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Corso di Fondamenti ed Istituzioni delle Umanità Occidentali. [ di Paolo Perrone ]

Dall'universalismo religioso al panteismo economico, assetti istituzionali e culturali dell'Europa che cambia.
Presentazione

Con questo scritto propongo una visione d’insieme alla storia europea, finalizzata alla comprensione di quegli impianti e modelli che l’Europa teorizzò e attuò, per perpetuarsi nelle più svariate e avverse condizioni e fare in modo che la sua storia non si estinguesse. Seppur il termine Europa ha assunto nell’ultimo cinquantennio un’accezione onnicomprensiva di nazioni, popoli, del loro patrimonio culturale e materiale, sono consapevole degli esiti fuorvianti a cui un uso improprio di un termine cosi generalizzante può portare, soprattutto se riferito ad un contesto appartenente ad un lontano passato; per cui quando scriverò di Europa mi limiterò ad assimilarla ed intenderla come composizione geografica, un’Europa fatta di territori geografici, abitati da popoli, che si danno attributi operativi comuni seppur diversificati.
Muovendoci dal Basso Medioevo all’era degli istituti sovranazionali, ci imbatteremo in rivoluzioni, violente quanto determinanti, in rielaborazioni di concetti e valori che venivano considerati assoluti ed immutabili, in strenue resistenze sostenute da patrimoni, di cui qualcheduno si fece interprete, che non volevano estinguersi. Cercheremo di comprendere come un corpo, il corpo delle civiltà, possa tramutarsi nel suo negativo mantenendosi pur sempre vitale e imprescindibilmente dinamico. Il nostro punto di partenza è rappresentato dal Medioevo, in particolare dal sistema strutturale socio-economico che si sviluppò nell’età di mezzo; comprendere il perché ed il come di questa risposta, formulata dalla civiltà europea in una particolare situazione spazio-temporale, è indispensabile al fine di tracciare un percorso storiografico che ci permetta di giungere ad una più corretta, seppur approssimativa, comprensione dei presupposti che permisero l’affermazione degli Stati nazionali, e dell’ideologia che questi proponevano e di cui, allo stesso tempo, si nutrivano. Lo Stato nacque come originale soluzione proposta in determinati tempi storici ma comunemente istituito per il raggiungimento, riuscito o meno, di determinati obiettivi, proficue utilità o impareggiabili occasioni.
Nonostante la varietà e la reciproca diversità di forme di stato e di governo, il corso della storia contemporanea sembra averle decretato in toto inidonee per dipanare gli attuali problemi mondiali, tortuosità innanzi alle quali le possibilità dei singoli, seppur autorevoli e influenti, Stati sembrano carenti se non inesistenti. Indagare le possibilità che il futuro ci presenta è indubbiamente vantaggioso e stimolante, per cui qualche parola sarà spesa per inquadrare le linee di sviluppo e progresso che hanno riguardato le realtà dell’ultimo mezzo secolo: l’istituzione di organismi sovranazionali sembra essere uno dei presagi della fine, o comunque della impegnativa riprogettazione che necessita sostenere, del maggior ente in grado di mobilitare, disporre e operare efficientemente che la plurimillenaria storia umana abbia creato e tramandato: lo Stato così come lo conosciamo.
Non si tratta di un cattivo oracolo o di un'infausta sibilla, ma di serbare la consapevolezza che sebbene la realtà che viviamo e percepiamo ci sembra acquisita, data e certa, essa non è mai stabilizzata ma è il frutto di un continuo auto-concepimento, sia sul piano intellettuale che operativo. Ciò porta inevitabilmente ad abbandonare ricchi patrimoni concettuali, magari realizzati e proficuamente praticati per secoli, a favore di un progresso tanto ricercato quanto sconosciuto, e che comunque non può nulla contro il persistere, il sopravvivere, il fiero perdurare, seppur indebolito, di ciò che il passato degli uomini ha permesso di conseguire e sviluppare.
Guardiamo a tutto questo come a una grande occasione.

