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Operazione Postmaster. Quando i Commandos inglesi rubarono una nave italiana

di Francesco Caldari


Se diciamo Ian Fleming la mente corre subito al suo personaggio ben noto: l’agente 007, al servizio segreto di Sua Maestà e protagonista nei romanzi e nei film negli anni 60 e 70, nel contesto reale della Guerra Fredda ed in quello immaginifico della lotta alla minaccia mondiale portata dalla organizzazione criminale Spectre. Mente fervida quella dello scrittore, accurato però nel costruire le operazioni spericolate del suo agente James Bond con in tasca la licenza di uccidere.
In realtà una fonte di ispirazione decisamente reale l’inglese Fleming l’aveva avuta dall’attività svolta durante il II conflitto Mondiale. Nato a Londa nel 1908, il nostro aveva già superato la trentina quando il suo Paese dichiarò guerra alla vorace Germania nazista. Seppure in gioventù avesse rinunciato alla carriera militare, lasciando anzitempo la Reale accademia militare di Sandhurst, chiamato ora a difendere la Patria venne reclutato come assistente personale dall'ammiraglio John Edumund Godfrey, direttore della Naval intelligence della Royal Navy, che evidentemente scorse in lui qualità di fantasia e un approccio “laterale” alla risoluzione di problemi. Dall’alto della sua posizione, Fleming teneva i collegamenti con altre strutture delicate della macchina organizzativa difensiva anglosassone: a partire dallo staff del Primo Ministro, al Secret Intelligence Service, allo Special Operations Executive (SOE).
La leggenda vuole che proprio guidando dal Quartier Generale le avventurose azioni di una branca delle così dette Operazioni Speciali (la 30 Assault Unit, addetta a infiltrazioni clandestine nel territorio nemico per impadronirsi di informazioni quali codici, documenti, equipaggiamenti) Fleming abbia tratto l’idea poi sviluppata a partire dal suo primo libro (Casinò Royale) dell’ineffabile James Bond. Anzi, secondo qualcuno questi non rappresenta altro che la propaggine fantasiosa di un ufficiale realmente esistito, a sua volta un commando sabotatore, il maggiore Gus March-Phillipps.
Facciamo un passo alla volta, spiegando il ruolo di queste “operazioni speciali” in un conflitto. In un manuale militare leggerete che si tratta di azioni militari non convenzionali, mirate ad anticipare il nemico, riuscendo, direttamente o a supporto di forze convenzionali, se possibile a neutralizzarne le capacità prima del combattimento anche tramite operazioni dirette contro obiettivi critici sotto l’aspetto operativo o strategico. Ciò è ottenibile per lo più con piccoli distaccamenti di combattenti che indossano uniformi, sotto catene di comando militari, infiltrati dietro le linee nemiche magari paracadutati, che in questo contesto svolgono compiti similari a quelli che possono essere posti in atto da agenzie di intelligence (operanti a loro volta sì dietro le linee nemiche, ma non in uniforme) nell’effettuare sabotaggi, sobillare la sovversione, raccogliere informazioni decisive.
Durante la Seconda guerra mondiale la Gran Bretagna creò nel giugno del 1940 una serie di unità che intrapresero una varietà di queste operazioni contro le potenze dell'Asse. La volontà fu espressa dal Primo Ministro Winston Churchill, che appoggiò i loro piani quando l'alto comando militare si mostrò spesso poco entusiasta, e che affermò senza mezzi termini: “abbiamo bisogno di truppe appositamente addestrate che possano sviluppare un regno di terrore lungo le coste dell’Europa occupata, lasciando dietro di sé una scia di cadaveri tedeschi”. Furono così sviluppate nuove tattiche per svolgere missioni innovative e non convenzionali, con l’aiuto dei progressi tecnologici riferiti a migliori comunicazioni radio, trasporti aerei e marittimi, veicoli a motore più affidabili, nuove armi ed esplosivi più potenti.
