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Dittatura e Mondiali di calcio: il caso di Argentina 1978 [ di Simone Balocco e Paola Maggiora ]

Li hanno chiamati i “Campionati del Mondo della vergogna” e “del disonore”. Ma anche i “Mondiali del sangue” e “dei Militari”. In pochi considerano i Campionati del Mondo di calcio di Argentina 1978 un evento prettamente sportivo. Un evento sportivo che ha coperto, per venticinque giorni, gli orrori della Giunta militare di stampo neofascista che governava con ferocia e fermezza il Paese sudamericano da due anni e che lo avrebbe governato fino al dicembre 1983.
Un Mondiale controverso di cui ancora oggi, a quarant'anni di distanza dal triplice fischio dell'italiano Sergio Gonella che diresse finale, si parla come tecnicamente valido ma con alle spalle quella dittatura spietata che usò il calcio come tornaconto personale per coprire le atrocità commesse non solo contro la democrazia, ma anche contro gli oppositori.
La dittatura argentina è passata all'onore delle cronache per ciò che commise nei vari “Garage Olimpo”, veri e propri campi di prigionia dove il più (tristemente) famoso era quello presso la ESMA (Escuela de Mecánica de la Armada), la caserma/istituto di formazione degli ufficiali della marina a seicento metri dallo stadio “Monumental” di Buenos Aires (teatro della finalissima vinta dall'Argentina sui Paesi Bassi con capitan Passarella che ricevette la Coppa del Mondo direttamente dalle mani del generale Jorge Rafael Videla, capo della Junta) e luogo di vere atrocità contro l'umanità.
I militari sfruttarono il periodo di incertezza che ci fu in Argentina a partire dal 1974, quando morì Juan Domingo Perón e il potere passò alla seconda moglie Isabel Martínez. Il 24 marzo 1976 la Perón fu deposta e salirono al potere i militari che instaurarono un regime autoritario, nazionalista e che ricordò i regimi dittatoriali presenti in Europa negli anni antecedenti lo scoppio della Seconda guerra mondiale.
A distanza di quarantaquattro anni dalla prima volta, il Mondiale di calcio veniva ospitato da una Paese dove era in vigore una dittatura: nel 1934 era toccato all'Italia fascista di Mussolini, nell'estate 1978 all'Argentina della trimurti Videla-Massera-Agosti. Se nel primo caso la Nazionale italiana era forte, quella dell'Argentina non era trascendentale ma ebbe molti appoggi “esterni” che la spinsero a vincere un Mondiale che non poteva perdere. E la riuscita del Mondiale fu, come per tutte le dittature che organizzarono eventi sportivi di rilievo, il punto di massimo consenso e di conservazione del primato sui cittadini.
Come avvenne a Berlino durante il nazismo per l'organizzazione delle Olimpiadi estive del 1936, lo sport a Buenos Aires divenne strumento di propaganda e la Junta non si lasciò perdere l'occasione per far apparire l'Argentina al Mondo come uno Stato avanzato, smentendo tutte le dicerie sul suo conto.
Vediamo nel dettaglio come arrivò al potere, come si consolidò e come cadde la Giunta e come furono quei tanto criticati Campionati del Mondo di calcio.

LA DITTATURA
Per sette anni, dal 1976 al 1983, l’Argentina ha avuto una dittatura militare sanguinaria e violenta che ha suscitato orrore e disprezzo nel mondo a causa della sistematica violazione dei diritti politici e, soprattutto, umani. La Junta (questo era il nome della dittatura) ha portato alla sparizione di oltre 30mila persone invise al governo, i cosiddetti desaparecidos.
Senza dubbio sul Paese ha pesato il fatto di aver subito la suddivisione del Mondo in due blocchi contrapposti: l’Argentina rientrava nei Paesi “terzomondisti”, in altre parole i Paesi non allineati, restando in ogni caso nell’orbita di preferenza americana. Il leader indiscusso del periodo post bellico è stato senza dubbio il colonnello Juan Domingo Perón.
L’Argentina tra il 1946 e il 1955, e dal 1973 al 1974, ha potuto godere della forza politica del peronismo, il movimento politico creato dallo stesso Perón nel 1943, che si poneva come “terza via” tra capitalismo e socialismo, unendo però a sé entrambe le politiche, farcite da ideologie patriottiche, corporativiste, populiste e socialnazionalistiche.
Dalla destituzione di Perón nel 1955 alla rielezione nell’estate 1973, il Paese ha avuto oltre una decina di militari tutti andati al potere con colpi di Stato.
Perón vinse le prime elezioni democratiche argentine del 1973 con oltre il 62% dei consensi, sebbene non prese mai le distanze dall’organizzazione militare Triplo A, che provocò il massacro dell’aeroporto di Ezeiza dove tredici persone morirono ed altre trecentosessantacinque rimasero ferite, proprio il giorno del suo ritorno dall’esilio in Spagna.

24 marzo 1976, militari al potere. L’inizio della “guera sucia”
Il Primo luglio 1974 muore Juan Domingo Perón, ad un anno di distanza dal suo ritorno al potere alla Casa Rosada. Il personaggio politico di riferimento di un’intera Nazione muore forse nel momento peggiore per la Nazione. Al suo posto successe la terza moglie, nonché vicepresidente, Isabel Martinez, la quale continuerà l’opera del marito, anche se non all’altezza di governare un Paese instabile, in crisi e con un pesante clima di violenza interna.
Senza dubbio la persona che la influenzò, in peggio, fu l’allora Ministro del Welfare, José Lopez Rega. Lopez Rega era a capo della Tripla A (Alianza Anticomunista Argentina), un’organizzazione paramilitare neofascista molto influente in Argentina negli anni Settanta grazie agli investimenti che il suo fondatore le girava, invece di destinarli al ministero di propria competenza, allo scopo di portare il Paese in un clima di instabilità politica e civile, dando il là ad un golpe militare.
Triplo A è stata accusata di oltre 400 omicidi di persone appartenenti alla sinistra tra il 1973 e il 1975, mentre nello stesso periodo anche “da sinistra” avvennero minacce ed omicidi per mano dell’”Esercito Rivoluzionario del Popolo” (di matrice trotkista e montonerista), il quale usava la guerriglia urbana in contrapposizione al Triplo A.
Dinnanzi a questo quadro di instabilità e recrudescenza, il golpe militare non poteva che palesarsi, anche perché Isabelita Perón nel 1975 promosse il tenente generale Jorge Rafael Videla ministro degli Interni, rafforzando ancora di più una piega militare nelle “stanze dei bottoni”. Una situazione che ricordava molto la “strategia della tensione” in Italia, solo che dinnanzi a ciò il golpe era pressoché logico: il 24 marzo 1976 la Perón fu destituita e al potere andò la Junta capitanata da tre esponenti delle forze militari argentine, vale a dire lo stesso Videla per l’Esercito, Emilio Eduardo Massera per la Marina, Orlando Ramon Agosti per l’Aeronautica.
I militari evitarono la “dissoluzione naturale del Paese” e si presero ciò che gli spettava, ovvero la funzione di garanti dell’unità e dell’ordine nazionale. Da allora, e fino al 1983, si alterneranno ben quattro “governi” che cercarono di realizzare il “Processo di Riorganizzazione Nazionale”, macchiandosi di efferati delitti politici e portando il Paese all’isolamento internazionale.
Questo “Proceso” fa rima con “guerra sporca”, per i metodi biechi e violenti che lo contraddistinsero. Il generale Videla è stato il vero leader della Junta, primo “Presidente a vita” dell’Argentina e capo di questa fino al 1981, quando fu sostituito da un colpo di stato interno alla stessa Junta per motivi di potere.
Dal quel momento iniziava anche la “guera sucia”, la “guerra sporca”, un conflitto non armato che questi militari intrapresero contro tutti coloro che non erano affini alle politiche governative, subendo sequestri, violenze, torture e morte, poiché considerati nemici del Paese. Studenti, sindacalisti, lavoratori e donne furono colpiti da quest’ondata di violenza ed oltre 30mila di loro persero la vita in circostanze mai del tutto chiare, soprattutto, mai alla luce del sole.
Questa operazione di “pulizia” rientrava, insieme all’alleanza strategica tra i servizi segreti argentini con gli omologhi cileni ed americani (DINA e CIA), nella cosiddetta “operazione Condor”, onde evitare il proliferare di governi di sinistra filo-marxista in un’area, quella Sudamericana, da sempre sotto protezione americana (in base alla “dottrina Monroe”), il cosiddetto “giardino di casa”, per evitare che a tutto il subcontinente toccasse la stessa fine del Cile nel novembre 1970, quando fu eletto Capo dello Stato il socialista Salvador Allende, destituito l’11 settembre 1973 dal golpe del generale Augusto Pinochet, coadiuvato dalla CIA. Esperienze come queste potevano estendersi piano piano anche a tutti gli altri Paesi latini, come accadde con l'effetto domino” asiatico.
Naturalmente, il pericolo comunista era solo uno slogan, poiché il Partito Comunista argentino aveva un peso molto irrilevante e l’unica “sinistra” ufficiale nel Paese era espressa dagli esponenti di sinistra del peronismo stesso. I militari presero il potere ed affermarono di aver salvato il Paese dal baratro economico, politico, sociale. L'Argentina rischiava di entrare in un periodo di crisi e anarchia che l'avrebbe portata al caos più totale. Il loro golpe fu “necessario” per ridare dignità all'Argentina e “dignità” e “normalità” dovevano passare attraverso un processo di riforma, il cosiddetto Processo di Riorganizzazione Nazionale (Proceso de Reorganización Nacional). Scopo finale del Processo: eliminare tutte le tracce di eversività nel Paese; porre fine alla corruzione dilagante nel Paese; porre fine al caos economico e al declino della Nazionale. In pratica, un regime dittatoriale.
Come tutte le dittature sanguinarie del Novecento, la Junta decise di rivoluzionare l'Argentina perseguitando gli oppositori (senza distinzione di sesso e condizione fisica e sociale) e combattendo una battaglia contro i terroristi “di sinistra” che davano problemi all'ordine pubblico: i Montoneros e l'Esercito rivoluzionario del popolo.

