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Le repubbliche oligarchiche in Italia

In alcune città come Firenze, Siena, Lucca, Genova e Venezia, la Signoria non riuscì mai ad insediarsi stabilmente, oppure lo fece in ritardo rispetto al resto d'Italia. Questo stato di cose era dovuto alla presenza in queste città di una potente oligarchia mercantile, che dominava la scena politica interna. A Venezia il potere era gestito da un centinaio di famiglie di grandi mercanti, armatori e banchieri. I diversi moti popolari che nel tempo tentarono di sovvertire questo potere, vennero sempre soffocati nel sangue. Nel 1297, un atto definito Serrata del Maggior Consiglio, ridusse ulteriormente il numero delle famiglie che avevano il diritto di partecipare al Consiglio Maggiore, che rappresentava il più importante organo legislativo della repubblica. Queste famiglie vennero iscritte, come si usava all'epoca, nel Libro d'Oro della nobiltà veneziana. Contro queste restrizioni si levarono molte proteste, la più nota delle quali fu quella messa in atto da Martin Bocconio, un ricco popolano che nel 1300 ordì una congiura destinata a fallire: scoperto, egli venne giustiziato insieme a tutti gli altri cospiratori. Dieci anni più tardi furono due famiglie nobili, i Querini e i Tiepolo a porsi alla testa di un movimento al quale partecipò anche una parte della popolazione veneziana. Anche questo tentativo fallì ed i capi della rivolta vennero giustiziati o condannati all'esilio perenne. Dopo questi eventi, il governo veneziano assunse caratteri sempre più oligarchici: fra tutte le famiglie iscritte al Libro d'Oro, solo una quarantina erano quelle che effettivamente gestivano il potere politico in città, passandosi a turno le magistrature di anno in anno. Fra le magistrature veneziane, assunse sempre più importanza il Consiglio dei Dieci, nato come tribunale per la difesa della Costituzione, ma divenuto in seguito l'organo supremo di governo effettivo della Repubblica di Venezia, mentre i poteri del Doge erano minimi, poco più che nominali. Il Consiglio dei Dieci manteneva il dominio dell'oligarchia mediante sistemi poco ortodossi quali lo spionaggio praticato tra i vari ceti della popolazione, gli arresti ed i processi segreti, ai quali facevano seguito delle esecuzioni capitali altrettanto segrete. La sua vigilanza si estendeva agli stessi componenti dell'oligarchia: la vittima più illustre di queste forme di controllo, fu il doge Marin Faliero, che nel 1355 venne improvvisamente arrestato e decapitato poco dopo, con l'accusa di aver cospirato per divenire signore di Venezia; alcuni suoi amici appartenenti al ceto popolare, vennero impiccati alle finestre del Palazzo Ducale. Fra di essi figurava Filippo Calendario, uno dei costruttori del palazzo. Grazie a questi esempi, l'oligarchia riuscì a mantenere saldamente le redini del potere, aiutata in questo anche dalla floridezza economica di cui godeva la città. A differenza di Venezia, la politica a Genova era sempre agitata dalla lotta fra le fazioni nobiliari in perenne contrasto fra loro. La nobiltà genovese era composta da signori feudali, che partecipavano attivamente alla vita economica cittadina gestendo in proprio le banche, il commercio e la navigazione, mantenendo contemporaneamente la propria potenza nelle campagne, dove possedevano i loro feudi e dove disponevano di propri reparti di armati. A Genova i nobili erano divisi in due fazioni principali: il partito dei Guelfi capeggiato dalle famiglie dei Fieschi e dei Grimaldi, alle quali si contrapponeva la fazione dei Ghibellini, capitanata dalle famiglie dei Doria e degli Spinola. Ma le discordie serpeggiavano anche all'interno dei due schieramenti: in alcune occasioni capitò che gli Spinola cacciassero dalla città i loro consociati della famiglia dei Doria. Questi continui contrasti danneggiavano molto il popolo che ormai stentava a nascondere il proprio malcontento per la situazione. Questo malcontento fu la causa della grande sollevazione popolare, che nel 1339 portò all'elezione del primo doge di nomina popolare: Simon Boccanegra. Al suo fianco vennero istituiti dei consigli comunali costituiti da popolani , in buona parte mercanti, mentre la maggior parte dei nobili venne costretta all'esilio. Il trionfo popolare fu però di breve durata poichè i nobili esiliati tornarono in città, dove riuscirono a comporre un governo di compromesso