Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, storia antica: Analisi critica del pensiero di Agostino d’Ippona
>> Storia Antica > Impero romano

Analisi critica del pensiero di Agostino d’Ippona [ di Yuri Leveratto ]

Molti studiosi descrivono Agostino d’Ippona come il più grande filosofo del Cristianesimo, colui che riuscì a fare da cerniera tra il platonismo e il Cristianesimo. Ciò fu sicuramente vero, ma altri studiosi lo dipingono come il creatore di vari dogmi aggiunti e non presenti nel Nuovo Testamento, come il sostenitore della predestinazione assoluta e come un apologista del cosiddetto “ibrido costantiniano”, il sistema di potere creato da Costantino, che influenzò in negativo tutto il mondo occidentale nei successivi quindici secoli, quindi almeno fino al periodo dell’Illuminismo.
  Per comprendere il pensiero di Agostino d’Ippona (354-430 d.C.), bisogna necessariamente studiare il periodo storico post-costantiniano durante il quale il filosofo ha vissuto.
  Esso fu caratterizzato da un graduale ritorno a concetti tipici dell’Antico Testamento e da un progressivo sincretismo tra il Cristianesimo e alcuni culti pagani.
  Come sappiamo l’imperatore Costantino aveva reso lecita la religione cristiana nel 313 d.C. (editto di Milano). Questo fatto storico di enorme importanza aveva segnato un cambio fondamentale nella storia del Cristianesimo, sia dal punto di vista dell’attitudine del cristiani, sia dal punto di vista di come il Cristianesimo si sarebbe poi lentamente trasformato, in seguito ad alcuni sincretismi con culti pagani.
  I cristiani, che erano stati perseguitati per circa 280 anni, passarono lentamente a far parte del potere. Costantino aveva bisogno però di cementare la fede cristiana in modo da unificare l’impero sotto un’unica religione. Egli cavalcò astutamente le tesi della componente originale e maggioritaria del Cristianesimo, quella Apostolica. Le altre correnti, come quelle ariane o gnostiche furono avversate perché ritenute pericolose per l’unità dell’impero. Durante il Concilio di Nicea, che Costantino presiedette, fu redatto il Credo, una preghiera non biblica alla quale però fu riconosciuto valore quasi scritturale. Era l’inizio del cosiddetto “ibrido costantiniano”, il periodo durante il quale il Cristianesimo si abbracciò con il potere imperiale e fu poi sincretizzato con alcuni culti pagani.
  Innanzitutto nel 336 d.C. vi fu la fissazione del 25 dicembre come data di nascita di Gesù Cristo. Come sappiamo nei Vangeli non vi è traccia di questa data, ma essa fu introdotta in modo da far coincidere il giorno del sol invictus, che era un culto pagano al sole, con il culto a Gesù.
  A Roma ed in altre città dell’impero vi era il culto della dea madre, impersonificato nella dea egizia Iside. Lentamente questo culto fu sostituito con il culto a Maria anche in seguito al pensiero di Agostino, come vedremo più avanti nell’articolo, fino a giungere al 431 d.C., quando i teologi cattolici sancirono il titolo di “teotokos” per Maria, ovvero “Madre di Dio”.
  Durante questi anni i cristiani pensavano che Dio stesse inaugurando una nuova età dell’oro nella quale essi erano liberi da persecuzioni e avrebbero potuto vivere nel lusso, abbracciati con il potere mondano. Siccome però non trovarono alcun passaggio nel Nuovo Testamento per giustificare questo periodo, retrocedettero all’Antico Testamento, ossia al modello teocratico di re Salomone. Nell’ibrido costantiniano vi fu pertanto un ritorno a certi modelli di vita che erano tipici dell’Antico Testamento, e non del Nuovo Testamento.
  Per esempio, mentre i Vangeli propongono un messaggio di allontanamento dai beni materiali, nell’Antico Testamento non vi era questo messaggio. Pertanto per i cristiani dell’ibrido, era consentito cercare di accrescere le proprie ricchezze.
  Anche per quanto riguarda i giuramenti vi fu un ritorno all’Antico Testamento. Mentre nel Nuovo Testamento non erano leciti i giuramenti, in quanto si presupponeva che i cristiani dicessero sempre la verità, nell’ibrido si instaurarono nuovamente i giuramenti, che si convertirono nel pilastro della società romana e medievale.
  Ma uno dei punti più importanti dell’ibrido fu l’abbandono del concetto di non violenza instaurato da Cristo. L’amore persino per i nostri nemici fu lentamente abbandonato e si tornò a concetti tipici dell’Antico Testamento, come “occhio per occhio e dente per dente”.
  Agostino si inserì molto bene nell’ibrido costantiniano, infatti anticipò il concetto della guerra giusta e altri dogmi che supportarono il sincretismo con culti pagani.
  Innanzitutto Agostino introdusse il concetto di guerra giusta. Vediamo una sua citazione tratta dal libro "Contro Fausto Manicheo", Libro 22, 74, (1):
 
