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Rivoluzione germanica e foedus: un’analisi sociale dei rapporti fra Germani e Romani nella tarda antichità

di Matteo Gullotto


Nel corso del III secolo, le tribù documentate da Tacito nella Germania (Cherusci, Catti, Marcomanni e via dicendo) sembrano scomparire dalle cronache romane, lasciando il posto a nuove tribù; principalmente Franchi, Alemanni, Sassoni, Vandali, Burgundi e Goti. I gruppi a lingua germanica, che occupavano vaste porzioni dell’Europa Centrale e il meridione della Scandinavia, tra il III e il IV secolo occuparono un’area geografica decisamente più vasta, che si estendeva dalla Manica (Paesi Bassi e foce del Reno) alle coste del Mar Nero occidentale, dal Danubio all’attuale Ucraina. L’espansione avvenne a seguito di ondate migratorie provenienti dalle zone dell’attuale Polonia, Boemia, Jutland e Scandinavia meridionale. L’espansione più degna di nota è quella dei Goti verso il Mar Nero, che occuparono un vasto territorio tra la foce del Danubio (compresa la Dacia) e la Crimea, e si scontrarono con le popolazioni locali (i Sarmati di lingua iraniana e i Carpi di lingua dacica) e le guarnigioni romane di frontiera.
La migrazione non è un evento straordinario per le tribù germaniche: in età repubblicana Gaio Mario fermò una grande migrazione di Cimbri e Teutoni, provenienti dalle regioni settentrionali dell’attuale Danimarca. In età Antoniniana, Marco Aurelio fermò sul limes settentrionale Catti e Marcomanni, che furono spinti verso meridione dall’arrivo di tribù germaniche provenienti dall’Europa settentrionale. Il fenomeno non sembra arrestarsi alla fine dell’epoca delle grandi invasioni, che culminò con la formazione dei regni romano-barbarici del primo medioevo. Ad esempio, in epoche più recenti le invasioni delle popolazioni scandinave tra l’VIII e l’XI secolo testimoniano come questi comportamenti migratori persistettero nelle tribù europee.
Alcune di queste tribù migratorie non erano totalmente sconosciute ai Romani. Ad esempio, all’epoca di Tacito i Burgundi abitavano in una regione a Nord-Est della Polonia e, nel III secolo, con molta probabilità si insediarono nel bacino della Vistola. È piuttosto improbabile che, quando i migranti si avvicinarono al limes, avessero sostituito in toto le tribù della Germania del I secolo, quanto è più plausibile che integrassero i gruppi pre-insediati nelle nuove confederazioni tribali. A sostegno di questa tesi, nella confederazione dei Franchi troviamo anche la presenza di Cherusci, Catti e Brutteri, e tra gli Alemanni si riscontra la presenza di villaggi di Marcomanni.
Ma come quel popolo rappresentato da Tacito come povero e sottosviluppato ottenne le forze e i numeri per espandersi così lontano dai propri territori di origine e soppiantare gli autoctoni? Tra il I e il IV secolo le tribù d’Europa assistettero a dei cambiamenti sociali, agricoli, economici e infrastrutturali che portarono a società più coese e stabili e ad un alto tasso di crescita demografica. I ritrovamenti archeologici dello scorso secolo, dimostrano come da un’economia pastorale e di sussistenza nel corso di tre secoli i villaggi avevano sviluppato una cultura agricola arativa di tipo intensivo. Se nella prima età del ferro germanica non erano conosciute le tecniche necessarie per mantenere il terreno fertile, quindi alternando lunghi periodi al maggese e arando vaste porzioni di terra in relazione alla popolazione, i Germani occidentali del Tardoantico avevano sviluppato tecniche di rotazione delle colture più efficaci. Inoltre, si utilizzarono concimi animali e vasti campi di aratura, sia per aumentare la produttività che per preservare fertilità del terreno. Ad eccezione delle culture di Wielbark e Przeworsk in Polonia, queste tecniche si diffusero ovunque nell’Europa germanica del IV secolo, di cui ci giungono numerosi ritrovamenti di aratri e vomeri di ferro piuttosto diffusi. Specialmente sulle coste del Mar Nero nelle terre dominate dai Goti troviamo ampi campi aratri e comunità molto numerose, che dobbiamo supporre fossero zone molto fertili in cui i Daci e i Sarmati adottarono le tecniche dei loro nuovi padroni germanici. Gli studi dei diagrammi dei pollini confermano che tra il I e il V secolo d.C. i pollini dei cereali aumentarono esponenzialmente ai danni di quelli dell’erba e degli alberi in Germania, Polonia e Repubblica Ceca.
