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Il promontorio del Priamar di Savona prima della fortezza cinquecentesca e la cattedrale perduta

di Francesco Servetto


Chiunque giunga a Savona, al giorno d’oggi, non può far altro che notare l’imponenza e la maestosità della fortezza del Priamar, struttura arroccata sull’omonimo colle e sorta nel 1542, su progetto dell’ingegnere Giovanni Maria Olgiati, per decisione di Genova, in seguito all’affermazione della Superba nel panorama politico territoriale di allora. Erano anni in cui Savona appoggiava il re di Francia Francesco I, mentre la rivale sosteneva l’imperatore Carlo V d’Asburgo.
Già nel 1528, con la sconfitta delle truppe francesi nella battaglia di Pavia, era stato interrato il porto savonese e, dopo il 1536, a causa della paura di un rovesciamento dello status quo per l’inedita alleanza tra Francia e Impero Ottomano, la città di san Giorgio prese la decisione di creare una fortificazione che fungesse da baluardo difensivo, in un punto tanto strategico. Il suo nucleo attuale non è dunque il più antico, tantomeno rispecchia l’abitato come si presentava in principio.
Per l'origine del nome, sono state formulate due ipotesi. La prima contempla l'espressione “pria-a-ma”, cioè, “lapis ad mare”, pietra proiettata sul mare, la seconda, maggiormente attendibile, considera le parole “pria -mâ”, “pietra mala”, cattiva o friabile. Originariamente, il colle era formato da tre alture, due che compongono l'odierno nucleo della Cittadella e del Maschio ed una terza, interamente sbancata nel XVIII secolo, che si sviluppava a nord, scendendo sino a formare l'insenatura del porto. L’archeologia ha riportato alla luce prove che attestano una frequentazione del territorio già a partire dall’Età del bronzo: il promontorio su cui sorgeva l'insediamento era collegato alle estremità appenniniche che, alle spalle della città, degradano verso il mare, garantendo una posizione ottimale per la difesa e per le comunicazioni, con una strategica struttura orografica alle spalle. Oggi, il panorama è decisamente cambiato. Nel tempo, infatti, il promontorio roccioso su cui attualmente sorge la fortezza è andato incontro a numerosi cambiamenti strutturali, per l’azione umana e non solo, subendo una riduzione della propria area. Risulta, perciò, piuttosto difficile operare una ricostruzione affidabile delle originarie condizioni del luogo. Se l’accumulo di sedimenti portati dal moto ondoso ha, naturalmente, esercitato un ruolo degno di nota, le opere umane, tuttavia, paiono essere le principali responsabili dell’attuale conformazione, specialmente dopo i cantieri sorti nel XVI secolo, quando Genova eresse la fortezza.
A livello geologico, si può descrivere il colle come un massiccio gneissico rimasto affiorante durante il pleistocene, quando il mare sommergeva la terra, sino alla base dell’attuale colle di Monticello, nella zona ove ora sono situate via Pia e via Chiabrera, in quella piccola piana adagiata tra i due promontori, su cui sorge il centro storico. Sulla dorsale in oggetto, insieme ai colli Priamar e Monticello, sorsero i primi insediamenti umani in epoca preistorica, come suggerito dal ritrovamento di quattro manufatti in selce da parte di Niccolò Mezzana ad inizio’900, in un terreno sito all’inizio dell’odierno Corso Italia, alle falde del colle vero e proprio che, va ricordato, all’epoca occupava uno spazio decisamente maggiore rispetto all’attuale. In quella che si chiamava Piazza Mazzini, oggi via Lavagna, furono rinvenute alcune tombe preistoriche paragonabili a quelle rinvenute nelle caverne del