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Le armi segrete della Luftwaffe

Durante la seconda guerra mondiale gli scienziati tedeschi seppero creare alcune tra le più avanzate macchine volanti mai viste fino ad allora. Purtroppo per loro, era ormai troppo tardi per evitare la sconfitta della Germania.

Comincia il declino del Reich nazista

Fino all’estate del 1942, l’astro della Germania nazista sembrava essere destinato a splendere imperituro sull’Europa e sulle altre regioni del mondo in cui avanzavano le truppe del terzo Reich. Nel Nord Africa, il generale Rommel, e il suo Afrika Korp, era stato capace di soccorrere l’alleato italiano in netta difficoltà e prendere l’iniziativa sul fronte, arrivando alle porte dell’Egitto, prima che le forze britanniche si riassestassero davanti a El-Alamein. Sul fronte sovietico, Manstein aveva attaccato con successo in Crimea, mentre alla fine del mese di Agosto la Wehrmacht raggiungeva le linee di difesa di Stalingrado, dando inizio alla tragica leggenda della città russa sul Volga.Poi giunse l’autunno e quindi l’inverno. Col cambiare delle stagioni, mutò anche il destino della guerra. In Ottobre, Montgomery contrattacca a El-Alamein, mentre gli alleati Anglo-Americani aprono un secondo fronte nord-africano sbarcando in novembre sulle coste del Marocco e dell’Algeria. Nello stesso mese, il gigante sovietico si supera, riuscendo tra mille difficoltà ad approntare una grande offensiva sul saliente di Stalingrado, accerchiando la Sesta armata tedesca di von Paulus.
Nonostante gli alleati pubblicizzassero oltremodo le loro vittorie terrestri, fu sui fronti aereo e navale che le sorti della Germania si decisero definitivamente. Per i primi tre anni di guerra, i sottomarini tedeschi avevano terrorizzato i marinai di tutti i convogli alleati che facevano la spola tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, carichi di rifornimenti militari e commerciali. Con l’entrata nel nuovo anno, il sempre maggiore impegno della U.S. Navy e della Royal Navy nella scorta alle navi da trasporto e della U.S. Air Force e della RAF nel pattugliamento a medio e lungo raggio, resero meno efficaci gli U-Boote tedeschi, nonostante le innovazioni tattiche (il branco di lupi con più sottomarini in caccia contro lo stesso bersaglio) e tecnici (lo snorkel che garantiva una minore durata delle emersioni dovute ai rifornimenti).Con l’aumentato affluire di rifornimenti alla Gran Bretagna, l’apertura di un secondo fronte europeo non era più un’idea balzana del solo Stalin, ma una reale possibilità. In preparazione del memorabile momento del D-Day, le isole britanniche rappresentavano il trampolino di lancio ideale per i bombardieri alleati che, sfidando la strenua resistenza della Luftwaffe e della temibile artiglieria contraerea tedesca, volavano sopra le città industriali della Ruhr o quelle portuali di Amburgo e Brema per colpire direttamente al cuore la nazione nemica. Mentre gli americani bombardavano di giorno, assumendosi i maggiori rischi e quindi le perdite più ingenti in termini di uomini, i britannici colpivano di notte, rendendo insicure tutte le ore della giornata fin dove giungeva il loro raggio d’azione. Nell’ora del bisogno, la Luftwaffe si trovò, per così dire, costretta ad adottare misure tecnologie avanzatissime che sarebbero diventate la base dell’aviazione e dell’astronautica moderna: i caccia a reazione e i razzi. Spacciati come arma definitiva dalla propaganda nazista, queste armi avrebbero inciso relativamente poco sulla guerra a causa della penuria di materie prime (il petrolio che era sfuggito ai tedeschi nel Caucaso) e di risorse umane (i piloti con esperienza di volo cominciavano a divenire merce preziosa). Nonostante ciò, velivoli quali il Messerschmitt Me 163, il Messerchmitt Me 262 e le Velwaltungswaffen, meglio conosciute col nome di V1 e V2, rappresentarono delle pietre miliari nella storia dell’areonautica moderna.


