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Mario Manlio Rossi tra Irlanda, Scozia e Inghilterra [ di ]

Mario Manlio Rossi tra Irlanda, Scozia e Inghilterra
a cura di G. SERTOLI
Genova, Accademia Ligure di Scienze e Lettere, 2024
pagine 250


Storico, filosofo, anglista, grande studioso del Settecento inglese e superbo scrittore, Mario Manlio Rossi (1895-1971) è stato uno dei maggiori intellettuali italiani di tutto il Novecento. Nato a Reggio Emilia da una famiglia dalle origini valdesi – il che, forse, ci spiega il suo interesse nei confronti del mondo protestante britannico e del suo stesso credo valoriale – quella di Rossi è stata una figura di certo irregolare e alquanto eretica, lontanissima da tutte le maggiori correnti culturali del suo tempo (storicismo, crocianesimo, positivismo, marxismo). Un uomo ed uno studioso che assomigliava solo a se stesso, un viaggiatore dell’anima che a lungo risiedette e insegnò nel Regno Unito.

Il profilo e l’opera di Rossi sono stati riscoperti solo da pochi anni. Il 20 febbraio 2023 si è tenuto, a Genova, presso l’Accademia Ligure di Scienze e Lettere, un importante Convegno di Studi, di cui il presente volume raccoglie e costituisce gli Atti. Estremamente coinvolgente e significativo il pezzo di Masolino d’Amico, che apre il libro: un ricordo umano, vivo e sentito. I contributi successivi ci fanno entrare nel mondo di Rossi: Massimo Bacigalupo dipinge lo Yeats di Rossi e l’immagine che quest’ultimo ebbe dell’Irlanda, Giuseppe Sertoli tratteggia l’interpretazione rossiana di Swift, Bruno Marciano quella di Berkeley, Silvia Parigi inserisce quest’ultima entro il quadro della storiografia novecentesca (in merito al vescovo irlandese), Paolo D’Angelo riprende l’estetica dell’empirismo di matrice inglese e la sua meditazione da parte di Rossi, mentre Paolo Luca Bernardini – riscoprendo un inedito testo di Rossi, risalente al 1953 – ridefinisce l’anglomania del personaggio, il suo amore verso una realtà inglese sentita forse come ancora più propria di quella italiana. Rossi, del resto, fu un uomo di paradossi, uno spirito errabondo e inquieto, un’esistenza che si completava in afflati dal sapore sovente provocatorio ed ossimorico.

Il volume, già di per sé ricchissimo di temi, contenuti e suggestioni, è inoltre completato (pp. 157 e segg.) da una nutrita appendice, antologica, di testi rossiani: sulla Dublino di Lady Gregory (1932), dall’albero degli autografi (1954), sul Cappellano delle Fate nel Regno segreto di Robert Kirk – un grande classico letterario del Seicento scozzese, curato da Rossi e ripubblicato poi da Adelphi – su Swift (1932), sui Viaggi di Gulliver di quest’ultimo, con sette inedite lettere rossiane a Joseph Hone e a Edward Grove (1954-1956), nonché con altrettante a Delio Cantimori (dello stesso periodo) e su quella anglomania (1965) le cui radici storiche ed intellettuali Rossi indagò e che serve, più di ogni altra cosa, a fotografare l’orizzonte del grande scrittore e storico emiliano. Davvero un gigante, che va riletto e finalmente valorizzato: una figura ed una penna dalla altissima levatura, un maestro e di metodo e di stile. Questi Atti ne sono a un tempo prova e conferma, nonché ulteriore stimolo ad una riscoperta tanto necessaria quanto doverosa e ormai – per fortuna – non più rimandabile.


Recensione del Dott. Davide Arecco
Documento inserito il: 23/04/2024
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