Sistematica violazione dei diritti umani: “guerra sporca” e i desaparecidos
Lo stampo intrapreso dai militari argentini fu autoritario, anticomunista, nazionalista, patriottico e rivolto al recupero del tradizionalismo cattolico, tanto da coinvolgere anche alcuni esponenti locali della Chiesa nelle nefandezze di Videla e soci.
Dal punto di vista economico, si sviluppò un forte liberismo che aprì le braccia agli investitori esteri, i quali trovarono in Buenos Aires una gallina dalle uova d’oro da spennare, l’inflazione subì una decisa impennata (tra il marzo 1975 e il marzo 1976 arrivò al 566%), il deficit pubblico in poco tempo aumentò in maniera molto rapida (12% del PIL) e le riserve del Paese andavano esaurendosi. Furono aboliti gli scioperi e gli stipendi furono bloccati.
Dal punto di vista della politica interna si diede una netta forza alla negazione della libertà e dei diritti di tutte quelle persone che potevano creare dei problemi all’ordine del Paese, tanto che incominciò una forte politica repressiva contro studenti ed oppositori politici, nonché le forze d’ispirazione comunista, come i Montoneros ed alcuni peronisti, arrivando allo scioglimento del Parlamento, sminuendo la forza dei partiti politici, imponendo la censura sugli organi di informazione sulla falsa riga del fascismo.
La caratteristica del “Processo” è stata la totale segretezza degli atti di violenza compiuti contro gli oppositori. Il motivo principale era quello di ben figurare all’estero, facendo passare la Giunta come un governo conservatore e non incline alla violenza, perché non si poteva permettere di fare come il Cile del generale Augusto Pinochet, dove gli arresti “a cielo aperto” e gli stadi trasformati in campi di detenzione, gettarono fango sul governo di Pinochet. Una particolarità rispetto al Cile è che il golpe in Argentina avvenne di notte e tutto in silenzio, senza portare i carri armati nelle piazze, bombardare la sede presidenziale o internando gli oppositori negli stadi. La repressione e la “guerra sporca” portarono alla coniazione di una parola ad hoc per la situazione argentina: desaparecidos, gli scomparsi. Alla fine della dittatura si scoprì, grazie ad una commissione speciale, la “Commissione Nazionale sulla Scomparsa delle Persone”, istituita nel dicembre 1983 e supportata dal rapporto “Mai più” del settembre 1984, che oltre 30mila persone persero la vita durante la dittatura, istituendo il processo contro tutti i militari che si alternarono al potere alla Casa Rosada. Si contarono negli oltre 7890 incartamenti analizzati oltre 2300 omicidi politici e delle restanti 21mila persone non si ha la certezza della loro sorte.
Tutte le persone che anche solo apparvero come eversive furono sequestrate, incarcerate nei luoghi di detenzione (i Centri Clandestini di Detenzione), sottoposti a processi sommari e a torture come ustioni sul corpo, scariche elettriche dopo docce fredde, pestaggi, capovolgimenti a testa in giù e bendaggi per farli crollare psicologicamente, mentre le donne furono picchiate, stuprate mentre quelle in stato interessante furono fatte partorire e i figli “regalati” a famiglie compiacenti e vicine ai militari.
Ma la vera brutalità furono i famigerati “voli della morte”, vale a dire uccidere gli oppositori sedandoli e facendoli salire su aerei speciali e poi gettati in mare legati, morendo sul colpo o per le ferite riportate (si contarono oltre tremila morti di questo tipo). Chi non era gettato in mare, era ucciso e seppellito nella terra in maniera segreta o in fosse comuni o sotto lapidi anonime con inciso “N.N.”.
La segretezza è stato il modus operandi della “guerra sporca”: i registri della polizia non riportavano le informazioni sui rapimenti delle persone, anche se alcuni avvenivano di giorno, e nessuno (compiacente e colluso con il regime) sapeva, quando invece nei CCD avvenivano le torture, e i famigliari erano all’oscuro di tutto ciò.
Il più famoso Centro fu la sede della Scuola di Meccanica dell’Esercito (ESMA) capeggiata dall’ammiraglio Emilio Massera, a Buenos Aires, il più grande centro dove transitarono oltre 5mila persone.
Nata come scuola di formazione degli ufficiali della marina, già dall’insediamento della Junta divenne subito operativo come campo di internamento e cominciò ad ospitare i primi futuri desaparecidos. Tutta questa violenza è stata ripetuta in maniera sistematica e i diritti umani sono stati dissacrati in maniera organica. Dal marzo 2004 l’ESMA è diventato il “luogo della memoria”, in ricordo delle vittime e monito per la cultura dei diritti umani non solo in Argentina, ma anche nel resto del Mondo.

