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Il Germanico: liste e riflessioni antropologiche nell’immaginario romano del Tardo Antico

di Matteo Gullotto


Conclusa la guerra con la Francia, il neoformato Impero Tedesco elesse Otto von Bismarck a Cancelliere del Reich. Sull’onda del rinnovato spirito tedesco, lo zelo nazionalista ispirato dal nuovo leader imperversò per tutta la Germania e prese le sembianze (come era di comune uso nel XIX secolo) di un noto condottiero dell’età classica, un simbolo che reincarnava gli ideali di indipendenza, libertà, determinazione e orgoglio nazionale: Arminio, latinizzazione di Hermann (Il Germanico). Nella città di Detmold, nei pressi della Selva di Teutoburgo, venne eretto un monumento alto 53 metri, la cui metà superiore era occupata da una statua del capo germanico forgiata in lastre di rame: l’Hermannsdenkmal si trova sulla sommità di un colle alto 400 metri slm, per ricordare a chiunque oltrepassasse il Reno che la supremazia tedesca poneva le sue radici nell’antichità. Per dare forza al messaggio nazionalista e propagandistico della Germania di Bismark, la statua fu eretta nel luogo più visibile e non dove si tenne effettivamente la disfatta di Varo, la quale, secondo i ritrovamenti archeologici, avvenne a circa settanta chilometri più a Nord dell’odierna Selva di Teutoburgo. Secondo la storiografia ottocentesca la sconfitta di Varo e il massacro di tre legioni (circa 20000 uomini comprendendo anche le truppe ausiliarie) pose definitivamente il freno all’avanzata di Roma oltre la sponda orientale del Reno.
In realtà la battaglia di Teutoburgo fu soltanto un episodio eccezionale e Arminio era solo un capo temporaneo di una coalizione che non era destinata a durare; le tribù germaniche erano troppo disunite e disorganizzate per mantenere un’autorità centralizzata; infatti, lo stesso Arminio fu assassinato dai suoi sudditi temendo che potesse acquisire troppo potere. Un avvenimento simile accadde anche nel 53 a.C., quando una confederazione di Galli Eburoni tese un’imboscata alle legioni di Cesare e riportò una vittoria paragonabile a quella della Selva di Teutoburgo. Ma ciò non arrestò l’avanzata di Cesare ad obbligare i capi Eburoni ad indossare la toga romana e ad imparare il latino, così come l’episodio di Arminio non impedì all’imperatore Tiberio di marciare nelle terre dei Cherusci e pacificare le tribù. I motivi per cui il confine romano si arrestò sulle sponde del Reno sono da ricercarsi in altre cause.
Alla morte dell’Imperatore Traiano, l’Impero Romano aveva raggiunto la sua massima espansione. Il più grande Impero della storia dell’Eurasia Occidentale si estendeva dalle coste dell’Atlantico all’Eufrate, dalla Gran Bretagna al deserto del Sahara. In Europa il suo limite massimo è stato raggiunto con l’inclusione della Dacia (attuale Romania) e le rispettive sponde occidentali e meridionali del Reno e del Danubio. I grandi fiumi erano essenziali per l'approvvigionamento delle legioni, rappresentavano una via ideale per far arrivare i rifornimenti necessari a sfamare migliaia di uomini e foraggiare gli animali da soma. Inoltre, la macchina da guerra romana poteva contare sulla disorganizzazione delle tribù germaniche e sull’arretratezza in cui vessavano quelle comunità. Ed è proprio per questioni di sottosviluppo che all’Impero Romano non conveniva occupare quelle terre.
Dopo le prime due guerre puniche, l’espansionismo di Roma era principalmente rivolto ad Oriente, verso le ricche popolazioni che si affacciavano sul Mediterraneo e le terre fertile dei Balcani e dell’area Ellenica. Espandersi in quelle zone portava enormi benefici a livello economico, nonché onore e prestigio ai condottieri che presero parte alle campagne.