Una operazione condotta da queste forze è quella convenzionalmente denominata “Postmaster”, dai contorni avventurosi, tuttora ricordata, giacché recentemente la piattaforma streaming Prime ha diffuso il film del regista Guy Ritchie ad essa dedicato, intitolato “Il ministero della guerra sporca”, così come il libro cui si è ispirato, scritto da Damien Lewis. Siamo a gennaio del 1942 e le acque delle coste africane occidentali del Golfo di Guinea sono solcate dal peschereccio da 65 tonnellate Maid Honor. In realtà l’equipaggio non è formato da tranquilli pescatori svedesi come la bandiera scandinava issata dovrebbe far ritenere, bensì da membri dello Special Operations Executive (SOE) britannico, proprio una di quelle organizzazioni per operazioni speciali che abbiamo appena descritto. Essi sono alla ricerca di basi clandestine utilizzate dai sommergibili tedeschi posti a caccia del naviglio mercantile alleato sulle rotte da Sud America e Sudafrica verso il Regno Unito. L’intelligence inglese ha difatti fornito notizie che proprio estuari fluviali nell'Africa equatoriale francese sotto controllo nazista sono utilizzati dagli Unterseeboot tedeschi come base logistica (rifornimenti, carburanti) nelle pause degli attacchi al naviglio alleato. Dobbiamo sottolineare come quella definita “battaglia dei sommergibili nell’Atlantico” fu di vitale importanza strategica nel conflitto, vedendo contrapposti da una parte i famelici sommergibili dell’Asse ("branchi di lupi", in tedesco "Wolfsrudel") con il compito di attaccare in modalità occulte ed interrompere le linee di rifornimento dal continente americano all’Europa, e dall’altra i convogli di navi mercantili, scortati per la difesa del loro prezioso carico da navi militari. Riuscire ad individuare le basi e se possibile sabotarle era quindi di vitale importanza per i britannici.
La missione di nostro interesse era stata affidata al No. 62 Commando, altrimenti noto con la sigla SSRF ovvero Small Scale Raiding Force, formato nel 1941 nell’ambito del SOE e posto al comando del maggiore Gus March-Phillipps. Questa era la prima opportunità dell'unità per dimostrare il suo valore. Per svolgere il compito la squadra si era divisa in due: il peschereccio Maid Honor, con un equipaggio di cinque uomini sotto March-Phillipps lasciò la costa meridionale del Dorset il 9 agosto 1941, diretto in Africa occidentale. Tra i membri dell’equipaggio anche un danese alto e biondo, Anders Lassen, un marinaio professionista che, quando la Germania aveva occupato la Danimarca, aveva viaggiato verso l’Inghilterra con la marina mercantile danese per arruolarsi da volontariato nei Commandos. Il resto dell'SSRF, sotto il comando del capitano Geoffrey Appleyard, era partito prima, a bordo di una nave da trasporto truppe. Il 20 settembre Maid Honor raggiunse Freetown, in Sierra Leone, ricongiungendosi ad Appleyard che vi era giunto sin dalla fine di agosto. Le attività di ricognizione però non avevano ancora portato ad alcun avvistamento di possibili basi logistiche di sommergibili tedeschi. Il destino aiuta però evidentemente le forze speciali, magari prospettando un cambio di programma. Così avvenne. Sull’isola spagnola di Fernando Po (ora Bioko), a circa 20 miglia al largo della costa africana, vicino il confine tra Nigeria e Guinea, l’intelligence inglese aveva appreso della presenza di tre navi dell'Asse, ormeggiate nel porto di Santa Isabel (ora Malabo). Si trattava dell’italiana nave da carico Duchessa d'Aosta (8.500 tonnellate), del rimorchiatore tedesco Likomba, e della chiatta diesel Bibundi. La Duchessa d'Aosta era lì dislocata poiché il 10 giugno 1940 (data di entrata in guerra dell’Italia) stava viaggiando con il suo carico dal Sudafrica a Genova. Come molte altre navi italiane nella sua medesima situazione di possibile pericolo se avesse proseguito la crociera cercò rifugio in un porto neutrale. Era dotata di radio ed era quindi percepita dal SOE come una minaccia per poter fornire dettagli sui movimenti navali alleati. Nel manifesto erano dichiarate 1.340 tonnellate di lana, 141,33 tonnellate di pelli, 580 tonnellate di materiali per l'abbronzatura, 1.786 tonnellate di copra, 243,15 tonnellate di fibra grezza di amianto e oltre 11 milioni di lingotti di rame elettrolitico. Era forte il sospetto che trasportasse anche armi o munizioni.