L'inizio di tutto: il Sistema feudale
Il sistema feudale era un organizzazione di uomini e cose sviluppatasi in risposta al caos sociale prodotto dal crollo dell'autorità centrale rappresentata dell'Impero Romano. Una gerarchia di uomini uniti da un giuramento di fedeltà che trovavano il loro più alto compimento nell'Imperatore, questa era l'organizzazione feudale; l'unico sistema che si presentò valido in una realtà frammentata, difficile e angosciata dalla paura per la propria fine. L'apparato feudale si sviluppò in Europa dall’XI secolo in avanti, un inquadramento concettuale è indispensabile per comprenderne le caratteristiche.
Le invasioni di Ungari, Normanni e Saraceni costituivano pericoli non ancora placati, che anzi aggravarono ulteriormente la situazione europea, già di per sé disgregata. La caduta dell’Impero Romano aveva fatto venir meno quell’ordinamento spaziale e giuridico prima assicurato, finanche la possibilità di vivere in condizioni materiali accettabili.
Le condizioni di vita delle popolazioni erano tremendamente indigenti: povertà e miseria, malattie ed epidemie, assenza di nozioni mediche, condizioni di vita precarie. Gli europei conoscevano molto bene la morte, questa aveva il volto del nuovo invasore venuto a distruggere e saccheggiare, ma anche le fattezze di una vita mesta a cui si opponevano troppe penurie. Estremamente rappresentative dello spirito del tempo sono le opere di Hieronymus Bosch che proprio perché vissuto tra la fine del' 400 e gli inizi del' 500, quando il sistema che descriviamo andava indissolubilmente scomparendo, ci fa riflettere sulla persistenza nel sentire europeo di incogniti simboli magici, di terribili fantasie umane, di mostruosità animali. Essi ben poco hanno a che spartire con la realtà così come la intendiamo noi, ma permeavano e costituivano la vita timorosa degli uomini medievali.
La paura era un sentimento con cui si conviveva grazie al sostegno spirituale assicurato dalla religione: questa non era ambito personale (la Riforma Protestante è lontana ben cinque secoli), ma elemento comune, pubblico e da vivere collettivamente.
In effetti la società e le sue strutture erano indissolubilmente legate alla spiritualità religiosa che veniva istituzionalizzata: Impero e Papato erano assimilati ad enti portatori in terra della visione trascendentale e divina, unica garante ordinatrice in opposto al caos che, in un epoca di così profonda fede, aveva il nome di apocalisse, dissoluzione. I due potentati erano quindi elementi d'unione solo su questo piano universalistico-ultramondano e non politico-organizzativo, l'Europa era di fatto formata da popoli privi di identità statale e nazional-territoriale. Potere politico e religioso non erano dissimili come ce li figuriamo noi oggi, sia l’Impero che il Papato assolvevano la medesima funzione: l’instaurazione di un assetto complessivo rappresentante l’ immagine, speculare e terrena, di una trascendentale configurazione dell’universo, derivante direttamente da Dio.
Il sovrano era il trade d’union tra il mondo soprasensibile divino e quello sensibile terrestre, da Dio stesso egli riceveva il potere ed era incaricato di trasmetterlo in terra al fine di assicurarne la continuità, requisito necessario a garantire quella sicurezza indispensabile per la sopravvivenza in un'epoca di così profonda crisi. Inscritto in una dimensione trascendentale della vita, il re esercitava un potere connotato da carisma divino e questa influenza, concessa direttamente da Dio, permetteva al sovrano di officiare le solenni cerimonie di investitura: il suddito giurava inginocchiato, prometteva fedeltà e mentre veniva benedetto riceveva il bacio sulle labbra dal Sovrano, vero momento di diffusione del carisma nelle gerarchie sociali. La magniloquenza divina di cui era per tradizione portatore il sovrano si traduceva nella capacità di opere soprannaturali, conferiva dignità e quindi credibilità; questo carisma dunque univa gli uomini al sacro e solo la sua irradiazione all'interno della struttura costituita poteva allontanare gli spettri di una verosimile ecatombe.
Un ideale universalistico, ecumenico sottendeva questo tipo di società e la fede negli incaricati di Dio in terra, i cui ruoli si coniugavano, sovrapponendosi e confondendosi.
Istituzionalizzando un modo di stare insieme garante di ordine e stabilità, giusto poiché traduzione terrestre di una gerarchia trascendentale, si imponevano le condizioni di una certa immobilità della società: in un'entità in divenire destabilizzazioni profonde possono portare alla disgregazione. Da qui l’importante ascrittività medievale con la conseguente divisione della società in gruppi e comunità. In una società siffatta le comunità umane si strutturavano in gruppi all’interno dei quale si definivano e praticavano prassi che avevano il proprio fine nella conservazione del gruppo stesso. Ogni uomo apparteneva ad una classe e ciò assicurava identità e protezione: gli individui appartenevano a lignaggi. Questo tipo di strutturazione collettiva è tipica delle società in cui vige una forte disuguaglianza, ma nel Medioevo europeo fu proprio questo che innescò opere di sostegno e di solidarietà comunitaria che, viste nel loro insieme e nella loro mutua dipendenza, furono ciò che resero possibile la perpetuazione della civiltà europea, o sarebbe più corretto dire, dell’embrione che si era fino a quel momento sviluppato.
La tradizione per l’uomo medievale aveva ancora un senso, anzi ne era forse l’unica portatrice: dal passato deriva la continuità del ruolo del sovrano (basti pensare all'ideologia del doppio corpo reale) e dal passato storico si cercavano le condotte da tenersi per un futuro possibile. Da qui parte il progetto di Carlo Magno, il fondatore del Sacro Romano Impero.
Dunque attraverso questo sistema configurato sulla centralità del Papa e dell’Imperatore come garanti divini della sopravvivenza comunitaria, e sull’ininterrotta solidarietà tra i membri delle comunità, passò la stabilizzazione europea. Ma una volta che il compito cui erano finalizzate le strutture createsi venne raggiunto, gli ideali universalistici ed ecumenici che avevano reso possibile il successo naufragarono, e a questo si accompagnò l’indebolimento morale e politico delle istituzioni che quella riuscita avevano reso possibile. Quei valori certi, morali e religiosi che avevano dato basi di rinascita durante i secoli bui del Medioevo europeo, vennero definitivamente abbandonati a favore di una rielaborazione individualistica che non si esaurì nella nascita di un nuovo ceto, ma alla lunga trovò il suo compimento nella creazione degli Stati moderni-nazionali.