Finalese, tuttavia prive di suppellettili che consentano una datazione. I primi reperti storici furono trovati nel 1852 nella zona di Monticello, durante i lavori di costruzione del teatro Chiabrera. Si tratta di una serie di oggetti di epoca romana, in bronzo, alcune fibule e un cucchiaio, un tempo conservati dallo storico Tommaso Torteroli e oggi purtroppo perduti. Nel 1882, nei dintorni della ex chiesa di San Francesco, vicino al duomo, furono rinvenute alcune anfore, di cui per una, di forma Dressel 11, è possibile indicare una datazione, riferibile al I secolo. Sempre ai primi anni del XX secolo va ricondotto il ritrovamento di una moneta in bronzo, conservata all’epoca al Museo Civico, ma oggi smarrita, classificabile tra le monete siculo-puniche o sardo-puniche, risalente al III secolo p.e.v. Tre tombe scavate nella roccia furono rinvenute negli anni 1887-1889 alle falde del promontorio, della cui descrizione si occupò il Mezzana, compilando un elenco di oggetti dei corredi, senza tuttavia preoccuparsi di effettuare alcun tipo di riproduzione visiva. Ad oggi, non è possibile uno studio sul reperto, poiché, durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, il Museo Civico che lo ospitava fu pesantemente danneggiato. Lo storico Pietro Barocelli ha proposto una datazione riconducibile alla tarda età romana, per via di analogie con i cosiddetti “massi avelli” dell’area di Como. Tre oggetti in bronzo furono preservati dalla distruzione: due anelli, di cui uno con castone privo di pietra, e un oggetto su cui sono rappresentate due piccole teste di scimmia, probabilmente parte di un’impugnatura di una spada o di un pugnale.
Per quel che concerne le numerose monete descritte dal Mezzana, di epoca imperiale, esse non sono più disponibili, in quanto finite in collezioni private o altrove. Nell’area della fortezza, alcune tombe di età romana, del tipo alla cappuccina, furono rinvenute nel 1903; in esse, l’unico oggetto utile per una datazione, un frammento aureo con decorazione a traforo, non è più disponibile, ma sono rimaste solo alcune tegole. Nel 1958, a circa quattro metri di profondità, ai piedi della fortezza, fu trovata una moneta in bronzo, piuttosto corrosa, con una testa virile su una faccia e un’aquila su fulmine sull’altra, catalogabile tra quelle coniate nell’arco temporale tra il 282 e il 203 p.e.v. dai Bruzi. Nello stesso anno, furono rinvenute una moneta romana di età imperiale bronzea, corrosa e illeggibile, frammenti di tegole romane, un’ansa di un’anfora, frammenti di terra sigillata sud-gallica del I secolo ed un frammento di terra sigillata chiara, anch’esso del I secolo. Lo storico Vittorio Poggi parla dell’esistenza di un epigramma nell’antico chiostro della Cattedrale di Santa Maria sul Priamar, secondo le parole di antichi cronisti, di cui si sa solo che era riferita ad un quattuorvir e, probabilmente, citava il nome di una tribù.
La prima citazione storica certa di Savona è presente negli Ab Urbe condita Libri di Livio: l’anno è il 205 p.e.v., durante la seconda guerra punica, allorché il generale cartaginese Magone prende possesso di Genova e, lasciato il bottino a Savona, “Savone oppido alpino praeda deposita”, insieme a dieci lunghe navi, si allea con gli Ingauni per combattere le popolazioni stanziate sui monti. La posizione è strategica, sicura: da qui, si dipanano i valichi migliori per l’accesso alla pianura padana, dove il cartaginese conta di trovare sostegno. Verrà tuttavia sconfitto nella Gallia Cisalpina, si ritirerà con le truppe proprio a Savona, quindi riprenderà il mare per tornare in patria.