Le tribù galliche, appartenenti alla cultura di La Tène, avevano sviluppato un'élite sacerdotale alfabetizzata, un’economia basata sull’agricoltura e forme di aggregazione simili a città (gli oppida), così come è testimoniato l’uso diffuso della metallurgia e delle monete per il commercio. Se pur tecnologicamente più arretrati dei Romani, i Galli rappresentavano un terreno di conquista economicamente vantaggioso e che avrebbe giustificato i costi per gli sforzi militari. Ovviamente non tutte le campagne si affidavano esclusivamente sul rapporto costo/beneficio, né tanto meno erano parametri puramente economici che spingevano i consoli e gli imperatori ad intraprendere delle campagne in terra straniera. Inoltre, non tutte le tribù celtiche erano ricche ed organizzate come quelle della Gallia. Ad esempio, i Britanni, nonostante avessero delle radici culturali in comune con quella dei Celti del continente, possedevano tecniche agricole arretrate e abitavano in regioni più aspre e difficili da abitare senza le adeguate bonifiche delle zone paludose e organizzazioni urbane. In più le tribù britanniche erano più sparse e disorganizzate rispetto a quelle della Gallia, soprattutto nelle zone delle attuali Midlands, l’Inghilterra Nord-Orientale e Galles. Le conquiste dell’Imperatore Claudio portarono gloria e prestigio al suo nome, ma a livello economico furono svantaggiose e comportarono un grosso dispendio di risorse e di uomini.
Abbiamo poche fonti germaniche (se non nessuna) per poterne ricostruire la civiltà dal proprio punto di vista. I Germani erano completamente analfabeti (ad eccezione delle Rune che, secondo fonti romane, erano utilizzate a scopo divinatorio-sacerdotale e non possedevano scopo pratico documentale) e tutto ciò che sappiamo deriva dalle documentazioni romane e dai ritrovamenti archeologici. Quel che è noto delle loro origini è che appartenevano ad un gruppo indoeuropeo differente da quello della La Tène; sia per via delle conformazioni del territorio e condizioni climatiche che per la disponibilità di risorse naturali, la cultura di Jastorf sviluppò uno stile di vita differente dal vicino gallico, ovvero comunità più isolate, economia pastorale e di sussistenza e una metallurgia che si sviluppò tardivamente rispetto agli altri gruppi culturali europei. La Germania che viene raffigurata da Tacito non è formata solo da popolazioni della cultura di Jastorf che, anche secondo le fonti archeologiche, sottomisero e/o integrarono altri gruppi indoeuropei. Perciò sarebbe più corretto affermare che ci fu un’Europa a dominazione germanica che una grande e unica Germania.
Quest’area altamente sottosviluppata, formata da comunità isolate, disunite e bellicose non rappresentò per i romani un terreno conveniente da conquistare. Per questi motivi dominare la Germania, oltre che ad essere svantaggioso, era anche difficilmente praticabile; similarmente anche l’Impero Cinese assestò i suoi confini ai bordi della vasta Mongolia, e le colonie greche della Crimea non si espansero nelle steppe Sciite.
Ad Est un nemico più grande e ricco era più allettante per la Roma imperiale, ma il blocco posto dall’ascesa dell’Impero Sasanide e, soprattutto, la crisi del Terzo Secolo portarono al declino l'infrastruttura economica e militare di un Impero che iniziò a crollare sotto il peso della sua vastità. In quel periodo, conosciuto come l’epoca dell’Anarchia Militare, caratterizzato da una forte instabilità sociale, crisi finanziarie, carestie e crisi di potere, Diocleziano riformò l’esercito e rinforzò il limes per impedire alle forze Sasanidi ad Est e ai Germani al Nord-Ovest di penetrare nei territori dell’Impero. Un secolo più tardi quelle tribù europee disunite e barbariche divennero parte integrante del sistema militare ed economico dell’Impero Romano.