Il Feudalesimo tra nuovi valori e virtù
Il sistema feudale non era tecnicamente efficiente o ben strutturato e poteva essere mantenuto vitale solo da una forte fede, da una grande visione universalistica tendente al conglobamento dei popoli cristiani, riassunta nell’opera tinta di sacrale e degna di devozione di chi il sistema manteneva. Tuttavia questa venerazione scrupolosa venne via via messa da parte a favore di tematiche più “terrene”. Il sovrano intratteneva con i suoi feudatari rapporti personali, solo ad uomini di fiducia sarebbe stato possibile affidare feudi e solo ala promessa di sottomissione di questi ultimi era possibile dar credito; la fede da riporre nel rappresentante divino era l’imprescindibile elemento garante dello status quo, ma spesso i vassalli sviluppavano nei loro territori maggior potere dell’imperatore, cosicché la sua figura subì forti contraccolpi che minarono il simbolismo da essa rappresentata e di conseguenza il rispetto che era dovuto; fino al punto di diventare un semplice emblema del tempo passato.
Per comprendere la debolezza del sistema feudale è importante anche considerare la continua lotta centrifuga, interna, tra il re papa ed il papa re, lotta per le investiture e scisma della chiesa orientale, sono per esempio importanti, quanto susseguenti e concatenati, coefficienti che determinarono la concretezza di un nuovo mondo.
Quanto alla fine dell’organizzazione feudale, essa costituì una svolta epocale per l’Europa: la nuova idealità sviluppatasi sul continente non ebbe effetti limitati a questo ma pose un nuovo modo di essere al mondo degli europei, che nel lungo periodo permise di influenzare finanche imporre le proprie regole del gioco a civiltà che erano in precedenza superiori all’europea, sia dal punto di vista economico che culturale.

Scosse al Feudalesimo, antagonismo e individualità
Ora cercheremo di comprendere come il passaggio fu reso possibile, cosa mutò gli assetti culturali e istituzionali. È importante sottolineare che se il cambiamento avvenne, evidentemente la cultura europea possedeva un certo plasticismo, a cui venne dato adito e che fu sviluppato; come abbiamo visto, lo stesso sistema feudale nacque come risposta di una comunità a un mondo che rischiava di scomparire, ma una volta stabilizzato, si rielaborò cercando di identificare un assetto più conveniente al contesto. L’Europa si ideò sempre come divenire, come processo in via di completamento, gettando lo sguardo sulla sua storia millenaria possiamo affermare che si costruì di volta in volta mantenendo le basi per il proprio rinnovamento.
Ovviamente questi passaggi non avvennero fluidamente e senza arresti provocati dai più disparati freni. Il prezzo pagato per la riassimilazione di un nuovo modus vivendi fu caro e si traduce in antagonismi turbolenti e inaspettati rovesciamenti. Sempre gli uomini, raggruppati più o meno tenacemente, tentarono di tenere legati i fili del presente ad un passato certo e sicuro, un passato da riproporre senza l’ansia di tendere a nuovi traguardi.

