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VERDUN, 21 FEBBRAIO 1916

Al termine di un bombardamento preparatorio durato nove ore, le truppe tedesche lanciano un primo assalto contro la piazzaforte di Verdun (operazione Gericht).
Orchestrata dal Capo di Stato Maggiore Erich von Falkenhayn (1861-1922), l’offensiva si propone di “dissanguare goccia a goccia” l’esercito francese, trascinandolo in un gigantesco carnaio nel quale annichilirlo grazie all'impiego sistematico dell'artiglieria.
Malgrado i presupposti, la “scommessa” del generale si rivela un costoso fallimento sotto i profili tattico e strategico: la colossale battaglia d'attrito che ne scaturisce, conclusasi dieci mesi dopo con la riconquista della fattoria "des Chambrettes" (18 dicembre 1916), causa infatti la morte di almeno 300.000 soldati di entrambi gli schieramenti. Secondo le stime più attendibili, le perdite complessive sarebbero state addirittura superiori alle 700.000 unità.
Quelle che seguono sono le testimonianze degli uomini coinvolti negli scontri, espressione autentica delle atrocità e degli orrori connaturati nella guerra di trincea.


L’umanità è impazzita! Deve essere pazza per compiere ciò che sta perpetrando ora. Che bagno di sangue, quali immagini orribili, che massacro! Non riesco a trovare le parole per descrivere i miei sentimenti. Nemmeno l’inferno può essere così spaventoso. Gli uomini sono folli!
Alfred Joubaire, sottotenente francese caduto in azione il 23 maggio 1916

Sono rimasto dieci giorni accanto a un uomo che era stato aperto in due. Non c’era modo di spostarlo. Aveva una gamba sul parapetto e il resto del corpo nella trincea. Puzzava, e ho dovuto masticare tabacco tutto il tempo per sopportare un simile tormento".
Lettera di un soldato di stanza a Thiaumont, giugno 1916

Un soldato stava impazzendo per la sete, e ha bevuto da una pozza coperta da uno strato verdognolo, sul Mort Homme (collina situata a 10 km da Verdun, n.d.a). Al suo interno galleggiava un cadavere. Il suo volto annerito stava all’ingiù, nell’acqua, e il suo addome era rigonfio, quasi si fosse riempito per giorni.
Anonimo combattente tedesco

Le latrine causano gravi problemi. Sono completamente otturate, e hanno un fetore terribile. Combattiamo questa puzza con la calce clorata, e questo odore si mescola a quello di decomposizione del campo di battaglia. Gli uomini indossano le loro maschere antigas, quando usano le latrine…”.
Anonimo soldato tedesco

Non appena si è fatto giorno, ho osservato questa famigerata collina senza nome (Cote 304, n.d.a). La nostra trincea si trova lì, alle sue pendici.
L’altura è stata a lungo contesa, come se i suoi pendii celassero delle miniere di diamanti. Ahinoi, tutto ciò che accolgono ora sono migliaia di cadaveri smembrati e polverizzati.
[…] Lì la carne umana è stata fatta a pezzi, ridotta a brandelli. Nei luoghi dove la terra è intrisa di sangue, sciami di mosche svolazzano agitandosi. Non vediamo i corpi, ma sappiamo benissimo dove si trovano: nascosti nei crateri scavati dall’artiglieria.
Ovunque vi sono soltanto macerie: fucili spezzati, sacchi da cui fuoriescono pagine di lettere e pacchetti da casa - un tempo custoditi con attenzione, adesso in balia del vento - borracce distrutte e tracolle divelte. Il tutto etichettato 125° reggimento. Non mi è stato difficile sostituire le cartucce, gli utensili e le razioni di cui mi ero liberato durante la marcia.
Questa tetra visione ci suggerisce che domani, non appena i tedeschi avranno appurato la nostra presenza, ci ridurranno in poltiglia
".
Louis Barthas, caporale del 296° reggimento di fanteria.

