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Il recupero del Sommergibile Nereide [ di marcello Capitani ]

Il 30 luglio del 1915, la Marina Militare Imperiale Austriaca con una squadra composta di due incrociatori leggeri e di sei caccia, si presentava innanzi all’isola di Pelagosa, bombardandola ed effettuando uno sbarco. I nostri, subendo solo la perdita di due feriti, ricacciarono gli Austriaci, costretti a tornare a bordo delle loro navi. Il 5 agosto era ormeggiato a Pelagosa il Nereide, un nostro sommergibile costruito nel 1913 dall’ingegnere Bernardis, lungo 41 metri, stazzante 400 tonnellate emerso e 480 immerso. Poteva filare 14 nodi alla superficie e 12 in profondità.
Lo comandava il capitano di corvetta Carlo del Greco, fiorentino. L’alba del giorno tragico sorgeva, quando i nostri sommergibilisti di vedetta avvistavano, a breve distanza, una silurante subacquea nemica emersa improvvisamente dalle onde. Ormeggiati presso la riva, Carlo del Greco e i suoi marinai avrebbero potuto facilmente salvarsi. Bastava lasciare il Nereide al suo destino, fuggendo sui gavitelli. Eroico soldato del mare cresciuto alla nobile scuola del dovere, il comandante del sommergibile in pericolo dimenticò se stesso, ricordando solo la missione che la Patria gli affidava. Così, incitato da lui, l’equipaggio s’affrettò a disormeggiare il Nereide, tentando l’immersione ed il lancio del siluro. Mancò il tempo alla manovra audace. Favorito dalle circostanze, il sommergibile austriaco riuscì a colpire per primo l’avversario, calandolo a picco. Bara frantumata, il Nereide scese negli abissi dell’isola tragica con tutto il suo equipaggio di valorosi. Alla memoria sacra di Carlo del Greco venne tributata la prima medaglia d’oro della Marina italiana nella grande guerra. (da: Storia illustrata della prima grande guerra 1914-1918 di Giovanni Mendel-Armando Gorlini editore, anno 1934)

Anno 1972: Il recupero dello scafo
Nel gennaio del 1972, il governo Jugoslavo dopo svariate richieste inoltrate dal nostro Ministero degli Esteri decise di recuperare il sommergibile Nereide affondato a Pelagosa, il 5 Agosto 1915. La nostra troupe subacquea della RAI TV (TG1) fu invitata a filmare l’avvenimento. A metà maggio, partimmo con le nostre attrezzature subacquee da Roma per Spalato. Lì giunti, c’imbarcammo sulla Spasilach, nave appoggio per il recupero subacqueo della Marina Militare Slava, simile alla nostra Proteo, che ci portò, dopo nove ore di navigazione, all’isola di Pelagosa. Il giorno successivo, dopo aver localizzato il relitto a circa 250 mt dalla costa, iniziarono le immersioni a -37 mt per i sopralluoghi.
Il Nereide giaceva sul fondo, appoppato di circa 20°. Dopo 57 anni era ancora in buone condizioni, eccetto il primo guscio quasi del tutto inesistente. Aveva il siluro di coperta innescato ed i portelli di lancio, prodieri e poppieri, chiusi. A poppavia, 13 metri dall’elica verso prua, lo scafo presentava uno squarcio passante di circa 80 cm. e, si vedeva l’albero di trasmissione, unico legame dei due tronconi. Si provò a perforare alcuni punti della coperta dai quali uscirono piccole bolle d’aria. Con la fiamma ossidrica, fu tagliato l’albero motore e le parti metalliche che ancora mantenevano uniti i due tronconi.
Furono passate sotto lo scafo, sei fasce di nylon larghe circa 80 cm.: quattro, per la parte prodiera e due per la poppiera. Fummo fortunati a non incappare nell’effetto ventosa, quindi ci servimmo soltanto delle idrovore e, non usammo esplosivi. Alle fasce di nylon, furono agguantati quattro serbatoi di ferro, chiaramente allagati, due più grandi al troncone di prua e due piccoli a quello di poppa.

Il Nereide torna in superficie
Inizia la fase più pericolosa, quella del recupero. Viene immessa aria compressa nei serbatoi agganciati al troncone prodiero dai quali contemporaneamente tramite le valvole di ritegno ne esce l’acqua. La manovra viene eseguita con la massima perfezione, calibrando l’immissione dell’aria man mano che il troncone sale onde evitare l’effetto pallone; ed infatti dopo un paio d’ore il relitto raggiunge la superficie senza alcun danno.La stessa manovra è stata fatta per la risalita della parte poppiera. Dopo il recupero, le condizioni del mare, si fecero proibitive, ed il maltempo, stando alle previsioni, non sarebbe migliorato. La sera stessa lo Spasilach levò gli ormeggi e fece rotta verso l’isola di Scionta con i due tronconi a rimorchio. Noi la raggiungemmo il giorno seguente con tutto il materiale caricato su due motosiluranti messe a disposizione dalla Marina Militare Slava. Trovammo il Nereide ormeggiato tra i due grandi serbatoi prodieri, agguantati a loro volta ad un pontone gru.