Mercanti per il Mondo
Una scossa alla visione del mondo propria della tradizione venne certamente assestata dalla Rivoluzione commerciale, con questa formula intendiamo un movimento consumatasi tra XI e XIV secolo che istituì un nuovo modo di intendere il commercio, non più su base solidale-reciproca ma antagonistica. Proprio per la “novità” di cui i mercanti, ovvero i protagonisti della Rivoluzione, si fecero portatori, essi si contrapponevano alla tradizionalità feudale: non erano persone catalogabili in nessun gruppo sociale costituito, se non nella poco augurabile compagine degli eretici. Maneggiavano denaro, si arricchivano tramite questo, erano figure problematiche inconciliabili con la tradizione, individui che con la loro azione diedero un inconsapevole contraccolpo al tramandato sistema di valori, mostrando come le proprie capacità, quelle individuali, l’intraprendenza, il coraggio, la furbizia, potessero essere in grado di emancipare l’uomo dalla propria misera, accettata e rassegnata condizione.
Una possibilità offerta completamente diversa, in cui gli individui non avevano valore solo come parti di una totalità più ampia mossa coordinatamente, ma nel momento di slancio individuale, personalistico risultato delle proprie potenzialità. Ovviamente questo passaggio non fu netto e veloce, venne dapprima praticato, poi teorizzato e solo nel lungo periodo fu possibile la sua diffusione e assimilazione su larga scala.
Abbiamo detto del nuovo tipo di commercio praticato durante la Rivoluzione, quello competitivo. Esso venne inizialmente rivolto verso l’esterno nella fase in cui la tradizione si manteneva vigorosa, solo gli scambi con lo straniero potevano inscriversi in una competizione antagonista. Tuttavia con il passare del tempo l’affermazione di nuovi istituti giuridici, affitto e mezzadria, seppur in circostanze spaziali e temporali diverse da regione a regione, segnò un’abdicazione dei tradizionali concetti di rapporti intra-comunitari e una contestuale accettazione-imposizione della nuova mentalità.
Allo stesso tempo nacque una prima presa di coscienza dell'esistenza di uno spazio economico da sfruttare: il Mediterraneo e le lontane steppe asiatiche. Questa consapevolezza coniugata al nascente principio del razionalismo economico, ottemperando il quale si cerca di trarre i maggiori vantaggi dagli sforzi erogati, fece si che la competizione mercantile andò creando uno spazio commerciale integrato i cui confini non erano identificabili con quelli di alcun potentato politico e in cui alcun istituzione poteva disporre, tutto era lasciato nelle mani degli individualisti mercanti.
Possiamo considerare questo il primo abbozzo di un'economia capitalistica, non più inglobata in regole morali, etiche e sociali, ma libera di sprigionarsi secondo antagonistici rapporti di forza via via costituitisi. Rintracciamo una prima fondamentale revisione pragmatica, che costituirà anche la futura base ideologica della teoria economica mercantilista, e che in questi anni si abbozzò: la ricchezza derivante dall’azione commerciale come accrescimento di potenza.
Concludo: l’Europa sceglie come propria condizione di sopravvivenza, compimento, non più la tradizione ma la disarticolazione da ogni precedente punto di approdo assicurato. Il progresso, inteso come il nuovo che si sviluppa, è il tramite dell’affermazione Europa, che fin dalla scomparsa dell’Impero Romano si percepiva come periferia del mondo. Un mondo in cui i Cina e Islam accumulavano e producevano immense ricchezze, un mondo di cultura a cui gli europei non potevano minimamente accedere, tecniche ed elaborazioni dello spirito umano che gli Occidentali non conoscevano, ma che con l'intrattenimento di rapporti commerciali cominciarono ad importare ed attuare.
Cambiamento culturale e allo stesso tempo attestazione di potenzialità furono i risultati della Rivoluzione commerciale; gli Occidentali furono percepiti in modo diverso, non più solo rozzi barbari ma anche abili mercanti, capaci con i loro movimenti di merci e uomini di far affluire in Europa ricchezza e tecnologia, e di conseguenza ristabilire i rapporti di forza. Seppur il cambiamento riguardò un' élite di privilegiati, le originali tendenze non rimasero sterili e concernenti il gruppo che le aveva ideate e praticate, e altri processi di cui ora parleremo, certamente lunghi e difficili, permisero una loro generale affermazione.

Mercanti insediati, innovativa cittadinanza
L'azione mercantile, essendo di natura economica, andò ineluttabilmente a riguardare questioni sociali e quindi politiche. Laddove i mercanti si affermarono con maggior vigore, essi conquistarono il potere e di conseguenza anche l’ambito politico venne ristrutturato: basti pensare al fiorire di liberi Comuni in Italia e nel Nord Europa. Questi, seppur formalmente assoggettati all’Impero, erano usualmente governati da una oligarchia mercantile, arricchitasi e divenuta custode del potere: i mercanti nella loro trasposizione politica, cioè Comuni e Signorie, si slacciarono dalla tradizionale concezione carismatica di autorità. Il potere del mercante era personale, guadagnato, e aveva il suo tramite nel denaro, e gli Stati che costoro “dirigevano” erano fatti come garanti degli interessi di questa nuova aristocrazia, non titolata ma sicuramente più versatile e pragmatica della nobiltà di fondo. Non possiamo fare a meno di considerare come questo movimento di denaro, incrementatore di ricchezza, abbia permesso l'affermarsi e lo sviluppo di entità autonome, anche piccole, ma potenti, sostanzialmente indipendenti e molto influenti. Queste profonde innovazioni non possono che aver concorso ad accelerare la corrosione del sistema imperiale.