L’aumento demografico è anche testimoniato dall’aumento delle dimensioni dei villaggi e dal numero delle necropoli. L’aumento dei cereali commestibili e la disponibilità con le nuove tecniche di terreni coltivabili portarono inevitabilmente anche alla crescita della popolazione, e di conseguenza aumentò anche il numero delle sepolture. La ceramica subì anch’essa un’evoluzione e un incremento similare a quello della popolazione; se nel I sec i germani producevano ceramiche create ad hoc in quantità ridotta, nei secoli successivi le argille erano cotte in forni a più alte temperature, risultando più durevoli e con lavorazioni al tornio. Non è chiaro se i ceramisti germanici avessero il loro lavoro come unica occupazione per guadagnarsi da vivere, ma siamo certi che si trattasse di una mansione più specializzata e professionale della loro controparte del I sec.
Gli altri settori che contribuirono alla rivoluzione agricola furono quelli della metallurgia e del commercio. L’estrazione e la manifattura del ferro crebbero in maniera esponenziale e le botteghe di fabbri e armaioli divennero elementi essenziali per le comunità germaniche. Si stima che nei siti più importanti in Polonia, sulle montagne della Mazovia meridionale, furono estratte in epoca Imperiale dagli 8 ai 9 milioni di chili di ferro grezzo, e che nell’Ucraina a dominazione gotica, sulle sponde del fiume Sinicy, si trovavano nello stesso luogo tra le 15 e le 20 botteghe per la lavorazione del ferro e numerosi piccoli centri per l’estrazione e fusione dei metalli.
I contatti con il mondo romano non furono solamente di aperta ostilità ed è più logico suppore che in momenti di distensione, per sfruttare le risorse naturali dell’Europa centrale, ci furono occasioni in cui il commercio tra Romani e Germani fu reso possibile. Nelle necropoli del III e IV secolo furono ritrovati suppellettili in vetro soffiato di fattura romana: la vetreria romana era famosa in tutto il mondo antico e costituiva un simbolo di prestigio. A partire dal IV secolo sono stati riscontrati casi in cui alcuni oggetti in vetro sembra che non furono importati dai due Imperi Romani: a Komarov, una località dei Carpazi, fu rinvenuto un sito con botteghe vetrarie e diversi manufatti in ottimo stato, la cui lavorazione era per qualità e fattura paragonabile a quella romana. Quello di Komarov sicuramente non fu un caso isolato e sono state rinvenute botteghe simili appartenenti allo stesso periodo in una vasta zona che spazia dalla Danimarca all’Ucraina, così come sepolture nobiliari la cui oggettistica in vetro è maggiormente di lavorazione germanica. Altre produzioni specializzate di beni di lusso (quali gioiellieri, orafi e via dicendo) divennero parte dello stile di vita tribale, e conseguentemente, a testimonianza di ciò, troviamo corredi funebri più ricchi e sontuosi rispetto al passato.
