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Il Pozzo di Giacobbe presenta 'BUBELE' Il bambino nell'ombra' [ di ]

Il pozzo di Giacobbe presenta

ADOLPHE NYSENHOLC

BUBULÈ
Il bambino nell’ombra

Titolo originale: Bubelè. L’enfant à l’ombre, 2007 - finalista Prix Victor Rossel
Traduzione di Silvia Cerulli - Collana “Il cipresso bianco”
Pagine 135
Prezzo 13,50 Euro

Dal marzo 2018 in libreria

Nysenholc ripercorre la memoria del bambino che è stato con una narrazione nitida, efficacissima e commovente, facendoci attraversare un’infanzia speciale, quella di un bimbo ebreo nel tempo della Seconda Guerra Mondiale che, come diversi altri, ebbe la fortuna di entrare nel mondo dei salvati grazie all’amore, alla cura ed al coraggio di chi non voleva rimanere indifferente.

Dalla prefazione di Moni Ovadia

Ci proiettarono un film di Charlot, Il monello. Ero affascinato. Toccato dalla sua grazia. Avevo assistito ad una proiezione anamorfica della mia vita. Sin dall’inizio, quando Edna, ragazza-madre disperata per essere stata lasciata dal suo amante, abbandona il suo bambino. Per il suo bene. A casa di gente ricca; io invece a casa di gente povera, ma la madre, anche lei, non poteva fare diversamente. E si assiste ad una cascata di rapimenti, nel film, che neppure a me sono stati risparmiati. […] Quanto fui felice di vivere il momento in cui alla fine la madre ritrovò suo figlio e Charlot fu verosimilmente adottato come padre! Avevamo riso. Avevamo pianto. Tutto mi fu restituito. E niente mi fu reso.

All’alba di un mattino d’agosto del 1942, una giovane donna, Léa Frydman, e il più piccolo dei suoi figli, Adolphe, prendono il tram che da Bruxelles porta a Ganshoren, un comune rurale a nord della città. Ad attenderli, alla fermata, ci sono Catherine (Tanke) Van Halden e sua figlia Lieveke, appena sposata. Il bel bambino di tre anni dagli occhi chiarissimi e i capelli neri non immagina lontanamente che quello sarà l’ultimo giorno trascorso con sua madre. Poiché ebrei, Léa e suo marito Salomon, con l’inasprirsi della persecuzione razziale, hanno deciso di riparare negli Stati Uniti e di separarsi dai due figli minori, sistemando Isou, il più grande, in un collegio della regione vallone, e Adolphe, il più piccolo, poco fuori la capitale, nelle Fiandre.

Partire tutti insieme è troppo rischioso, l’auspicio è quello di potersi ricongiungere dopo che la guerra sarà finita.

Le cose andranno però diversamente, i Nissenbojm, con le loro due figlie maggiori, non riusciranno a partire ma verranno arrestati dalla Gestapo e condannati a morire nel campo di concentramento di Auschwitz, nella natìa Polonia. Della famiglia sopravvivranno soltanto i due figli maschi rimasti in Belgio.

Pur nell’attesa inconscia ma continua dei genitori, di Léa in particolare, e nella paura costante dell’arrivo dei soldati nazisti per portarlo via, Dolfi o Bubelè (in yiddish: “mio tesoro, mia gioia”) vivrà, amatissimo, con Tanke e suo marito Nunkel, in una quotidianità ritmata da inalterati riti campestri e da rassicuranti abitudini domestiche, fino al 1945, quando un fratello del padre verrà a reclamarne la tutela. Malgrado non abbia i mezzi per crescerlo, egoisticamente, lo zio Abraham, unico superstite ai lager della sua numerosa famiglia, vuole «piegare» il nipote «alla sua causa», rendendolo «ostaggio della sua memoria». Dolfi viene così strappato ai Van Halden - con i quali, tuttavia, non verrà mai meno il rapporto e che considererà sempre i suoi genitori - e discontinuamente riunito al fratello, peregrinando, fin oltre i vent’anni, per orfanotrofi e istituti. La sua istruzione si compirà in quegli enti AIVG (Aiuto agli Israeliti Vittime di Guerra), che sorsero in Belgio diffusamente nel secondo dopoguerra in un legittimo sussulto di orgoglio ebraico. L’osservanza dei precetti della Torah andrà di pari passo con l’impellenza di dimostrare alla sua nuova comunità di appartenenza di non essere più un “falso ebreo” né un “ebreo mascherato” tantomeno un “ebreo pagano” bensì un ebreo a tutti gli effetti. Non circonciso per via dell’ateismo del padre comunista, a 13 anni Dolfi si sottoporrà dunque al Brith Milahper sentirsi pienamente uguale ai suoi compagni, coloro ai quali intuisce di essere legato «non da pietà» quanto«da una storia comune» e con i quali finirà per costituire «la più grande famiglia del reame», un vincolo assai più forte della religione.