Bisognerà attendere l’Alto Medioevo, per la precisione il VII secolo, perché la città torni a godere di una discreta floridità, riprendendo a recitare il ruolo usurpatole dalla vicina Vado, che durante l’età di Pertinace (regnò per tre mesi, nel 193) era divenuta Municipio, con i propri cittadini ascritti alla gens Camilla, quindi con il successivo avvento del cristianesimo era stata centro della diocesi, modellata sul Municipio stesso. I tempi ora sono, dunque, decisamente cambiati, i cittadini dell’area necessitano di far capo ad un luogo sul mare aperto ai traffici commerciali e difendibile, soprattutto per via del castrum edificato su un promontorio dominante. I secoli appena trascorsi hanno visto scorrerie dei pirati Vandali, guerre durante il declino dell’Impero (come lo scontro tra Odoacre e Teodorico), l’invasione del burgundo Gundobaldo, la guerra goto-bizantina con le sue atroci devastazioni, la campagna del re franco Teodeberto: non è sopravvissuto alcun resoconto esaustivo degli effetti di tali eventi, tuttavia essi concorsero facilmente ad aumentare l’accentramento della popolazione nell’area savonese, nonché le misure di difesa. La città sarà risparmiata durante l’invasione longobarda del 568, restando in orbita bizantina, godendo di un modello sociale degno delle restanti parti dell’Impero, come si evince dall’indagine archeologica, che ha riportato alla luce una necropoli bizantina sotto la loggia del Castello nuovo, costruzione più tarda. All’epoca, sulla rocca del Priamar era stata edificata una chiesa in stile bizantino, dedicata a Maria, molto probabilmente sulle ceneri di un antico tempio pagano. Paolo Diacono racconta, nella sua Historia Longobardorum, che nel 641 il re Rotari espugnò le città e i castelli dal Magra al Varo e, tramite Fredegario Scolastico, sappiamo che Savona fu sottoposta ad un particolare trattamento, devastante, con la popolazione ridotta in schiavitù, a causa della tenace resistenza opposta. Vado fu invece risparmiata, divenne sede episcopale e il Castellum Saonense, dopo la distruzione di Rotari, entrò a far parte dei beni della chiesa vadese, come conseguenza della restituzione del patrimonio delle Alpi Cozie alla Chiesa romana, decretata da re Ariberto nel 706 e ratificata da re Liutprando nel 715. Nei primi anni dell’VIII secolo, la città avrebbe assistito ad una ripresa, anche per via dei profondi cambiamenti avvenuti nella società longobarda sotto l’influsso del cristianesimo.
Con Carlo Magno sono disposti i Comitati di Ventimiglia, Albenga, Vado, Genova e Luni, modellati sulla diocesi, quindi sull’antico municipio romano. Il vescovo di Vado dovrà vedersela con tempi difficili, in mezzo alle lotte feudali tra laici ed ecclesiastici, tra conti e vescovi, insieme al pericolo saraceno proveniente da Frassineto, nella vicina Provenza, dove nell’889 si era stabilito un nucleo di mori provenienti dall’Andalusia. Alcuni anni prima, nell’882, Carlo il Grosso aveva emanato un editto col quale concedeva a tutti i vescovi d’Italia l’esenzione dalle pubbliche servitù e gravezze, con ulteriori immunità e privilegi per le terre di loro proprietà e per gli uomini ivi residenti. Sappiamo, da un placito tenuto da Oldorico conte di Asti, di una vertenza tra il vescovo di Torino e il vescovo di Asti riguardo alcuni beni posti in
, che il vescovo di Savona, il cui nome è ignoto, aveva sul Priamar: chiesa, castello e poderi, con uomini propri, anch’essi beneficiati dall’immunità ecclesiastica in virtù del suddetto diploma carolino. Importante il fatto che il vescovo è definito savonese e non vadese, anche perché per ancora un secolo si assisterà ad un’oscillazione nella definizione tra le due aree territoriali. Nel 992 è rogato l’atto di fondazione del monastero di Sant’Eugenio sull’isola di Bergeggi nel palazzo vescovile di Santa Maria del Castello.