Nuove forme di resistenza: le Madri di Piazza di Maggio
Una Nazione consapevole è tenuta anche ad andare contro le scelte governative, in quanto da sempre la gente scende in piazza a manifestare il proprio dissenso.
Se in Spagna e Portogallo il passaggio alla democrazia fu indolore, in Argentina le cose non andarono nella stessa maniera. Già dall’aprile 1977 qualcosa iniziò a muoversi nella piazza del Ministero degli Interni quando un nutrito numero di donne si riunì tutti i giovedì sera marciando intorno alla piazza (la Plaza de Mayo) per chiedere spiegazioni al ministero sulla sorte dei propri figli e di cui nessuno sapeva nulla dal giorno della loro scomparsa. Queste erano le “madri di Plaza 5 de Mayo” che in silenzio marciavano con tra le mani la foto del figlio, o con cartelli con il nome dello stesso, indossando un fazzoletto bianco, che diverrà il loro simbolo.
La marcia fu silenziosa, ma faceva rumore. La Giunta decise fin da subito di reprimere questo movimento, intervenendo con la forza, arrestando le donne. Ovviamente alcune di loro fecero la stessa fine dei figli, scomparendo nel nulla. Le Madri più celebri per le loro battaglie furono Azucena Villaflor, Maria Antokoletz e le suore francesi Alice Domon e Léonie Duquet. Fonti del rapporto “Nunca mas” parlano di oltre 720 madri uccise. A queste donne se ne affiancarono poco dopo altre, le madri delle stesse Madri, le abueles, “le nonne di Piazza di Maggio”, che si affiancarono nella ricerca della verità sulla sorte dei loro cari.
La protesta durerà fino al 1982, poi scoppiò la guerra per il possesso delle isole Malvinas e a partire dal 1983, con il ritorno della democrazia, poterono avere qualche notizia in più sulla sorte dei loro figli. Notizie di morte, ma almeno riuscirono a sapere la sorte ad essi toccata, riuscendo a portare i Generali davanti ad un tribunale a partire dal 1985.


IL CAMPIONATO MONDIALE DI CALCIO

L'organizzazione controversa e i possibili boicottaggi. Squadre partecipanti, gironi e stadi
Per la prima volta in undici edizioni la Coppa della FIFA sbarcò in Argentina. Il Paese in due occasioni perse l'assegnazione dei Mondiali: nel 1962, quando gli fu preferito il Cile perché Buenos Aires non dava garanzie di stabilità a causa delle difficile condizione politica nazionale, e nel 1970, quando la FIFA assegnò l'organizzazione al Messico. Per un accordo, chi non avrebbe organizzato il Mondiale del 1970, avrebbe ospitato quello di otto anni dopo, in base alla rotazione Europa-Sudamerica allora vigente. Il Mondiale del 1978 era, perciò, argentino.
L'Argentina ottenne il diritto di organizzare la manifestazione nel 1964 quando al potere c'era, da un anno, Arturo Umberto Illia, il quale rimase in carica altri due anni prima di essere rovesciato da un'altra giunta militare. L'Argentina del 1964 non aveva nulla a che fare con quella che nel 1978 avrebbe ospitato la manifestazione sportiva più vista al Mondo dopo le Olimpiadi estive.
Tra addetti ai lavori e no, si disse che sarebbe stato più opportuno che un Paese con al potere una dittatura militare non avrebbe dovuto organizzare i Mondiali. Alcuni Paesi cercarono di boicottare la manifestazione (Francia, Paesi Bassi e Svezia su tutti), ma solo qualche intellettuale e qualche oppositore politico appoggiò la protesta, oltre ad Amnesty International (che l'anno prima le fu assegnato il Nobel per la pace per la sua campagna contro la tortura). L'Italia non boicottò la manifestazione, conscia del fatto che due anni prima in Cile, in un altro Paese sudamericano con a capo un dittatore sanguinario come Augusto Pinochet, aveva vinto la sua prima Coppa Davis di tennis contro i padroni di casa, quando le opposizioni politiche e le forze di estrema sinistra chiesero a Panatta e compagni di non giocare.
Per motivi politici, non parteciparono al Mondiale il capitano argentino Jorge Carrascosa ed il difensore tedesco occidentale Paul Breitner: il primo era un oppositore del regime, il secondo era vicino al pensiero maoista e non volle prendervi parte. Per tanti anni si pensò che anche Johan Cruijff non prese parte al Mondiale per motivi politici, ma si scoprì che l'asso olandese non partì per l'Argentina con la Nazionale oranje perché l'anno prima, a Barcellona, la sua famiglia era stata oggetto di un sequestro e volle stare vicino ai suoi cari.
L'Argentina allora era un Paese nel terrore: legge marziale, arresto degli oppositori, torture, censura della stampa. E violenze, tante violenze, e sparizione degli oppositori.
Si diceva che sarebbe stato un Mondiale finto: negli stadi la gioia, fuori gli orrori. Ma la Junta, come il nazismo, nel 1936 durante le Olimpiadi, non commise atrocità e riuscirono a nascondere i drammi che stavano vivendo gli oppositori, la maggior parte giovani.
Il 28 marzo 1978, quattro giorni dopo il golpe che destituì Isabelita Perón, il vice-Presidente della FIFA, il tedesco dell'Ovest Hermann Neuberger, prese visione di ciò che era successo nel Paese sudamericano e notò che tutto era a norma, non notando una commistione tra dittatura ed organizzazione del Mondiale. Proprio come avvenne nel 1936 con la Germania nazista e le Olimpiadi estive.
Allora (come oggi) le potenze calcistiche sudamericane erano Brasile, Uruguay e Argentina. Le tre Selezioni, rivali tra loro, prima che il Mondiale iniziasse potevano contare in bacheca insieme cinque Mondiali vinti, due finali perse, un terzo posto, due quarti posti e ventisei Copa America. L'Argentina aveva perso la finale del primo Mondiale, non ingranava più e oltre a fare male (e non qualificandosi) nelle altre edizioni, anche in Copa America aveva grosse difficoltà a fare risultato e viveva con il complesso dell'incompiuta.
La Giunta militare, poco interessata al discorso “calcio”, da buona dittatura fece il massimo affinché quel Mondiale venisse ricordato nel tempo: furono spesi oltre 500 milioni di dollari. Una somma enorme per una manifestazione di venticinque giorni, ma del resto i militari sapevano di non essere “puliti” e fecero il possibile per nascondere tutte le atrocità commesse sul popolo e sugli oppositori.
La FIFA, per mano dell'allora suo Presidente, il brasiliano João Havelange, rifiutò spostamenti (cosa che però avvenne con l'edizione del 1986, spostando la manifestazione dalla Colombia, accusata di ritardi e di troppe inadempienze, al Messico). L'Argentina, a tempo di record, sistemò gli stadi non in regola, ne costruì altri, rimandando al mittente le critiche di incapacità di organizzare un evento di portata mondiale come i Campionati di calcio.
Il logo della kermesse erano due braccia stilizzate che tenevano in alto un pallone. La Giunta affermò che le braccia erano tratte da un immagine di Juan Domingo Perón, colui che volle prima di loro il Mondiale, anche se anche lui non fosse un patito del fútbol: quelle braccia per la Junta erano quelle del popolo argentino protese in alto per spingere la Nazionale a vincere il Mondiale ed entrare nell'élite del calcio mondiale.
L'organizzazione del Mondiale fu affidata a Carlos Alberto Lacoste. Lacoste, contrammiraglio della Marina durante la presidenza Videla, ebbe il controllo sull'ente organizzativo del Mondiale, l'EAM78 (Ente Autárquico Mundial78, istituito nel luglio 1976, dopo la morte di Omar Actis, morto in cause sospette). Con un decreto ad hoc, l'EAM78 fu “staccato” dalla macchina pubblica argentina in nome di una “ragione di necessità e urgenza” perché i Mondiali di calcio erano considerati un evento di interesse nazionale. E la separazione fu una mossa astuta: in quel modo, Lacoste poté spendere e spandere senza dover rendere conto a nessuno. I buoni uffici di Lacoste alla FIFA gli permisero, due anni dopo la fine del Mondiale, di farsi eleggere vice-Presidente della Federcalcio mondiale dopo essere diventato vice-Presidente della Federcalcio sudamericana, la Conmebol.
Qualcuno nella Junta non era d'accordo con i possibili benefici che il Mondiale avrebbe potuto dare al Paese, ritenendo gli stadi nuovi e ristrutturati non più utilizzati diventando delle cattedrali nel deserto perché non sarebbero stati utilizzati, ci sarebbe stato un aumento del deficit e sarebbero salite l'inflazione e le spese organizzative.
Il campionato del Mondo si disputò dal 1° al 25 giugno 1978. Alle fase di qualificazione parteciparono ben 106 Nazionali. Di queste, sbarcarono in Argentina, oltre ai padroni di casa e alla Germania ovest detentrice del titolo, nove selezioni provenienti dall'Europa (Italia, Austria, Polonia, Scozia, Francia, Spagna, Svezia, Ungheria e Paesi Bassi), due dal Sudamerica (Brasile e Perù), una dal Centroamerica (Messico), una dall'Africa (Tunisia) ed una dall'Asia, l'Iran. Queste ultime due furono le uniche debuttanti della kermesse.
Le sedici squadre furono divise in 4 gruppi da quattro squadre: Girone 1 (Argentina, Francia, Ungheria, Italia), Girone 2 (Germania Ovest, Polonia, Messico, Tunisia), Girone 3 (Brasile, Spagna, Svezia, Austria), Girone 4 (Paesi Bassi, Scozia, Perù, Iran).
Le città che ospitarono la Coppa furono Buenos Aires, Cordoba, Mar de la Plata, Rosario e Mendoza. Gli impianti dove si giocarono le partite furono il “Monumental” ed il “Fortin” di Baires; il “Chateau Carreras” di Cordoba, l'”Estadio José María Minella” di Mar de la Plata, il “Lisandro de la Torre” (o “Gigante de Arroyito”) di Rosario e lo stadio “Città di Mendoza” dell'omonima cittadina al confine con il Cile.
Il dado era tratto: il 1° giugno 1978 ci fu la cerimonia di apertura e si iniziò a giocare sul serio.

