Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, medio evo: L’uomo dalle due spade
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L’uomo dalle due spade

di Katia Bernacci


La storia di re Artù ha attraversato molte epoche e tutti hanno giocato da piccoli almeno una volta ai cavalieri della tavola rotonda, impersonando il re, oppure la regina Ginevra, o ancora il cavaliere più forte del reame: Lancillotto. Come tutte le belle storie che arrivano da lontano, però, quella di Artù ha qualche lato oscuro, a cominciare dalla data esatta in cui dovrebbe essere collocato il suo regno, visto che i dati storici sono a dir poco carenti, e allora conviene partire dall’inizio, in questa indagine ai margini della storia, con quello che sappiamo oggi e che è stato tramandato per generazioni.
C’è stato un tempo in cui il grande re Uther Pendragone aveva adottato il giovane Merlino, che lo aiutò quando, pochi anni dopo, il re si innamorò della moglie del duca di Cornovaglia e decise di prenderla con la forza, assediando il castello dell’inconsapevole rivale. Però l’assedio andava per le lunghe e Uther chiese a Merlino di dargli le fattezze del duca, per poter entrare indisturbato nel castello e abusare della donna, che venne ingravidata senza poter fare nulla. Merlino in cambio del favore aveva però voluto che gli fosse affidato il piccolo che lui già sapeva sarebbe nato, che venne iniziato alle arti magiche, per poi diventare palafreniere di un cavaliere, imparando a combattere. Mentre il giovane Artù era alle prese con faide, spedizioni, allenamenti e altro, Uther era morto senza eredi; il mago Merlino era andato a corte e aveva conficcato una spada in una roccia all’entrata del castello, proclamando che solo chi sarebbe riuscito ad estrarla sarebbe diventato re. Era così iniziato un corteo di contendenti al trono, ma nessuno era riuscito ad estrarre la spada, fino all’arrivo di Artù, che senza nessuno sforzo si trovò tra le mani Excalibur, la spada magica, diventando così il successore di Uther Pendragone. Il ragazzo salito al trono s’ingegnò nel farsi voler bene da tutti, era equilibrato nel comando e cercava di sconfiggere i Sassoni che razziavano le sue terre, aveva anche perdonato tutti coloro che erano contro il suo regno e sapeva essere terribile sul campo di battaglia ma magnanimo con i suoi sudditi: tanto che aveva deciso di far costruire un grande tavolo rotondo (la tavola rotonda, appunto) che consentisse ai suoi consiglieri e cavalieri più forti di essere allo stesso livello, senza che uno di loro fosse elevato rispetto agli altri anche solo per la posizione. Un bel giorno si innamorò di Ginevra, la più bella tra le ragazze, regina della Terra d’Estate, e la portò nel suo castello a Camelot, dove passarono dei bellissimi momenti… per un po’, fino all’arrivo di un prode ed insuperabile cavaliere, Lancillotto, al quale Artù chiese di proteggere la regina, creando i presupposti per uno dei più conosciuti tradimenti della storia.
Questi, a grandi linee, gli eventi che tutti abbiamo sentito a proposito del grande re Artù, nei quali si innestano mille eventi collaterali, come la ricerca del Graal, le guerre tra popoli, i draghi sconfitti e via dicendo; ma potrebbe essere solo leggenda?
Purtroppo non abbiamo alcuna testimonianza scritta sul periodo del regno di Artù, che viene normalmente collocato nel V secolo d.C., proprio quando i romani avevano abbandonato la Britannia, lasciando le popolazioni in preda alle scorrerie di Pitti, Caledoni, Irlandesi, Sassoni, Angli e Juti, ai quali non sembrava vero di poter penetrare nel territorio praticamente senza difese. La distruzione degli archivi dovuta alle guerre continue con i barbari, potrebbe essere il motivo per il quale non abbiamo rinvenuto documenti scritti? È anche anomalo che i testi che si sono salvati, come ad esempio “De excidio et conquestu Britanniae” del monaco Gilda, scritto nel 540 d.C., non parlino per nulla del coraggioso re che proprio in quegli anni aveva sconfitto i Sassoni, forse un tentativo di cancellarne la memoria, ma non possiamo esserne certi. Stessa cosa avvenne con Beda il Venerabile che scrisse una storia del popolo inglese nel 731 d.C., inserendo anche particolari minimi, ma senza parlare di Artù. I primi riferimenti al re della tavola rotonda li troviamo all’inizio del IX secolo, quando il monaco gallese Nennio ne parla e lo introduce con trasparenza, dicendo: “ho raccolto tutto quello che sono riuscito a trovare, cronache e tradizioni”, facendo già intuire che Artù era conosciuto, ma già allora faceva parte del mito. Da questo momento Artù viene inserito nelle cronache, nei racconti e nelle vite dei santi, ma la storia che è arrivata sino a noi, la dobbiamo a due autori: il monaco Goffredo di Monmouth, che nel 1136 fa diventare Artù, per motivazioni politiche e propagandistiche, il fondatore della nazione britannica e il conosciutissimo Chrétien de Troyes, che introdusse nella storia di Artù la ricerca del Graal e il fascinoso Lancillotto, dando così il via ai romanzi medievali dedicati ai cicli arturiani, che ebbero un successo incredibile già da allora, il ché non deve stupire, poiché contenevano tutti gli ingredienti per una grande storia: il coraggio, il mistero, la magia, l’amore e anche l’adulterio, rendendo un po’ piccante tutta quanta la faccenda.