Nel gennaio del 998, Ottone III con un proprio mundiburdio da Roma conferma al vescovo il possesso della chiesa di Santa Maria del Castello con le relative pertinenze e decime. Ci saranno un altro paio di disposizioni imperiali, atte a confermare i diritti vescovili, dai cui atti si evince della presenza sul promontorio di edificiis, capella, un palazzo episcopale cum turri, curte et mansionibus nell’area del castello; pochi anni dopo, nel 1014, Enrico II confermerà i diritti dell’allora vescovo Ardemanno, segno che oramai non sussistono più dubbi sull’ubicazione ufficiale della sede episcopale.
Dall’XI secolo, si iniziano ad avere notizie più precise riguardo la tipologia di edifici ospitati sul promontorio, che possono essere suddivisi in religiosi, come la stessa Cattedrale di S. Maria, l’Episcopio, la Chiesa conventuale di San Domenico, gli Oratori e i Monasteri, strutture militari, come il Castello di San Giorgio, quello di Santa Maria, il Castello Nuovo, eretto nel 1417 e ampliato nel 1437, gli stabilimenti portuali, come l’Arsenale, gli Istituti di beneficenza, tra i quali tre ospedali, probabilmente alloggi dei canonici, gli edifici privati, quindi le strade e le piazze. Per quel che concerne la Cattedrale, vari storiografi savonesi, tra cui Vittorio Poggi, affermano che con buona probabilità essa fu costruita sulle rovine di un tempio pagano. Nell’anno 887, essa esisteva già, come si è visto, e non mancano datazioni più audaci, come quella proposta da Giovanni Vincenzo Verzellino, di per sé poco credibile, che la vedrebbe eretta nel I secolo, dedicata a Santa Maria Maggiore e consacrata all’Assunzione di Maria. Costantino in persona l’avrebbe visitata nell’anno 313, quindi nel 1490 Giuliano della Rovere, vescovo di Savona, l’avrebbe ampliata.
Storicamente, è più plausibile affermare che essa fu costruita durante l’età tardo-antica, facilmente sulle rovine di un tempio pagano, risentendo degli influssi stilistici bizantini ed il fatto che sia definita Cattedrale concorre a ritenere che, come di norma all'epoca, fosse la prima chiesa, nonché la più importante costruita in città.
Nel dicembre del 1517, dopo un viaggio di oltre sei mesi attraverso i principali centri europei, il cardinale Luigi di Aragona, nipote del re di Napoli Ferdinando I (1433-1494), fa il suo ingresso nella Liguria occidentale, accompagnato da un seguito di più di quarantacinque persone. Il suo itinerario ha toccato svariate città, quali Ferrara, Verona, Costanza, Strasburgo, Colonia, Parigi, Tours, seguendo direttrici nord-sud dai Paesi Bassi alla valle del Rodano e est-ovest dalla pianura padana alla valle della Loira. Tramite il suo diario di viaggio, compilato dal canonico Antonio De Beatis, è testimoniato un quadro vivo dell’Europa del tempo; la Liguria si mostra con tutto il suo fascino, con le “grandi et bellissime case” nella zona di Ventimiglia, con il rigoglioso paesaggio agricolo di San Remo “li più belli, folti, grandi et fructiferi boschi de agrumi che habia anchor visto, et tanta quantità de palme”, passando tuttavia anche per strade che, a suo dire, non meritano citazione, come la “pessima via” che da Porto Maurizio conduce ad Alassio, che diventa addirittura ”tristissimo cammino” quando, da Alassio si dipana in direzione Finale Ligure, passando attraverso borghi come Loano, “che è poca cosa”. Finale è la sede dei Del Carretto e si vede: bei palazzi, fortificazioni, ed il monastero olivetano di Finalpia, “dicto de la Madonna de Finale, che è devotissimo”. Noli, un tempo rigogliosa, ha perduto autorevolezza “per certe maledictione havuta da la sedia apostolica (la realtà è differente, poiché l’interdetto del 1227 risulta lanciato dal vescovo di Savona, il Beato Alberto) povera, ruinata per gran parte e senza nave alcuna”.