Un caccia rivoluzionario

Il Messerschnitt Me 163 Komet racchiudeva nelle proprie caratteristiche degli elementi progettuali in anticipo di anni rispetto agli altri velivoli che volarono a quel tempo nei cieli d’Europa.Con le ali decisamente lunghe se rapportate al corpo corto e robusto, a prima vista poteva apparire persino buffo, specialmente dopo il decollo, quando il carrello anteriore veniva sganciato per lasciare il posto a un grande monopattino che lo facevano somigliare a una curiosa slitta sulla quale dei bambini si sarebbero sicuramente divertiti nella neve d’inverno. L’appellativo di Kraftei, navicella a uovo, nomignolo affibbiatogli più o meno scherzosamente dai suoi piloti, sembrava più che adatto. A una seconda occhiata però, un’osservatore un pò meno superficiale avrebbe cominciato a notare alcuni particolari che lo rendevano unico: l’attacco delle ali a freccia positiva, la mancanza dei piani di coda e l’ugello del piccolo, ma estremamente potente motore a razzo posteriore.Nato da un’idea prebellica di Aleksander Libbisch, il Me 163 era stato costantemente sviluppato nella prima fase della Seconda Guerra Mondiale. Già nell’estate del 1941, diversi prototipi volarono nella base di Peenemünde, ma fu subito chiaro che il progetto necessitava di ulteriori miglioramenti e studi approfonditi. Il modello 163A veniva condotto in quota agganciato a dei Bf 110 per poi essere liberato pochi secondi prima dell’accensione del motore a razzo. Fu solo con i velivoli di classe 163B che la Luftwaffe pensò di aver raggiunto una certa stabilità nello sviluppo dell’aereo, sufficiente per il suo impiego operativo.
Era il 1943 e un reparto speciale di collaudo, l’Erprobungskommando 16, ricevette in dotazione la nuova arma che, fin dal principio, fu considerata rivoluzionaria dai piloti che vi poterono volare. Il potente motore a razzo spingeva il Komet a oltre 880 km/h, circa 200 km/h più del Supermarine Spitfire IX ad esempio. Allo stesso tempo era in grado letteralmente di scalare il cielo raggiungendo i 5000 metri di quota in un minuto. Prestazioni che lo ponevano in una categoria fuori dalla portata dei suoi concorrenti diretti.
Però, come si sarebbero accorti presto tanto i collaudatori quanto i coraggiosi uomini che lo avrebbero pilotato in missioni operative, il Komet aveva una lunga serie di difetti che lo rendevano altamente pericoloso non solo per il pilota, ma anche per il personale a terra. Per cominciare, il potente motore a razzo Walter con cui era equipaggiato, utilizzava come propellente una miscela davvero micidiale di perossido d’idrogeno concentrato (T-Stoff) e idrazina con metanolo (C-Stoff) che dovevano essere mescolati per innescare la reazione necessaria a far volare l’aeroplano. Il composto risultò altamente instabile, tanto da provocare diversi morti anche tra il personale addetto al rifornimento. I piloti, per proteggersi dall’altissima corrosività di queste sostanze, erano costretti ad indossare speciali tute protettive che però servivano a ben poco nel momento più rischioso di tutto il volo: la partenza.