Germania-Polonia aprì il Mondiale. Italia grande sorpresa
Il match inaugurale fu tra Germania ovest e Polonia al “Monumental”: il match si chiuse sul punteggio di 0-0. L'Italia debuttò il giorno dopo a Mar de la Plata contro la Francia di Michel Platini: 2-1 il risultato finale con le reti di Bettega e Paolo Rossi che ribaltarono il vantaggio di Lacombe. Fu la partita con più spettatori del torneo e gli azzurri offrirono una prova da grande squadra. L'Italia vinse il girone con tre vittorie in altrettante partite: oltre ai “galletti”, caddero l'Ungheria (3-1) e a sorpresa l'Argentina padrona di casa (1-0).
Il girone 2 fu vinto dalla Polonia davanti ad una poco efficace Germania Ovest. Il Brasile, favorito della vigilia, superò a fatica il girone 3: doppio pareggio con Svezia e Spagna e vittoria risicata contro l'Austria. Passarono i verde-oro come secondi dietro l'Austria e davanti alla Spagna per un solo punto. Il girone 4 fu vinto, a sorpresa, dal Perù davanti ai Paesi Bassi.
Si qualificarono alla seconda fase a gironi (non erano previsti allora scontri ad eliminazione diretta): Italia ed Argentina; Polonia e Germania; Austria e Brasile; Perù e Paesi Bassi.
I tifosi argentini erano consci che la loro squadra non era uno squadrone, ma volevano che la Nazionale andasse il più avanti possibile, magari arrivando alla finale del 25 giugno al “Monumental”.
La seconda fase a gironi vide le otto squadre divise in altri due gironi da quattro squadre: le vincenti dei due gironi avrebbero disputato la finale, le seconde la “finalina” per il terzo posto.
Il Gruppo A si compose di Paesi Bassi, Italia, Germania Ovest ed Austria, il girone B da Argentina, Perù, Polonia e Brasile. Il girone A giocò tra Buenos Aires e Cordoba, il girone B tra Rosario e Mendoza.
L'Argentina vinse il girone davanti al Brasile, mentre nell'altro i Paesi Bassi ebbero la meglio sull'Italia: la finale per il terzo posto sarebbe stata Brasile-Italia, la finale Argentina-Paesi Bassi.
L'Argentina dopo quarantotto anni riuscì ad arrivare in finale, mentre i Paesi Bassi raggiunsero la seconda finale consecutiva della loro storia con la volontà questa volta di vincere finalmente la Coppa del Mondo.
L'Argentina arrivò in finale battendo Polonia e Perù e pareggiando con il Brasile, mentre il Brasile vinse contro Perù e Polonia e pareggiò contro l'Albiceleste. Solo la differenza reti in favore dei padroni di casa mandò Kempes e compagni a giocarsi la finale al “Monumental”. Ma in quel girone si disputò una partita che merita una menzione particolare: Argentina-Perù.

La “marmellata peruviana”
Cosa caratterizza una manifestazione con l'”aiutino” verso i padroni di casa rispetto ad una che non ce l'ha? Il Mondiale argentino del 1978 ne è stato la prova: giocare sapendo il risultato del tuo avversario diretto è un grande vantaggio. L'Argentina di Menotti nella seconda fase a gironi era stata inserita con Brasile, Polonia ed i campioni sudamericani in carica del Perù di Cubillas e Chumpitaz. Il passaggio alla finale si sarebbe deciso all'ultimo turno.
Visti i risultati, all'Argentina serviva un vero miracolo: la Seleçao aveva segnato sei reti subendone una (+5 differenza reti), rispetto all'Albiceleste ferma a +2. I verde-oro erano avanti nella differenza reti e a Kempes e soci per andare a giocarsi la finale serviva vincere contro la Nazionale blanquirroja con almeno 4 gol di scarto. Un'impresa difficile se non impossibile per una Seleccion che fino a quel momento aveva segnato sette reti in cinque partite.
Come si fanno a fare questi calcoli se si sta giocando nello stesso momento e reciprocamente non si sa il risultato dell'una e dell'altra (teniamo presente che siamo nel 1978 e non c'era la tecnologia di oggi)? Semplice: una tra Brasile e Argentina avrebbe giocato dopo. E chi delle due se non i padroni di casa?
Brasile-Polonia fu giocata a Mendoza alle ore 16:45, Argentina-Perù al “Gigante de Arroyito” di Rosario alle ore 19:15, tre quarti d'ora dopo la fine del match della Seleçao. E come finì Argentina-Perù? 6-0 per l'Albiceleste che andò a giocarsi il Mondiale il 25 giugno a scapito del Brasile.
Questa partita è stato molto contestata e criticata per diverse ragioni e su di essa ha sorvolato il sospetto che fosse stata oggetto di combine. Inoltre, la notte prima della partita, l'hotel dove alloggiavano i peruviani fu circondato da tifosi argentini che fecero baccano fino a notte fonda, disturbando ed innervosendo la squadra del Ct Marcos Calderón. Il giorno dopo il pullman della squadra fece un giro lunghissimo per raggiungere lo stadio di Rosario, passando tra una folla inferocita di tifosi argentini che urlarono ed insultarono i giocatori avversari ed invece di quindici minuti impiegò due ore per arrivare allo stadio. Due ore di insulti, parolacce e pugni contro il mezzo, si aggiunga. Come se non bastasse, appena arrivato a destinazione, il pullman sbagliò settore passando nei pressi di altre centinaia di tifosi argentini.
Il campo di Rosario era pura bolgia sudamericana. L'Argentina giocò nel complesso bene e vinse meritatamente. Mattatore del match fu Mario Kempes, autore di due reti. Andarono a segno anche il compagno di reparto Luque (doppietta), Tarantini e Houseman. Un 6-0 si commenta da solo: troppo grande il divario tra le due Selezioni? Era davvero così scarso questo Perù che tre anni prima vinse la Copa America?
Però c'è un però. Un però molto controverso e ancora oggi mai chiarito. Questo però ha un nome ed un cognome: Ramón Quiroga, portiere del Perù. Se si incassano sei reti la colpa è sempre del portiere. E se il portiere in questione fosse stato compiacente? Quiroga era nato in Argentina, a Rosario, e l'anno prima dell'inizio dei Mondiali era diventato cittadino peruviano e, di conseguenza, portiere della Nazionale. Gli errori dell'arquero peruviano furono madornali, non da uno che doveva difendere i colori della squadra (sulla carta) più forte del Sudamerica. Sembrava fosse da un'altra parte, quasi distratto.
Per questo motivo si pensò, senza mai provarlo però, che Quiroga fece apposta a subire più reti del “previsto” per favorire la Nazionale del Paese in cui era nato. Quel match venne ribattezzato “la marmellata peruviana”.
Il Ct Calderón era scettico se far giocare Quiroga o il titolare Sartor, peruviano puro sangue. Una cosa era certa: il Perù, anche in caso di vittoria sarebbe stato eliminato, quindi non aveva nulla da perdere.
Prima che iniziasse il match, Jorge Rafael Videla andò nello spogliatoio avversario ad incontrare la squadra ma non si seppe mai cosa disse ai ragazzi di Calderón. Si accertò poi che il governo argentino fornì oltre 35 tonnellate di grano al governo peruviano e aprendo una linea di credito di oltre 50 milioni di dollari.
A quella partita, sugli spalti, presero parte Videla ed Henry Kissinger, ex Segretario di Stato americano sotto le presidenze Nixon e Ford, vicino al generale Pinochet durante il golpe delll'11 settembre 1973 e “poco distante” da tutti i regimi dittatoriali che si insediarono in Sudamerica tra gli anni Sessanta e Settanta.