Una nuova cultura: l'Umanesimo
“L'umanesimo ha alla base una nuova visione dell'uomo non più legato solo alla divinità, ma visto come essere del tutto naturale, che spazia liberamente e senza pregiudizi sull'ambiente umano in cui vive ed agisce. La natura, campo d'azione privilegiato dell'uomo, non è più corrotta dal peccato: si può quindi ben operare nel mondo e trasformarlo con la propria volontà”.
L'Umanesimo ebbe come centro propulsore i ricchi Comuni italiani, al tempo stesso espressione e tramite di nuove idealità; fu uno degli elementi senza dubbio fondamentali nell'accelerare il trapasso del tradizionale sistema di vita e di pensiero. In questo periodo i liberi Comuni italiani andavano via via accentuandosi come realtà territoriali più ampie e governate da autoritari Signori: contestualmente all'Umanesimo nacquero le Signorie. La nascita di queste, che venivano molto spesso sorrette da ricchi mercanti, è un segnale del crescente divario economico che nelle società umane si stava producendo, causa le ricchezze mercantili.
Perché questo movimento nacque proprio in Italia e nei Comuni italiani? Affermazione di un ideale di vita pienamente umana in quanto liberata dal mistico terrore del trascendentale, era movimento propenso a stabilire primariamente la preminenza dell'uomo, inteso in senso lato, e della sua azione su qualunque altro elemento soprannaturale e divino; contestuale a questo riacquisto di dignità da parte dell'uomo è la riscoperta e rilettura dei testi classici greci e latini. Il Medioevo cominciò ad essere inteso come un' epoca di oscurantismo e fanatico misticismo, venne inoltre stabilito il primato della vita attiva più che su qualsiasi ascetismo. Possiamo leggere in questo principio una chiara vittoria della classe mercantile su quella aristocratica, non più custode dell'unità politco-organizzativa vigente, ma semplicemente parassita feudale.
L'umanesimo è quindi l'espressione di quel ceto mercantile4 che, consolidando la propria posizione economica e la presenza come “gruppo” all'interno della città, riconobbe la necessità di tutelare i propri interessi e quindi di fornire una giustificazione teorica alla propria azione. In questo modo la classe mercantile sarebbe riuscita a farsi accettare dal resto della società come nuova classe dominante.
Questo movimento culturale ebbe importanti ripercussioni nell'immediato periodo storico in cui si sviluppò, ma anche nei secoli che dovevano ancora venire. Stabilendo la centralità dell'azione umana e connotando negativamente la cultura medievale, non poteva fare altro che costituire elemento di discontinuità rispetto alla medesima. Le stesse associazioni di liberi cittadini che si sarebbero riunite dandosi rappresentanza e tutelando i propri interessi enunciano una nuova concezione di organizzazione del comando (non era più necessario l'intervento del nobile terriero emissario di Dio), una certa elaborazione “di classe” -nel senso di gruppi di cittadini aventi interessi comuni organizzati per la loro difesa- si era formata. È chiaro come questa permanga ancora oggi e costituisca nelle sue varie sfaccettature la cosiddetta “società civile”. Come altri effetti di lungo periodo dell'Umanesimo, è possibile ricordare quei movimenti culturali che, seppur in accezioni diverse, esaltarono l'azione umana. Nel'700 vedono la luce due movimenti intellettuali basati sui valori umanistici che distinguono l'essere umano dalle bestie: i sentimenti, che diedero la base di sviluppo al Romanticismo, e la ragione, sulla quale sorse invece l'Illuminismo.

Il subdolo teorizzatore: Machiavelli
L'Umanesimo non poteva che sviluppare una differente concezione del potere rispetto alla tradizione feudale, e uno dei maggiori teorizzatori ne fu il Machiavelli. Disincantato rispetto a qualsiasi frapposizione tra potere temporale e secolare, espresse il fondamento del pensiero politico moderno. Libero da preoccupazioni moralistiche e soprattutto consapevole dell’impossibilità di realizzare ideali che non trovassero la propria base nella realtà effettuale, ossia quella realtà che affondava le sue radici nell’organizzazione sociale ed economica della società, Machiavelli si fece propugnatore di uno Stato assoluto poiché del tutto indipendente dalla Chiesa romana. La religione era un elemento sempre importante nella vita comunale, ma non era più necessaria come giustificazione e base ideologica per l'esercizio del potere temporale; in questo senso la conquista laica di Machiavelli fu tremendamente moderna. Stato per gli stati, attuali e potenziali di chi all'interno dell'organizzazione politica riusciva a diventare egemone, proponendo nuove problematiche e differenti obiettivi rispetto ai predecessori ma sempre, tutti interessati alla cura della vita terrena dei cittadini. La religione viene trattata esclusivamente nel suo ruolo di strumento nelle mani del principe, vale a dire come mezzo da mettere al servizio del mantenimento dell'ordine statale, in quanto “Gli stati non si governano con i pater nostro”. L’idea moderna dell’indipendenza della politica dalla morale costituì patrimonio concettuale che andrà a confluire nel Principio della Ragion di Stato.
Machiavelli ribadì la centralità dell'azione individuale per il proprio successo; il suo Principe per esempio doveva avere determinate caratteristiche: “forza di un leone e furbizia di una volpe”. Sebbene per l'autore la storia abbia carattere ciclico "tutti li tempi tornano, li uomini sono sempre li medesimi", non si chiude in posizioni meramente fatalistiche, ma pone nelle virtù umane le capacità di mutare il corso degli avvenimenti: basti ricordare l'appello ai principi italiani affinché riconquistassero la libertà atavica scacciando lo straniero.
Concludendo, saranno Machiavelli e la sua visione laica della vita a permettere alla politica di attribuirsi un'accezione e un modus operandi moderno, assumendo una dimensione e una dignità autonome rispetto alle altre sfere della religione e della morale: una dimensione empirica che non si porrà più come assunto fondamentale il raggiungimento di fini oltramondani quali la salvezza dell'anima dei sudditi, ma quelli più terreni di ordinamento civile interno allo Stato e prosperità del medesimo, nonché indipendenza nei confronti delle altre potenze.