All’inizio dell’anno 350, l’imperatore Costante I venne ucciso dall’usurpatore Magnenzio, il capo di un comitatus separatista della Gallia. Alla testa di un esercito 60.000 uomini, composto da truppe comitatensi, limitanei e foederati franchi e sassoni, il generale usurpatore marciò nell’illirico per affrontare il fratello dell’imperatore assassinato, Costanzo II. Quella che ne seguì fu una sanguinosa guerra civile che lasciò inevitabilmente scoperte le guarnigioni del limes e di tutta la Gallia. Diverse tribù approfittarono del caos in cui versavano i confini imperiali e diverse tribù di Sassoni, Franchi e Alemanni misero al sacco le città di confine. Secondo lo storico Ammiano Marcellino gli invasori furono così numerosi che i barbari rasero al suolo Colonia Agrippina, e indisturbati saccheggiarono Mogontiacum (Magonza), Borbetomagus (Worms), Nemetae Vangionum (Spira), Tabernae (Saverne),
Saliso (Brumat) e Argentorate (Strasburgo). Quest’ultima fu occupata da una confederazione di Alemanni guidata dal “re” Cnodomaro.
Il neoeletto Imperatore d’Occidente Giuliano raccolse un contingente dal comitatus della Gallia di appena 13.000 uomini per affrontare gli Alemanni, circa un terzo rispetto alla forza mobilitata da Magnenzio. Nella battaglia di Strasburgo (357) Giuliano dovette confrontarsi con altri principi e re dell’Alemannia guidati da Cnodomaro in qualità di capo della confederazione.
Se nell’epoca di Arminio una confederazione barbarica veniva creata in casi estremi e per periodi limitati, nel corso del III e (soprattutto) IV secolo divennero la norma. Cnodomaro sembrerebbe ricoprisse un ruolo superiore ai piccoli re delle altre tribù, che lo riconoscevano di fatto come proprio capo, una sorta di re superiore che comandava un gruppo di re minori e rispettivi principi. Gli storici romani non sembravano preoccuparsi eccessivamente di come venissero eletti questi capi, ma sicuramente non si trattava di una carica ereditaria, nonostante abbiamo prove che tra i barbari si stessero formando delle sorte di gens, quindi dei cognomita che favorissero la successione di un erede al ruolo di re supremo. I capi confederazione non sono le uniche innovazioni in campo sociale: se nel corso del I secolo la società germanica era poco stratifica e il potere delle piccole comunità e dei loro leader non venivano trasmessi per via ereditaria (ma attraverso un sistema elettivo comunitario), nel corso dei secoli successivi abbiamo prove documentate di élite nobiliari, il cui potere era ereditario. Quindi abbiamo dei giudici (unico termine che troviamo nelle fonti romane per indicare i re superiori, ma non adeguato alla loro funzione) la cui carica veniva eletta dai rex minori e dai princeps, le cui funzioni di capi tribù venivano ereditate all’interno della stessa famiglia. Mederico, un nobile alemanno ostaggio dei Romani, era fratello di Cnodomaro, ed ereditò il titolo di re superiore alla morte di suo fratello. Il figlio di Mederico, Serapio, ereditò il titolo da suo padre, formando quindi una linea di successione piuttosto chiara e lineare. Nonostante, quindi, la carica non era a carattere ereditario, potenzialmente lo poteva diventare. Temendo che si creassero “dinastie” o che il potere venisse accentrato nelle mani di un’unica famiglia, i Romani procedevano all'eliminazione di potenziali eredi. Temendo che il re superiore Vadomaro minacciasse il limes, egli fu assassinato prima che diventasse un pericolo e, per evitare che la leadership passasse al suo figlio Viticabio, i Romani uccisero anche lui.
