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Gli incrociatori leggeri classe Capitani Romani

Negli anni successivi alla conquista italiana dell'Impero d'Etiopia cominciò a farsi sempre più evidente, col progressivo aumentare dei motivi di contrasto con le potenze occidentali e lo stringersi di legami sempre più stretti con la Germania, la possibilità di un conflitto futuro che opponesse l'Italia alla Francia e alla Gran Bretagna. Di conseguenza, anche i programmi di costruzioni navali furono sempre più strettamente indirizzati in questo senso, cercando cioè di costituire una flotta in grado di opporsi, nel suo complesso se non nave per nave, a quelle dei due paesi probabili nemici; seguendo una sua antica tradizione, tuttavia, la Regia Marina continuò a modellare le proprie forze soprattutto in contrapposizione a quelle della Francia, che era considerata l'avversaria più temibile nel Mediterraneo, non essendo ovviamente possibile prevedere il repentino crollo militare che sarebbe avvenuto nella primavera del 1940. Così, quando nel 1937 la Marine Nationale terminò la costruzione delle sei unità della classe L'AUDACIEUX e impostò i MOGADOR che ne rappresentavano la logica evoluzione, in Italia si decise di impostare unità similari. In effetti, le unità francesi, di un tipo che non trovava sino ad allora riscontro presso altre marine, sarebbero state in grado di creare non pochi fastidi ai traffici italiani nel Mediterraneo, grazie al loro armamento (V-138 mm sui L'AUDACIEUX e VIII-138 mm sui MOGADOR) nettamente superiore a quello dei cacciatorpediniere della Regia Marina ed alla loro alta velocità, che li avrebbe messi in condizione di evitare lo scontro con gli incrociatori leggeri italiani.
Alla luce di queste considerazioni, la Regia marina decise la costruzione di una serie di dodici unità, che vennero iscritte nel programma navale del 1938. Il loro progetto venne affidato ai generali del Genio Navale Pugliese (Progettista delle corazzate classe LITTORIO) e Alfano, che si trovarono di fronte ad un compito non facile; con un dislocamento standard di 3.500 ton. si dovevano infatti ottenere un armamento composto da VIII-135/45 mm in torrette binate, VI-65/64 mm singoli, VIII-20/65 mm, VIII tls in due impianti quadrupli; le parti vitali dovevano essere protette da una leggera corazzatura, si doveva poter imbarcare un aereo e la velocità massima doveva raggiungere i 41 nodi (sebbene ufficialmente la velocità dei L'AUDACIEUX fosse di 37 nodi, era di dominio comune il fatto che alle prove tutte le unità avevano largamente superato i 40).
La realizzazione di unità dalle caratteristiche così spinte e per certi versi assai avanzate non era certo molto semplice: i progettisti furono infatti costretti ad abbandonare l'idea della protezione e dell'aereo, e venne previsto un larghissimo uso di leghe leggere per tutte le sovrastrutture ad eccezione, ovviamente, delle sovrastrutture di sostegno delle armi e dei relativi apparati di punteria. L'uso di questi materiali rappresentava una importantissima novità per la Regia Marina, che sino ad allora li aveva impiegati soltanto sulla motosilurante STEFANO TURR, largamente sperimentale; oltre all'evidente risparmio sul peso, essi possedevano una resistenza alla corrosione salina nettamente superiore a quella degli altri materiali e consentivano una migliore stabilità della nave, alleggerendo l'opera morta.
Si dovette inoltre rinunciare, sempre in sede di progetto, ai pezzi antiaerei da 65/64 mm, in quanto le aziende produttrici non sarebbero riuscite a realizzarli in un tempo compatibile con i termini di allestimento previsti; si decise quindi di dotare le nuove unità di un armamento contraereo composto unicamente da mitragliere, e precisamente VIII-37/54 mm e VIII-20/65 mm, più altre armi di calibro minore.