La finale del trionfo: Argentina vs Paesi Bassi, 25 giugno 1978, stadio “Monumental” di Buenos Aires
Il 24 giugno, Brasile e Italia si contesero il gradino più basso del podio al “Monumental”: vinse la Nazionale del Ct Cláudio Coutinho per 2-1. L'Italia, che dopo il secondo posto di Messico 1970, aveva avuto un ricambio generazionale ed un nuovo Ct, venne considerata la squadra migliore del torneo e Bearzot pose le basi per la Nazionale che vinse quattro anni dopo il Mondiale spagnolo.
Ma gli occhi erano tutti puntati sul “Monumental” di Buenos Aires il giorno dopo quando si affrontarono nella finalissima i padroni di casa e i vice-Campioni uscenti dei Paesi Bassi. Per l'Argentina una finale mondiale dopo la prima edizione del 1930, per gli Oranje l'occasione per vincere, al secondo tentativo consecutivo, la coppa più importante per ogni calciatore, dopo la sconfitta di quattro anni prima in Germania ed il terzo posto all'Europeo di due anni prima.
Rispetto alla finale di Monaco di Baviera, agli olandesi mancò il loro giocatore più forte, Johan Cruijff.
Il CT Ernst Happel mise in campo una squadra sulla carta nettamente più forte dell'”undici” di Menotti: da Johan Neeskens a Rob Rensenbrink, da Ruud Krol ai gemelli René e Willy van de Kerkhof, dal sempiterno Johnny Rep ad Arie Haan. Ma nel calcio non conta “la carta”, conta il risultato sul campo. L'Argentina poté contare su gente del calibro del forte portiere Fillol, di capitan Passarella, di Bertoni e Ardiles a centrocampo e davanti il fantastico duo Kempes-Luque, otto gol in due fino a quel momento.
Arbitro dell'incontro fu l'italiano Sergio Gonella, fischietto di Asti fra i più quotati referee del Mondo, tanto da aver arbitrato due anni prima la finale dell'Europeo jugoslavo fra la Cecoslovacchia e la Germania occidentale. Ad assistere alla finale, la Junta, tutti i militari al gran completo ed 80mila persone, quasi tutte argentine.
Capitan Krol e soci “capirono” l'ambiente in cui avrebbero giocato quando, per innervosirli, l'Argentina scese in campo per il riscaldamento molto dopo di loro, lasciando i giocatori oranje “in pasto” al pubblico. Tra urla, cori, coriandoli e festoni vari, il fattore campo in quella partita avrebbe pesato in maniera decisiva: gli avversari, nonostante avessero giocato nei campi più importanti d'Europa, non erano abituati a giocare in climi “calcistici” di quel tipo.
Anche la finale fu molto contestata poiché l'arbitraggio di Gonella fu considerato molto “casalingo”, fischiando la maggior parte dei casi in favore dell'Argentina anche quando i falli non c'erano, svantaggiando i Paesi Bassi.
Passò in vantaggio l'Argentina con Kempes al minuto 38, ma gli olandesi pareggiarono nella ripresa con Nanninga di testa a otto minuti dalla fine. Un gol pesante che in un istante tacitò il “Monumental”: quando sembrava fatta, ecco arrivare la doccia gelata.
Ciò che successe al minuto 90 ebbe dell'incredibile: tiro di Neeskens da posizione ravvicinata di lato e palla che colpì il palo. Se fosse entrata la palla, la Coppa sarebbe andata ai Paesi Bassi, ma “dea Eupalla” decise che quella partita sarebbe dovuta andare ai supplementari. Come le finali di Italia '34 ed Inghilterra '66, anche Argentina '78 si sarebbe decisa ai tempi supplementari.
Ed i trenta minuti extra furono tutti di marca argentina: 2-1 di Kempes al minuto 105, 3-1 di Bertoni al 116'. Argentina in paradiso, Paesi Bassi ancora all'inferno come quattro anni prima. Per la quinta volta nella storia, la Nazionale ospitante aveva vinto il titolo mondiale.
Mario Kempes vinse la classifica marcatori con sei reti e Videla in persona premiò capitan Passarella con la Coppa del Mondo. L'allora giocatore del River Plate alzò la coppa al cielo e poté iniziare la festa per le strade di Baires e nel Paese. Per Carlos Alberto Lacoste, deus ex machina dell'organizzazione e tifoso del River Plate, un sogno: la Nazione che guidava era diventata campione del Mondo nello stadio della sua squadra del cuore.
Per le strade di Baires, come detto, scoppiò la gioia. Per assistere alla finale, anche alla ESMA, il campo di concentramento con all'interno decime di migliaia di prigionieri politici a meno di un chilometro dal “Monumental”, i militari ed i torturatori si presero “una pausa”, permettendo ai prigionieri di sentire per radio l'evolversi del match.
Nonostante la vittoria ed il Mondiale vinto, all'interno della Alta Scuola Meccanica dell'Esercito le violenze e le torture continuarono senza interruzione.