Questa verticalizzazione sociale è ancora più evidente nelle tombe nei corredi funebri; le Fürstengraben (dal tedesco Tombe dei Principi) iniziano ad apparire intorno al III secolo e, nonostante fossero ancora molto rare, troviamo disparità sia per la ricchezza dei corredi che per le dimensioni rispetto alle tombe comuni. È chiaro che la ricchezza prodotta dalla rivoluzione agricola non fu distribuita in maniera uniforme tra tutta la popolazione, ma si concentrò nelle mani di una nuova élite. Nella penisola dello Jutland le vaste torbiere e specchi d’acqua si sono dimostrati nel tempo delle fonti importantissime di reperti archeologici, e la loro capacità di inglobare al loro interno oggetti di cospicue dimensioni erano molto utili ai popoli germanici per le offerte votive. Tra il II e il IV secolo le tribù dello Jutland sacrificarono agli dèi enormi quantità di armi e panoplie militari. Il sito di Ejsbøl Mose (III secolo) ci permette di ricostruire la formazione di un contingente di circa 200 uomini, armato principalmente di lance e aste, ma anche spade e pugnali (60 circa), asce e archi e 675 frecce; una dozzina di quegli uomini (di cui nove cavalieri) erano armati invece con un equipaggiamento pregiato. Ci troviamo di fronte ad una forza armata organizzata, gerarchizzata e con un notevole grado di specializzazione militare: un capo e il suo seguito, e non un manipolo di contadini-soldati indifferenziati.
Nei villaggi più grandi dell’epoca si trovavano delle grandi sale di legno e grossi luoghi di ritrovo coperti, in grado di ospitare un grande numero di persone per le festività e per l’alloggio un ristretto numero di nobili. Questa coorte del re rappresenta un elemento molto importante per poter ricostruire la società germanica del Tardo Impero; i re minori avendo un seguito di nobili che a loro volta dominavano villaggi più piccoli e porzioni di territorio, e il popolo di uomini liberi era alle dipendenze dei nobili. In poche parole, la coorte germanica per aspetto e conformazioni assomiglia ad una proto-società feudale. Si è dibattuto a lungo se si potesse parlare di feudalesimo in un’epoca così antica, ma alcuni elementi fugano ogni dubbio: se la società feudale carolingia poteva contare sui codices precisi sulle funzioni della nobiltà e sule cariche ereditarie, altrettanto non lo si può dire per una società che formò i suoi primi codici di legge solo quando, nel V e VI secolo, formarono i regni romani-barbarici assorbendo la tradizione giuridica romana e coniugandola a quella germanica. Inoltre, le tombe risalenti al III e IV secolo mostrano che i corredi funebri, i gioielli e gli oggetti di lusso non erano in un eccessivo surplus rispetto agli uomini liberi, e le Fürstengraben erano ancora molto rare, dimostrando quindi che si trattava di una società molto più fluida rispetto alla rigida piramide sociale dell’età feudale.
La rivoluzione germanica portò alla formazione di un popolo evoluto dal punto di vista sociale, economico, produttivo e demografico, ma la seconda metà del IV secolo portò con sé lunghi e freddi inverni e un’orda di stranieri, affamati e bellicosi, che arrivò in sella dalle sterminate steppe dell’Est.
Correva l’anno 375 d.C. e sulla sponda occidentale del Dnepr masse di saccheggiatori Alani guadarono il fiume in grandi numeri; i nomadi di lingua iranica posero pressioni sulle popolazioni di Goti Greutungi che abitavano quelle zone, portando le tribù gotiche a fare fronte unico contro gli invasori. Non era insolito che nelle terre di confine le tensioni tra diversi gruppi culturali e tribali sfociassero nello scontro aperto, ma questa volta l’intensità con cui avvenne l’invasione era senza pari; gli Alani non mossero il loro intero popolo dalle proprie terre per loro volontà., poiché un’orda proveniente dalle steppe dell’Asia Centrale giunse in Europa con una forza e un’irruenza inimmaginabili per l’epoca, la quale soggiogò le tribù nomadi delle steppe che in antichità furono abitate dagli Sciiti, e, con esse, molte altre dell’Eurasia Centrale. Lo storico Ammiano Marcellino descrisse in maniera attendibile il panico che si diffuse tra i Goti:

subito tra i goti si diffuse la notizia che una razza di uomini fino ad allora sconosciuta si era levata da un angolo remoto della terra come una tempesta di neve dalla vetta di una montagna, e saccheggiava e distruggeva tutto ciò che trovava sul suo cammino.