Compilare delle liste spesso è un metodo utile per avere un’idea chiara di ciò che ci circonda. Se ora dovessi fare una lista degli stati che confinano con il mio paese, riuscirei solo con i nomi a distinguere e a comprendere la pluralità delle realtà che circondano il mondo in cui vivo e grazie ad essi sarei in grado di far emergere conoscenze pregresse per ciascuna nazione. Questa pratica fu uno strumento utile anche per i due Imperi Romani.
Nelle popolazioni greco-romane catalogare era una pratica comune, e ciò riguardava strumenti, imbarcazioni e, soprattutto, culture. La prima testimonianza di catalogazione è riportata da Omero, nelle cui opere troviamo catalogazioni di navi della propria epoca. In epoca arcaica i popoli esterni alla Grecia venivano catalogati semplicemente come “barbari”, ovvero non elleni, e solo con Erodoto notiamo un’evoluzione di tipo antropologica, in cui i popoli barbarici non venivano solo catalogati in base alla provenienza geografica, ma anche in base ai loro usi, costumi e alle loro caratteristiche culturali e folcloristiche, donando un’identità ben precisa alle genti che abitavano intorno all’ecosistema greco.
Nella Roma tardo antica i cataloghi che ci sono pervenuti sono carenti di tutto lo studio antropologico tramandato da Erodoto e, ovviamente, da Tacito. Le popolazioni venivano catalogate solo in base alla provenienza e non alle loro caratteristiche antropologiche; le tribù erano assimilate in macrocategorie regionali, in cui le comunità (a differenza, come vedremo più avanti, di come verranno catalogate da Tacito nella sua Germania) non venivano riconosciute come popoli individuali ma appartenenti ad un unico grande popolo barbarico.
Esistevano due tipi di catalogazione nel Tardoantico: le cosiddette “liste semplici” e le “liste descrittive”. A differenza delle prime, le seconde erano liste che comprendevano dei brevi commenti per ogni voce. Sia nella prima che nella seconda categoria, i gruppi barbarici erano divisi secondo una gerarchia tassonomica, ovvero ogni popolo, a seconda delle proprie caratteristiche, veniva assegnato in una macrocategoria. Alcuni popoli, non imparentati ma che presentavano delle caratteristiche simili ad altri, venivano inseriti in delle categorie subordinate alle grosse gentes barbariche. È importante sottolineare come la catalogazione attuata nel Tardoantico al popolo romano serviva come strumento per integrare queste popolazioni barbariche all’interno del proprio immaginario, in un periodo caratterizzato da instabilità e confronto tra culture.
Alle “liste semplici” corrispondono i cataloghi dei barbari romani, documenti redatti in continuità alla tradizione greca. Ad esempio la Cosmographia di Pomponio Mela ci offre una visione del mondo conosciuto dai romani nella sua interiorità, in base alle competenze geografiche del I sec D.C.: nonostante alcune imprecisioni a livello tecnico (come ad esempio le errate dimensioni della Terra e lo scarso interesse suscitato dall’Africa Sahariana e Subsahariana) l’autore inserisce conoscenze sui popoli che abitano il mondo, utilizzando come fonti Cesare, Livio, Cornelio Nepote, ma anche autori greci, come ad esempio Posidonio, Eratostene e, ovviamente, Erodoto. Proprio grazie a quest’ultimo Pomponio inserisce liste di popoli barbarici, ma carente (come precedentemente detto) di uno studio approfondito e di descrizioni di carattere antropologico o di interesse culturale.