formato da rappresentanti della classe nobiliare e del popolo grasso. In mezzo ai tumulti del popolo minuto e della plebe, la vita politica genovese continuò a fornire un pessimo esempio d'instabilità e disordine. Anche Firenze per molto tempo fu dilaniata dalle lotte fra Guelfi e Ghibellini: si trattava nella maggior parte dei casi di lotte tra fazioni nobiliari che detenevano il potere sulla città, mentre il popolo restava estraneo a queste contese. Nel 1250, dopo la morte dell'Imperatore Federico II, la borghesia fiorentina tolse il potere ai ghibellini, istituendo il primo governo formato dai rappresentanti del popolo grasso alleato con la fazione guelfa. Questo governo durò poco a causa del ritorno dei Ghibellini capeggiati da Manfredi: alla battaglia di Montaperti, nel 1260, i Ghibellini senesi, alleatisi con quelli delle altre città toscane e dei fuoriusciti fiorentini guidati da Farinata degli Uberti, sconfissero pesantemente l'esercito di Firenze, costringendo la città ad eleggere un nuovo governo ghibellino. Circa dieci anni più tardi nel 1269, Firenze si prese la sua rivincita sconfiggendo gli avversari nella battaglia di Colle Val d'Elsa, ed espellendo dalla città in modo permanente i capi della fazione ghibellina. Tuttavia il nuovo governo guelfo che si insediò in città non fu stabile, ed i nobili stessi, a causa dei diversi interessi si suddivisero a loro volta in due fazioni: i Guelfi Neri ed i Guelfi Bianchi, che lottarono aspramente fra loro per il potere. Da queste discordie trasse profitto il popolo grasso che riuscì ad imporre notevoli trasformazioni costituzionali: venne istituita la carica di capitano del popolo, che aveva il compito di organizzare le milizie popolari; nel 1282 venne istituita la Signoria, la forma di governo fiorentina, composta dai Priori delle Arti. Questi successi vennero consolidati nel 1293 con l'alleanza tra il popolo grasso ed il popolo minuto, sotto la guida di un nobile, Giano della Bella, che era passato dalla parte della fazione popolana. Gli Ordinamenti di giustizia da lui promulgati, sancirono che nessun nobile avrebbe potuto far parte delle magistrature urbane, riservate esclusivamente a chi era associato ad un'arte. Negli anni seguenti, l'alleanza tra popolo grasso e popolo minuto si dissolse e Giano della Bella venne costretto all'esilio. Il popolo grasso stipulò un'alleanza con i Guelfi Neri e con il sostegno del papa Bonifacio VIII, nel 1302 riuscirono a cacciare dalla città i Guelfi Bianchi. Tra gli esiliati figuravano personaggi di spicco come Dante Alighieri ed il padre di Francesco Petrarca. Quando nel 1308 vennero cacciati da Firenze anche i Guelfi Neri, in città venne ad instaurarsi un governo composto da ricchi popolani appartenenti alle sette arti maggiori: l'arte di Calimala, che importava i tessuti grezzi e li riesportava una volta lavorati; l'arte della Lana, che importava le lane grezze traendone tessuti di qualità; l'arte del Cambio, che comprendeva i banchieri ed i cambiavalute; e le arti della Seta, dei Pellicciai, dei Giudici e Notai, e l'arte dei Medici e Speziali. A tutte queste arti appartenvano i proprietari di grandi botteghe o laboratori di tipo industriale più che artigianale, che in quell'epoca erano estremamente importanti. Il peso maggiore apparteneva comunque ai mercanti dediti al commercio internazionale, ed ai banchieri, titolari delle famose banche fiorentine, i cui affari si estendevano per tutta la cristianità, fino al punto da dare loro il primato europeo. L'unione fra il popolo grasso ed il patriziato dei Guelfi Neri, diede origine alla nuova nobiltà fiorentina , chiamata dei Grandie composta da non più di una quarantina di famiglie. Anche Firenze si trasformò quindi in una repubblica oligarchica al pari di Genova e Venezia, rimanendo tale per circa un secolo, nonostante le frequenti manifestazioni capeggiate dagli appartenenti alle arti minori e dalla numerosa plebe, che era esclusa sia dalle arti che dal governo.


Nell'immagine, la Sala del Maggior Consiglio del Palazzo Ducale di Genova, nella quale si riunivano in assemblea i rappresentanti più in vista della Repubblica di Genova

Documento inserito il: 22/12/2014
  • TAG: repubbliche oligarchiche italiane, signorie, libro oro nobiltà, consiglio dei dieci, doge, marin faliero, simon boccanegra, guelfi, ghibellini, corporazioni fiorentine

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