Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, medio evo: Gli strani divertimenti medievali: I giochi, le feste e lo Charivari
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Gli strani divertimenti medievali: I giochi, le feste e lo Charivari

Articolo di Katia Bernacci


Per quanto il Medioevo susciti nel lettore moderno un fascino senza tempo dal sapore romantico, nel quale emergono reminiscenze di un passato costellato da maghi e fanciulle da salvare, nessuno di noi ha le idee chiare sul modo di pensare degli uomini e delle donne di allora. Da un lato si tratta di un elemento positivo, che lascia spazio ai nuovi studi e, perché no, alle scoperte, soprattutto archeologiche, ma non solo, che spesso sanno stupire. D’altro canto, è facile cadere nella tentazione di immaginare un mondo del tutto fittizio, molto lontano dalla realtà. È indubbia la difficoltà insita nel calarsi in un periodo storico diverso da quello vissuto, prendiamo per esempio un elemento considerato marginale come il gioco o il tempo dedicato al divertimento, se pensassimo che i medievali fossero sempre impegnati nel lavoro, faremmo un grande errore!
Infatti i giochi, nel Medioevo, di qualsiasi tipo fossero, erano considerati una cosa seria, alla quale si destinava parte della giornata, soprattutto nei lunghi inverni o durante le feste e non solo nelle case dei ricchi.
Alcuni studiosi hanno definito come “tempo dell’attesa” i momenti medievali dedicati al divertimento: si tratta del tempo dedicato appunto ai giochi, alle feste a alla distrazione, mentre si attendeva la fine della stagione fredda, il ritorno alla normalità dopo una carestia, o il passaggio dalla notte al giorno…
I giochi erano centinaia, molti di più di quelli conosciuti oggi, che variavano da paese a paese e a seconda della possibilità economica. Gli aristocratici si cimentavano in tornei con i cavalli di legno già da piccoli, oppure a biliardo, che si giocava per terra con delle mazze, un po’ come l’hockey odierno, ma c’erano anche la palla maglio, l’antenato del golf, gli scacchi; per le giovani di buona famiglia era in voga la “mano calda”, che consisteva nel riconoscere, da bendati, coloro che toccavano la schiena del giocatore. Anche i giochi con le biglie erano famosi, si facevano correre per terra, come le bocce, oppure si tiravano in un cestino, cercando di fare centro. Per i più poveri rimanevano i giochi di strada, i dadi, nascondino, i vari intrattenimenti palle di stracci o fango.
Soprattutto erano considerati giochi divertenti i travestimenti e le “carnascialate”, le feste che richiamavano il Carnevale, con i suoi balli e le maschere, che nascondevano l’identità dei più scatenati. Le feste medievali rappresentavano anche un ribaltamento della realtà sociale, come nel caso della “festa dei folli” che si teneva a fine dicembre e che era organizzata in realtà dal Clero: un giovane chierico, incoronato vescovo dei pazzi, veniva portato presso la sede episcopale, dove vaneggiava somministrando punizioni goliardiche. Spesso il momento più divertente consisteva nel portare uno o più preti, completamente nudi, in giro per la città, dileggiandoli e innaffiandoli con acqua e altri liquidi. Queste manifestazioni, che pare avessero mutuato alcuni elementi dai Saturnali romani, subirono le prime condanne alla fine del XII secolo, poiché ritenute immorali, ma si continuò a praticarle quasi ovunque.
Una pratica molto particolare e ancora non del tutto compresa, era lo Charivari, o Capramarito; gruppi di persone si riunivano sotto le case di vedovi e vedove che si volevano risposare oppure di uomini anziani che sposavano donne molto più giovani di loro, o ancora di uomini che erano stati traditi e inscenavano un concerto rumorosissimo, dove qualsiasi oggetto andava bene purché producesse suoni terribili, che si univano alle urla dei burloni, che desideravano prendere in giro, in modo decisamente pesante, coloro che incappavano in questa sorta di gogna.
Alcuni mariti “cornuti” erano costretti a cavalcare al contrario un asino tenendo in mano la coda dell’animale. Inutile dire che quell’insolita cavalcata era accompagnata da schiamazzi, lazzi e insulti in direzione dello sfortunato. La festa veniva chiamata anche “ciabra” o “festa dell’asino”: in una testimonianza sinodale di Torino del 1624 troviamo questa indicazione: “Per le antiche constitutioni fu proibito l’abuso delle ciabre, tuttavia intendiamo, che in molti luoghi della Diocesi nostra, il capo de balli, qual abusivamente vien chiamato Abbate, con una seguita di giovani, quali anco malamente son detti monaci, vuole et estorquisce una somma de denari dalli contraenti, e recusando alcuno di pagare, detto capo de balli con suoi seguaci va a casa propria del recusante, dove fa strepiti, rumori, e atti insolenti detti volgarmente ciabra: di maniera che il più delle volte si viene a percosse e battiture”.
Lo Charivari è un’usanza che arriva dal passato, e anche se in Italia le prime attestazioni arrivano dall’Umbria del 1373, in altri paesi, come la Francia, l’usanza è molto più antica.
Queste feste burlesche avevano un forte carattere liberatorio e di equilibrio sociale, ma soprattutto riuscivano a estorcere ai malcapitati soldi o cibo, oltrepassando in molti casi (lo sappiamo dai sinodi e dalle cronache popolari) il limite della decenza.
Indubbiamente la pressione sociale era tale per cui i comportamenti scandalosi diventavano una specie di catarsi sociale, da un lato senza regole e dall’altro che si impegnava a far sì che la moralità seguisse proprio quelle regole che venivano infrante. L’intera collettività vedeva il secondo matrimonio tra due persone come un atto contro la fede, che doveva essere punito, per riconnettere il tessuto delle credenze e per espellere in un rito contestatorio i peccatori, che con le loro scelte si erano allontanati dalla voce di Dio.
L’uomo moderno è sicuramente al di fuori di simili contesti, anche se lo Charivari potrebbe somigliare vagamente alle usanze ancora vive in alcuni luoghi, nei confronti di coppie che si stanno unendo in matrimonio, è però probabile che nessuno attualmente si sognerebbe di mettere in pratica dei comportamenti trasgressivi o ricattatori. O forse no?


Bibliografia di riferimento:

Massimo Centini, La schiera del diavolo, Yume edizioni
René Cintré, Jeux, réjouissances et distractions au Moyen âge, Ouest-France
Katia Bernacci, Christian Frontino, Torino nel Medioevo, Yume edizioni

Documento inserito il: 09/02/2025
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