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La mancata comprensione della fenomenologia rivoluzionaria [ di Lorenzo Chialastri ]

Quando si chiudevano le fabbriche senza padrone e i compagni 'dai campi e dall'officine' rimanevano solo salariati.

Un lungo processo voluto da più parti e accumulato negli anni ha portato a confondere, soprapporre, il termine sinistra con comunismo, e quest’ultimo con Unione Sovietica. L’appiattimento della politica della sinistra sui partiti comunisti, e di questi sull’URSS, ha coinciso con un impoverimento, un vuoto che è stato riempito, nutrito, esclusivamente dall’antifascismo. La sinistra, con eroiche eccezioni, paga questo errore, ad esso ha legato tutte le sue sciagure attuali, nonché le sue omissioni, i suoi compromessi e le sue rinunce.
Le finalità stesse della sinistra non sono state soltanto disattese, ma più propriamente offuscate e poi rimosse del tutto. Se inizialmente questo ha portato ad una silente sottomissione alle ragioni russe, successivamente è stato di grande aiuto a tutto il mondo occidentale capitalistico, che con il crollo dell’impero sovietico, in un sol colpo s’è tolto nemici fuori e dentro i confini del suo impero.
Quanto segue non va collocato nella filippica anticomunista, ogni interpretazione in tal senso è diametralmente opposta alle intenzioni di chi scrive. Davanti al comunismo la mia posizione, fermo restando i miei limiti e le debite proporzioni, s’avvicina a quelle del professor Costanzo Preve. Pertanto, lungi da ogni contrapposizione antistorica e forviante tra anticomunismo e antifascismo, il presente è soltanto una serie d’annotazioni dettate esclusivamente da un’irrinunciabile inclinazione verso ciò che prende forma come: autogoverno, socializzazione e collettivizzazione, ovvero verso una forma ideale e pratica di socialismo libertario nel campo della produzione e della gestione del lavoro, da contrapporre in modo immanente al capitalismo, privato o di stato.
Ora che sistemi capitalistici, vecchi e nuovi, nell’esercizio del potere imperiale, si fondano su un’estraniazione dell’uomo da qualunque processo decisionale, dove l’uomo si fa lupo dell’uomo attraverso il mito del libero mercato, è un fatto connaturale alla prassi della concorrenza; ancor più grave, invece, risulta aver assistito a quasi tutta un’aria di sinistra uniformata sui partiti comunisti, che con la loro celebre doppiezza non erano proprio al servizio dei lavoratori, ma piuttosto alla dipendenza completa dell’URSS, schiacciando in nome dell’ortodossia qualunque cosa non ritenuta conforme, o utile. A ciò ha fatto sponda l’antifascismo, elevato con il tempo a mito fondante, e finendo, volontariamente o meno, con l’avere un’accezione trasfigurante per chi l’invoca.
La guerra di Spagna offre un esempio folgorante della sperimentazione del modello appena accennato, un modello che verrà riproposto a lungo negli anni a venire sempre con grande successo.
Gli appunti riportati su questo conflitto, per lo scopo proposto, sono tratti essenzialmente da due testi, “Omaggio alla Catalogna”, di George Orwell, e “Anarchismo”, uno scritto che riporta diverse conferenze di Naom Chomsky.
Ogni guerra si tinge di tinte fosche, dove spesso gli unici momenti di luce sono dovuti dal fragore delle bombe, che ben presto rilasciano il posto al grigiore della polvere. Quando le fucilazioni e i massacri prendono il sopravvento, spesso il sentimento più forte che rimane è soltanto quello dell’odio, se si ha una guerra civile, le ragioni si aggrovigliano ulteriormente, se poi si aggiunge una guerra civile dentro un’altra lo sfilacciamento della stessa, della ragione, diventa tale che tutto è permesso.
Dello scontro tra franchisti e lealisti, i fedeli alla repubblica, con accenni differenti, s’è sempre parlato e scritto molto, meno si sa sulla controrivoluzione avvenuta contro gli operai e contadini che nell’auto-organizzarsi, nelle fabbriche e nei campi, mettevano in discussione la centralità del governo comunista di Valencia, così come inquietavano le democrazie capitaliste d’occidente. Allertati da ciò, si creava una micidiale convergenza, che sperimentava per la prima volta un’unione che a breve, nella seconda guerra mondiale, si sarebbe riproposta usando lo stesso collante: l’antifascismo.
