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L’arte della magia e dell’alchimia nel medioevo di Michele Scoto.

di Katia Bernacci


“Che veramente delle magiche frode seppe il gioco”, così Dante Alighieri definiva Michele Scoto nel ventesimo canto dell’Inferno. Scoto, nato attorno al 1190, conosceva le scienze, le lingue e aveva portato il proprio sapere presso numerose corti, come Palermo, Parigi, Roma, Bologna e Toledo. Aveva anche fama di essere un mago. Dal 1220 si era insediato alla corte di Federico II, il grande mecenate dall’ottimo intuito che invitava alla propria corte numerosi indovini e astrologi, definito in seguito regnante illuminato, che promuoveva la cultura, le traduzioni e le riscoperte di opere del passato.
La società cortese di allora si divideva in parti uguali quando si trattava di dare un giudizio su Michele Scoto, c’era chi lo odiava, ritenendo che la sua reputazione fosse stata auto-costruita, e chi invece lo adorava, sostenendo che fosse un genio assoluto, che padroneggiava anche le arti magiche, come si può leggere in un brano riportato da Walter Scott, dove si sostiene che Michele riuscisse, con la sola bacchetta magica, a far suonare le campane di Notre-Dame dalla lontana Salamanca.
Esagerazioni verosimilmente, ma ciò non toglie che Michele avesse una reputazione di tutto rispetto nel campo magico. Boccaccio sostenne che fosse maestro di “nigromanzia”, suggerendo che l’uomo conoscesse alla perfezione le arti dell’oscurità (vi era infatti una differenza tra negromanzia, divinazione legata all’oscurità e a quanto è sconosciuto, e necromanzia, arte di contatto con i defunti; diversità che con il passare del tempo è andata perduta).
Michael Scot, il suo nome di nascita, era probabilmente diventato un capro espiatorio della Chiesa, che avrebbe voluto dimostrare che Federico II portava avanti delle pratiche legate al demonio. Lo scienziato faceva in ogni caso parte di un gruppo di sapienti che dovevano lavorare allo sviluppo delle conoscenze della corte di Federico, che amava anche metterli in condizione di avere alterchi e discussioni, per poter far fuoriuscire la vera essenza e far funzionare il mondo delle idee. Tra gli “sviluppatori” c’era anche Leonardo Fibonacci, quello delle famose teorie matematiche della successione aurea, e che, tra l’altro, dedicò il suo libro proprio a Scoto. Anche Federico II doveva essere affezionato a Scoto, perché lo portò con sé in diverse missioni nei paesi arabi e persino in Terra Santa nel 1228, in occasione della sua partenza per la Sesta Crociata.
Michele era talmente interessato alla magia che ne scrisse ripetutamente, come nel caso della sua opera Liber Introductorius, dove emergono alcune sue tematiche, come la futura venuta dell’Anticristo. È probabile che avesse assunto parte delle informazioni attraverso la traduzione di testi arabi, in ogni caso la descrizione del mondo attraverso i suoi scritti è affascinante: l’Universo intero è composto da nove sfere, circondate dalle acque celesti. Tra gli spiriti elementari, (gli uomini) e la divinità sono collocati gli angeli, che mettono in contatto le due parti creando la possibilità di comunicare le richieste, in modo che si manifestino i miracoli; il mondo è però composto anche da diavoli, gli stessi che bisogna stare attenti a non evocare durante le preghiere, perché non sempre gli angeli riescono a sconfiggerli!
Nella sua idea della natura, l’uomo è il depositario di tutto ciò che gli serve anche per la cura, riuscendo ad usare le piante, i minerali e le emanazioni della terra. Davvero parrebbe, leggendo le sue affermazioni, che Scoto sia stato uomo lungimirante, infatti consigliava anche ai medici di verificare diversi elementi nelle malattie dei loro pazienti, come le urine, il colore della pelle, ma anche i dispiaceri, gli incidenti e i problemi ripetuti. Con questo comportamento Scoto si pone tra i primi sostenitori della medicina psicosomatica, precorrendo sicuramente i tempi. Secondo gli studi della Federici Vescovini, (docente di filosofia e autrice del libro “Medioevo magico”) Michele Scoto è il proto alchimista, uomo che anticipa i suoi tempi e allo stesso tempo riesce con furbizia da un lato a sostenere la Chiesa affermando che non si deve praticare la magia oscura e dall’altra scrivendo interi manuali dedicati a questa pratica e alla manipolazione della realtà.
È questo forse uno degli elementi più interessanti della vita di Michele Scoto, che lo fa diventare ancora più moderno di quello che potrebbe sembrare a prima vista.


Nell'immagine, Michael Scot in un'immagine della Bodleian Library.


Documento inserito il: 17/06/2024
  • TAG: Michele Scoto, Federico II, negromanzia, necromanzia, alchimia

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