Al di là della retorica usata dallo storico romano, notiamo come la situazione nei Carpazi precipitò rapidamente nel caos. Gli Unni soggiogarono una tribù dopo l’altra, e una volta assorbiti nell’orda gli Alani i prossimi sarebbero stati i Goti Greutungi. Se in un primo momento i Germani affrontarono gli invasori per respingerli dalle loro terre, in poco tempo la guerra per il dominio si trasformò in una lotta per la sopravvivenza. Il capo della confederazione Ermanarico si immolò con un manipolo di guerrieri per guadagnare tempo per il suo popolo, permettendogli di evacuare le regioni in cui si insediarono i loro avi. Alla morte di Ermanarico succedette Vitimero, il quale subì la stessa la stessa sorte del suo predecessore. In meno di un anno un popolo forte e radicato nelle regioni del Mar Nero si trasformò in una migrazione che cercava di fuggire dall’ondata unna. Il popolo dei Greutungi, guidati dai capi Alateo e Safrax, cercò di spingersi oltre il fiume Dnestr e rifugiarsi nelle regioni a Sud dei Carpazi, abitate dai Tervingi.
Il re superiore dei Goti Tervingi, Atanarico, si scontrò lungo il fiume con i migranti Greutungi, i quali furono sorpresi da distaccamenti Unni che assaltarono entrambi i gruppi germanici. Per fermare la marea nomade Atanarico fece costruire delle fortificazioni lungo il fiume Olt, sfruttando ciò che rimaneva delle fortificazioni romane del limes transalutanus. Il piano fallì, poiché gli Unni fecero delle incursioni per fermare i lavori alle fortificazioni e i Goti persero la fiducia nelle capacità del proprio capo. I nuovi re superiori Alavivo e Fritigerno, sapendo che non potevano resistere all’avanzata unna, evacuarono la Dacia e fuggirono verso il Danubio, sperando che i Romani li ospitassero all’interno del proprio Impero. Anche i Greutungi di Alateo e Safrax adottarono una strategia analoga e seguirono i Tervingi fino al fiume.
Ammiano è piuttosto vago nel raccontare l’esodo dei Goti, ma plausibilmente questi episodi si svolsero nell’arco di un anno, dal 375 al 376. Il periodo più probabile per una comunità di agricoltori per spostarsi doveva essere verso la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno del 375; quindi, con molta probabilità i Greutungi abbandonarono le loro terre durante quel passaggio di stagione e l’anno seguente lo fecero i Tervingi.
Lo slancio degli Unni subì un arresto negli anni successivi, forse per riorganizzare le proprie forze o per familiarizzare con il nuovo terreno conquistato. Ma lo stesso destino toccò ad altre tribù germaniche, anche se non ci arrivarono testimonianze di un susseguirsi di eventi così concitati e furiosi come accadde per l’esodo dei Goti.
Per farsi accogliere nei territori imperiali, ambasciatori Goti intrapresero un viaggio di mille chilometri per incontrare l’Imperatore Valente ad Antiochia. Le due parti raggiunsero un accordo e durante il mese in cui i migranti goti aspettarono un responso, nessun contingente unno assaltò gli esuli. Solo piccoli sparuti gruppi di razziatori, carichi di bottini, si erano avventati sui Goti di Fritigerno, ma non ci fu nessuno scontro di grande rilevanza. A quel tempo l’organizzazione politica degli Unni non prevedeva un capo unitario, bensì una serie di sovrani dotati di ampia libertà di azione. Nel tentativo di fermare gli Unni Vitimero reclutò contingenti di nomadi (anch’essi Unni) che combatterono al suo fianco. Si trattava quindi di bande indipendenti e non di un’unica forza di conquista. Inoltre, difficilmente è ipotizzabile che l’intero popolo Goto fuggì in massa dall’orda unna che, in quegli anni, era ancora stanziata sulla costa settentrionale del Mar Caspio, quanto è più probabile che cercarono asilo tutti quei Greutungi e Tervingi che ritenevano le loro terre non più sicure. Nel 376 altri gruppi di Goti (probabilmente appartenenti ad altre confederazioni tribali) assaltarono il limes nel basso corso del Danubio, e nel 386 altre ondate di Greutungi e Tervingi (forse quei Goti che non fuggirono nel 375-376) assaltarono le fortificazioni romane e saccheggiarono le province dei Carpazi. Mentre l’orda unna si spostava verso occidente, molte tribù furono integrate nella comunità nomade, altre (come le tribù dei Vandali, dei Burgundi e degli Svevi, per citarne le più famose) si spostarono all’interno dell’Impero d’Occidente, alcune come foederati, altri come nemici. Lo spostamento avvenne come per un effetto domino causato dall’arrivo degli Unni, con sempre più migranti che cercavano di spostarsi in territori più sicuri (o sguarniti) verso il meridione occupando terre fertili.