La fine di un'epoca
In una realtà più autoconsapevole, più fervente ed indipendente, lo scarso controllo delle autorità feudali si tinteggiava di impotenza operativa. Impero e papato non erano in grado di governare una realtà che andava via via mostrandosi diversa dall'illusorio miraggio di cui erano i più acuti e sempre più solitari osservatori; impegnati nella cieca e reciproca lotta, diedero modo alle istanze particolaristiche latenti di affermarsi. Una grande giustificazione ideologica a queste aspirazioni venne data da un accadimento che non era nato come evento politico: ma da semplice episodio, lecitamente esauribile in se stesso, divenne coagulo di richieste riformistiche religiose e non, nonché portatore di una più moderna visione del mondo.
In ciò che la formula “Riforma protestante” cela ed evoca, si trovano importanti cambiamenti istituzionali, culturali e socio-economici posti ovviamente in interdipendente correlazione reciproca; identificarli sarà un passo fondamentale per un proficuo proseguo dell'analisi.
La dottrina riformata
Le dottrine di Lutero si fondavano su tre principi essenziali:
La giustificazione mediante la fede
L'autorità della Sacra Scrittura
Il sacerdozio universale dei credenti
Il primo di questi principi si basava su un passo tratto da uno scritto di San Paolo, che comprendeva la seguente frase: "il giusto si salverà per la sua fede". Ciò stava a significare che la salvezza dell'anima dipendeva dalla fede e non dalle opere, ossia che solo mediante la fede è possibile giustificare le opere, mentre le sole opere non possono sostituire la fede. Questo fu il principio destinato a combattere la Chiesa, la quale sosteneva la necessità delle opere di misericordia spirituale, ed in particolar modo dei sacramenti, per poter partecipare al premio della grazia divina: sostenendo l'eliminazione delle opere di misericordia, si eliminava anche la funzione della Chiesa che amministrava i sacramenti. Il secondo principio era ancor più radicale, in quanto negava la necessità del magistero della Chiesa e delle sue tradizioni: Lutero sosteneva infatti che ogni cristiano poteva leggere ed interpretare da sé la Sacra Bibbia. Per questo scopo essa poteva essere tradotta nella lingua nazionale e diffusa ovunque. Egli escludeva inoltre dalla Scrittura i tardi Padri della Chiesa e la tradizione, cioè tutto quel complesso di regole, leggi e prescrizioni, formatosi nel corso dei secoli ad opera dei vari Papi e dei Concili. Il terzo principio rappresentava la conseguenza più logica dei primi due: dal momento che ogni buon cristiano praticante poteva regolarsi da sé prendendo spunto dalle Sacre Scritture, diveniva inutile il sacerdozio in quanto ognuno diveniva automaticamente sacerdote di se stesso.
In sintesi, i tre principi di Lutero, esprimevano quei sentimenti di individualismo, ossia di fiducia nelle forze dell'uomo e nella sua ragione, supportati dalla profonda sfiducia verso le autorità tradizionali, che rappresentavano la caratteristica nuova del periodo rinascimentale e che nei secoli seguenti si svilupperanno sempre più.