Nel pieno del trionfo della Roma Imperiale del I sec D.C. viene scritta una delle più importanti liste di barbari della letteratura romana. Tacito con la Germania mostra uno spiccato interesse per le popolazioni germaniche: i Germani non vengono catalogati come un unico, grande popolo barbarico, ma seguendo l’inventariazione Aristotelica vengono ordinati in base alle loro caratteristiche fisiche, le loro peculiarità folcloristiche e le loro tradizioni culturali, prima in Gentes e poi in sottocategorie. Seguendo l’esempio di Cesare, il quale documentò i popoli gallici nel De Bello Gallico, i barbari non vengono rappresentati tutti appartenenti ad una singola gens; Tacito ha catalogato i popoli germanici in diverse gentes, assumendo infatti che, ad esempio, i Suebi non fossero un popolo unico, ma suddivisi in nazioni e stati distinti. L’interesse per questi popoli così esotici per le loro tradizioni legate a culti e usanze brutali, in un’opera a carattere propagandistico Tacito le pone in contrapposizione con la grandezza e lo splendore dell’Impero; la sua opera ha come secondo scopo quello di esaltare Roma e le sue conquiste, paragonando i selvaggi popoli germanici con i civili e illustri cittadini romani. A differenza della tradizione greca, che documentava non solo i popoli barbarici, ma anche i popoli fantastici e onirici, Tacito documenta solo culture di cui si hanno riscontri nella realtà, escludendo barbari dai corpi animaleschi e con tratti provenienti dal folklore locale.
Le liste semplici erano usate dai romani per diversi scopi: ad esempio erano elementi importanti per la commedia romana. Il poeta Marziale esegue una lista di popoli barbarici (tra cui Parti, Daci, Cilici, Cappadoci, Egiziani, Indiani, Sarmati, Alani ed Ebrei) con cui la prostituta Caelia è giaciuta, chiedendosi ironicamente come mai ha evitato di dormire con i Romani. Inoltre, nell’immaginario romano i nomi assumono un ruolo anche nella magia folcloristica: infatti conoscere il nome di qualcosa equivale a controllarla. E conoscere tutti questi nomi significherebbe in qualche modo controllarli tutti, esattamente come conoscere tutta la formula di un incantesimo. Perciò gli scrittori romani si assicuravano di conoscere i nomi dei popoli barbarici come forma di dominio.
Fare liste di popoli barbarici sconfitti divenne sempre di più un aspetto caratteristico dell’ideologia romana, tanto che Pompeo il Grande, nel suo Trofeo nei Pirenei, elencò 876 insediamenti conquistati e rasi al suolo, mentre Augusto nel 6 d.C., come testimoniato da Plinio il Vecchio nel suo Trofeo delle Alpi, fece elencare i 48 popoli alpini sottomessi.
Ma dalla seconda età imperiale (soprattutto dalla crisi del terzo secolo e la riforma militare di Domiziano), il paradigma subisce un drastico cambiamento: i barbari, che prima venivano considerati esterni al mondo romano, facenti parte del paesaggio che circondava il mondo civilizzato, ne divennero parte integrante, entrando a far parte di una relazione di co-dipendenza reciproca. A questo proposito Marziale scrisse all’imperatore Domiziano: “Quale popolo è così lontano e barbarico, o Cesare, da non aver un rappresentante nella tua città? Lingue diverse di popoli sono udite, ma ciononostante è una sola, poiché tu sei considerato essere il vero padre della patria” (Epigr., III).
Le liste semplici del Tardoantico riflettono la turbolenza del periodo: nel compilarle, soprattutto quelle che elencavano popoli barbarici appartenenti all’Impero Romano, troviamo una spiccata dinamicità. Molti popoli (soprattutto quelli Trans-Renici), prima segnalati come foederati di una provincia romana, vennero segnalati come popoli esterni all’Impero e viceversa. Nella lista semplice veronese Gentes barbarae quae pullulaverunt sub imperatoribus, il compilatore mette ben in chiaro questo rapporto di perdita e acquisizione di foederati.
Come spiegato in precedenza, queste liste riflettono maggiormente i cambiamenti socioculturali dell’epoca, e la conseguente perdita di individualità di questi popoli. Se nella Germania di Tacito assistiamo ad una catalogazione che utilizza un metodo scientifico, nel Tardoantico i popoli vengono spesso assimilati fra di loro, perdendo spesso di unicità. Un romano del Tardoantico difficilmente sapeva distinguere i Sassoni dagli Eruli, associandoli e catalogandoli come facenti parte dello stesso popolo.