L’arrivo degli Unni non fu l’unico motivo che portò i Germani a migrare dalle loro terre; un altro elemento importante da considerare per lo studio della storia delle grandi migrazioni è quello ambientale e climatico. Il clima della Terra è instabile e soggetto a cambiamenti “ciclici”, che alternano tra i due emisferi periodi caldi e aridi a periodi freddi e umidi. È di notevole interesse come la nascita di notevoli società sia stata dovuta anche per via dell’indiretta influenza di condizioni climatiche favorevoli. Tra la fine dell’età Repubblicana e l’inizio dell’età Imperiale il clima più caldo e arido permise all’Impero di avere delle condizioni climatiche più favorevoli per le sue campagne di conquista. Inverni meno rigidi ed estati più estese permisero campagne militari più durature con condizioni ambientali ottimali per lo stanziamento in terre settentrionali, più influenzate di quelle meridionali a questi cicli climatici. Il periodo caldo fu fruttuoso anche per l’agraria, nel quale assistiamo anche alla rivoluzione agricola dei popoli germanici. Questo periodo interglaciale si situa in un arco di tempo che spazia dal II secolo a.C. circa e la prima metà del IV d.C. Tra la seconda metà del IV secolo e l’inizio del V un irrigidimento delle condizioni climatiche interessa l’Europa (soprattutto Nord-Orientale). Oltre alla competizione tra tribù, l’aumento demografico e l’invasione degli Unni, si aggiunge al panorama germanico un clima più rigido e caratterizzata da inverni più lunghi e freddi e una conseguente diminuzione della produzione agricola. Sassoni, Frisi, Angli e Franchi puntarono infatti ad ottenere terre più fertili nel meridione, o in zone arate in grandi latifondi come la Britannia e la Gallia.
Una volta che gli ambasciatori Goti trovarono un accordo con l’imperatore Valente, i Romani per la prima volta nella loro storia accolsero un grande numero di alleati all’interno dei propri territori. Ma i migranti non venivano percepiti come un nemico, ma come una risorsa indispensabile, come ci viene tramandato da Ammiano:

la cosa suscitò più gioia che paura, e tutti gli adulatori istruiti lodarono smodatamente la buona sorte del principe che in modo così inaspettato gli procurava tante giovani reclute venute dagli estremi confini della terra, giacché unendo le sue forze a quelle degli stranieri egli avrebbe potuto mettere insieme un esercito davvero invincibile. E poi, oltre alla leva di soldati che ogni provincia doveva fornire annualmente come tributo, ciò avrebbe fatto affluire al tesoro imperiale una gran quantità d’oro.

La crisi del terzo secolo aveva messo in ginocchio sia il tessuto economico che l’organizzazione militare. Per poter mantenere al sicuro i confini romani Diocleziano riformò l’esercito: con l’istituzione dei comitatus che supportava con unità mobili le forze frontaliere (limitanei), dopo secoli fu reintrodotta nel sistema di reclutamento la leva obbligatoria annuale dei cittadini romani, per poter così sopperire alla carenza di quelle forze che erano necessarie alla protezione del vasto limes e le diocesi interne. Diocleziano inoltre alzò il livello di tassazione per far fluire nuove finanze all’interno delle casse Imperiali impoverite dalle crisi del secolo precedente.