Orwell, ritornando dal fronte Aragonese dove aveva combattuto con le milizie del POUM (Partito operaio di unificazione marxista, d’ispirazione trotzkista), trova una Barcellona completamente differente. Se appena qualche mese prima aveva l’idea di “una città sotto il controllo operaio”, dove la supremazia borghese sembrava essere fuggita, la città catalana appariva ora essere tornata una delle tante città europee, dove c’èra chi faceva accattonaggio e chi mangiava in lussuosi ristoranti. Il controllo, e l’organizzazione politica della città era cambiato, e stava ancora cambiando. Avvenne una cosa che fino a poco prima era impensabile per chiunque, il 3 maggio del 1937 fu dato ordine alla Guardia d’Assalto di impossessarsi della centrale telefonica controllata da operai del CNT (il sindacato anarchico). All’interno della coalizione del governo repubblicano la componente comunista assumeva un controllo sempre maggiore, e ciò lo faceva a discapito dell’ala anarchica e sindacalista. Se per questi ultimi la rivoluzione sociale era una necessità, per comunisti era un problema da estinguere. Fu riorganizzata la Guardia Civil, che da sempre aveva fatto da cane da guardia ai proprietari, con il compito di ritirare le armi ai civili. Dopo l’attacco alla centrale telefonica spontaneamente molti operai avevano eretto barricate, mentre la Guardi d’Assalto occupava edifici e punti strategici. Le parti si fronteggiavano a distanza con fucilate e lanciandosi bombe a mano. Orwell descrive la città divisa in due zone dall’arteria più importante, la Ramblas, una, i quartieri operai, controllata dagli anarchici e dai fedeli del POUM, l’altra dalla Guardia d’Assalto e quelli del PSUC ( il Partito Socialista Unificato della Catalogna a maggioranza comunista). In altri settori era più difficile l’appartenenza politica, spesso dagli edifici venivano issate bandiere nero-rosse degli anarchici, o rosse dei comunisti. Qualcuno sventolava la bandiera catalana.
Rompendo la tregua, il governo di Valencia inviò il 7 maggio seimila uomini della Guardia d’Assalto a Barcellona. Erano truppe scelte, come ci documenta Orwell, truppe con divise nuove fiammanti, dotate di fucili russi, mitragliette e pistole semiautomatiche, tutte cose mai viste dai miliziani neanche al fronte.
L’occupazione della centrale telefonica rispondeva ad una precisa volontà del governo repubblicano di cui i comunisti avevano sempre maggior peso. Gli scontri di Barcellona furono il pretesto per assumere il controllo della Catalogna. Da questo punto viene imposto agli operai di consegnare le armi o arruolarsi nell’esercito popolare. Per gli anarchici e quelli del POUM inizia la clandestinità, è la caccia, da questo momento sono bollati come “ la quinta colonna del fascismo”. Le vignette del potere rappresentano il POUM raffigurandolo ad un personaggio che dietro la maschera con la falce e martello, nasconde il vero volto: quello della svastica.
Si monta una terribile atmosfera di caccia alle streghe, piena di paura, di sospetto e odio. I giornali vengono pesantemente censurati, le prigioni si riempiono a dismisura, sterminate file per un tozzo di pane, mentre le strade sono pattugliate da uomini armati.
Il 16 giugno il POUM viene dichiarato fuorilegge, tutti i suoi beni, dalle librerie, i sanatori, i centri di soccorso, sono confiscati. La polizia arresta tutti i dirigenti avversi, rastrellamenti persino negli ospedali, vengono arrestati anche i feriti. La stampa di Valencia giustifica l’operazione necessaria per fermare “il complotto fascista”, migliaia di arresti e numerose fucilazioni nelle segrete. La verità era cancellata e nascosta, soprattutto per gli uomini che stavano e combattevano al fronte, i miliziani combattevano senza sapere che alle loro spalle le loro organizzazioni politiche o sindacali erano state soppresse, con i relativi componenti uccisi o arrestati con l’accusa di tradimento. Tornando dal fronte ciò che li aspettava era la clandestinità o la galera.