"Cosa infatti si biasima nella guerra? Forse il fatto che muoiano quelli che sono destinati a morire, perché i destinati a vivere siano sottomessi nella pace? Obiettare questo è proprio dei paurosi, non dei religiosi. Il desiderio di nuocere, la crudeltà della vendetta, l'animo non placato e implacabile, la ferocia della ribellione, la brama di dominare e simili: è questo che a ragione si biasima nelle guerre. È soprattutto per punire a buon diritto simili cose che le guerre vengono intraprese dai buoni, per ordine di Dio o di qualche altro potere legittimo, contro la violenza di chi si oppone, quando essi vengono a trovarsi in una congiuntura delle umane vicende tale che la situazione stessa li costringe giustamente o a ordinare qualcosa di simile o ad eseguirlo".
 
Vediamo anche questo passaggio de La città di Dio, (1, 21):

Lo stesso magistero divino ha fatto delle eccezioni alla legge di non uccidere. Si eccettuano appunto casi d'individui che Dio ordina di uccidere sia per legge costituita o per espresso comando rivolto temporaneamente a una persona. Non uccide dunque chi deve la prestazione al magistrato. È come la spada che è strumento di chi la usa. Quindi non trasgrediscono affatto il comandamento con cui è stato ingiunto di non uccidere coloro che han fatto la guerra per comando di Dio ovvero, rappresentando la forza del pubblico potere, secondo le sue leggi, cioè a norma di un ordinamento della giusta ragione, han punito i delinquenti con la morte. Così Abramo non solo non ha avuto la taccia di crudeltà ma è stato anche lodato per la pietà perché decise di uccidere il figlio non per delinquenza ma per obbedienza. E a buona ragione si discute se si deve considerare come comando di Dio il caso per cui Iefte sacrificò la figlia che gli andò incontro, giacché aveva fatto voto di immolare a Dio l'essere che per primo gli fosse andato incontro dopo la vittoria. Non altrimenti è scusato Sansone per il fatto che si fece schiacciare assieme ai nemici nel crollo della casa, giacché una ispirazione divina, che per suo mezzo compiva prodigi, glielo aveva comandato interiormente. Eccettuati dunque questi casi, in cui una giusta legge in generale o in particolare Dio, sorgente stessa della giustizia, comandano di uccidere, è responsabile del reato di omicidio chi uccide se stesso o un altro individuo.

In realtà Agostino non fu il creatore della dottrina della “guerra giusta”. Fu Tommaso d’Aquino che, in pieno Medio Evo, giustificò la guerra come un mezzo per raggiungere un fine. Vediamo a tale proposito questa citazione di Tommaso d’Aquino (2):
 
« In contrario, sant'Agostino afferma: "Quando s'intraprende una guerra giusta, ai fini della giustizia non interessa nulla che uno combatta in campo aperto o con imboscate". Agostino lo dimostra con l'autorità del Signore, che comandò a Giosuè di preparare un'imboscata agli abitanti di Ai. »

Come vediamo Tommaso cita Agostino, che fece enfasi in un episodio dell’Antico Testamento.
  I criteri della “guerra giusta” sono una chiara violazione degli insegnamenti di Gesù Cristo. Il Messia ha detto che non dobbiamo resistere al malvagio, come si nota nel Vangelo di Matteo (5, 39-42):
 
Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
 
Naturalmente Agostino considerava che la guerra giusta potesse essere dichiarata solo dallo stato, ma così facendo stava dando allo stato il potere di sostituirsi a Dio, ovvero di andare contro le parole di Gesù Cristo, se fosse stato conveniente e opportuno. Questi scritti di Agostino hanno influenzato i teologi successivi, come Tommaso d’Aquino, e tutto il periodo medievale.  Soffermiamoci adesso sul concetto di “Immacolata Concezione” di Maria, la madre di Gesù. Sappiamo che questo dogma fu introdotto nel 1854 e si riferisce al fatto che Maria sia stata preservata immune dal peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento. Non voglio entrare nel merito di questo dogma, ma qui voglio sottolineare l’influenza che ebbe Agostino su di esso. Ecco il cap. 42 dell’opera di Agostino “Natura e Grazia”:
 
Poi ricorda coloro "dei quali si dice non solo che non peccarono, ma che vissero anche santamente: Abele, Enoch, Melchisedech, Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Gesù di Nave, Finees, Samuele, Natan, Elia, Eliseo, Michea, Daniele, Anania, Azaria, Misaele, Ezechiele, Mardocheo, Simeone, Giuseppe di cui era sposa la vergine Maria, Giovanni". Aggiunge pure delle donne: "Debora, Anna madre di Samuele, Giuditta, Ester, l'altra Anna figlia di Fanuel, Elisabetta" e anche la stessa Madre del Signore e Salvatore nostro, e di essa dice "che va necessariamente riconosciuta senza peccato dal nostro senso religioso". Escludiamo dunque la santa vergine Maria, nei riguardi della quale per l'onore del Signore non voglio si faccia questione alcuna di peccato. Infatti da che sappiamo noi quanto più di grazia, per vincere il peccato sotto ogni aspetto, sia stato concesso alla Donna che meritò di concepire e partorire colui che certissimamente non ebbe nessun peccato? Eccettuata dunque questa Vergine!, se avessimo potuto riunire tutti quei santi e quelle sante durante la loro vita terrena e interrogarli se fossero senza peccato, quale pensiamo sarebbe stata la loro risposta? Quella che dice costui o quella dell'apostolo Giovanni? Lo chiedo a voi. Per quanto grande potesse essere la loro santità nella vita corporale, alla nostra eventuale domanda non avrebbero forse gridato ad una sola voce: Se dicessimo di essere senza peccato, inganneremmo noi stessi e la verità non sarebbe in noi ? O forse risponderebbero in questo modo più per umiltà che per verità? Ma a costui già piace, e gli piace con ragione, "di non mettere il pregio dell'umiltà dalla parte della falsità". Allora, se quei santi nella loro risposta dicessero la verità, sarebbero peccatori e la verità sarebbe in essi, proprio per il loro umile riconoscimento. Se al contrario mentissero, sarebbero ugualmente peccatori, perché in essi non ci sarebbe la verità. 

Come vediamo fu Agostino che anticipò la creazione di questo dogma, ossia che Maria fu esente dal peccato fin dal suo concepimento. Ma ciò contraddice in modo particolare questo passaggio del Vangelo di Luca (1, 46-47):
 
Allora Maria disse:
«L'anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,<
BR>
Maria disse “Dio, mio salvatore” e pertanto anche ella, essendo salvata, fu salvata dal peccato.
  Agostino introdusse anche il concetto che i bimbi non battezzati sarebbero condannati per tutta l’eternità. Vediamo a tale proposito questa sua citazione dal libro “Il castigo e il perdono dei peccati e il battesimo dei bambini (1, 20, 28):
 
C'è a proposito anche quest'altro testo: Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio, ha la vita eterna; chi non crede al Figlio, non vedrà la vita, ma l'ira di Dio incombe su di lui. In quale dunque di queste categorie metteremo i bambini? In quella di coloro che credono nel Figlio o in quella di coloro che sono increduli al Figlio? "In nessuna delle due, dirà qualcuno, perché, non potendo credere ancora, non sono da computarsi nemmeno come increduli". Non dà questa indicazione la regola ecclesiastica che conta i bambini battezzati nel numero dei fedeli. I bambini che si battezzano, per la virtù e la celebrazione di un cosi grande sacramento, pur non facendo essi con il loro cuore e con la loro bocca ciò che concerne la fede da possedere interiormente e da professare esteriormente, sono tuttavia computati nel numero dei credenti. Certamente quei bambini ai quali è mancato il sacramento devono considerarsi tra coloro che non credono al Figlio e quindi, se usciranno dal corpo privi della grazia di questo sacramento, subiranno la conseguenza già detta: Non avranno la vita, ma l'ira di Dio incombe su di loro. Da che viene questo, se, essendo chiaro che non hanno peccati propri, essi non sono nemmeno implicati nella colpa del peccato originale?