Gli eroi positivi di Argentina '78: César Luis Menotti, Mario Kempes, Jorge Carrascosa
Il Mondiale della vergogna, del sangue e delle torture verso gli oppositori del regime ha avuto tre eroi argentini positivi che possono far ricordare nel tempo il Mondiale.
Nessuno di questi era un membro della Junta militar, ma erano tre uomini di calcio: César Luis Menotti, Mario Kempes e Jorge Carrascosa.
César Luis Menotti era l'allora il Commissario tecnico della Nazionale argentina di calcio. Nativo di Rosario, aveva quarant'anni quando guidò l'Albiceleste alla vittoria del titolo. Soprannominato “el flaco” (il magro) per la sua fisionomia, ebbe una discreta carriera come attaccante con le maglie argentine di Rosario Central, Racing Club Avellaneda e Boca Juniors, vincendo una Primera division con il club xeneize. Indossò poi per una stagione la maglia dei New York Generals per poi chiudere, tra il 1970 ed il 1972, in Brasile, con il Santos (dove vinse un “Paulista” con Pelé) e con la Juventus di San Paolo. Giocò anche sette partite in Nazionale, segnando una rete e dal 1972 si dedicò all'attività di allenatore. Dopo una stagione alla guida del Club Atlético Huracán (vincendo un campionato metropolitano), nel 1974 fu scelto come allenatore della Nazionale argentina da parte dell'AFA, la Federcalcio argentina.
Menotti ebbe un ruolo difficile: ricostruire la Nazionale dopo il fallimentare Mondiale tedesco ed in declino rispetto al passato, tanto che a Messico '70 non si qualificò nemmeno. L'obiettivo era un imperativo categorico: vincere il Mondiale casalingo del 1978. La Nazionale non aveva grandissimi giocatori e l'obiettivo era difficile, ma Menotti avrebbe fatto il possibile per vincere quella tanto agognata Coppa.
Dal 24 marzo 1976 in Argentina si insediò la giunta militare, nazionalista, filofascista e impegnata in una lotta di repressione contro le opposizioni. Era risaputo che Menotti era vicino al Partito Comunista Argentino e questo i militari lo sapevano benissimo: erano interessati solo ed esclusivamente alla vittoria della Coppa del Mondo, non interessandosi minimamente a ciò che pensava (e votava) politicamente Menotti, perché era il miglior entrenador su cui puntare. Menotti non andò mai in contrasto con la Junta e non si dimise quando prese il potere, ma prese sul serio l'idea di vincere il Mondiale.
Anche i giocatori sapevano della fede politica di Menotti, ma non lo diedero mai a pesare anche se alcuni di loro erano filo-governativi (forse per opportunismo). Nonostante qualche difficoltà come risultati nei quattro anni pre-Mondiale, Menotti fu confermato alla guida della Seleccion per il Mondiale casalingo. Una cosa doveva fare Menotti però: vincere e giocare alla sudamericana, in stile autarchico, e non come giocavano in Europa.
Perché è stato un eroe positivo, Menotti? Perché durante la dittatura non si piegò e andò avanti per la sua strada. Si disse che durante il Mondiale diede ospitalità segreta a degli oppositori e parlò di politica attiva con dei membri del PCA. Inoltre, prima della finale mondiale, negli spogliatoi disse ai suoi ragazzi che la partita doveva essere vinta per il popolo e non per i dittatori, doveva essere vinta per il calcio e per la libertà e non per i generali e la dittatura.
Menotti rimase Ct fino al termine del Mondiale spagnolo del 1982 e nel 1979 guidò la Under20 nazionale alla vittoria del Mondiale di categoria trascinato da un giovane Maradona con il quale ebbe dei dissidi prima dell'inizio del Mondiale '78, poiché Menotti non lo convocò perché troppo giovane (aveva allora 17 anni) e non voleva “bruciarlo”.
Per un Maradona non convocato per la giovane età, ecco il secondo eroe: Mario Kempes convocato nonostante giocasse in Europa.
La Junta, in accordo con Menotti, aveva stabilito che i giocatori militanti all'estero durante la fase pre-Mondiale non sarebbero stati presi in considerazione perché dovevano aiutare le squadre argentine a vincere titoli nazionali, Cope Libetadores e Coppe Intercontinentali. Kempes giocava in Spagna, nel Valencia.
Falso nueve con un buon fiuto del gol, Kempes si presentò al via del Mondiale con i due titoli di capocannoniere argentino vinto nel 1974 e nel 1976 con il Rosario Central e con i due titoli consecutivi di vincitore della classifica marcatori in Spagna con quarantasei gol in due stagioni con la maglia del bate, oltre alle 24 presenze e le quattordici reti fino a quel momento raccolte in l'Albiceleste.
L'attaccante capellone di Bell Ville segnò sei reti nel Mondiale, vincendo la classifica marcatori e contribuendo alla vittoria finale dell'Argentina con due gol in finale. Fu il suo Mondiale e fu il volto vincente dell'Argentina. L'uomo-immagine di quell'Argentina, il primo argentino a vincere la classifica marcatori di un Mondiale dai tempi di Guillermo Stabile nel 1930 in Uruguay.
Perché è stato un eroe positivo, Mario Kempes? Per due motivi: non strinse la mano a Jorge Videla e ai militari accanto ad Havelange al momento della premiazione ed il giorno dopo si rifiutò di partecipare alla conferenza stampa anche se fu obbligato dai compagni a farlo, sennò i giocatori avrebbe avuto “problemi” con il governo.
L'ultimo eroe positivo del Mondiale argentino...non prese parte al Mondiale argentino. Stiamo parlando di Jorge Carrascosa, classe 1948, terzino destro allora in forza all'Huracan, grintoso e pronto a non mettere mai indietro la gamba. Se si guardano le convocazioni fatte da Menotti per il Mondiale, non vi è traccia di Carrascosa detto “el lobo”, il lupo. Ovviamente Carrascosa era in vita (e lo è tuttora), ma non prese parte al Mondiale. Motivo? Non volle parteciparvi di sua spontanea volontà. Anzi, si ritirò lui dalla Nazionale l'anno prima che iniziasse il Mondiale, all'inizio senza motivare la sua decisione. Qualche giornalista intuì il motivo ma, forse per paura di ripercussioni, non approfondì i motivi che spinsero il capitano argentino a prendere questa decisione. Al suo posto divenne capitano Daniel Passarella, volante central del River Plate (che negli anni Ottanta vestirà i colori di Fiorentina e Inter), il quale ricevette la Coppa direttamente dalle mani di Videla. E questo si seppe dopo: il problema, per Carrascosa, erano proprio Videla e la Giunta.
Il terzino era a conoscenza dei crimini che aveva compiuto la Junta, ci era rimasto male, era triste e non sereno per vestire la maglia Albiceleste. Ebbe una sensibilità incredibile ed uno spirito di sacrificio encomiabile: sacrificare la propria carriera e possibili futuri ingaggi miliardari per una scelta politica e di rispetto verso tutte le persone che erano state torturate, uccise o desaparecide durante la dittatura.