Orwell, in quei giorni è ancora a Barcellona e si nasconde, guarda i manifesti anarchici che recitano: “La rivoluzione ha spezzato le nostre catene”, in giro di pochi giorni sono diventati lontanissimi e anacronistici, la nuova era appena nata è già morta, ed ad ucciderla non sono stati i reazionari di Franco.
Una volontà politica di distruzione viene mascherata come un normale atto di guerra, quelli che ora sono i nemici politici non sono considerati tali, ma traditori di guerra, spie al servizio e al soldo del nemico. Compagni con i quali si era combattuto insieme possono essere rinchiusi in tuguri e ammassati come animali, uomini di tutte le età, persino bambini.
Orwell ammette che anche l’informazione, o la propaganda, dei paesi occidentali, in primis quella inglese, non danno spazio all’iniziative della rivoluzione sociale proposta in Spagna, e ancor meno della sua soppressione. La guerra di Spagna è decritta schematicamente come democrazia contro fascismo, gentiluomini repubblicani contro militari in rivolta, oppure, quando vista da destra, come lo scontro tra patrioti cristiani con atei bolscevichi.
Così scrive Orwell: “Il mondo intero era ben deciso ad impedire che in Spagna avvenisse una rivoluzione”. Scopo interamente condiviso era quello di salvaguardare e difendere la democrazia borghese e non altro. Anche l’Unione Sovietica, e quindi tutti i partiti comunisti al suo seguito e comando, erano di questo avviso. Il passaggio al potere operaio aveva impaurito le potenze occidentali che vedevano minare i propri interessi nella penisola Iberica e non solo.
Viene utilizzato per la prima volta su scala geopolitica il termine antifascismo. La contrapposizione così posta permetterà di portare ordine nella Catalogna da parte del governo comunista di Valencia, e tranquillizzare le democrazie in fibrillazione. L’antifascismo è in questo caso funzionale all’antidissenso e soprattutto all’antirivoluzione, da questo momento si comincia a negare la rivoluzione e a cancellarne ogni traccia.
“Un anno dopo lo scoppio della guerra e della rivoluzione, restava un governo costituito interamente da socialisti di destra, liberali e comunisti”.
Lo spostamento in tal senso dell’asse politico si ha quando l’Unione Sovietica comincia a fornire fondi e armi al governo. Tanti più aiuti arrivano dall’URSS tanto più anarchici e uomini del POUM vengono estromessi da ogni incarico, fino all’ estremo punto dell’accusa di tradimento e la bolla di “fuorilegge”. Contemporaneamente, il partito comunista diventava il punto di riferimento per i proprietari terrieri e di tutta la borghesia, molti di loro s’inscrivevano al partito.
Se in prima linea regnava un sano spirito di “cameratismi”, tutto sembrava ora essere scomparso, il senso stesso della rivoluzione svanito sotto un capovolgimento di fronte, ora chi sparava contro i miliziani non erano i franchisti, ma i comunisti governativi.
Le ragioni che avevano spinto Orwell ad arruolarsi, insieme a tanti altri, erano state quelle di aver visto nella guerra in corso una grande opportunità rivoluzionaria, dalle quali poter far nascere una nuova società socialista, e senz’altro anticapitalista, ora “ La tendenza generale era quella di riportare il potere nelle mani di un governo centrale togliendolo alla classe operaia, per andare verso qualche tipo di capitalismo di stato o addirittura verso la reintroduzione del capitalismo privato”, ci si sentiva traditi nelle aspirazioni più intime.
Nella semplificazione fascismo, ovvero reazione e capitalismo, contro repubblicani, ovvero libertà e socialismo, qualcosa non aveva di certo funzionato.
Scrive ancora l’autore di “Omaggio alla Catalogna”: “Uno degli elementi più terribili di questa guerra è stato apprendere che la stampa di sinistra , è falsa e disonesta quanto quella di destra”, quella stessa stampa fomentata dalle democrazie occidentali o dai comunisti solo per il proprio tornaconto che non prevedeva rivoluzione.