Completato il progetto, tra il 1939 e il 1940 le dodici unità vennero impostate in tutti o quasi i grandi cantieri italiani. I nomi scelti, forse in funzione del particolare ambiente politico dell'Italia di allora, non erano mai stati portati da alcune nave militare italiana, né é probabile che lo saranno in futuro; é indubbio, tuttavia, che essi conferivano alle unità un fascino del tutto particolare. Richiamandosi infatti alle tradizioni militari di Roma, si decise di battezzare le nuove navi con i nomi dei suoi maggiori condottieri; si ebbero così ATTILIO REGOLO, SCIPIONE AFRICANO, CAIO MARIO, PAOLO EMILIO, CORNELIO SILLA, OTTAVIANO AUGUSTO, VISPANIO AGRIPPA, GIULIO GERMANICO, ULPIO TRAIANO, POMPEO MAGNO, CLAUDIO DRUSO E CLAUDIO TIBERIO, e la classe, originariamente indicata come classe REGOLO, divenne poi nota come CAPITANI ROMANI.
Anche la designazione del tipo, non facilmente determinabile, non essendo state previste navi simili negli accordi internazionali che regolarono le costruzioni nel periodo tra le due guerre, fu soggetta a cambiamenti: si passò infatti dalla primitiva qualifica di esploratori oceanici (leggermente assurda, dato che in un conflitto contro la Francia e la Gran Bretagna ben difficilmente navi di superficie italiane avrebbero potuto operare sugli oceani) a quella indubbiamente più esatta di incrociatori leggeri.
Strutturalmente, i CAPITANI ROMANI si potevano considerare grosso modo simili ai primi incrociatori del tipo CONDOTTIERI, dei quali riprendevano infatti molti particolari , e soprattutto l'importanza data alla velocità a scapito della protezione; ci sembra indubbio, tuttavia, che in queste unità tali caratteristiche fossero più logiche e meglio armonizzate che non sui primi incrociatori leggeri della Regia Marina, cosa del resto giustificata dalla maggiore modernità e dalle diverse esigenze da soddisfare. Lo scafo aveva forme molto affinate, rese assai caratteristiche ed immediatamente riconoscibili dalla prua dritta col paramine scorrevole, dotata di un accentuato cavallino; la maggior parte delle sovrastrutture era concentrata nei settori prodieri, con il torrione comprendente la plancia e la direzione del tiro principale; seguiva l'albero di trinchetto, che sulle unità che riuscirono ad entrare in servizio venne sostituito da un tripode destinato a sostenere un impianto radar. I due fumaioli, ampiamente distanziati tra loro, avevano ambedue linee diritte.
L'armamento principale, composto come si é detto da VIII-135/45 mm, era sistemato in quattro torrette binate disposte lungo l'asse longitudinale della nave. Il cannone, la cui costruzione risaliva al 1937, pesava 6 ton., e lanciava un proiettile pesante 32 Kg. alla velocità iniziale di 825 m/sec; l'elevazione massima era di 45 gradi, sufficiente quindi per permettere anche il tiro antiaereo, e la depressione massima 5 gradi. Alla massima elevazione, la gittata raggiungeva i 20.000 m. e la cadenza di tiro, con un equipaggio addestrato, era di 6 colpi al minuto. Dopo la forzata rinuncia ai nuovi pezzi antiaerei da 65/64 mm, che avrebbero dovuto essere disposti uno su ambo i lati delle ciminiere e due ai lati dell'albero poppiero, l'armamento secondario dei CAPITANI ROMANI venne basato, come già detto, esclusivamente su mitragliere: le VIII-37/54 mm erano sistemate sei sulla tuga prodiera, tre per lato e due lateralmente all'alberetto poppiero, mentre le VIII-20/65 mm erano raggruppate in quattro complessi binati su plancette sopraelevate che circondavano il fumaiolo poppiero. I tubi lanciasiluri erano collocati in due impianti quadrupli assiali, di nuovo progetto per la Regia Marina; essi, tuttavia, non dettero i risultati sperati, e si rivelarono una continua fonte di avarie senza mai arrivare a garantire un efficiente funzionamento. Infine, era prevista la possibilità di portare mine, date le caratteristiche generali di queste unità che le avrebbero rese ideali per la posa di campi minati di sorpresa; a questo scopo, sul ponte di coperta erano state sistemate delle ferroguide che andavano dal lanciasiluri anteriore sino alla poppa estrema. Dal punto di vista dell'armamento, quindi, quindi, si trattava di unità decisamente superiori ai L'AUDACIEUX (V da 138 mm) e equivalenti ai MOGADOR, che avevano anch'essi quattro terrete binate da 138 mm; il maggior dislocamento (5.420 ton. a pieno carico contro 4.018) conferiva però probabilmente ai CAPITANI ROMANI migliori qualità incassatrici e nautiche in generale.