Fu così inviato direttamente sul posto un agente del SOE, Leonard Guise, che nell'agosto del 1941 presentò un piano per impadronirsi del Likomba e del Duchessa d'Aosta. Il 20 novembre successivo l'Ammiragliato inglese approvò l'operazione, nonostante si sarebbe dovuta svolgere in un porto spagnolo, quindi neutrale.
Gli inglesi coinvolsero l’amministrazione nigeriana, chiedendone l’appoggio, mediante fornitura di due rimorchiatori e diciassette uomini reclutati tra la popolazione locale come equipaggio. La forza di incursione vera e propria era di quindici uomini: quattro agenti del SOE ed undici commandos del SSRF. Poiché gli imprevisti sono sempre dietro l’angolo non ne mancò uno anche in questa circostanza, e vestì l’uniforme del generale Sir George Giffard, comandante militare britannico nell'Africa occidentale, che si rifiutò di sostenere la missione ed arruolare i diciassette nigeriani richiesti quali uomini di equipaggio, ritenendo che quello prospettato era un atto di pirateria bello e buono che avrebbe potuto avere ripercussioni significative.
Solo il 6 gennaio 1942 da Londra furono superate le titubanze, a condizione che non vi fossero prove tangibili del coinvolgimento britannico. A tutela fu inviata anche la corvetta HMS Violet per intercettare le due navi nemiche in mare, sì da creare una storia di copertura che sostenesse che le imbarcazioni trafugate erano in realtà state semplicemente intercettate in acque internazionali, mentre cercavano di raggiungere l’Europa dopo che gli equipaggi tedeschi e italiani si erano detti insoddisfatti delle loro condizioni di retribuzione a Fernando Po ed avevano ammutinato. Nel frattempo, Richard Lippett, un ulteriore agente del SOE, aveva ottenuto un impiego presso la compagnia di navigazione John Holt & Co. di Liverpool, che aveva uffici commerciali sull'isola di Fernando Po, dove egli si recò. Sotto queste mentite spoglie partecipò ad una festa alla quale erano presenti marinai italiani, ottenendo informazioni sulla prontezza della nave per il mare, il numero dei membri dell'equipaggio e le disposizioni di sorveglianza.
La mattina dell'11 gennaio i nostri lasciarono Lagos in Nigeria a bordo di due rimorchiatori, raggiungendo il porto di Santa Isabel intorno alle 23.30 del 14 gennaio, la notte più buia del periodo, senza luna. A terra, tutte le luci della cittadina erano sistematicamente spente a mezzanotte. Lippett aveva organizzato una cena nel casinò di San Ferdinando, per ricambiare l’invito avuto in precedenza, ospitando dodici ufficiali italiani del Duchessa d'Aosta e due ufficiali tedeschi del Likomba, così sottraendoli da eventuali azioni in risposta a quella inglese-nigeriana. Aveva curato che i loro posti a tavola fossero di spalle rispetto alla vista sul porto.
Il rimorchiatore con a bordo March-Phillipps e Appleyard si diresse verso il Duchessa d'Aosta. L’altro si avviò verso il Likomba e il Burundi, che erano ormeggiate insieme e a quel punto dovevano essere percepite come un unico obiettivo. Gli uomini agirono avvicinandosi su kayak fatti scivolare in mare. Poste cariche esplosive sulla catena di ancoraggio e tagliati i cavi di ormeggio, saliti a bordo delle navi, i commandos le assicurarono ai propri rimorchiatori attraverso cavi e catene, in modo da poterle trainare fuori dal porto. Le esplosioni avevano naturalmente allarmato la popolazione, che iniziò a radunarsi sul molo, ma non vi furono tentativi per impedire alle navi di allontanarsi. Postazioni antiaeree spagnole aprirono il fuoco contro obiettivi immaginari, ritenendo che le esplosioni provenissero da un attacco dal cielo. Dall'ingresso nel porto alla partenza con le navi al seguito, l'operazione aveva richiesto solo 30 minuti e il gruppo di incursori non aveva subito perdite, mentre aveva fatto 29 prigionieri (27 di loro furono poi trasferiti in un campo di internamento ad Amuahia, nel sud-est della Nigeria) e naturalmente conseguito l’obiettivo, ovvero sottrarre le tre imbarcazioni. La sera del giorno seguente si iniziarono a riscontrare problemi con i motori dei rimorchiatori e le funi di rimorchio, ma la corvetta HMS Violet era nei pressi ed intervenne puntualmente. Il peschereccio Maid Honor, quello la cui missione di identificare sottomarini tedeschi non aveva avuto esito, rimase a Lagos e alla fine fu venduto al governo della Sierra Leone. Il Duchessa d'Aosta fu affidato alla marina canadese per il Ministero dei trasporti di guerra, prendendo il nome di Empire Yukon. Il piccolo Likomba fu ribattezzato Malakel e nel 1948 passò ai liberiani.