Una guerra e finisce tutto: la guerra per le isole Falklands/Malvine
Nel 1939 l’Asse provocò la Seconda guerra mondiale e la perse. Nel 1982 l’Argentina provocò una guerra e la perse. Come per le forze dell’Asse la guerra significò la fine della dittatura in Italia e Germania, lo stesso avvenne a Buenos Aires portando al ritorno della democrazia.
Nel caso di Germania ed Italia i nemici cui muovere guerra furono “le democrazie plutocratiche e reazionarie d’Occidente”, nel caso dell’Argentina i nemici furono gli inglesi per il possesso delle isole Falklands/Malvines, dal 1833 nelle mani di Sua Maestà, ma spagnole per tradizioni e cultura.
La guerra fu solo la punta dell’iceberg, la dittatura era già indirizzata sul viale del tramonto a causa della pressione dell’opposizione interna per gli abusi sui diritti umani ed il Paese era colpito, da qualche anno, da una crisi economica-sociale a pieno regime e non poteva più reggere l’isolamento internazionale.
La crisi dei Militari iniziò già nel marzo 1981, quando Videla fu destituito da una “golpe interno” alla Giunta e sostituito da Roberto Viola, ma i diritti umani vennero violati anche con il nuovo direttorio Viola-Lambruschini-Graffigna, il quale non cambiò l’approccio alla lotta contro l’opposizione, anzi aumentò il numero di persone “scomode” uccise e fatte sparire. Questa seconda Junta durò solo nove mesi, fu destituita da un’altra triade, la Galtieri-Dozo-Anaya, che portò il Paese a perdere il possesso (presunto) sulle Malvinas, intervallata dall’interim di Carlos Lacoste.
Nel marzo 1982 i militari sapevano di essere alla fine del loro governo e, da buona dittatura, decisero di attuare un colpo di teatro per rialzare l’orgoglio di un Paese ferito. L’occasione fu l’occupazione delle isole Falklands, una serie di isolotti posti a poche centinaia di chilometri dalle coste argentine.
Il 19 marzo uno sparuto numero di militari argentini invase la Georgia del Sud, mentre il 2 aprile il generale Leopoldo Galtieri fece invadere le Falklands all’interno dell’”operazione Rosario” e in poco tempo l’isola fu “argentinizzata”, a partire dal nome della capitale (da Port Stanley a Puerto Argentino). L’invasione venne bocciata anche dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L’esercito argentino era dotato di una forza militare importante ma obsoleta, mentre Londra non pensava di affrontare una guerra così distante dall’Europa, ma era troppo forte la voglia di riprendersi queste piccole isole.
Nata come guerra lampo e in pratica vinta, questa fu un boomerang per i Militari, poiché l’Inghilterra non volle perdere il primato sulle isole e mandò nell’Atlantico del Sud una importante task force (100 navi e 20mila uomini) e vinse la guerra a mani basse, ritornando una potenza coloniale, mentre l’Argentina commise un forte errore di sottovalutazione dello sfidante credendo che gli Stati Uniti sarebbero stati neutrali mentre invece appoggiarono il governo Thatcher, ipotizzando di far governare l’isola da un direttorio anglo-argentino.
Per l’Argentina si profilò la fine perché il dissenso interno aumentò e la Giunta di Galtieri il 18 giugno si dimise, Alfredo Saint-Jean assunse l’interim fino alla nomina dell’ultimo dittatore, Reynaldo Bignone, il quale capì che l’epoca dei Militari era terminata e non gli rimase che indire le prime elezioni democratiche il 30 ottobre 1983. Con Galtieri oltre ai 700 militari argentini morti nella guerra delle Falklands, sparirono oltre novemila oppositori.
Bignone, responsabile del “Campito”, un altro campo di detenzione clandestino, decise in compenso di distruggere tutte le documentazioni sui desaparecidos. Il 6 dicembre 1983 la Giunta si dimise ed il 10 successivo Raul Ricardo Alfonsin, vincitore delle elezioni con oltre il 52% dei consensi, si insediò alla Casa Rosada.

1983, il ritorno alla democrazia e parte la caccia ai membri della Junta
Ad una dittatura segue un’elezione democratica, cui segue la stesura di una Costituzione, cui seguono una serie di processi contro coloro che hanno governato durante la dittatura.
Il 6 dicembre 1983, come detto, i Militari si fecero da parte e si tennero le elezioni che videro la vittoria del radicale Raul Ricardo Alfonsin, che governerà il Paese fino al 1989. Appena eletto Alfonsin si mosse subito alla ricerca della verità sui desaparecidos, attuando e promuovendo la “Comision Nacional sobre la Desaparecion de Personas” (CONADEP), facendo rialzare la testa al Paese dopo sette anni oscuri, portando in tribunale i membri della Giunta e controllando i membri dell’esercito per evitare altri colpi di coda.
Si contarono oltre 2mila processi che portarono all’ergastolo gli stessi Videla, Massera, Viola e Bignone per crimini contro l’umanità.
Nel 1990 vennero indultati dal nuovo Presidente, Carlos Menem, ma nel 2010 grazie al Presidente Nestor Kirchner fu tolto questo beneficio e i militari ancora in vita tornarono in carcere.
In particolare Videla confessò di aver causato la morte di quasi 10mila persone, non pentendosi mai e si scoprì che era un sostenitore della loggia massonica segreta “P2”, capeggiata da Licio Gelli e di cui furono invece appartenenti Massera e Lopez Rega.
Il 1983 è da considerarsi davvero come l’”anno 0” della storia dell’Argentina contemporanea.