Gli archetipi di una nuova società
Le dottrine riformate lanciarono un nuovo stile di vita, più pragmatico e concreto: vedendo nei buoni risultati ottenuti in vita un segno di predestinazione divina, elaborarono il successo negli affari, il guadagno, l'approvazione della comunità come i veri sintomi dell'intervento favorevole della grazia divina, non più ottenibile tramite intercessioni nella gerarchia celeste, né tantomeno compra-vendibile. Il benessere materiale diventò quindi strumento religioso e scopo di vita, la congiunzione di aspirazioni ultraterrene e materiali fu concepita e giustificata con coerenza. Qualsiasi freno morale e/o remora mentale imposta da una secolare visione mistico-contemplativa, poté essere rimosso di netto, una vita più realistica si lasciò alle spalle convenzionalismi e strutture religiose obsolete. Nacque un popolo più attivo, che esercitava questa sua virtù anche nella ricerca spirituale, infatti il fedele poteva, doveva, avvicinarsi personalmente a Dio, senza filtri ed autorità interposte. Mentre per secoli il ceto religioso aveva guidato le menti d'Europa procedendo alla creazione di una ristretta aristocrazia del sapere, con la Riforma tutto ciò viene messo in crisi. Il fedele deve intendere la Bibbia e rendere conto a Dio della sua vita, prerequisito affinché il credente possa interpretare il testo sacro è saper leggere; ed ovviamente la personale comprensione non potrà scadere in un assoluto relativismo personalistico, perché il biasimo e il controllo sociale esercitato dalla comunità che si abita sarà sempre pronto a menzionare posizioni eterodosse. Quindi possiamo constatare un effetto benefico diretto, l'alfabetizzazione di parte della popolazione; l'ignoranza non venne certo scacciata, ma contestualizzando all'epoca, fu un salto qualitativo ovvero un differenziale, rilevante.
L'universo dei protestanti era accomunato da questa necessaria quanto voluta ricerca, e quindi si qualificavano come macro-gruppo dotato di morale comune; identificavano l'uno nell'altro gli stessi bisogni, aspettative, le medesime urgenze. Anche la vera propria “nascita” di questo insieme è da considerarsi per giungere alla mia tesi: la creazione di una morale comune, fortemente identitaria perché nata da forte tensione ideale6, sviluppatisi tra immense difficoltà, non ancora generata ma già necessitata a difendersi contro i suoi nemici, creò una forte identità e senso di appartenenza.
Modernità contro Medioevo, progresso contro tradizione. La tradizionale Chiesa non perse solo milioni di fedeli, ma la sua storica egemonia venne minata nei fondamenti teorici, e sebbene in quegli anni fosse possibile gettare le fondamenta della Basilica di San Pietro, mai più nulla si poté fare per ribadire i basamenti presupposti alla supremazia ecclesiastica romana.
E' comunque paradigmatico notare come colui che chiedeva un ritorno all'originario, divenne la bandiera della modernità, che senza dubbio teorizzò inconsapevolmente ed involontariamente; la modernità di cui parliamo ha, come abbiamo visto, il fondamentale tratto dell'individualismo e gli Stati moderni nacquero appunto come specificità della grande realtà universalistica Imperiale.
Dal punto di vista economico, sono ben note le teorie weberiane sull'etica protestante, ma penso qui sia più rilevante indagare la relazione tra Protestantesimo e sviluppo della modernità; questa intesa tendenzialmente, cioè nel lungo periodo, in senso democratico. Sarebbe consentito obiettare che cercare le interrelazioni tra i due elementi, costituisce in realtà un semplice rovesciamento dialettico del problema, un gioco intellettuale, giacché come ben sappiamo la democrazia si sviluppò solo nei paesi di stampo capitalistico e solo questi pprofondirono la loro esperienza democratica. Tuttavia penso che gli elementi fin qui presentati possano essere considerati validi per ipotizzare che la grande conquista dei riformatori, non si esaurì nel loro affrancamento da Roma, ma essi posero le basi per l'ideazione e la realizzazione di una nuova realtà istituzionale che nelle sue mature evoluzioni divenne democrazia cioè, come ebbe modo di dire Churchill: “la peggior forma di governo mai realizzata, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono in precedenza tentate”.
Le caratteristiche che la nascita di quel mondo richiedeva, ma di cui ancora deficitava, saranno l'oggetto delle prossime pagine.

Il dazio all'evoluzione
Un altro terribile periodo attendeva l'Europa che si affacciava alle porte della modernità. Cattolici e Protestanti cambiarono molto presto strumento di confronto, l'attendibilità di elucubrazioni teologiche venne celermente accantonata, il campo di battaglia avrebbe decretato il discendente prediletto di Pietro. E proprio in nome di quella fede che aveva precedentemente costituito il collante spirituale-sociale tra i vari popoli, si combatté una lunghissima e quasi ininterrotta serie di guerre fratricide, che coprirono l'arco di un secolo. La guerra dei trent'anni né rappresentò il culmine, ma anche l'ammonimento profondo di una necessaria e onnicomprensiva revisione dello spazio europeo e del modo in cui veniva abitato. Infatti gli episodi bellici drammatici rammentarono, nelle menti degli europei, paure nascoste negli antri più reconditi dei loro spiriti: da secoli infatti, l'Europa si era data una relativa stabilità, e le asprezze, seppur continuassero, queste non avevano il carattere totalmente distruttivo proprio di un guerra fratricida e fanatica.
L'Europa sentì la propria sopravvivenza posta in pericolo e si diede nuova forma, come è sempre accaduto, nei trattati di pace che susseguirono. Questo nuovo schema avrebbe dovuto essere il garante della inammissibile eventualità di altre guerre senza quartiere, guerre intimamente degeneranti in catastrofi. Ovviamente il tradizionale sistema era improponibile, un nuovo soggetto, ente, sarebbe dovuto essere inventato e plasmato e questo costituì l'apogeo della Rivoluzione Politica: la definizione di un uovo ordine internazionale, un sistema in cui gli Stati si riconoscessero reciprocamente solo in quanto Stati.