La vicenda è intricata e la ricerca di un personaggio partendo da quello che si raccontava di lui a secoli di distanza, non sembra portare a molto. Il re è sempre descritto in battaglia, vestito con una armatura scintillante, oppure presso il suo castello, protetto da mura impenetrabili; gli storici sono concordi nel dire che se l’epoca di Artù è quella tra il V e il VI secolo, probabilmente viveva in una grande costruzione in legno su una collina ben rialzata, con pali conficcati nel terreno verso l’esterno per proteggere dagli invasori ed è quasi sicuro che non vestisse una armatura, ma un pettorale di cuoio, alla maniera romana, e che parlasse una lingua celtica. E la fantomatica spada di Artù? In realtà pare che fossero due, la mitica Excalibur o Caliburn che era stata estratta dalla roccia e la Excalibur due, chiamata anche Clarent, forgiata nell’isola di Avalon, che era stata data ad Artù dalla Dama del Lago, dopo che la prima Excalibur era andata distrutta durante un combattimento.
Perché la leggenda di re Artù è così viva e ha costretto gli storici di tutti i tempi ad indagare sulla veridicità della sua storia? Spesso i racconti che funzionano si nutrono di particolari e aggiunte che aumentano con il passare degli anni, e in questo caso ne sono passati davvero tanti. Tra tutte le vicende scegliamo quella relativa a Glastonbury, già luogo di pellegrinaggio all’epoca, che nel 1174 era stato distrutto da un incredibile incendio, che non aveva lasciato scampo a nulla: perse le costose e importanti reliquie, gli arredi, gli affreschi; i monaci erano disperati e nonostante le donazioni di Enrico II, l’abbazia non era più riuscita a creare l’aura mistica che attirava tanti viaggiatori della fede. Così, nel 1191, avvenne un fatto miracoloso: mentre ancora si stava ristrutturando, da una fossa scavata nel terreno, emersero tre sarcofaghi con una targa e una croce. Sulla croce era inciso il nome di Artù, sepolto in Avalon.
Subito i monaci diffusero la lieta notizia, sostenendo che si trattava delle tombe di Artù, Ginevra e del loro figlio Mordred, versione poi modificata, perché la leggenda raccontava che Artù aveva combattuto e ucciso il figlio che lo aveva tradito. Le analisi moderne hanno fatto emergere l’ingenuo tentativo di riportare l’abbazia ai fasti del passato, che comunque aveva funzionato abbastanza bene.
E se invece Artù fosse esistito davvero? In questo caso le ipotesi si sprecano, così come i quasi duemila luoghi in giro per l’Europa dove si sostiene che il re abbia vissuto o superato qualche battaglia.
La leggenda chiama Artù a volte re e a volte condottiero, possiamo pensare che lo sia forse stato e che il suo nome derivi da un generale romano, pare molto valoroso e imbattibile, Lucio Artorio Castro, che nel II secolo venne mandato in Britannia e che portava una armatura di scaglie metalliche con l’effige di un drago e una lunga spada, che si riteneva fosse magica.
Art in gaelico significa orso, da questo lo storico Graham Philips parte per sostenere che Gilda parlava di un uomo che si chiamava Cuneglasus, e che lui definiva “orso”, che non si comportava come la sua posizione avrebbe richiesto. Philips sostiene che Cuneglasus fosse Artù, ovvero re Owain Ddantgwyn, al quale era attribuito, come era usanza celtica, la personalità di un animale. Questa ipotesi è condivisa da molti ricercatori.
Probabilmente non sapremo mai se un re Artù è realmente esistito, ma le sue vicende, che ci hanno accompagnato a lungo, hanno contribuito a creare una visione del medioevo da favola, facendo sì che intere generazioni potessero fuggire dalla realtà quotidiana, a volte terribile, a volte noiosa, per calarsi nella vita di un cavaliere e delle sue avventure e versando lacrime di tristezza quando alla fine il grande re soccombe, ferito a morte da Mordred, il figlio avuto dalla sorella Morgana (non storcete il naso, non sapevano di essere fratelli e non c’è nulla di diverso rispetto a un “Beautiful” di oggi) e chiede al suo scudiero di riportare la fedele spada alla Dama del Lago. Così si chiude la storia più bella di tutti i tempi: mentre la mano della Dama, che stringe la spada del re, piano piano si immerge nell’oscurità dell’acqua, la stessa oscurità che purtroppo avvolge la vera storia di Artù e dei suoi cavalieri della tavola rotonda.


Nell'immagine, Re Artù in un arazzo del 1385.


Bibliografia:

Howard Reid, La storia segreta di re Artù
Chrétien de Troyes, Le Chevalier de la charrette: le roman de Lancelot

Documento inserito il: 02/03/2024
  • TAG: re Artù, Merlino, Excalibur, Dama del Lago, regina Ginevra, Lancillotto, Graal

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