Il recupero delle salme
Eravamo in una baia a ridosso e potemmo tranquillamente eseguire la triste riesumazione. Fu aperto il portello della torretta e ci calammo a turno nell’interno ormai allagato, con muta, maschera, erogatore collegato esternamente ad un bombolone d’aria ed un faro Farallon a batteria. Il paiolato era sovrastato da 30 cm. di melma. Alcuni corpi giacevano scheletriti nelle loro cuccette ancora vestiti con maglione, calzoni blu della tuta e stivali verdi alti fino al femore, altri erano sul paiolato. Gli stipetti erano ordinati, con il vestiario ben ripiegato al suo posto ma, appena lo si toccava, si sbriciolava dissolvendosi nell’acqua. Recuperammo le salme, usando dei sacchi bianchi di plastica, nei quali, immettemmo: prima il cranio poi il costato, il bacino e le braccia; le gambe le lasciammo negli stivali. Il tutto veniva passato in coperta dopo aver forato con i coltelli da sub la base dei sacchi per evacuare l’acqua e svuotato il contenuto dentro due bare. I crani, avevano delle ciocche di capelli ancora al loro posto e le ossa erano rosate. Il conteggio finale fu di 10 corpi. Degli altri 25, alcuni furono dilaniati probabilmente dall’esplosione e fuoriuscirono dallo squarcio di poppavia gli altri annegarono nel tentare la risalita in superficie. Allora, si tentava la risalita con delle camere d’aria nere, tipo quelle dei vecchi palloni da calcio, che, data la pressione esterna di quasi 5 atm, sarebbero state inutilizzabili. Da 37 mt. è impossibile tornare in superficie con una sola boccata d’aria compressa, senza che i polmoni esplodano durante la risalita, per via dell’espansione dell’aria in essi contenuta e, tralasciamo le conseguenze dell’embolia gassosa, alla quale sarebbero andati incontro. Oltre alle salme, recuperammo: il diario di bordo, un binocolo, dei portamonete di cuoio con qualche spicciolo, piastrine di riconoscimento, un fucile, un cannocchiale con treppiede in legno, qualche foto, bottiglie di vino e d’olio ecc. L’asta della bandiera di poppa e la barra del timone di coperta furono da noi prelevate e consegnate al museo sito nel Santuario di Redipuglia dove tutt’oggi sono conservate. Alle operazioni di recupero, parteciparono circa 24 sub, i Mornar, della Marina Militare Slava, ben addestrati alla scuola per sub di Odessa, svolsero un ottimo lavoro pur avendo attrezzature subacquee fatiscenti rispetto alle nostre.

Organizzazione delle immersioni
Il responsabile era un dottore della medicina iperbarica slovena, il quale aveva a disposizione sullo Spasilach, due camere iperbariche, una singola e l’altra ad otto posti. I subacquei, scendevano a turni alterni, otto alla volta, con permanenza sul fondo di 35'. Ad ognuno, veniva scritto, con pennarelli indelebili, un numero progressivo sul dorso della muta, e sulla mano destra il tempo di permanenza sul fondo, nonchè quello di decompressione, 35 minuti, da rispettare a 3mt. nella risalita. L’ora di discesa per ogni elemento della squadra era registrato su di un brogliaccio, e tre sub, avevano il compito di intervenire rapidamente per avvisare colui che si attardava. I bibombole venivano caricati con aria compressa a 210 atm. per travaso dai 15 bomboloni che erano in coperta i quali, venivano ripristinati automaticamente dai quattro compressori di bordo.

Conclusione del recupero
Una volta recuperate le salme ed oggetti vari, i due tronconi dello scafo furono portati in località a me sconosciuta e fatti esplodere utilizzando i siluri di bordo. Fu così che il Nereide s’inabissò per la seconda volta. L’11 Giugno 1972 a Spalato furono resi alle salme gli onori militari, da parte delle autorità Slave, prima che le stesse venissero imbarcate sul dragamine Mogano, della Marina Militare Italiana. Per la cerimonia, furono approntate 10 cassette di zinco, all’interno di ognuna fu deposto un cranio ed alcune ossa. Ciò che resta di quei marinai, riposa in pace nel cimitero di Brindisi, dove prima della tumulazione, furono di nuovo resi gli onori militari da parte della nostre autorità.

Le mie impressioni
Riflettendo su quanto da me sopra riportato, mi domando oggi a 29 anni di distanza, se sia stato veramente umano e necessario, svolgere tutto questo lavoro per riportare in patria i resti di dieci marinai, morti nell’adempimento del loro dovere durante la prima grande guerra, quando, sparsi negli oceani e nei mari del mondo intero, ve ne sono ancora a migliaia.

di Marcello Capitani, aprile 2001

Si ringraziano per la gentile concessione alla pubblicazione di questo articolo e delle foto ad esso allegate i Sig.ri Ranieri Meloni e Marcello Capitani

Nell'immagine, una bella fotografia del sommergibile Nereide in navigazione durante le prove in mare.

Documento inserito il: 05/01/2015
  • TAG: regia marina, flotta sottomarina, sommergibile nereide, recupero scafo, comandante carlo del greco, affondamento, ritorno superficie, organizzazione immersioni, completamento recupero
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