A 40 anni di distanza sangue, violenze, torture non possono essere nascoste da un successo calcistico
Il Mondiale dell'orrore terminò il 25 giugno al minuto 120 con il triplice fischio di Gonella, mentre il regime autoritario della Junta cadde solo cinque anni dopo. In quei cinque anni, la dittatura ebbe diversi “Presidenti”: Roberto Eduardo Viola, Carlos Alberto Lacoste, Leopoldo Galtieri, Alfred Oscar Saint Jean e Reynaldo Bignone, il quale chiuse il periodo dittatoriale che perse malamente (e sciaguratamente) la guerra contro l'Inghilterra per le Falklands/Malvinas e durata poco meno di due mesi. Terminò in maniera farsesca una delle più tristi pagine del Sudamerica: l'esercito inglese era nettamente più forte e la Junta lo sapeva, ma invase l'isola ugualmente. Partirono verso l'Argentina centinaia di navi e sottomarini militari britannici che in poche settimane misero sotto scacco le forze armate argentine.
I Mondiali di calcio del 1978 nascosero al Mondo (effettivamente) ciò che si diceva sull'Argentina e si scoprì tempo dopo che nei campi di prigionia gli oppositori venivano torturati ed uccisi. E se non morivano nei campi, morivano gettati da aerei in volo sul Mar de la Plata o in aperto Oceano Atlantico. Non si seppe di preciso quante persone sparirono durante gli anni del regime militare: chi dice 30mila, chi di più. Effettivamente il Mondiale fu un attimo “di relax” per i carcerati, salvo poi vedere riprendere le angherie dal giorno dopo la finale e fino alla caduta dell'ultima giunta che si alternò alla Casa Rosada, sede della Presidenza dello Stato.
Lo sport ed in particolare eventi di un certo spessore (Mondiali e Olimpiadi) hanno dimostrato di essere un buon viatico per far comprendere al Mondo che il Paese che stava ospitando l'evento era un Paese prospero, in linea con i principi di democrazia e dove tutto andava bene. La mente vola alle Olimpiadi di Berlino del 1936, dove durante i sedici giorni di gare il regime nazista arrestò la propaganda contro la popolazione di origine ebraica e gli oppositori. Lo stesso in Italia due anni prima con i Mondiali di calcio: si sapeva che Roma era sotto una dittatura autoritaria, ma il Campionato di calcio andò bene e per le due settimane di durata dell'evento ci si dimenticò che laggiù venivano perseguitati gli oppositori e che la democrazia era un ricordo da tempo, che l'Italia era una dittatura che perseguitava gli oppositori, che mandava al confine chi era contrario al regime e vi era una forte censura della stampa.
Lo stesso avvenne in Argentina, in un contesto lontano anni luce dall'Europa e dal Mondo, in quanto in Sudamerica, a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, ogni Stato aveva avuto almeno un regime autoritario con l'avallo degli Stati uniti che non volevano che nel loro “giardino sotto casa” potesse esserci un effetto domino filocomunista come accadde in Asia (leggasi Cuba nel 1959, Cile nel 1971).
I Mondiali argentini del 1978 sono molto vicini a noi, poiché disputati quarant'anni fa e grazie ai giornali, ai reportage, alle interviste e a libri scritti da chi visse l'inferno sotto la gestione autoritaria di Videla e soci, siamo a conoscenza del dramma che vissero le famiglie argentine, soprattutto quelle con figli giovani, in particolare grazie alle manifestazione delle mamme e delle nonne di Plaza de Mayo.
L'Argentina ha fatto i conti con il suo passato, tanto che già il primo presidente democraticamente eletto, Raul Alfonsin, si mosse in prima persona per punire i suoi predecessori, facendo venire a galla la verità sul destino dei desaparecidos. Tutti furono arrestati, ma il Presidente Carlos Menem li amnistiò poco dopo essere stato eletto (nel 1990), salvo poi che gli stessi ancora in vita furono nuovamente arrestati e condannati all'ergastolo per crimini contro l'umanità per le torture fatte impartire ai detenuti e per la sorte dei desaparecidos.
Uno studio compiuto dopo la caduta della Junta stabilì che sulla coscienza dei militari argentini pesavano oltre 30.000 desaparecidos, quindicimila persone fucilate, diecimila persone torturate e oltre due milioni di argentini lasciarono il Paese per sempre.
Nel dicembre 2018 i vari Videla, Viola, Lacoste, Galtieri e Bignone sono morti e sepolti dalla storia e dai loro crimini, ma ci si ricorda ancora di loro, però al grido “Nunca mas”.
Sono ancora sulla bocca di tutti invece i Campionati del Mondo e non solo perché furono disputati in un Paese che amava (e ama ancora) il calcio, ma che non doveva avere l'onore di organizzarli: non si poteva organizzare e disputare una manifestazione di quel tipo quando (nel vero senso della parola) nel giro di un chilometro c'era gente imprigionata, torturata e fatta sparire per sempre. Tra i desaparecidos c'erano anche promesse dello sport argentino, ma la pietà da quelle parti non esisteva e quindi chi era contrario al “Proceso” doveva pagare con violenze e morte.
Si accusò anche la carta stampata italiana di tipo generalista e sportiva di non dare notizie precise sulla situazione che si viveva in Argentina, puntando solo a dare notizie di sport puro. Molti rimasero stupiti dalle poche e scarne notizie, ma i due quotidiani più venduti in Italia (Corriere della Sera e La Gazzetta dello Sport) facevano parte del gruppo Rizzoli, vicino alla loggia P2 e alla stessa erano iscritti alcuni esponenti della Junta e persone vicine a Videla.
I giornalisti che andarono in Argentina a commentare il Mondiale vennero trattati con i guanti e furono tenuti abilmente lontani dalle zone dove venivano praticate barbarie contro i diritti umani, non informandoli della sorte dei desaparecidos e dei problemi finanziari che il Paese stava “covando”.
Molti giocatori che parteciparono al Mondiale ammisero che durante il loro soggiorno non videro nulla che potesse far pensare che in Argentina ci fosse un regime sanguinario, visto che era tutto in ordine, tutto era colorato di albiceleste, tutti erano felici di ospitare per la prima volta un Mondiale e tutti volevano (come tutti i tifosi) che la loro Nazionale potesse vincere il suo primo Mondiale della storia.
Perché il solo Carrascosa ha fatto “outing”, ammettendo di non volere essere compiacente con un regime sanguinario e violento (ed il peggio doveva ancora venire), ritirandosi dalla Nazionale di cui era capitano (non un convocabile qualsiasi, ma il capitano) rinunciando agli onori di una carriera importante? Compiacenza o paura di esporsi?
Le partite e l'euforia della manifestazione fecero dimenticare (forse) per venticinque giorni che laggiù, “alla fine del Mondo” (come disse Jorge Bergoglio non appena eletto Papa) si stavano facendo cose che sembravano lontane di decenni, a quando i nazisti mettevano gli ebrei, gli oppositori politici, i rom, gli omosessuali e i testimoni di Geova nei campi di sterminio per ucciderli e mettendoli poi nelle fosse comuni o nei forni crematori.
Ma la voglia di libertà e di raccontare il dramma che stavano vivendo gli argentini arrivò negli stadi con la storia dei pali listati a lutto, dove la base di questi era stata dipinta di nero. Questa idea si ebbe grazie ad Ezequiel Valentini, uno dei responsabili dei campi della kermesse per ricordare tutti coloro che erano stati uccisi e scomparsi da quando la dittatura aveva preso il potere. Fu un modo di protesta sui generis, molto efficace. Fortunatamente la Junta, nonostante volle organizzare i Mondiali, non seguiva il calcio e non sapeva che i pali erano completamente bianchi annuendo al fatto che gli fu detto che era una tradizione sportiva.
Ci fu anche un po' di Italia nella finale di Buenos Aires del 25 giugno 1978. Non giocò, ovviamente, la Nazionale azzurra ma accanto alla Junta militar al gran completo ci fu uno dei personaggi più controversi della storia recente dell'Italia, un uomo che si scoprì fare affari con i dittatori del Mondo ed essere a capo di una loggia massonica segreta eversiva che aveva in mente di destabilizzare il Paese e la cui lista di iscritti provocò, nel marzo 1981, un terremoto politico perché quella lista conteneva nomi illustri, e pesanti, di esponenti militari, politici ed industriali.
Quell'uomo era Licio Gelli, ma questa è un'altra storia.


Bibliografia essenziale
M. Carlotto, Le irregolari. Buenos Aires Horror Tour, edizioni E/O, Roma, 1998
A. Cordolcini, Pallone desaparecido - L'Argentina dei generali e il Mondiale del 1978, Torino, Bradipolibri, 2011
E. Galeano, Spendori e miserie del gioco del calcio, Sperling & Kupfer, Milano, 2005
P. Llonto, I mondiali della vergogna. I campionati di Argentina '78 e la dittatura, Edizioni Alegre, Roma, 2010
G. Minà, Un continente desaparecido, Sperling & Kupfer, Milano, 1995
I. Moretti, I figli di Plaza de Mayo, Sperling&Kupfer, Milano, 2007
M. Novaro, La dittatura argentina (1976-1983), Carocci, Roma, 2005
O. Soriano. Futbol. Storie di calcio, a cura di P. Collo, Einandi, Torino, 2014
J. Timerman, Prigioniero senza nome, cella senza numero, Mondadori, Milano, 1982
V. Verbinsky, Il volo. Rivelazioni di un militare pentito sulla fine dei desaparecidos, Feltrinelli, Milano, 1996


Filmografia

Garage Olimpo, regia di Marco Bechis, con Antonella Costa, Carlos Echevarría e Chiara Caselli, 1999
La notte delle matite spezzate, regia di Héctor Olivera, con Alejo Garcia Pintos, Vita Escardò e Pablo Novak, Argentina, 1986


Sitografia

https://www.avvenire.it/agora/pagine/mondiali-in-argentina-1978-desaparecidos-videla
https://www.ilpost.it/pierotrellini/2018/06/21/i-mondiali-della-colpa/
http://www.limesonline.com/rubrica/argentina-78-la-tragedia-a-pochi-passi-dai-campi-di-calcio?refresh_ce
https://www.ultimouomo.com/il-ritratto-distorto-di-argentina-78/
https://storiedicalcio.altervista.org/blog/mondiali-1978-argentina.html/8
https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-06-03/l-argentina-1978-vince-mondiale-che-non-poteva-perdere-133621.shtml?uuid=AB91CENB&refresh_ce=1
http://www.ilcentro.it/sport/argentina-78-il-mondiale-insanguinato-1.1965209
http://www.rivistaundici.com/2017/07/06/argentina-1978-videla-pali/
https://www.globalist.it/sport/2016/05/08/argentina-1978-un-mondiale-di-calcio-sporco-di-sangue-77105.html


L'immagine è tratta dai siti http://www.1000cuorirossoblu.it (logo) e http://trescuatrotres.es (la Junta)
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Articoli pubblicati da Simone Balocco e Paola Maggiora


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