Il pilota doveva premere un tasto di accensione che in pratica rilasciava le due componenti per dare origine alla miscela propellente vera e propria. Se tutto andava bene, si poteva poi spingere la manetta per dare potenza. Se qualcosa andava male durante la miscelatura, rimaneva ben poco da fare al pilota, perchè il volo si concludeva con un’esplosione o un incendio di vaste proporzioni. I pericoli al decollo non si esaurivano certamente qui. Il carrello anteriore, che successivamente era sganciato appena staccati da terra, era senza ammortizzatori e quindi la più piccola imperfezione nella pista o un’incertezza nella distribuzione della forza sulla manetta da parte del pilota poteva comportare il ribaltamento del mezzo. Nel caso tutto fosse andato per il verso giusto al momento della partenza, il pilota poteva godersi l’ebrezza del volo a reazione per soli 6 minuti. Tanto infatti durava la miscela propellente dopo l’esaurimento della quale ci si doveva affidare a un volo planato. Per questa ragione, la prima fase dell’addestramento al pilotaggio del Komet era condotto su degli alianti.
I difetti erano evidenti a tutti, ma la necessità della Germania era altrettanto grande. Di conseguenza, gli uomini addestrati all’ Erprobungskommando 16 furono autorizzati a volare con i Me 163 nel Jagdgeschwander 400 (stanziato a Lipsia) già a partire dal Maggio 1944. L’impegno operativo principale fu naturalmente quello di contrastare i bombardieri alleati che martoriavano le industrie belliche tedesche. Il Komet aveva tutte le qualità per ben figurare nel confronto: la velocità lo avvantaggiava nel combattimento con i caccia alleati di scorta, mentre un potente cannone Rheinmetall-Borsig da 30 mm lo rendeva una minaccia mortale per qualunque bombardiere nemico.
Purtroppo quelle che avrebbero dovuto essere dei vantaggi si dimostrarono ancora una volta dei difetti. Poichè il Komet volava a più del doppio della velocità dei suoi bersagli, il pilota aveva solo pochi secondi per scaricare la potenza di fuoco del proprio cannone sull’obbiettivo. Per sfortuna o poco accorta progettazione, il Rheinmetall-Borsig aveva una cadenza di tiro davvero bassa che consentiva di sparare solo pochi colpi durante quel breve intervallo di tempo. Se si riusciva a mettere un colpo a segno, era una giornata davvero fortunata. Verso la conclusione del conflitto, gli ingegneri tedeschi avevano trovato la soluzione a questo problema: rastrelliere di razzi esplosivi che venivano sparati in verticale rispetto al piano di volo dell’aereo così che sarebbe bastato volare sotto un bombardiere per vedere accrescere le probabilità di colpirlo. Quest’ultima innovazione nell’armamento del Komet non divenne mai operativa anche se furono eseguiti diversi test in assetto da combattimento.
Le difficoltà dei piloti del Me 163 non si esaurivano qui. Anche nell’ipotesi in cui fossero riusciti a superare indenni il decollo e la fase di contatto con i bombardieri nemici, restava ancora l’atterraggio! Poichè il velivolo doveva planare verso la propria base senza la spinta del motore a razzo a causa della durata minima del combustibile, poteva accadere, e in effetti accadde, che molti atterraggi fossero condotti a una velocità troppo alta che portava all’intraversamento dell’aereo o alla rottura delle ali a causa del contatto col terreno: atterrare su un pattino non garantiva certo il perfetto equilibrio... Inoltre, i piloti alleati, dopo aver compreso come il Komet fosse vulnerabile in fase di disimpegno dal combattimento, attendevano che quest’ultimo si dirigesse verso la propria base per poi attaccarlo in fase di atterraggio, quando la navicella a uovo si comportava esattamente come il soprannome lasciava intendere.
Esprimere un giudizio sulle qualità di questo caccia è sicuramente difficile per il semplice motivo che fu forse un progetto troppo giovane per l’impegno attivo e sicuramente il suo sviluppo fu bruscamente interrotto dalla sconfitta della Germania. L’innegabile pregio che portò fu invece di mostrare, per la prima volta al mondo, a quali livelli tecnici si potesse portare l’arma aeronautica.


