitutodipolitica.it/wordpress/2012/12/19/quelle-somiglianze-tra-giannini-e-grillo/;
David Bidussa, Il grillismo prima di Grillo: l’Uomo Qualunque, Linkiesta, 28 aprile 2012,
www.linkiesta.it/it/article/2012/04/28/il-grillismo-prima-di-grillo-luomo-qualunque/6832;
Alessandra Caparello, Movimento Cinque Stelle: programma origine storia elezioni Parlamento, Politicanti, 2 Gennaio 2017,
www.politicanti.it/movimento-cinque-stelle-programma-origini-storia-elezioni-1118;
Enrico Gregori, Nasce il "Fronte dell'Uomo Qualunque, ilmessaggero.it, 16 maggio 2014,
www.ilmessaggero.it/home/accadde_oggi_fronte_uomo_qualunque_guglielmo_giannini-395586.html;
Maurizio Stefanini, Perché il bluff dell’Uomo qualunque funziona alle elezioni. Da Kejriwal in India a Podemos in Spagna. Breve rassegna dell’antipolitica che vince e non sa poi che fare, ilfoglio.it, 15 febbraio 2015,
www.ilfoglio.it/articoli/2015/02/15/news/perche-il-bluff-delluomo-qualunque-funziona-alle-elezioni-80917;
Qualunquismo” in www.treccani.it


Trasmissione radiofoniche Enrico Michetti, Anno 1946 - Il partito dell'Uomo Qualunque, in Tie break, Radio Rai,
www.youtube.com/watch?v=1a2jY1-Vnsw
  • TAG: uomo qualunque, guglielmo giannini, qualunquismo, movimento cinquestelle, beppe grillo

Articoli pubblicati da Simone Balocco e Paola Maggiora


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