La velocità, come si é già accennato, doveva essere la caratteristica principale delle unità; di conseguenza, il loro apparato motore era particolarmente curato e di progettazione avanzata. Esso consisteva in quattro caldaie a tubi d'acqua subverticali, sistemate ognuna in un proprio locale; ogni gruppo di due caldaie azionava un gruppo turboriduttore costituito da una turbina ad alta pressione e da due turbine a bassa pressione. La potenza massima, veramente notevole date le dimensioni relativamente ridotte delle navi, era di 110.000 HP., superiore quindi a quella di quasi tutte le versioni dei precedenti incrociatori leggeri tipo CONDOTTIERI; le eliche erano due, a tre pale e del diametro di 4,2 m.
Alle prove, e quindi con un dislocamento ancora leggermente inferiore a quello standard, furono raggiunti i 41 nodi previsti dal contratto; é tuttavia da tener presente che nel corso del conflitto lo SCIPIONE AFRICANO, in missione di guerra e quindi a pieno carico, raggiunse punte di velocità superiori ai 43 nodi. Indubbiamente questo rappresentò un notevole passo avanti nei confronti delle precedenti costruzioni navali italiane - specialmente in fatto di cacciatorpediniere - che troppe volte raggiungevano le alte velocità per cui erano famose solo alle prove e comunque in condizioni ben lontane da quelle di un reale impiego operativo. Anche da altri punti di vista le unità della classe CAPITANI ROMANI si rivelarono particolarmente ben riuscite: nonostante lo scafo fosse stato progettato soprattutto in funzione delle alte velocità, le loro doti di tenuta al mare che si temeva risultassero compromesse dal peso delle torrette binate spostato piuttosto in alto, si rivelarono decisamente buone. Circa le capacità incassatrici, ovviamente assai menomate dall'assenza totale di una sia pur leggera protezione, non si possono trarre delle conclusioni, in quanto nessuna di queste unità fu mai impegnata in scontri con il cannone; tuttavia, il REGOLO ebbe l'intera prua asportata da un siluro inglese e riuscì ugualmente a rientrare in porto, il che depone indubbiamente a favore dell'accuratezza e della robustezza della costruzione.
All'atto dell'ingresso dell'Italia nel conflitto, tutte le unità erano state impostate: l'ATTILIO REGOLO, il CAIO MARIO, il CLAUDIO TIBERIO, lo SCIPIONE AFRICANO nei cantieri Odero Terni Orlando di Livorno, il CORNELIO SILLA e il PAOLO EMILIO nei cantieri Ansaldo di Genova il CLAUDIO DRUSO e il VISPANIO AGRIPPA nei cantieri del Tirreno di Riva Trigoso, l'OTTAVIANO AUGUSTO, il POMPEO MAGNO e l'ULPIO TRAIANO nei Cantieri Navali Riuniti (ad Ancona i primi due e a Palermo il terzo) e infine il GIULIO GERMANICO nel Cantiere di Castellammare di Stabia. Tuttavia, le carenze di materiali da costruzione cominciarono a far sentire il loro peso, mentre diveniva sempre più urgente il problema di disporre di unità di scorta di minori dimensioni per i compiti connessi con la protezione dei convogli destinati all'Africa settentrionale, dove si stavano praticamente decidendo le sorti della guerra nel Mediterraneo: venne così, sebbene a malincuore, deciso di sospendere la costruzione di alcune unità della classe CAPITANI ROMANI e di demolirle sullo scalo, allo scopo di recuperare materiali utilizzabili per altre navi. Il PAOLO EMILIO e il CLAUDIO DRUSO vennero infatti demoliti dal 20.10.1941 al 10.02.1942, il VISPANIO AGRIPPA dal 01.07.1941 al 20.08.1942, il CLAUDIO TIBERIO dal 24.11.1941 al 18.02.1942.