La città di Savona ottiene una pagina intera nel resoconto di viaggio, elemento piuttosto degno di nota poiché, è bene ricordare, essa ha dato i natali a due papi, Sisto IV (1414-1484) e Giulio II (1443- 1513). La città appare, agli occhi del cardinale, piuttosto gradevole, con un centro antico sul colle del Priamar, e la restante parte alle sue pendici, con un porto “grande et securo”, forte di una posizione orografica citata e apprezzata già nel XII secolo dal cronista e geografo arabo Al-Idrisi, nonché nel XIV secolo dal Petrarca. Nella lettera Familiares VII, 12, come macigni le sue parole si scagliano sulla città, nell’anno in cui la peste nera si porta via proprio a Savona l’adorato nipote Franceschino degli Albizzi, partito dalla Provenza, per raggiungerlo in Emilia, fintantoché, scacciata la rabbia e recuperata la ragione, afferma “e a te, città bellissima che nel tuo seno depositato quel mio tesoro custodisci, fatto senno alla fine rendo grazie”. La descrizione di Savona da parte del cardinale Luigi di Aragona prosegue, focalizzando l’attenzione sul quartiere del Priamar, che si erge sul mare e sulla cui cima si staglia la cattedrale “grande ecclesia […] bella et bene intesa”, il cui rivestimento è, come tipico del romanico e del gotico ligure, in pietra bianca e nera, particolare non citato in altre fonti precedenti. All’interno, un elenco di pregiate opere d’arte, come il coro intarsiato opera di Anselmo de Fornari, Elia de Rocchi e Gio, Michele Pantaleoni, realizzato tra il 1500 ed il 1518, racchiuso da una cancellata in ottone, a cui lavorarono il maestro Gerolamo da Brescia sive de Bergamo e l’orefice Cattaneo Sansone, o come la pala d’altare “bella grande et ricca” di Vincenzo Foppa e Ludovico Brea, datata 1490. Una cripta di pregevole fattura, quindi, con due loggette intorno all’abside, che “riguardano sopra il mare, di grandissima vista et piacere”.
Uscendo, il cronista nota sopra di sé “un sopporticale de la ecclesia”, molto probabilmente un protiro, quindi percorre una scalinata in marmo e pietra nera di Alassio, terminata tra il giugno 1516 ed il gennaio 1517. Un mosaico sul selciato, composto da ciottoli di mare, secondo l’usanza ligure, rappresentava le armi della città e dei Fregoso, in quegli anni al potere a Genova, Ottaviano governatore e il fratello Simonetto luogotenente a Savona, ed un distico elegiaco, anch’esso in ciottoli, avvertiva lo spettatore che la cattedrale era stata preservata nel tempo, oltre le avversità, in memoria della bontà divina. Un sagrato a quadrelle in marmo bianco e nero, quindi una piazza mattonata per intero, con al centro un grande albero. Guardando verso il lato opposto, spiccava il palazzo vescovile, “comodissimo, bene in ordine con suo zardino assai bene inteso, et ornato si de picture, come di conzi tucti marmorei”, della cui manutenzione e rinnovamento si era occupato, quando ancora era cardinale, Giuliano della Rovere, poi papa Giulio II.