Il più avanzato caccia intercettore della Seconda Guerra Mondiale

Il Messerschnitt Me 262 Schwalbe (rondine) può essere considerato, a ragione, il più avanzato caccia intercettore che divenne operativo durante il secondo conflitto mondiale. A differenza dell’inglese Gloster Meteor che ebbe una vita e un successo diffuso anche dopo la fine della guerra, il Me 262 sarebbe rimasto un aereo strettamente legato al regime nazista, se si esclude la sua breve produzione postbellica in Cecoslovacchia prima dell’avvento del governo comunista. Nonostante questo elemento, per così dire, dequalificante, il velivolo tedesco racchiudeva in sè fin dalla nascita tutti gli elementi per essere considerato un progetto vincente e, soprattutto, efficace per scopi bellici.Infatti, già a partire dalla cellula della carlinga, affusolata ed elegante come mai nessun aereo prima aveva avuto, dimostrava l’evoluzione che stava portando la tecnica aeronautica dall’aereo a pistoni verso quello a reazione. Quasi per ironia della sorte, il primo volo del Me 262, avvenuto il 18 aprile 1941, avvenne proprio con un motore a pistoni, mancando ancora un motore a reazione davvero affidabile. Un’altra modifica che venne apportata al prototipo durante lo sviluppo fu la sostituzione del ruotino posteriore tradizionale con uno anteriore che avrebbe consegnato allo Schwalbe il carrello triciclo anteriore tipico degli aviogetti moderni.
Il 18 luglio del 1942 volò per la prima volta un prototipo dotato di due turboreattori Junkers 109-004A-0 che si dimostrarono immediatamente potenti oltre ogni aspettativa: portavano il Me 262 a quasi 900 km/h a una quota di poco più di 6000 metri! Anche se il montaggio dei motori era sotto le ali, fatto che limitava leggermente le prestazioni, nell’insieme il nuovo velivolo poteva surclassare tutti i caccia alleati in termini di velocità e, in misura minore, di maneggevolezza.A questi vantaggi legati alla progettazione della cellula e dei motori si aggiunsero un’elevata visibilità a testa alta del pilota, perfetta per il combattimento tra caccia e un armamento straordinariamente efficace quale i 4 cannoni MK 180 da 30 mm che ne costituivano la dotazione standard. Si può dire che se fosse stato prodotto in numero adeguato e con materie prime all’altezza, il Me 262 avrebbe potuto minacciare seriamente i bombardieri alleati che nell’ultima parte della seconda guerra mondiale dominavano i cieli della Germania, portando morte e distruzione praticamente indisturbati. Purtroppo, come spesso accade, la portata rivoluzionaria di un progetto non fu supportata altrettanto brillantemente nè dai quadri di comando della Luftwaffe nè dalla scarsa qualità dei materiali utilizzati per la costruzione dell’evoluzione dei motori utilizzati dal velivolo, cioè i Jumo 004B, che rimasero il vero punto debole.
Hitler, nella sua ossessiva ricerca di un’arma di distruzione che gli consentisse di riportare la guerra sopra la Gran Bretagna, stoltamente si ostinò a pretendere che la prima applicazione operativa del Me 262 non fosse nel suo ruolo naturale di caccia, ma come bombardiere ad alta velocità col nome di Sturmvogel (Procellaria). L’unica differenza tra le due implementazioni consisteva in due piloni portabombe sotto il muso che, oltre a far decadere ulteriormente le prestazioni, non costituivano sicuramente una seria minaccia vista l’esigua quantità di carico bellico che poteva esservi agganciato. Furono così persi mesi preziosi che avrebbero potuto essere impiegati più fruttuosamente nel miglioramento del progetto iniziale per un caccia a reazione. Solo quando la guerra uscì dalla Francia, durante l’autunno-inverno del 1944, anche Hitler si convinse che il Me 262 avrebbe meglio servito la causa tedesca nell’opporsi ai bombardieri alleati sopra le città del Reich.
Sebbene quest’apparecchio avesse tutti i crismi per opporsi con successo alla caccia alleata, gli esordi non furono dei più felici. Il comandante dell’EKdo (ErprobungsKommando) 262 era rimasto ucciso nei primi voli operativi nel tentativo di intercettare un caccia nemico. Inoltre, gli uomini che lo pilotarono si accorsero ben presto dei difetti oltre che dei pregi della nuova arma.
Per cominciare, i motori erano estremamente sensibili alle variazioni del flusso di alimentazione, elemento che fece subito comprendere ai più esperti che era molto meglio chiuderla in fase di atterraggio, costringendosi in questo modo ad un unico tentativo per toccare terra. Ciò fu ben presto scoperto dai piloti alleati che non fecero altro che aspettare i Me 262 sopra le loro basi, dove per atterrare si trasformavano in goffi e incontrollabili sacchi di metallo. In aggiunta, il calore sprigionato dai motori a reazione rendeva molto pericolosa la partenza da piste in asfalto, poichè era probabile lo scatenarsi di un incendio. Per ovviare a questo problema, i Me 262 dovettero decollare da piste in cemento facilmente rilevabili nelle missioni di ricognizione fotografica aerea degli Alleati e, quindi, sicuri bersagli di successivi bombardamenti.Nel proseguo del declino tedesco verso l’inevitabile disfatta, il Me 262 diventò l’ultimo baluardo contro le offensive aeree nemiche. Per questo motivo, ogni nuova arma era collaudata su di esso. Fu provato addirittura un enorme cannone BK5 da 50 mm prima di arrivare all’arma definitiva negli scontri aerei moderni: il razzo aria-aria. Quest’arma era montata su semplici rastrelliere di legno che a differenza del Me 163 erano montate orizzontalmente in modo da consentire di sparare nella stessa direzione di volo del velivolo.Fino all’aprile 1945 furono costruiti più di 1400 Messerschnitt Me 262, ma solo il 40% circa ebbe modo di entrare in servizio attivo. Negli scontri con i Mustang americani, nonostante il vantaggio tecnologico, il numero di sconfitte e successi fu sostanzialmente in equilibrio. Forse avrebbe potuto davvero cambiare le sorti del conflitto se le truppe terrestri degli alleati non avessero spazzato via la maggior parte delle basi di partenza nella loro inarrestabile avanzata verso il cuore della Germania.