Testi legali del IV secolo testimoniano un fenomeno mai notato prima di allora, ovvero quello dell’abbandono dei campi (agri deserti); tuttavia i testi ne parlano in maniera molto generale, che non ci dicono con esattezza la quantità di terra a cui potesse applicarsi la definizione. Una legge varata nel 422 e relativa al Nordafrica precisa che solo in quelle diocesi erano presenti più di 5000 chilometri quadrati di campi abbandonati. Successivamente la legislazione romana cercò di legare certe categorie di fittavoli (coloni) alle tenute agricole esistenti per impedire loro di trasferirsi altrove. Collegando tutti questi fenomeni in una catena di causa-effetto è evidente che il duro regime finanziario del Tardoantico rendeva antieconomico coltivare le terre messe un tempo a frutto, e siccome questa categoria di abitanti veniva depredata della maggior parte dei loro raccolti ne conseguì anche la decrescita demografica. Seguendo questa catena, è logico che ne risentì anche l’afflusso di reclute disponibili per la macchina da guerra romana.
Tutto ciò che i cittadini romani non erano in grado di offrire poteva essere tuttavia procurato dalle migliaia di migranti germanici. L’arrivo dei Goti del 376 non fu un evento nuovo nella storia di Roma: l’afflusso più o meno costante di cercatori di fortuna e l’arrivo costante di migrazioni, l’Impero era già preparato alla loro accoglienza. Tutte quelle braccia potevano essere assegnate a territori da coltivare o potevano essere incluse tra i ranghi dell’esercito e nei limitanei. Questo fenomeno è documentato con il termine receptio. I migranti venivano ricollocati entro i confini e i Romani spostarono anche gruppi di miglia di persone in delle regioni sufficientemente ampie in cui accoglierli: un esempio di ciò è quello dei 100.000 transdanuviani deportati da Nerone in Tracia. Difficilmente è possibile sostenere che il sistema di accoglienza fosse sempre lo stesso, ma è altresì possibile stabilirne degli schemi ricorrenti. Nel caso in cui l’Impero e i richiedenti asilo avessero dei buoni rapporti diplomatici e la migrazione fosse avvenuta per mutuo accordo, i giovani maschi migranti sarebbero stati arruolati nell’esercito (formando a volte una nuova unità omogenea), mentre il resto della popolazione sarebbe stata distribuita su tutta la superficie dell’impero e impiegata nell’agricoltura. Un accordo di questo tipo fu siglato nel 359 tra l’imperatore Costanzo II e alcuni Sarmati chiamati nelle fonti Limiganti. Mentre nel caso in cui i rapporti non fossero stati idilliaci e, soprattutto, nel caso in cui gli stranieri fossero stati catturati durante un’operazione militare, venivano applicate delle condizioni più severe: sono documentati casi in cui alcuni barbari vennero venduti come schiavi e altri diventarono contadini non liberi (coloni) a patto che venissero deportati oltre i Balcani. Perciò tutti gli immigrati diventavano a tutti gli effetti contadini o soldati, in circostanze più o meno piacevoli a seconda dei casi.
Un altro elemento degno di nota è il fatto che gli imperatori non lasciavano mai entrare le popolazioni di migranti fidandosi sulla parola o stipulando giuramenti. In tutte le zone dove venivano stanziate le tribù accolte i Romani si assicuravano che ci fossero forze militari a sufficienza per intervenire nel caso scoppiassero rivolte e disordini. Queste tribù assunsero il nome di foederati, divisi in foederati aequum (foederati per comune accordo) e foederati iniquum (tribù sconfitte e deportate).