Un altro interessante resoconto autoptico, risalente al 1525, è quello stilato dal notaio Ottobono Giordano, il quale compie un itinerario intorno alle mura cittadine, per poi entrare in città attraverso la porta di San Giovanni, percorrendo l’antico nucleo urbano, passando per le piazze della Maddalena e del Brandale, per giungere al Priamar. Qui entra nell’antica Cattedrale dalla porta di sinistra, da quella di destra e da quella centrale, stilando una descrizione accurata dell’edificio e delle strutture adiacenti. Sul promontorio, spicca il Castello Nuovo, imponente sullo sperone roccioso che, attualmente, ospita il Maschio della Fortezza, a picco sul mare. Ad ovest, il nucleo dell’antica sede episcopale in cui erano ubicati la Cattedrale, il Battistero, il palazzo vescovile, il Palazzo dei Canonici e altri edifici sacri. La cittadella episcopale, dunque, era situata nella “amena et amplissima piazza” su cui sorgeva il duomo con il proprio abside sullo strapiombo, alla cui destra sorgeva il Palazzo del Vescovo, “uno bellissimo palazzo con uno suavissimo giardino”, nel lato della piazza che si rivolgeva alla città. Adiacente alla navata di sinistra della Cattedrale, si trovava il Battistero, con sette altari, a pianta ottagonale, piuttosto antico, inscritto in un quadrato, come si trova nella città episcopale di Frejus e in altre città provenzali. Una loggia era sita lungo il perimetro dell’abside, contraddistinta da archi aperti sul mare, ed offriva una sontuosa vista sulla costa. Dal lato destro dell’abside, si trovavano la Loggia o Chiostro, il Palazzo dei Canonici (Capitolo), decorato con statue dei vescovi, e l’Oratorio di N.S. del Castello, insieme ad un piccolo convento di recluse. Sul lato occidentale del pendio, si trovavano dieci piccoli oratori, incastonati nella roccia.
Abbiamo un resoconto anche del Torteroli, il quale la definisce “di gotica struttura, elevavasi sopra colonne di marmo bianco e di nero; aveva tre navi con cappelle incavate [...] il Sancta Sanctorum e il coro erano più del restante elevati sopra sotterranee cappella dedicata alla SS. Trinità”.
Nel nuovo duomo, furono trasportate le scanzelle del coro monumentale, un vero e proprio capolavoro, risalente ai primi anni del XVI secolo, utile per farsi un’idea delle effettive dimensioni della Cattedrale; sappiamo dal Poggi che il coro antico venne adattato al nuovo abside, tagliando quattro scanni per parte, cosicché pare evidente quanto le dimensioni dei due edifici religiosi fossero differenti, a vantaggio del più antico. Nel 1528, fu stabilita una cantoria, la zona riservata ai cantori del coro, per mano dell’abate Bartolomeo della Rovere e sappiamo che un organo era già ivi presente, in quanto numerose sono le precedenti disposizioni del Comune, sopravvissute, che si proponevano di accordarlo, ripararlo o di affidarlo ad un musicista esperto. Furono inoltre negli anni erette numerose cappelle, come le due concesse a Francesco Spinola nel 1532, o quella fatta costruire da Tommasina Vegerio dedicata ai santi Cosma e Damiano, o ancora quella che il vescovo di Noli Vincenzo Bavero fece costruire nel 1537.
Nel 1538, la Cattedrale fu rinchiusa nella nascente nuova fortezza, nonostante le rimostranze del vescovo Giacomo III Fieschi e della cittadinanza. Nel 1543, tra il dolore della popolazione per l’abbandono della chiesa, venne trasferito il Corpus Domini e “portato in Santo Petro” dai Massari del Duomo.
I numerosi tesori all’interno della struttura andranno perlopiù perduti, dispersi in anni in cui il Comune si trovava in grossa difficoltà e non possedeva i mezzi per salvaguardare il proprio patrimonio artistico, ed a poco servì la disposizione degli Anziani, i quali, nel 1589, decisero di spendere cinquanta lire per salvare alcune pietre originarie, “in astregando astregum ecclesie veteris de Castello in ea parte in qua erant illi lapides marmorei capti pro ponendo in nova ecclesia”. Nel 1590, la vecchia cattedrale era ancora in piedi, ma era già utilizzata per scopi profani, persino come caserma per i soldati. Nel 1595, vi fu la distruzione, come si evince dagli Atti degli Anziani, che, preoccupati di salvaguardare quattro colonne di marmo, disposero una spesa di cento lire, come ultimo gesto di estrema pietà per un luogo che aveva visto fiorire nei secoli le speranze e le gioie di una città intera.


Nell'immagine, l'imponente mole della fortezza del Priamar a Savona.


Bibliografia

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Documento inserito il: 18/01/2024
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