Le Vergeltungswaffen 1 e 2: la vendetta di Hitler arriva dal cielo.

Tra le cosiddette armi segrete della Luftwaffe, sicuramente le più famose sono le Vergeltungswaffen (armi da rappresaglia o, in senso lato, da vendetta) meglio conosciute come V1 e V2. Entrambi i velivoli furono ampiamente studiati per tutti gli anni ’30 e per gran parte del secondo conflitto mondiale fino a diventare operativi nel 1944. Mentre la V1 può essere considerata un primo abbozzo di missile cruise, in quanto volava su di una rotta da crociera fino al bersaglio prima di abbattersi sull’obbiettivo, la V2 fu il primo vero missile costruito dall’uomo ed impiegato in un conflitto armato.
Queste due avanzatissime armi trovarono un terreno fertile di sviluppo nell’entusiasmo per la missilistica che aveva pervaso gli studi aeronautici tedeschi degli anni trenta dando origine alla Verain für Raumschiffart (VfR, società per i viaggi spaziali). Da quella schiera di appassionati sarebbero emersi due personaggi di assoluto valore scientifico, quali Walter Dornberger e, soprattutto, Werner von Braun (già membro della VfR) che avrebbe rivestito un ruolo fondamentale nel progetto Apollo che ha condotto l’uomo sulla luna. Furono proprio questi due personaggi che proposero la costituzione di una base di sviluppo per i missili a Peenemünde, sul Mar Baltico. Era l’ottobre 1937 quando nacque la più importante e, per un certo periodo, segreta base militare tedesca. In essa sarebbero stati sviluppati in piena autonomia i prototipi della V1 e della V2. Il progetto iniziale della V1 fu presentato dalla Argus Motorenwerke e dalla Fieseler Flugzeugbau, aziende specializzate nella produzione di motori e velivoli per la Luftwaffe, che avevano già collaborato per la produzione dell’aereo leggero multiruolo Fieseler Storch. I concetti base erano semplici quanto vincenti: un apparecchio non pilotato con una testata bellica di tutto rispetto e con bassi consumi e alte prestazioni. Questi ultimi punti sarebbero stati garantiti dal motore jet disegnato da Paul Schmidt che era tanto semplice quanto il progetto nel suo complesso. Infatti, l’unica parte mobile del propulsore erano una dozzina di piccoli otturatori collocati in prossimità della presa d’aria anteriore. L’aria spinta attraverso la presa anteriore e successivamente miscelata con il carburante veniva accesa da un sistema a candele. La potenza della combustione faceva chiudere gli otturatori spingendo i prodotti della combustione stessa verso l’uscita posteriore del motore e conseguentemente il velivolo in avanti. Tutto il processo veniva ripetuto diverse volte al secondo e permetteva di spingere la V1 a una velocità superiore ai 600 km/h.
Le prime V1 furono lanciate il 13 Giugno 1944, una sola settimana dopo lo sbarco alleato in Normandia, dalle basi nel nord della Francia ancora in mano ai tedeschi. L’effetto iniziale tra la popolazione fu piuttosto grande, perchè la nuova arma non somigliava a niente che si fosse visto fino a quel momento, ma in breve tempo l’efficacia di questi ordigni si sarebbe rivelata decisamente minore di quanto preventivato dai suoi ideatori. Tutto ciò per diverse ragioni.
Per cominciare, le V1 nelle prime settimane d’impiego vennero lanciate da rampe fisse di grande dimensioni che sebbene mimetizzate nei boschi francesi rimanevano comunque facilmente individuabile e quindi bombardabili dagli alleati. Il successivo passaggio a rampe di lancio mobile fece decrescere notevolmente la precisione delle V1, dato che la gittata dell’arma era predeterminata prima del lancio e gli aggiustamenti di rotta potevano essere fatti solo per i successivi lanci in un modo molto empirico. Infatti, circa il 10% delle bombe volanti lanciate ogni giorno portava con sè un trasmettitore radio che a circa 30 km dal bersaglio prestabilito emetteva