Dei migranti del 376 solo le tribù dei Tervingi furono accolte nei territori della Tracia. In quel momento il turbolento teatro danubiano non vedeva affatto i Romani in vantaggio numerico e tattico, perciò l’imperatore Valente decise di agire con cautela su un terreno molto pericoloso. Accogliere entrambe le tribù avrebbe sì permesso di ottenere un enorme quantitativo di reclute, ma sarebbe stato un rischio troppo grosso in un’area sguarnita di truppe fedeli. Per impedire che i Greutungi attraversassero il Danubio senza il suo consenso, Valente fece allestire un blocco navale sul fiume intimando i Goti esclusi a non aprire le ostilità. Le trattative per l’insediamento furono piuttosto favorevoli per i Tervingi, ai quali fu permesso scegliere una regione in cui stabilirsi e aggregarsi (ovvero la Tracia). Con molta probabilità mantennero anche un’identità politica, in cambio però di ostaggi e numerosi contingenti di giovani uomini da arruolare all’interno dell’esercito imperiale, giurando inoltre la conversione dei loro capi al cristianesimo. Il Danubio doveva essere difeso e l’imperatore Valente decise che valeva la pena correre il rischio per mantenere il limes al sicuro. Come esempio di bontà cristiana e come portatore dei valori della caritas, l’accordo che siglò con i Tervingi divenne pubblico e fu ampiamente strumentalizzato dalla propaganda imperiale per esaltare le qualità e l’astuzia dell’Imperatore.
Ma non sempre i rapporti con i foederati si rivelarono vantaggiosi e in alcuni tragici casi si rivelarono una terribile arma a doppio taglio, soprattutto in quei casi in cui i Romani non mantennero le promesse e non crearono dei sistemi lungimiranti per mantenere dei buoni rapporti con gli alleati. Nello stesso anno in cui i Tervingi vennero accolti, stremati dalla lunga marcia e affamati, alzarono le armi contro i propri “salvatori”. I Goti furono abbandonati nella Tracia, in una zona già in preda alla carestia e in cui i rifornimenti non arrivarono entro i tempi promessi dall’imperatore. Il comes della Tracia permise ai soldati e ai duces di barattare cibo e carne di cane con i figli dei Tervingi, che vennero venduti come schiavi ai Romani. La rabbia scoppiò in rivolta e iniziò un lungo e sanguinoso saccheggio della Tracia: le città di Marcianopoli, di Adrianopoli (battaglia in cui lo stesso Imperatore Valente perse la vita) e le città della Grecia furono messe al sacco, permettendo anche a gruppi di Alani e Unni di penetrare oltre il Danubio nei Balcani. La Guerra Gotica (376- 382), finì solo con l’intervento dell’imperatore Teodosio il Grande, ma la pace stipulata con Atanarico non impedì ad altri gruppi di Goti che si accalcavano sui confini danubiani di continuare a saccheggiare i territori dell’Impero.
I foederati divennero parte integrante della comunità romana. Gli autori romani dell’epoca denunciavano con veemenza la decadenza dei costumi romani e dell’imbarbarimento dell’esercito, non solo tra i ranghi della fanteria comitatense, ma anche tra le coorti palatinae e gli alti ranghi dell’esercito. Il generale Stilicone ne è l’esempio più lampante. I suoi oppositori per screditarlo sostenevano che fosse di origine vandala, ma alla morte del suo protettore Teodosio divenne reggente e precettore dell’imperatore Onorio, proseguendo politiche di inclusione e integrazione dei barbari nell’esercito e nella società romana, conscio del fatto che le pressioni a cui era sottoposta Roma avrebbero portato, senza una politica di inclusione, ad un sicuro collasso.


Nell'immagine, la pagina di copertina del Germania, di Tacito.


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Documento inserito il: 06/02/2025
  • TAG: Germani, tardo Impero Romano, Alto Medioevo, storia della cultura europea, invasioni barbariche, tarda antichità, storia e cultura dell’età romano-barbarica

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