Bubelè. Il bambino nell’ombra viene dopo un lungo processo di “scrostamento” - nelle parole stesse dell’autore –, che ha piano piano trasformato quello che era originariamente un lungo testo autobiografico, pieno di considerazioni analitiche e storiche, in un memoir narrativo con al centro la questione dell’identità, indagata mirabilmente nel suo formarsi.

L’aspetto testimoniale di scampato alla Shoah si interseca sino a coincidere con il tema dell’orfanità. L’esito è quello di una rievocazione struggente ma priva di qualsiasi patetismo, attraversata da un umorismo aspro e da un’irruenza immaginifica che rimanda, in certi tratti, ad alcune tele di Bosch.

Nysenholc riesce a elaborare quanto non elaborato nei primi anni di vita attraverso il medium della scrittura, portando in superficie l’esperienza dell’infanzia e mantenendo intatto, dall’inizio alla fine, il suo punto di vista-bambino con stupefacente naturalità e senza alcun artificio; è, questo, tra gli elementi più potenti, se non il più potente, del testo.

La sua storia ci dice che un bambino, emblema d’innocenza e fiducia, non può elaborare l’abbandono da parte dei genitori - lo farà, forse, soltanto in seguito – però può vivere nonostante questo... sarà quindi soggetto a nervosismi improvvisi mossi da altrettante, improvvise, devastanti nostalgie; al contempo, verrà travolto da entusiasmi totalizzanti e contagiosi; gradualmente imparerà a distinguere tra passioni (per Dolfi la malìa salvifica del cinema, in specie quello di Chaplin) e idiosincrasie, piaceri e insofferenze.

Poiché la vita, per fortuna, è fatta anche di deviazioni da un unico destino.

Adolphe Nysenholc (Anderlecht, Bxl, 1938), scrittore, drammaturgo, semiologo del Cinema. Per più di trent’anni ha insegnato Semiologia delle immagini presso la Libera Università di Bruxelles ed è uno dei massimi esperti europei del cinema di Charlie Chaplin. La Shoah e il giudaismo sono stati spesso il perno dei suoi scritti. Tra le sue opere principali: Charles Chaplin. L’âge d’or du comique (1979), Sopravvivere o la memoria in bianco (1989, Clueb 2007), Mère de guerre (1998, 2006), André Delvaux ou le réalisme magique (2006), Bubelè. Il bambino nell’ombra (2007), pubblicato in italiano nel 2018 dall’editore Il pozzo di Giacobbe come primo titolo della collana “Il cipresso bianco. Storie dagli altri mondi”. Nel 2011, Nysenholc ha pubblicato L’Enfant Terrible de la Litterature. Autobiographies d’Enfants Caches – un’indagine sulla vita di quegli scrittori che da piccoli, a causa dell’Olocausto, sono stati bambini nascosti – aprendo un varco ancora poco esplorato e ricchissimo nello spazio dell’autoficion letteraria.


Editore e Collana:
Il gruppo editoriale Il pozzo di Giacobbe nasce e si sviluppa nel solco di un progetto originale e controcorrente che nell’ultimo quindicennio si è conquistato uno spazio considerevole nell’ambito dell’editoria di ispirazione cristiana e soprattutto nelle pubblicazioni dedicate ai più piccoli.

La storia e la cultura del cristianesimo vengono declinate sotto molteplici prospettive di ricerca - teologica, filosofica, biblica, liturgica e artistica - e in una posizione di continua interlocuzione interreligiosa e costante attenzione al dialogo ecumenico.

In linea con tutto questo si colloca l’ultima collana, diretta dallo storico della Chiesa Sergio Tanzarella: “Il cipresso bianco”, dedicata alla “Storia degli altri mondi”, che licenzia come primo titolo Bubelè. Il bambino nell'ombra di Adolphe Nysenholc.
Documento inserito il: 13/04/2018

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