Sotto il maglio di Verdun, i soldati resistono. Resistiamo perché i gendarmi ci impediscono di ripiegare. Hanno piazzato le loro stazioni in mezzo al campo di battaglia, nelle trincee di supporto, sopra il tunnel del Tavannes. Se vogliamo uscire da lì ci serve un apposito lasciapassare. […] Non possiamo lasciare il campo di battaglia, quindi ci nascondiamo in esso. Scavi una buca, ti ci seppellisci e rimani lì. [...] Se vieni scoperto, vieni trascinato fino alla batteria e, tra due file di sacchi colmi di sporcizia, ti fanno saltare le cervella. Presto ogni uomo dovrà essere seguito da un gendarme.
[…] Abbiamo fame. Abbiamo sete. Laggiù vediamo un morto disteso a terra, putrido e pieno di mosche, ma la sua cintura ha ancora delle borracce e delle polpettine di pane tenute assieme dal fil di ferro. Aspettiamo che il bombardamento si calmi. Strisciamo verso di lui. Stacchiamo dal suo corpo le polpettine. Prendiamo le borracce che sono ancora piene. Alcune sono state crivellate dai proiettili. Il pane è molliccio.
[…] È la grande battaglia di Verdun. Il mondo intero ha gli occhi fissi su di noi. Abbiamo delle preoccupazioni tremende. Vincere? Resistere? Perseverare? Adempiere al nostro dovere? No. Espletare i nostri bisogni.
Fuori c’è una tempesta di ferro. È piuttosto semplice: un proiettile di ogni calibro atterra ogni minuto su ogni metro quadrato di terra. Siamo nove sopravvissuti in una buca. Non è un rifugio, ma i quaranta centimetri di sporcizia e tronchi sopra la testa sono, ai nostri occhi, quasi una maschera contro l’orrore.
[…] Dobbiamo evacuare. Il primo che non poteva più trattenersi è uscito; negli ultimi due giorni è rimasto lì, tre metri di fronte a noi, stecchito e senza mutande. La facciamo sulla carta e la gettiamo lì davanti. Abbiamo usato alcune vecchie lettere che abbiamo conservato.
[…] Siamo rimasti qui per cinque giorni, senza muoverci. Non abbiamo più carta, così defechiamo nelle nostre bisacce. Ciascuno deve districare le braccia, togliersi i pantaloni e usare il proprio zaino, che viene premuto contro la pancia di un amico. Quando abbiamo finito, passiamo la nostra deiezione a uno di fronte, il quale la passa a un altro che la getta fuori. Settimo giorno. La battaglia di Verdun prosegue. Sempre più eroica.
[…] Ma di volta in volta avvertiamo questo bisogno terribile, senza fine, che ci squassa dall’interno. Soprattutto da quando abbiamo provato a mangiare delle palline di terra per placare la fame, anche perché questa notte ha piovuto. Non avendo bevuto per quattro giorni, abbiamo sorseggiato l’acqua che filtrava dai tronchi e persino quella proveniente dall’esterno, la quale scorreva lungo il cadavere che blocca la porta.

[…] La facciamo nelle nostre mani. È dissenteria, quella che ci scorre tra le dita. Non possiamo buttarla fuori. Coloro che stanno dietro si asciugano le mani contro lo sporco lì vicino, mentre i tre prossimi alla porta si puliscono con gli abiti del morto. È così che ci rendiamo conto che stiamo defecando sangue. Sangue denso, di colore assolutamente rubino
”.
Jean Giono (1895-1970), scrittore francese e veterano della Grande Guerra


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
- Barthas, L., "Poilu: the World War I Notebooks of Corporal Louis Barthas", Yale University Press, 2015;
- Encyclopedia Britannica, Battle of Verdun | Map, Casualties, Significance;
- Giono J., “Recherche de la pureté", Écrits pacifistes, Éditions Gallimard, 1978;
- “1916 – Année de Verdun – Service historique de l’Armee de Terre“, Lavauzelle, 1996.
Documento inserito il: 25/02/2023

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