un segnale che il personale di terra attraverso la triangolazione utilizzava per gli aggiustamenti di rotta successivi. Comunque, la maggior parte delle V1 aveva come bersaglio designato il Ponte di Londra che si trovava approssimativamente al centro della città. Giunti alla soglia dei 30 km, un’elica montata sul fronte della bomba cominciava a muoversi attivando un giroscopio che a sua volta faceva scattare un contatore ogni chilometro circa, così quando il contatore aveva raggiunto lo zero, la bomba avrebbe dovuto essere sul bersaglio attivando la picchiata del missile.
Si deve dire anche che le V1 ebbero ben poca incidenza sulla vita quotidiana dei londinesi dopo i primi lanci per il preavviso che le stesse davano a causa del rumore caratteristico che producevano volando a bassa quota e ad alta velocità. Esse furono chiamate Buzz bombs (bombe ronzanti) proprio per tale motivo. I cittadini sapevano benissimo che potevano continuare le proprie attività fin tanto che sentivano il rumore e solo nel momento in cui il sibilo cessava, era giunta l’ora di cercare un riparo sicuro dove rifugiarsi.
Anche la caccia della Royal Air Force divenne col tempo molto esperta nel contrastare le V1. I piloti compresero che bastava avvicinarsi alle bombe infilando la punta dell’ala del proprio velivolo sotto quella dell’ordigno, spingendolo leggermente fuori rotta con un movimento repentino tanto da far confondere il giroscopio e farle precipitare fuori dalle zone densamente abitate. La scarsa intelligenza di queste bombe fu anche confermata dall’alto numero (278) di V1 distrutte dai palloni di sbarramento. In definitiva, nonostante l’elevato numero di ordigni lanciati contro la Gran Bretagna, 9251, solo poco più di 2400 colpirono effettivamente un bersaglio almeno vicino a quello inizialmente inteso al momento del lancio.
I difetti della V1 portarono al ripensamento di queste armi da rappresaglia e alla spinta di un progetto parallelo, ma sostanzialmente differente, come la V2. Questo velivolo era in pratica un missile balistico che poteva colpire il bersaglio (tipicamente Londra, ma anche Lille, Arras, Cambrai, e Bruxelles) senza preavviso e in pochi secondi dal lancio. Il suo studio era già molto ben avviato all’inizio del conflitto mondiale, ma le iniziali vittorie tedesche e il progressivo ritardo del progetto per un’arma atomica tedesca per la quale sarebbe stato il vettore ideale, ne ritardarono notevolmente l’impiego bellico.
Nonostante questi ritardi, già nel 1943 presso le basi segrete francesi di Eperlecques e La Coupele, erano in costruzione delle grandi installazioni di lancio del nuovo ordigno sfruttando in massima parte la manodopera a costo zero proveniente dai campi di concentramento nazisti. L’aumento dell’effettività dei bombardamenti alleati non consentì però di terminarle in tempo utile prima dello sbarco in Normandia e per il momento in cui le prime V2 cominciarono a cadere sul suolo inglese (settembre 1944), le basi in territorio francese erano ormai perdute e i tedeschi dovettero ripiegare su postazioni di lancio mobili stanziate in Olanda.
La V2 fu un’arma decisamente avanzata e, nel suo complesso, terribile. Poteva trasportare diversi quintali di esplosivo a più di 2000 km/h, giungendo dalla stratosfera senza nessun tipo di preavviso a differenza delle V1. Non poteva essere abbattuta in volo data l’altissima velocità e la precisione di caduta sui bersagli prefissati era più che doppia rispetto alle V1.
Il vantaggio tecnologico e di potenziale distruttivo era però controbilanciato dall’enorme quantitativo di risorse in termini di materiale elettronico e di combustibile che era necessario per ogni singolo esemplare. È stato stimato che una V1 poteva costare al Reich circa 450 $ attuali, per una V2 ne servivano almeno 100 volte tanto.


