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Prigioniero di Tito

Nei campi jugoslavi di Prestrane, Borovnica e Skofja Loka

Nel maggio 1945, ero a Trieste col mio comando, la guerra era appena finita, e nella città vedemmo sfilare i mezzi blindati di Tito. Decidemmo di tornare a casa. Con un amico, ci avviammo a piedi verso Lerici (La Spezia): non era certo una passeggiata! Avevamo regolari lasciapassare, ma presto ci accorgemmo che erano del tutto inutili. A Monfalcone, una pattuglia di partigiani sloveni ci fermò e ci condusse in una scuola. Ci perquisirono e poi, insieme ad altri prigionieri, ci fecero marciare verso una nuova destinazione.

Arrivammo stanchi in un paese di cui non ricordo più il nome. Ci alloggiarono in uno stanzone e poi ci sottoposero ad una nuova perquisizione. Eravamo una trentina di prigionieri, e tra noi c'era anche un comandante della Milizia per la Difesa Territoriale. I partigiani cominciarono a sfotterlo. Gli ordinarono di gridare “Viva il Duce” ed agli altri di rispondere “A noi!”. Si andò avanti così per un pezzo, quando, improvvisamente, ci imposero di gridare “Viva Tito”. Il comandante della Milizia disse che la guerra era finita, ed implorò di smetterla con quella farsa. Il capo dei partigiani gli sferrò un violentissimo calcio nei testicoli facendolo svenire e continuò a colpirlo anche a terra. Ricordo che il giorno dopo, quando ci trasferirono, il comandante non stava in piedi, e dovemmo trascinarlo a braccia.

In un primo momento, la nostra nuova destinazione fu quella del campo di Prestrane. La sera ci fecero mangiare in una specie di malga, e successivamente ci fecero ripartire. Ci dissero che una volta arrivati a Gorizia ci avrebbero liberati. Ma così non fu. Giunti ad Aidussina, un nuovo plotone di partigiani venne a prelevarci. All'ora del rancio accadde una cosa terribile e assurda. Un ragazzo come noi, forse più affamato di noi, tentò di prendere una seconda razione di cibo: fu abbattuto da una scarica di mitraglia. Un assassinio in piena regola.

Lasciammo Aidussina per raggiungere Vipacco, e fummo intruppati insieme ad altre migliaia di prigionieri. Da lì ci spedirono a Postumia e successivamente, a gruppi di due o tremila, fummo smistati nei campi di concentramento. A me toccò quello famigerato di Borovnica. In questo campo, formato da grandi baracconi, c'erano sei o sette pali della luce, e su ciascuno di essi, per punizione, erano stati legati col filo di ferro altrettanti uomini. Erano appesi come crocifissi: uno spettacolo raccapricciante.

La fame, gli stenti, la dissenteria ed il tifo dilagavano. Ogni giorno alcuni prigionieri morivano. Eravamo totalmente alla mercé di quegli aguzzini. Solo alla fine del terzo mese di quella vita allucinante, cominciarono ad arrivare alcuni pacchi spediti dalle famiglie triestine, cui era giunta notizia che i loro cari erano detenuti in quel campo. La morsa divenne relativamente meno dura.

Verso la fine di agosto venimmo nuovamente trasferiti, con destinazione Skofja Loka: la prima notte ci sistemarono in una specie di bunker così umido e piccolo che alcuni di noi ne furono atrocemente soffocati: pensai proprio di non farcela. Tuttavia, fu l’ultima sensazione di morte: il trattamento complessivo, una volta sistemati nel castello, che noi soprannominammo come “ospedale”, divenne più sopportabile. E dopo poco ci fu la salvezza, perché finalmente potemmo tornare a casa.

Testimonianza di Norberto Biso


Norberto Biso, capitano di lungo corso ed ex combattente della Decima Flottiglia MAS, fu catturato dai partigiani di Tito nel maggio 1945, a guerra finita, e deportato nei campi di prigionia della Jugoslavia. La sua testimonianza è stata oggetto di specifica comunicazione durante il Convegno ISSES di Napoli del 28 gennaio 2001 sul tema: “Foibe: la storia in cammino verso la verità”. Si ringrazia l’Istituto per averne autorizzato la pubblicazione, con alcuni adeguamenti formali.
Documento inserito il: 29/12/2014
  • TAG: seconda guerra mondiale, lager tito, prestrane, borovnica, skofja loka, prigionieri italiani
  • http://www.isses.it/

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