Nonostante difficoltà d'ogni genere connesse con l'approvvigionamento dei materiali, i lavori continuarono sulle rimanenti otto unità, che furono tutte varate dal 28.08.1940 (ATTILIO REGOLO) al 30.11.1942 (ULPIO TRAIANO); tuttavia, solo tre di esse - e precisamente l'ATTILIO REGOLO, il POMPEO MAGNO e lo SCIPIONE AFRICANO - entrarono in servizio con la Regia Marina e parteciparono ad azioni belliche. La costruzione o l'allestimento di tutte le altre fu bloccata dall'armistizio, anche se in realtà i lavori venivano effettuati solo sul GIULIO GERMANICO e sull'OTTAVIANO AUGUSTO; il CAIO MARIO, il cui scafo veniva usato alla Spezia come deposito carburante, venne catturato dei Tedeschi e successivamente affondato. Il CORNELIO SILLA, anch'esso catturato dei Tedeschi nel porto di Genova, affondò sotto le bombe alleate nel luglio del 1944; l'OTTAVIANO AUGUSTO (completato all'85 per cento lo scafo e al 99,8 per cento per l'armamento) venne catturato dai Tedeschi il 14/09/1943 nel porto di Ancona, e qui venne affondato da aerei alleati l'1/11/1943; il GIULIO GERMANICO (allestito all'88 per cento) cadde in mano alle truppe tedesche, dopo duri combattimenti, l'11/09/1943, e fu da esse successivamente affondato nel porto di Castellammare il 28 dello stesso mese. Diversa, e precedente, la fine dell'ULPIO TRAIANO , é da presumere che i sommozzatori inglesi lo avessero scambiato per una nave più importante, probabilmente ingannati dalla notevole lunghezza.
Delle tre unità che riuscirono ad entrare in servizio, la prima fu l'ATTILIO REGOLO, che entrò ufficialmente a far parte della Regia Marina il 14 maggio 1942. Nel frattempo, molte delle situazioni che avevano portato alla costruzione di queste unità erano radicalmente cambiato, ed era passato il momento in cui esse avrebbero potuto essere sfruttate al meglio delle loro possibilità nell'attacco in formazione contro i convogli avversari e nella difesa di quelli italiani, come pure nell'esplorazione a largo raggio; così l'ATTILIO REGOLO venne impiegato quasi esclusivamente in operazioni di posa di mine, nelle quali la sua alta velocità era particolarmente preziosa. Nel corso di una di queste operazioni, l'8 novembre 1942, l'unità fu colpita con un siluro dal sommergibile inglese UNRUFFLED, comandato dal Cap. Stevens, al largo di Palermo.
L'esplosione causò alla nave la completa asportazione della prua, ma essa poté essere presa a rimorchio e rientrare in porto, nonostante la gravità del colpo subito. I lavori di riparazione e ripristino furono abbastanza lunghi, e in pratica l'ATTILIO REGOLO non svolse più attività di rilievo sino all'8 settembre 1943; in quella data, l'unità si trovava a Genova e, secondo gli ordini ricevuti, partì con il resto della flotta nella stessa notte. Nel pomeriggio del giorno successivo, venne tuttavia distaccato dalla formazione per salvare i naufraghi della corazzata ROMA, che portò poi alle Baleari, rimanendovi internato sino alla fine della guerra.