Diventa impossibile trovare un giornale libero disposto a difendere la causa degli anarchici, per tutti il problema non esiste in termini politici, i trotzkisti e gli anarchici sono solo dei traditori, la famosa quinta colonna di Franco. Quindi la difesa di Barcellona da parte degli operai diventava la cornice del “complotto fascista”, mentre l’occidente quando non considerava ipocritamente l’accaduto come una faida interna, era praticamente pronto a risolvere di persona il nodo Barcellona, qualora non fossero riusciti le guardie armate dai russi. Lo stesso Orwell ebbe modo di verificare nei giorni degli scontri di maggio che, nel porto della città catalana, fecero minacciosamente ingresso navi da guerra di sua maestà britannica.
Scrive Chomsky: “Dopo anni d’indottrinamento anticomunista, è difficile oggi raggiungere una prospettiva da cui sia possibile valutare serenamente la misura in cui bolscevismo e liberalismo occidentale si trovavano uniti nell’opporsi alla rivoluzione popolare”.
Ma cosa spaventò tanto i comunisti quanto le democrazie occidentali? La risposta la troviamo nel fatto che l’intendimento degli anarchici, così come dei miliziani del POUM, non era quello di ristabilire la democrazia capitalista alla quale si era ribellato Franco, ma piuttosto quello accendere l’incendio della rivoluzione, con un controllo diretto degli operai e dei contadini nelle fabbriche e nei campi.
Il programma del FAI (Federazione Anarchica Iberica) e del CNT(sindacato a questo associato), viene riportato sul già citato testo in questi punti: 1) Controllo Diretto dell’industria da parte dei lavoratori impiegati nei diversi settori, trasporto, fabbriche tessili, eccetera. 2) Governo esercitato da comitati locali e resistenza a qualsiasi forma di autoritarismo centralizzato. 3) Ostilità senza compromessi nei confronti della borghesia e della Chiesa.
Con l’insurrezione franchista del luglio del 1936, molti operai spontaneamente saccheggiarono le caserme e si armarono. In molte zone della Spagna il potere passò direttamente nelle mani degli anarchici e operai socialisti. Non esiste ancora oggi, a detta di Chomsky, una documentazione completa sulle vicende della collettivizzazione e socializzazione, se non in forma minima di qualche casa editrice anarchica. A Barcellona il commercio, così come l’industria, passò direttamente sotto il controllo dei lavoratori, così come le terre. Stesse scene si ebbero in Aragona e in Castiglia. Il potere reale era trasferito direttamente ai comitati locali.
Nell’industria catalana così socializzata, la produzione bellica era salita di dieci volte il resto dell’intera industria spagnola. Gli operai lavoravano molto volentieri perché convinti di farlo per sé stessi e per l’interesse del popolo. La rivoluzione sociale fu un evento spontaneo indipendente dalla volontà del governo centrale repubblicano, anche se in questo entrarono, e poi furono cacciati, anche esponenti anarchici.
La volontà di fermare la rivoluzione del lavoro , da parte del governo centrale, non poteva essere legata a una motivazione di bassa produzione bellica, ma fu esclusivamente rispondente ad una volontà politica e di sopraffazione.
Ora i comunisti per combattere questi punti si trovavano a fare le guardie bianche di una democrazia parlamentare in nome dell’antifascismo e dell’ortodossia, e pensare che appena poco tempo prima insegnavano agli operai militanti di tutto il mondo che democrazia non è altro che un eufemismo per dire capitalismo.
L’affermarsi della rivoluzione metteva a rischio gli interessi inglesi, francesi e degli Stati Uniti, così come metteva in discussione la rigidità comunista della “dittatura del proletariato”, dimostrando invece che esistevano strade alternative, tra l’altro immediate, libertarie e socialiste, da attuarsi senza un prontuario alla mano. Il problema del comunismo russo che poi si ripercosse su tutto il movimento, come sostiene Costanzo Preve, fu quello di aver creato un modello che calava dall’alto, recidendo volontariamente un aspetto che è invece ineluttabile, la comunità.
