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Giustizia per Srebrenica [ di Michele Strazza ]

E’ finalmente terminato il processo di appello presso il Tribunale Penale Internazionale dell’Aia con una sentenza che ha confermato l’ergastolo per Ratko Mladic, ex generale dell’esercito serbo-bosniaco, responsabile principale della strage di Srebrenica, dove furono trucidati oltre 8.000 musulmani. Una sentenza intervenuta a distanza di 26 anni da quei fatti. Il Boia di Srebrenica, come è generalmente conosciuto, era stato condannato in primo grado nel 2017 dal Tribunale Internazionale per i Crimini commessi nel territorio della Ex Iugoslavia (International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia). La Corte era stata istituita il 25 maggio 1993 con la risoluzione n. 827 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, con il compito di perseguire i crimini commessi nell’ex Iugoslavia a partire dal 1991. In particolare si doveva occupare dei seguenti reati: gravi infrazioni alle Convenzioni di Ginevra del 1949, crimini contro l’umanità, genocidio, violazioni delle consuetudini e delle leggi di guerra. Quando, ad aprile del 1992, le truppe serbe penetrarono in Bosnia-Erzegovina per appoggiare i serbo-bosniaci locali nessuno poteva immaginare cosa sarebbe successo a quel Paese che il mese precedente aveva avuto l’ardire, con un referendum popolare, di dichiarare l’indipendenza dalla federazione iugoslava. Alla consultazione elettorale aveva preso parte la comunità musulmana e croata, mentre quella serbo-bosniaca l’aveva boicottata proclamando la costituzione della “Repubblica Srpska” con capitale Pale. Pur avendo avuto il riconoscimento internazionale dell’Onu e dell’Unione Europea, la Bosnia venne travolta dall’esercito federale e dalle truppe paramilitari serbo-bosniache. Tutta la popolazione, sia quella musulmana che quella cattolica e ortodossa, venne sottoposta alla violenza dei soldati serbi ma anche dei gruppi paramilitari come le “Aquile bianche” di Voislav Seselj e le “Tigri” di Arkan. Tra il 1993 e il 1994 il conflitto subì un allargamento con lo scontro tra i musulmani bosniaci e i croati che avevano, a loro volta, costituito una entità territoriale nuova e indipendente, la “Herceg-Bosna”. La guerra venne portata avanti, specialmente da parte dei serbo-bosniaci, all’insegna della “pulizia etnica”, trasformandosi in un vero e proprio genocidio con oltre 100.000 morti e 2 milioni di profughi. Secondo Amnesty International questi dati andrebbero rivisti in senso peggiorativo. I morti sarebbero stati 250.000, più dell’80% dei quali civili, mentre altre 14.000 persone sarebbero ancora “disperse”. Nel conflitto si colloca l’episodio di Srebrenica. Nella cittadina della Bosnia orientale, tra luglio ed agosto del 1995, i serbi massacrarono 8.000 musulmani. Nelle stragi ci fu una responsabilità grave del contingente ONU formato da militari olandesi. Questi, infatti, dopo aver disarmato la popolazione, promettendo protezione, non si opposero alla furia cetnica, consentendo la cattura dei musulmani e cedendo le armi agli occupanti. L’unico ad alzare la voce verso tale vergognoso comportamento fu l’ex ministro polacco Tadeusz Mazowiecki, portavoce speciale della Commissione ONU per i diritti dell’uomo, che, alla fine di luglio, rassegnò le proprie dimissioni denunciando i silenzi colpevoli e le responsabilità delle Nazioni Unite e dell’intera comunità internazionale. Solo nel 2004 la Corte d’Appello del Tribunale dell’Aja, con la c.d. “Sentenza Krstíc” dal nome del comandante delle truppe serbe, riconobbe che l’uccisione di migliaia di musulmani bosniaci era avvenuta per cancellare la presenza futura bosniaca in quella città, con un chiaro intento di pulizia etnica. Con la conferma dell’ergastolo a Ratko Mladic è stato anche riconosciuto il reato di genocidio, non contemplato, invece, nella sentenza di primo grado. E non è poca cosa, tenuto conto delle reazioni revisioniste ritornate alla luce in Serbia. Nessun riconoscimento è, invece, venuto dalla Giustizia internazionale per le responsabilità del contingente ONU a Srebrenica, i cui ufficiali e soldati non sono mai stati perseguiti. Il 28 gennaio 2010 si è svolta l’udienza avanti la corte d’appello dell’Aia della causa civile intentata da 6.000 parenti delle vittime contro i Paesi Bassi e le Nazioni Unite. La richiesta di risarcimento avanzata per mancata protezione nelle stragi era stata respinta in prima istanza nel luglio del 2008 dalla corte distrettuale dell’Aia che aveva dichiarato di non avere alcuna giurisdizione sul personale ONU, escludendo, altresì, qualunque responsabilità del governo olandese. In sede d’appello le istanze dei ricorrenti sono state ugualmente rigettate. Qualche anno fa, però, una sentenza di una Corte d’Appello di Amsterdam ha ribaltato questa impostazione giuridica, riconoscendo un risarcimento per le famiglie di tre vittime delle stragi di Srebrenica. Il 5 luglio 2011 tale Corte ha, infatti, ammesso la responsabilità del contingente olandese perché già prima “era stato testimone di svariati incidenti in cui i serbi avevano maltrattato o ucciso profughi maschi all’esterno degli acquartieramenti”. Per tale motivo i soldati olandesi sapevano “che quegli uomini sarebbero stati in grande pericolo se avessero lasciati gli stessi acquartieramenti”. Nel Memoriale e cimitero di Potocari, alle porte di Srebrenica, oggi sono sepolti i resti di 6.575 vittime esumate dalle fosse comuni ma ancora molte ossa sono disperse nei boschi e nelle fosse comuni della Bosnia orientale. Quei morti attendono ancora giustizia.Documento inserito il: 10/06/2021
  • TAG: tarko mladic, pulizia etnica, srebrenica, genocidio, onu, yugoslavia, servia, bosnia erzegovina

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