Lo SCIPIONE AFRICANO entrò invece in servizio il 23 aprile del 1943, e fu protagonista dell'episodio bellico forse più famoso nella brevissima vita operativa di queste navi: nella notte tra il 16 ed il 17 luglio 1943, mentre si stava trasferendo da Taranto a Napoli, venne attaccato nello stretto di Messina da quattro motosiluranti americane , che lo fecero bersaglio al lancio di siluri. Lo SCIPIONE AFRICANO evitò i siluri manovrando alla massima velocità (appunto in questa occasione vennero superati i 43 nodi) e aprì quindi il fuoco: due dei battelli nemici saltarono in aria, un terzo si capovolse e affondò nel tentativo di mantenere la velocità dell'incrociatore e di seguirne le evoluzioni, e il quarto preferì ritirarsi. Il 9 settembre, lo SCIPIONE scortò da Pescara a Brindisi la corvetta BAIONETTA, col suo carico della famiglia reale e di alte personalità in fuga; svolse successivamente un'attività piuttosto intensa nel periodo di cobelligeranza, mai però direttamente connessa a fatti bellici.
L'ultima unità della classe ad entrare in servizio con la Regia Marina fu il POMPEO MAGNO , il 4 giugno 1943. Non fece praticamente in tempo a svolgere alcuna attività bellica, e il 9 settembre lasciò Taranto per Malta con altre unità, sotto il comando dell'ammiraglio Da Zara; anch'esso svolse, nel periodo della cobelligeranza, un'attività relativamente intensa, ma non collegata a eventi e fatti d'arme.
Alla fine della guerra, ATTILIO REGOLO, POMPEO MAGNO e SCIPIONE AFRICANO prestavano ancora servizio nella Marina Militare. In osservanza al TRATTATO DI PACE, tutte e tre le unità avrebbero dovuto essere cedute alla Francia, che però ritenne opportuno non prendere possesso del POMPEO MAGNO in considerazione delle cattive condizioni generali del suo apparato motore.
ATTILIO REGOLO e SCIPIONE AFRICANO vennero invece radiati dai quadri, assunsero le sigle provvisorie di R.4 e di S.7 rispettivamente e furono consegnati alla Marine Nationale nella rada di Tolone l'1 e il 15 agosto 1948, assumendo i nuovi nomi di CHATEAURENAULT e GUICHEN. Sotto nuova bandiera, le due unità erano destinate a svolgere un servizio molto più lungo di quello effettuato nella Regia Marina: trasformate in unità rapide AA e AS, rientrarono in squadra nel 1954, dopo ampie trasformazioni (in particolare, l'armamento venne basato su VI -105 mm, X-57 mm, XII tls da 533 mm AS) e con la nuova qualifica di Escorteurs d'Escadre. Nel 1958-59, vennero nuovamente sottoposti a trasformazioni, per ricavarne delle unità comando o conduttori di flottiglia; a questo scopo, vennero sbarcati VI tls e la torretta binata da 105 mm poppiera, per ricavare lo spazio necessario alla sistemazione di apparecchiature radar di maggiori dimensioni e agli alloggiamenti del maggiore personale imbarcato. In questa nuova veste, GUICHEN e CHATEAURENAULT rimasero in servizio sino all'aprile 1961 e all'ottobre del 1962, quando furono radiati e avviati alla demolizione.