Il governo controllato dai comunisti prima negò il credito alle fabbriche senza padrone (tra l’altro, l’enorme riserva auree stavano per essere spedite in URSS), poi fu annullato il controllo operaio delle dogane, si ostacolava l’esportazione della loro merce, mentre il Ministero della Difesa stipulava contratti soltanto con i vecchi proprietari. Il colpo di grazia arrivò con il decreto del 24 ottobre 1937 in cui si revocava ogni forma di collettivizzazione, e si poneva termine al controllo operaio del lavoro e della produzione. I soldati con armi russe che avevano “normalizzato” Barcellona furono inviati con lo stesso scopo anche in Aragona.
Dopo la Terza Internazionale, i partiti comunisti si piegavano spontaneamente ai dettami imposti, obbedirono e spesso si fecero carnefici dell’URSS. La Pravda del 17 dicembre 1936 cosi recitava: “Per quanto riguarda la Catalogna, l’epurazione degli elementi trotzkisti e anarcosindacalisti è già cominciata e verrà portata avanti con la stessa energia che nell’Unione Sovietica”.
Un ministro lealista, ricorda: “Ci avevano strappato l’anima nazionale per sostituirla con un internazionalismo furiosamente sciovinistico, che cominciava e finiva sotto le torri del Cremlino”. Il compito prioritario del governo a prevalenza comunista era diventato quello di sopprimere, estirpare i comitati rivoluzionari. Questo scopo era addirittura prioritario rispetto a Franco, c’era uno slogan diffuso nel PSUC che diceva: “Prima di prendere Saragozza, occorre prendere Barcellona”.
Una situazione analoga sarà riproposta in Italia nell’aprile del 1945 quando i comunisti del PCI, alleati ancora una volta, guarda caso, con i liberali, con i cattolici e le democrazie occidentali, pretesero come primo atto ufficiale del CLN quello dell’abrogazione delle “Leggi sulla Socializzazione”, mentre si tenne per decenni il codice penale Rocco. In questo caso l’anomalia operaia da distruggere era quella dei Comitati di Gestione.
Così come fu provvidenziale la cancellazione della forte formazione partigiana “Bandiera Rossa” che non era nel CLN perché antimonarchica, e quindi in rotta con il PCI, e che volendo fondare la Repubblica Romana dei Lavoratori, si opponeva a lasciare Roma alla mercé angloamericana. Ancora una volta i padroni capitalisti potevano fare sogni tranquilli, “i compagni dai campi e dalle officine” tornavano ad essere i soliti salariati.
Caliamoci ancora nella guerra civile spagnola.
La doppiezza interessata inglese trova tutta la sua forza nell’affermazione di W. Churchill riguardo Franco: “Difende l’Europa dal pericolo comunista. Ma io, io sono inglese, e preferisco il trionfo della causa sbagliata; preferisco che vincano gli altri , Franco può minacciare o sconvolgere gli interessi della Gran Bretagna, e gli altri no”. Si palesa in questa affermazione il semplice fatto che le potenze occidentali avevano avuto evidentemente rassicurazioni dal governo lealista comunista, rassicurazioni che riguardavano la cancellazione dell’anomalia Catalogna che si stava diffondendo anche altrove, nonché il fatto che i repubblicani avevano rinunciato ad una sobillazione del Marocco, che avrebbe potuto prendere le truppe franchiste alle spalle, ma avrebbe potuto allo stesso tempo sollevare tutto il nord Africa, e questo le democrazie europee non potevano proprio tollerarlo. In questa fase alle potenze europee la vittoria di Franco sarebbe stata la vittoria della Germani e dell’Italia, e ciò avrebbe potuto scatenare situazioni ovviamente sfavorevoli e più difficilmente controllabili. Le cose nella realtà andarono in modo del tutto differente, anche se comunque a favore delle democrazie le quali hanno sempre tratto grandi guadagni dalle guerre e dall’uso indiretto dell’altrui guerre civili, ieri come oggi. Di fatto anche se la guerra di Spagna fu vinta dal Generalissimo, questi non si dimostrò un “fascista” in ogni senso, al punto di non riconoscere da lì a poco neanche la Repubblica Sociale di Mussolini. Il governo di Franco fu riconosciuto il 27 febbraio 1939 dall’Inghilterra e dalla Francia, mentre il primo aprile dagli USA. La Spagna franchista si dimostra accuratamente atlantica e rigorosamente anticomunista, al punto che il presidente americano Eisenhower nel 1957, si congratulò all’anniversario della ribellione con il Caudillo.