L’usanza di battezzare il bimbo appena nato, introdotta da Agostino, era in contrasto con il battesimo biblico. In generale per i primi cristiani il battesimo non era visto come un rituale magico che potesse salvare una persona, a meno che non fosse accompagnato dalla fede in Gesù Cristo e dal vero pentimento dei propri peccati. In pratica il battesimo attuato senza fede, non aveva alcun valore.
Il battesimo (la cui etimologia deriva dal greco “immersione”), veniva attuato immergendo completamente la persona nell’acqua, la quale, una volta emersa dichiarava “Io credo che Gesù Cristo è Figlio di Dio” (Atti, 8, 37). L’immersione è un simbolo del “scendere nella tomba” dell’uomo vecchio, e l’emersione è un simbolo della “rinascita” dell’uomo nuovo in Cristo. I primi cristiani quindi sostenevano che i bambini non battezzati che morivano nell’infanzia potevano salvarsi.  Agostino ha introdotto anche il concetto non biblico che i morti si possono beneficiare del sacrificio dell’eucarestia. Vediamo a tale proposito questo passaggio del "Manuale sulla fede, speranza e carità" (cap. 110).

Non si deve nemmeno negare che le anime dei defunti ricevono sollievo dalla pietà dei propri cari che sono in vita, quando viene offerto per loro il sacrificio del Mediatore o si fanno elemosine nella Chiesa. Tutto questo però giova a quanti in vita hanno acquisito meriti che consentissero in seguito di ricavarne vantaggio. C’è infatti un tipo di condotta non così buono da non richiedere questi suffragi dopo la morte, né così cattivo da non ricavarne giovamento dopo la morte; ve n’è poi uno talmente buono da non richiederne e viceversa uno talmente cattivo da non potersene avvantaggiare, una volta lasciata questa vita. È in questa vita perciò che si acquista ogni merito, che consente a ciascuno di ricavarne sollievo o oppressione. Nessuno però s’illuda di guadagnarsi presso Dio, al momento della morte, quanto ha trascurato quaggiù. Quindi tutte le pratiche solitamente raccomandate dalla Chiesa a favore dei defunti non sono contrarie all’affermazione dell’Apostolo: Tutti dovremo comparire davanti al tribunale di Dio, ciascuno per ricevere la ricompensa per quanto ha fatto finché era nel corpo, sia in bene che in male; anche il merito di potersi giovare di queste cose, infatti, ciascuno se l’è procurato finché viveva nel corpo. Ma non tutti se ne giovano: e perché mai, se non perché ciascuno ha condotto, finché era nel corpo, una vita diversa? Ora, dal momento che vengono offerti sia i sacrifici dell’altare sia di qualunque altra elemosina, essi rendono grazie per chi è veramente buono; intercedono per chi non è veramente buono; per chi poi è veramente cattivo, non potendo in alcun modo aiutare i morti, cercano in qualche modo di consolare i vivi. Per quanti poi se ne giovano, il giovamento comporta o la piena remissione o almeno la possibilità di una condanna più tollerabile.

Secondo la Bibbia non ha valore pregare o chiedere intercessioni per i morti. Vediamo a tale proposito questo passaggio della Lettera agli Ebrei (9, 27-28):

E come è stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio, così anche Cristo, dopo essere stato offerto una volta sola, per portare i peccati di molti, apparirà una seconda volta, senza peccato, a quelli che l'aspettano per la loro salvezza”.