Anche nella Marina Militare tuttavia, due dei CAPITANI ROMANI erano destinati a svolgere un lungo servizio, anche se con nomi e scopi diversi da quelli originari. Nel corso del primo programma di ricostruzione della flotta italiana, infatti, venne deciso di utilizzare il POMPEO MAGNO (che dopo la radiazione era contraddistinto dalla sigla FV 1) e lo scafo del GIULIO GERMANICO, che era stato recuperato nel porto di Castellammare e indicato come FV 2. Date le mutate esigenze della Marina Militare nel Mediterraneo, venne deciso di trasformare le due unità, ribattezzate SAN GIORGIO (ex POMPEO MAGNO) e SAN MARCO (ex GIULIO GERMANICO), in cacciatorpediniere conduttori; i lavori si svolsero dal 1953 al 1955 rispettivamente presso i Cantieri del Tirreno di Genova e la Navalmeccanica di Castellammare di Stabia, e le due unità entrarono - o rientrarono, se si preferisce - in squadra l'1 luglio 1955 e l'1 gennaio 1956. Le loro caratteristiche erano molto mutate specie per quanto riguardava l'armamento; esso risultava infatti basato su VI-127/38 mm in tre torri binate - una prodiera e due poppiere - e su XX mitragliere da 40/56 mm in impianti binati, mentre la componente AS era assicurata da un lanciabombe automatico a tre canne, quattro lanciabombe laterali e uno scaricabombe poppiero. Anche l'apparato motore aveva subito alcune leggere modifiche, in modo che la velocità massima era stata ridotta a 38,5 nodi (massima velocità mantenibile con continuità 36 nodi). Nel suo nuovo aspetto, il SAN MARCO rimase in servizio fino al gennaio 1971, quando ne venne decisa la radiazione inevitabile data la vetustà della nave e la sua ormai scarsa efficienza bellica. Diversa invece la sorte del SAN GIORGIO: nel periodo 1963-65, infatti, esso venne sottoposto a grandi lavori nell'arsenale di La Spezia, che lo trasformarono in nave scuola con le sistemazioni per 130 allievi dell'Accademia Navale. I lavori non si limitarono però alle sistemazioni per i cadetti, ma riguardarono anche altre caratteristiche della nave: una delle torrette binate da 127/38 mm precisamente quella sopraelevata poppiera) venne sbarcata e sostituita da una torretta singola da 76/62 mm ALLARGATO, mentre altre due torrette simili vennero sistemate una per lato a centro nave; i lanciabombe e lo scaricabombe vennero sostituiti da VI tls in due impianti trinati. Completamente rifatto anche l'apparato motore: la Marina Militare aveva infatti necessità di sperimentare le turbine a gas , che all'epoca erano ancora un mezzo di propulsione relativamente nuovo, e venne così deciso di utilizzare allo scopo il SAN GIORGIO. L'unità - prima nave della marina Militare - ebbe quindi un apparato motore CODAG, con due gruppi, ciascuno formato da una turbina a gas Tosi-Metrovick e da due diesel FIAT agenti su ognuno dei due assi; la potenza complessiva sviluppata era di 31.600 HP (15.000 più 16.600) per una velocità di 20 nodi con i soli diesel e di 28 nodi con i diesel e le turbine a gas. Nel suo ultimo aspetto, il SAN GIORGIO (che ha mantenuto la vecchia sigla D 562) ha già svolto diverse crociere con gli allievi dell'Accademia Navale, ed é probabilmente destinato a restare in servizio ancora per diverso tempo, ultima nave superstite della sua classe.
Nonostante abbiano svolto un servizio bellico relativamente limitato, le unità della classe CAPITANI ROMANI occupano un posto importante nello sviluppo delle costruzioni belliche della Regia Marina. Si trattò indubbiamente di navi molto riuscite, che univano l'altissima velocità - cui troppo spesso, in altre costruzioni, erano state sacrificate caratteristiche non meno importanti - a doti di tenuta al mare e di robustezza che si rivelarono anch'esse decisamente buone. Ovviamente, il loro tardo ingresso in servizio, in numero molto inferiore a quanto fosse stato previsto, impedì di utilizzarle nel modo migliore; sarebbe stato molto interessante un esame delle possibilità di queste navi in attacchi al traffico nemico eseguiti da forti gruppi omogenei, e nella difesa dei convogli italiani, compito nel quale la velocità nettamente superiore a quella degli attaccanti avrebbe potuto essere determinante.

Nell'immagine il San Giorgio (D 562) ex Pompeo Magno, nella sua ultima configurazione di nave scuola della Marina Militare.


Articolo tratto dal n°104 dell'ottobre 1973 della rivista Interconair Aviazione e Marina
Documento inserito il: 01/12/2017
  • TAG: regia marina, capitani romani, incrociatori leggeri, seconda guerra mondiale

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