Nel contesto culturale del Tardoantico la conoscenza enciclopedica (ereditata in seguito nel primo Medioevo da illustri autori come ad esemio Boezio, Cassiodoro e Isidoro di Siviglia) era estesa a tutti gli scrittori eruditi, come i poeti, i cronisti e gli uomini di chiesa. Perciò troviamo liste di barbari anche al di fuori del contesto storico-antropologico, come per esempio nelle poesie del Tardoantico come quella inserita nei carmina di Sidonio Apollinare (VII, 321-325), nella quale vengono elencati i barbari che invasero la Gallia con le armate di Attila. Ma queste liste (come quelle compilate dagli storici dell’epoca) presentano degli errori di forma come quelli presentati precedentemente, e spesso i barbari erano inseriti come dimostrazione di erudizione o come, ad esempio nella poesia di Sidonio Apollinare, come completamento per la metrica poetica.
Se nell’età imperiale i nomi dei popoli barbarici erano un trofeo che dimostrava la forza dell’Impero Romano, nell’età Tardoantica evocavano terrore nel lettore. Nel panegirico di Nazario del 321 vediamo come la chiamata alle armi contro gli Alemanni, i Cherusci e altri popoli barbarici, sottolinea l’urgenza e il pericolo evocati dal furore dei barbari (Pan. Lat., 10/4, 18). Persino trecento anni dopo, nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, questi nomi istillavano paura e terrore. Spesse le raffigurazioni di orrore e la costante minaccia che suscitavano questi nomi, venivano usati dagli imperatori romani come giustificazione per organizzare delle grosse spedizioni armate per affrontare questi popoli.
Gli Imperatori vittoriosi nell’Età Imperiale, per sottolineare la grandezza delle loro imprese, assumevano Cognomita aggiuntivi al proprio nome a seconda delle vittorie conseguite contro i barbari: ad esempio Diocleziano fu chiamato Germanicus Sarmaticus Persicus Britannicus Carpicus Armeniacus Medicus Adiabenicus, tutti popoli che sottomise. Secondo la tradizione romana più nomi venivano aggiunti ai Cognomita degli imperatori, maggiore era la gloria acquisita. Nel Tardoantico, invece, questa tradizione spesso venne disattesa o perse di significato; era infatti raro che un imperatore tardoantico venisse nominato con i nomi dei barbari sconfitti o sottomessi. Infatti, Teodosio il Grande avrebbe dovuto assumere i titoli di Saxonicus, Sarmaticus et Alamannicus grazie alle sue vittoriose campagne lungo i confini dell’Impero, ma un panegirico del 389 d.C. (Pan. Lat., 12/2, 5) sottolinea che ciò avrebbe evidenziato sia i trionfi della famiglia imperiale ma anche il numero dei nemici che minacciavano l’Impero.
In sostanza le liste semplici non servivano a descrivere un popolo barbarico, ma erano dei semplici elenchi di nomi per far rendere conto al lettore la vastità di nomi usati, e non importava se il popolo fosse germanico, britannico o etiope, ma l’importante era aggiungere nomi per rafforzare un concetto o, nel caso del Tardoantico, per rappresentare il numero di pericoli o alleati che circondavano il mondo romano.
È importante sottolineare come fosse cambiata la percezione dei romani nei confronti delle popolazioni extra imperiali. Anche in un periodo di instabilità e continue pressioni dall’esterno, Roma non ha mai perso un atteggiamento di superiorità e di naturale dignità rispetto ai “barbari”, con cui si intendevano non solo come comunità tribali dell’Europa Continentale, ma anche il più istituzionalmente evoluto e coeso Impero Sasanide nel Medio Oriente. Secondo quest’ottica esistevano diversi livelli di elevazione razionale, in base alla quantità di Spirito e Corpo di cui si era composti. Lo Spirito è la pura razionalità, e rappresenta il controllo che si ha sui caratteri istintivi e fisici del Corpo. Esseri superiori (quali gli dèi e successivamente il Dio cristiano) sono formati da solo Spirito, mentre gli animali, che sono guidati unicamente dall’istinto, sono composti da solo il Corpo. I romani si consideravano l’unico popolo più dotato di Spirito che di Corpo, a differenza dei barbari proni ai vizi del corpo e alla irrazionalità.