In ultima analisi consideriamo ciò che insegnò Agostino sul concetto di salvezza.
Durante la vita di Agostino ci fu un monaco britannico di nome Pelagio che sosteneva che non vi sia necessità della Grazia divina: l’uomo è capace da solo di scegliere il bene. In pratica per Pelagio l’uomo con il libero arbitrio sarebbe capace di salvarsi.  La posizione di Pelagio era contraria al Cristianesimo apostolico secondo il quale nessuno, senza la Grazia, può salvarsi. Tuttavia i primi cristiani hanno sempre sostenuto che i credenti hanno comunque un ruolo nella loro salvezza. Vediamo a tale proposito questo passaggio della Lettera agli Efesini (2, 8-9):

Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti;

Secondo questo passaggio neo-testamentario il credente si salva per Grazia e per fede. Egli deve essere disposto a rinunciare al mondo e portare la sua croce. Quindi, la salvezza dell’uomo viene, secondo la Bibbia, da Dio, ma anche dall’uomo.
Agostino, per controbattere le tesi di Pelagio sostenne l’esatto opposto, ossia che in seguito alla caduta di Adamo, l’uomo è completamente incapace di salvarsi. Inoltre l’uomo non è libero di scegliere se credere o no, ma dipende totalmente dalla Grazia di Dio. Dio è colui che decide se salvare una persona o condannarne un’altra. Secondo Agostino, prima della creazione del mondo, Dio ha predestinato chi sarebbe stato salvo e chi sarebbe stato condannato. Inoltre, sempre secondo Agostino, nessuno può fare nulla in questa vita per modificare questa situazione: gli eletti non possono perdere la salvezza, mentre i non eletti non possono guadagnarla. Questi concetti sono stati espressi nel suo libro “la predestinazione dei santi” (3). E’ vero che il concetto di predestinazione è biblico, nel senso che Dio essendo onniscente conosce fin da prima della creazione chi si salverà e chi no (come si evince dalla Lettera ai Romani 8, 29-30), ma è anche vero che Dio ha dato all’uomo la possibilità di scelta. Se l’insegnamento dogmatico di Agostino fosse giusto quale sarebbe stato il senso di questi passaggi dei Vangeli
 
Vangelo di Matteo (7, 21-27):

Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande».


Per quale motivo ci avrebbe esortato a costruire la nostra casa sopra la roccia se la decisione della nostra salvezza o della nostra condanna fosse stata già presa da Dio prima della creazione del mondo?

Vangelo di Matteo (9, 13):

“Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato”

Per quale motivo Gesù ci avrebbe avvertito di perseverare fino all’ultimo se non ci fosse nulla che noi potremmo fare per perseverare?
Ed inoltre, per quale motivo Gesù ha ordinato agli Apostoli di portare il Vangelo a tutte le nazioni, se la predicazione degli Apostoli non poteva cambiare nulla in riferimento alla salvezza o alla condanna delle persone?
Inoltre, per quale motivo Agostino sosteneva che gli eretici come Pelagio dovevano essere perseguitati e messi a tacere? Secondo la logica di Agostino gli eletti non possono perdere la salvezza mentre i non eletti non possono guadagnarla, quindi gli insegnamenti di Pelagio non avrebbero potuto fare alcun danno.
  Come vediamo Agostino d’Ippona, il grande filosofo che riuscì a completare e superare il platonismo, interpretandolo come un preambolo al Cristianesimo, contribuì anche all’introduzione di dogmi e concetti non propriamente biblici, che influirono in negativo per molti secoli sulla civiltà occidentale.
 
Nell'immagine, Agostino d'Ippona di Botticelli.


Note:
1-http://www.augustinus.it/italiano/contro_fausto/index2.htm
2 Somma teologica,  IIª-IIae q. 40 art. I
3-La predestinazione dei santi cap. 16-19
Documento inserito il: 27/12/2016
  • TAG: san agostino, ippona, cristianesimo, vangelo, platonismo, impero romano, religione

Articoli correlati a Impero romano


Note legali: il presente sito non costituisce testata giornalistica, non ha carattere periodico ed è aggiornato secondo la disponibilità e la reperibilità dei materiali. Pertanto, non può essere considerato in alcun modo un prodotto editoriale ai sensi della L. n. 62 del 7.03.2001.
La responsabilità di quanto pubblicato è esclusivamente dei singoli Autori.

Sito curato e gestito da Paolo Gerolla
Progettazione piattaforma web: ik1yde

www.tuttostoria.net ( 2005 - 2023 )
privacy-policy