Altri esperimenti della Luftwaffe

Oltre ai velivoli descritti in precedenza, la Luftwaffe produsse anche altri aerei o armamenti aerei molto avanzati che però rimasero più che altro a livello di prototipo.
Per esempio l’Holzbrau Kissing Enzian era un razzo terra-aria anti-bombardiere che fu sviluppato utilizzando la linea del Messerschnitt Me 163. Anche l’Heinkel 162A Salamander, prodotto in poco più di 100 esemplari al momento della resa della Germania, era stato pensato come arma a basso costo contro i bombardieri alleati. Doveva essere pilotato dai ragazzi della Hitlerjugend e non utilizzava materiali strategici (principalmente era fatto di legno). I motori BMW che lo spingevano ad oltre 800 km/h lo rendevano però decisamente ingovernabile e, in definitiva, inutilizzabile.
Lo studio dei razzi portò pure alla creazione di tutta una serie di prototipi quali i fantomatici V3, razzi a lungo raggio che sarebbero dovuti cadere su Londra al ritmo di 300 unità all’ora, il cui cannone a canna lunga (o pompa ad alta pressione) fu ritrovato incompiuto nei pressi di Mimoyecques in Francia.
Per finire, con l’Arado Ar 234 Blitz, i tedeschi ebbero il primo bombardiere a reazione della storia, ma giunse decisamente troppo tardi per poter essere di alcun aiuto per le truppe tedesche che ormai lottavano unicamente per la sopravvivenza.
Tirando le somme sull’impiego operativo di queste armi si può dire che la loro efficacia fu sicuramente marginale e gli effetti sull’evoluzione tecnica degli armamenti si sarebbe fatta sentire solo dopo la fine della guerra. La Germania fu tecnicamente all’avanguardia per tutto il conflitto, ma la scarsità di materie prime, ben conosciuta fin dai primi giorni, non fu mai risolta, neppure con la grande espansione continentale seguita alle vittorie del periodo 1939-1942. Una maggiore produzione di queste armi segrete volanti avrebbe potuto modificare il corso della guerra? È difficile rispondere affermativamente, vista la situazione ormai disperata in cui si trovava la Germania nell’estate 1944, periodo in cui cominciarono ad apparire le prime V1. Certo, una maggiore produzione unita a uno sviluppo anticipato, avrebbe dato maggiore impulso ai raid punitivi sulla Gran Bretagna in un periodo in cui ancora la potenza statunitense non si era dispiegata in Europa, ma al riguardo si possono fare unicamente congetture che, per quanto accattivanti, non si fondano su dati oggettivi.

Fonti e letture consigliate:

CombatAirplanes,AerospacePublishing;
La Seconda Guerra Mondiale di Raymond Cartier.


Per gentile concessione del Progetto di Documentazione Storica e Militare
Documento inserito il: 28/12/2014
  • TAG: armi segrete luftwaffe, aerei reazione, razzi, messerschmitt 163 262, v1, v2, miscela perossido idrogeno concentrato, idrazina metanolo, erprobungskommando 16, arado ar 234 blitz

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