Ovviamente si tratta solo di una visione idealistica e che mal si relaziona con la realtà dei fatti, ma che spesso troviamo nelle opere scritte degli autori dell’epoca; spesso in questa maniera si giustificava l’operato dell’Impero, considerato il faro della civiltà, e come strumento per affermarne la propria superiorità. Troviamo un esempio calzante negli atti di Temistio, capo dell’ambasceria imperiale di Costantinopoli, il quale testimoniò la stipula del trattato di convivenza tra l’imperatore Valente con il re dei goti Tervingi Atanarico: nel 369 il re goto e gli imperatori Valentiniano e Valente si incontrarono sulle sponde del Danubio per porre fine alle ondate di razzie dei goti nelle zone della Tracia, per potersi così alleare e porre sotto il comando romano soldati barbari che sopperirono alla carenza di truppe sul fronte medio-orientale e fermare le pressioni dell’Impero Sasanide in Siria. Temistio scrive di una cerimonia solenne, nella quale il re goto e tutto il suo popolo, i quali si affacciarono dalla sponda settentrionale del fiume, si prostrarono al suolo esponendo le proprie insegne verso l’Impero, dove gli imperatori, al sicuro sulla sponda meridionale, all’atto di sottomissione donarono oro e beni al popolo goto, permettendo loro di varcare il Danubio e stabilirsi in Tracia come sudditi. La realtà dei fatti è ben diversa da quella raccontata da Temistio; l’autore ci presenta i due imperatori in una posizione di sicurezza, di vittoria sul popolo goto, quando in realtà il trattato fu un compromesso per preservare la sicurezza del
e per impedire future razzie. Inoltre, se fosse stata una “resa” dei goti, gli imperatori da conquistatori si sarebbero stabiliti sulla costa settentrionale ponendo i vessilli di Roma sulle loro terre, ma con quel trattato i due imperi aveva consegnato in mano ai barbari le regioni della Dacia, ufficializzando l’impossibilità che quelle terre potessero essere riconquistate.
Il resoconto di Temistio sembra entrare in un’ottica di propaganda imperialistica, ma che lascia sfuggire nei suoi racconti di trionfo un’amara realtà; i due imperi si sono dovuti adattare all’evoluzione dei tempi e i “nemici” della civiltà sono diventati una risorsa indispensabile per la propria sopravvivenza. Per quanto venga presentato come uno sconfitto, Atanarico (a dispetto della raffigurazione imperialisti di un barbaro irrazionale) fece una scelta estremamente razionale per il suo popolo; per via dei cambiamenti climatici in atto e l’arrivo degli Unni, l’unico modo per assicurarsi la sopravvivenza era quello di vivere alle dipendenze dei romani. I Tervingi potevano prosperare nelle terre fertili del meridione, evitando una guerra che sarebbe irrimediabilmente conclusa in una disfatta, nei territori protetti all’interno dell’Impero e al sicuro dai pericoli delle invasioni e dalla competizione con le altre tribù.
Tutto ciò cambierà a partire dal 376, quando un’ondata migratoria porterà migliaia di Tervingi a migrare all’interno dell’Impero d’Oriente; le mancate promesse di cibo e rifornimenti muteranno l’alleato di Costantinopoli in un feroce nemico che saccheggerà i Balcani e schiaccerà le regioni nella battaglia di Adrianopoli, in cui lo stesso Imperatore Valente perse la vita.


Nell'immagine, l'Hermannsdenkmal, il monumento dedicato ad Arminio, Hermann in tedesco, che distrusse tre legioni romane nella selva di Teutoburgo.


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Documento inserito il: 03/02/2025
  • TAG: Germani, tardo Impero Romano, Alto Medioevo, storia della cultura europea, invasioni barbariche, tarda antichità, storia e cultura dell’età romano-barbarica

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