Non può dirsi che il ratto delle tre imbarcazioni ebbe un valore strategico per il conflitto in corso, anche perché il Duchessa d’Aosta in realtà non aveva armi e munizioni stipate a bordo. Certo lo ebbe sotto l’aspetto dello spirito: si trattò di una vera beffa per tedeschi, italiani ed i “neutrali” spagnoli, e di un successo folgorante per i neonati commandos inglesi, che trassero forza morale da questa azione. Di ritorno a Londra, i dettagli del raid furono inizialmente tenuti segreti ai capi di stato maggiore britannici, sebbene il Primo Ministro Winston Churchill fosse pienamente consapevole di quanto accaduto. I capi furono infine informati della cattura della Duchessa d'Aosta pochi giorni dopo; fu detto loro che era stata intercettata oltre 200 miglia al largo e veniva portata a Lagos.
Come previsto, il governo spagnolo vide il raid come una violazione della neutralità del Paese, e un intollerabile attacco alla propria sovranità. I rapporti tedeschi secondo cui le forze navali nemiche erano entrate nel porto furono semplicemente negati dall'ammiragliato e contrastati da un comunicato dell'intelligence navale britannica. Richard Lippett fu interrogato dalle autorità spagnole, ma riuscì a convincerle del fatto che nulla aveva a che fare con la rapina delle navi. Gli fu negato il permesso di lasciare l'isola, anche se in seguito riuscì segretamente a fuggire in canoa, giungendo dopo qualche peripezia nel territorio britannico poche settimane dopo.
Per uno dei commando partecipanti vi fu un epilogo tragico in terra italiana: il sanguigno danese Anders Lassen, cui abbiamo fatto cenno, dopo il sequestro del Duchessa d'Aosta e il Likomba, trascorse un po'di tempo in Nigeria, dove come membro della SOE formò elementi di tribù locali nella guerriglia e nel sabotaggio. Di seguito attraversò avventurosamente molti teatri del conflitto (Egeo, Sardegna, Balcani) raggiungendo il grado di maggiore, agendo sempre nel contesto delle forze speciali britanniche, in particolare del SBS (Special Boat Service). Nell'aprile del 1945 si trovò coinvolto nella avanzata alleata in Italia, quale responsabile di una serie di operazioni anfibie che dovevano essere eseguite nella zona di Comacchio. Nel corso di una di queste, la notte dell’8 sul 9 aprile, cadde unitamente ad altri tre suoi soldati, falcidiati da una mitragliatrice tedesca. Il giorno seguente, i corpi di Lassen e dei suoi compagni furono portati a Comacchio dal parroco locale don Francesco Mariani e da alcune donne della città e furono sepolti nel vecchio cimitero. Ivi rimasero fino a quando, poco dopo la guerra, furono trasferiti nel nuovo cimitero militare britannico, che si trova nei pressi di Argenta. Lì riposa Anders Lassen, considerato in Patria un eroe, assieme ad altri 624 soldati del Commonwealth, caduti nelle operazioni di sbarco nell'area delle Valli di Comacchio e correlata battaglia di Argenta.


Nell'immagfine, la nave "rubata", SS Duchessa d'Aosta.


Bibliografia

B. Lett, Ian Fleming and SOE's Operation POSTMASTER: The Top Secret Story Behind 007, Pen & Sword Military, 2012;
D. Lewis, The Ministry of Ungentlemanly Warfare: How Churchill's Secret Warriors Set Europe Ablaze and Gave Birth to Modern Black Ops, Quercus, 2015;
T. Harder, Special forces hero Anders Lassen Vc Mc, Pen & Sword, 2021.


Filmografia

The Ministry of Ungentlemanly Warfare (Il ministero della guerra sporca), 2024, diretto da Guy Ritchie, piattaforma streaming Prime Video.

Documento inserito il: 13/08/2024
  • TAG: II Guerra Mondiale, operazioni speciali, commandos, SOE, operazione Postmaster

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