Di anni ne sono passati e molte cose sono scomparse, a volte finite come se non fossero mai esistite. Non c’è più l’URSS, non c’è più neanche il partito comunista. Ciò che rimane è una grossa eredità cui quello che manca sono proprio eredi legittimi e credibili. Oggi non è di moda dirsi socialisti, e quando si fa, ci si guarda bene di mettere in discussione il sistema economico capitalistico, anzi più spesso si è perfettamente integrati in esso, a volte addirittura si ricoprono alte cariche d’istituti finanziari mondiali.
Di eredi a basso costo e basso profilo se ne trovano molti, tutti quelli della sinistra politicamente corretta, posizionata tra San Paolo e Obama, tra i diritti umani e l’internazionalismo finanziario, tra pacifismo e F35, tra i caschi blu e i marines. Ieri come oggi, quelli con la “”puzzetta” sotto il naso che guardano con sospetto e distacco chi lavora con i calli alle mani, non sopportano il loro spontaneismo e il ribellismo da cafoni.
Esistono molti eventi ai quali né la stampa, né la storia ufficiale, e tantomeno gli intellettuali, prestano particolare attenzione. Spesso è conveniente nel trattare alcuni argomenti evocare esclusivamente immagini e sollecitare ambiti essenzialmente mitici.
Questo permette di creare una certezza fondata sul nulla, o più semplicemente piantata nel surreale, senza domande ci si può schierare da una parte contro un’altra, ma poi mancando della dimensione della profondità ci si accorge di non aver radici, idee, e aver contribuito a costruire una società evanescente, spesso stupida e più sicuramente addomesticata alla propaganda.
Hanno volutamente creato un grande buio, un’enorme situazione indistinguibile, dove poter coltivare soltanto quattro certezze. Per decenni tra queste quattro certezze abbiamo senz’altro avuto l’antifascismo o l’anticomunismo, sempre la bontà dell’economia capitalista, il cui frutto è stato l’attuale pensiero unico.
Di hegeliana memoria quel monito contro ogni sapere assoluto che annulla in sé ogni e tutte le altre determinazioni reali. Quel sapere assoluto che si celebra “ nella notte in cui tutte le vacche sono nere”.
Con una semplificazione umana ci si accontenta del verosimile, su essa ha facile gioco una volontà interessata d’imposizione monocromatica.
L’antifascismo, l’anticomunismo, hanno minimizzato una dinamica nuova, secondo un atto di puro riduzionismo di un intero movimento dialettico e sociale, rinunciando a capire tutta una fenomenologia rivoluzionaria che meritava un respiro molto più ampio, volontariamente senza distinguere, nel solo scopo di negare il progetto del “lavoratore integrale” che in sé si sarebbe potuto scorgere. Nel centralismo asfissiante, onnipresente, dell’antifascismo perisce l’umanesimo del lavoro con la sua più alta forma di democrazia sociale. Con l’antifascismo la sinistra ha spento una luce, rinunciando alla sua peculiarità, ha finito per favorire una dicotomica inconciliabilità tra capitale e lavoro, dalla quale nasce, e persiste in modo non risolto, il problema dell’alienazione dell’uomo. Il lavoratore resta ancora un salariato, un dipendente a tutti gli effetti, più propriamente sempre un non-decisore.
Nella notte in cui tutte le vacche sono nere si tengono in piedi spettri inesistenti, mentre il vero totalitarismo può far pascere la sua bestia: il mercato, altrimenti detto capitalismo industriale ieri, finanziarizzato oggi.
Documento inserito il: 31/12/2014
  • TAG: fenomenologia rivoluzionaria, mancata comprensione, aspettative sinistra, crollo urss, guerra civile spagnola, franchismo, terza internazionale

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