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In ricordo di Raffaele Francesca

Ricordo del valente giornalista e saggista di destra emarginato e dimenticato dalla critica ufficiale.

Era l’anno 2004 allorché Raffaele Francesca diede alle stampe, per i tipi dell’editore Novantico, il suo libro-inchiesta che ha per titolo “San Benigno: silenzi, misteri, verità su una strage dimenticata”.
A Genova, il 10 ottobre 1944, sessantasei anni fa, alle sette del mattino, si verificò la strage probabilmente più spaventosa di tutta la seconda guerra mondiale. Una intera montagna, la collina di San Benigno, a ridosso del porto, saltò in aria a seguito di una terrificante esplosione e seppellì, sotto le sue rovine, più di duemila persone: in parte abitanti dei palazzi che sorgevano sulla sommità della collina, sbriciolati dalla deflagrazione; in parte soldati tedeschi di guardia al deposito di munizioni collocato nella ex galleria ferroviaria sottostante alla montagna (e che, esplodendo, aveva causato la catastrofe); in parte, soprattutto, intere famiglie che avevano trovato rifugio in una lunga galleria sovrastante quella ferroviaria. Morirono uomini, donne, vecchi, bambini. La deflagrazione fu udita a decine di chilometri di distanza. La sua violenza fu tale da decapitare i passeggeri di un tram che sferragliava nelle vicinanze, e le cui teste, tranciate dai finestrini di vetro, ruzzolarono sui marciapiedi e precipitarono sulle banchine del porto.
Ebbene, la dettagliata ricostruzione operata da Raffaele Francesca dimostrò inconfutabilmente che quel macello spaventoso era stato provocato da una folle azione partigiana, tendente – nelle intenzioni – a distruggere il deposito di munizioni dei tedeschi, ma attuata con leggerezza ed incoscienza. Chi – come il sottoscritto – ha fatto per molti anni il giornalista a Genova, sa benissimo che di San Benigno, in particolare dei suoi retroscena, è proibito parlare. La tesi del fulmine che, durante un temporale, avrebbe fatto saltare in aria il deposito di munizioni tedesco (tesi immediatamente diffusa dai responsabili del Cln pur di allontanare ogni sospetto dai partigiani) naufragò rapidamente. Tuttavia, non si ottenne mai che venisse aperta una seria indagine giudiziaria per accertare nomi e funzioni dei responsabili del massacro. Non riuscirono a venire a capo di nulla neppure alcuni giornalisti tosti che iniziarono ad indagare, ma ai quali furono interdette le fonti di informazione. Poi, a far luce sulla terrificante storia, arrivò Raffaele Francesca, al termine di una inchiesta che definire esemplare è sottovalutarne la portata. Non si riescono neppure ad immaginare gli elementi di prova che Francesca riuscì a raccogliere in anni e anni di lavoro, dettato esclusivamente da amore per la verità, perché, al limite, solo un uomo che avesse avuto mettiamo i genitori uccisi a San Benigno avrebbe potuto dedicare tanto tempo, tanta passione, tanta tenacia, tanta energia per infrangere il più grosso tabù della Resistenza. Raffaele Francesca agì invece per puro amore della verità ed anche – lo si comprese subito dalla avvincente prosa – perché mosso dallo sdegno per una verità così a lungo negata.
Su quell’eccellente ed emozionante libro calò. ovviamente, il silenzio, anche perché Raffaele Francesca, nelle sue lucidissime pagine, era andato oltre la strage di San Benigno e aveva fatto il punto, con matematica precisione, su eventi e crimini misconosciuti della vicenda partigiana svoltisi in Liguria e non soltanto. Ne citiamo uno. Il 1 agosto 1945, a Genova Voltri, tre carabinieri in servizio furono brutalmente assassinati. Mistero. Nel darne notizia, “l’Unità”, organo del Pci, dove sapevano benissimo chi erano gli assassini, scrisse tra l’altro: “La notizia di questo delitto ha colpito tutta la popolazione genovese e in particolare i lavoratori e i compagni, che vedono in esso un atto provocatorio perpetrato da elementi al soldo della reazione. Purtroppo ancora troppi elementi già appartenenti alle Brigate Nere possono circolare liberamente”. In effetti, sembrava di sentire Pertini quando, alla TV, proclamerà (testuale): “Le Brigate rosse sono nere”. Purtroppo per i cronisti de “l’Unità” e per i loro padroni, il caso finì nella competenza dell’autorità militare britannica. In poco tempo gli assassini, cinque ex partigiani comunisti, furono presi e costretti a confessare. Avevano disarmato i tre carabinieri, li avevano denudati, costretti a scavarsi la fossa, bastonati a sangue, infine abbattuti a raffiche di mitra. Il capo del quintetto fu condannato a morte e fucilato dagli inglesi. Gli altri finirono all’ergastolo.
La dipartita, ad appena 70 anni, di Raffaele Francesca, cui la critica “ufficiale” si guardò sempre dal tributare i riconoscimenti ampiamente meritati, viene a privare il settore della ricerca storica di un autentico maestro, del quale non è possibile non ricordare, al di là della sua passione per la storia, il lavoro giornalistico svolto, in oltre 40 anni, al timone della rivista «Equilibrio», fondata e diretta, sempre a Genova, dal professor Gianni Madeo.

Autore: Luciano Garibaldi


Articolo segnalato da Alberto Rosselli, Giornalista e scrittore.
Documento inserito il: 01/01/2015
  • TAG: raffaele francesca, saggista, editore novantico, san benigno, silenzi, misteri, strage dimenticata, genova 10 ottobre 1944, duemila vittime, azione partigiana,

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