Il quadro dopo Westfalia
Le Pace di Westfalia del 1648 segnò l'inizio di un nuovo tempo storico, un tempo politicamente Moderno. Il risultato delle guerre di religione non fu l'egemonia di una fede sull'altra, ma il pieno superamento della religiosità come giustificazione al potere temporale, la religione omogeneizzante Cattolica si frammentò perdendo centralità nell'azione politica e diventando semplice strumento nelle mani di chi reggeva lo Stato.
Questo doveva essere un nucleo relativamente compatto ed omogeneo al suo interno: era necessario sviluppare una forte sovranità: sia contro i moti particolaristici interni; sia nei confronti degli altri Stati il cui riconoscimento derivava unicamente dalle capacità potenziali, espresse in termini di mobilitazione, cioè capacità coercitiva rivolta verso le risorse interne, fossero queste materiali o umane.
Anche il senso identitario dovette essere plasmato, bisognava dare un senso alla nuova realtà; spesso questo poteva nascere velocemente dalla contrapposizione con un nemico esterno, francesi contro tedeschi, spagnoli contro olandesi, e ovviamente tutti giocavano per la potenza e tutti giocavano con il coltello tra i denti.
La nuova sovranità aveva contenuto impersonale ed aconfessionale, lo Stato si istituiva come garante dell'ordinamento materiale interno, nonché come propulsore di un benefico processo di diffusione del “benessere”. L'azione dello Stato era finalizzata all'accrescimento terreno dei suoi sudditi, dato che la cura dell'anima era fatto personale, lo Stato veniva giudicato e modificato solo in base alla sua capacità di perseguire i successi materiali cui la sua istituzione era preposta.
Contestualmente all'istituzione di un complesso di Stati che trovavano nel mutuo riconoscimento di diritto la possibilità di sussistere, fu possibile fissare criteri rigorosi di organizzazione per ognuno di questi, non più personalistici. La sovranità veniva disgiunta dal sovrano, la sovranità apparteneva allo Stato, il sovrano era colui che nelle varie situazioni contingenti raggiungeva la posizione di vertice nella società.
La nascita di un concerto di Stati i cui rapporti erano regolati dal diritto ebbe chiare ripercussioni nell'organizzazione interna degli stati stessi: non era più possibile valersi di arcaiche usanze e consuetudini, un sistema normativo di regole certe fu lo strumento usato per normalizzare, pianificare e pacificare la situazione interna. Mirabile al riguardo è l'istituzione di una forza operativa di controllo e disciplinamento nazionale: la polizia, che proprio nel XVIII e XIX secolo ebbe il suo periodo di fulgore, fu usata per imporre dallo Stato la propria presenza sia a livello individuale “lo Stato c'è e ti controlla, comportati rettamente”, sia a livello strutturato “lo Stato conosce la riottosità di questo angolo di regno e vi punirà”.
L'amministrazione e la burocrazia subirono in questo senso un salto quali-quantitativo notevole. La loro efficienza era necessaria per un corretto funzionamento dell'immenso apparato, il cui andamento interno abbiamo visto essere pari alla possibilità di un confronto all'altezza nello scenario internazionale. In questo quadro sistemico che andava via via accentrandosi e peculiarizzandosi, secondo forme di organizzazione diverse ma rispondenti tutte alle medesime problematiche, l'Italia si presentava frammentata in Signorie locali: il differenziale di potenza di queste rispetto ai nuovi grandi organismi territoriali era enorme, la conseguenza fu che il nostro paese subì il dominio straniero per altri due secoli.

Una nuova laica giustificazione
Una nuova base ideologica era necessaria alla progredita realtà dello Stato Nazione, se è vero che l'azione e la composizione di questi enti era completamente diversa rispetto al panteismo dell'Impero; è evidente che questi necessitassero anche di diverse giustificazioni alla loro esistenza e, per il loro funzionamento, innovativi strumenti operativi. La nuova Europa aveva nella competizione la sua origine, il suo fondamento era “la ragion di stato di una politica razionale, finalizzata al benessere e allo sviluppo dei popoli, sottomessa alle regole della morale, non più necessariamente al controllo della Chiesa; non negoziata fra rappresentanti di corpi privilegiati, non in balia della volubilità delle fazioni, della fortuna, di popoli e ceti dirigenti incostanti, non asservita alle ambizioni di un principe, ma prodotta da un apparato di professionisti, capaci di eseguire creativamente e con competenza le direttive del sovrano”7. Nei prossimi paragrafi cercheremo quindi di comprendere la nuova base concettuale degli Stati Moderni.

Ragion di Stato e Mercantilismo
Teoria della ragion di stato e mercantilismo furono due importanti strumenti di cui gli intellettuali europei dotarono i regnanti e che facilitarono il perseguimento per questi ultimi della loro politica di potenza.
La Ragion di Stato fu l'ideologia espressiva di una certa amoralità dell'azione politica, giustificabile in vista dei risultati, positivi per l'agente, che ne scaturiranno. Il primo Paese ad avervi fatto ricorso è la Francia, durante la guerra dei trent'anni quando, nonostante fosse un paese cattolico, intervenne a fianco dei protestanti per bloccare l'ascesa del Sacro Romano Impero. In breve tempo la nozione di interesse nazionale dominò la scena politica europea che nei secoli successivi divenne terreno di aspra competizione.
Il mercantilismo fu una politica economica che prevalse in Europa dal XVI al XVIII secolo, basata sul concetto che la potenza di una nazione sia accresciuta dalla prevalenza delle esportazioni sulle importazioni. Questa politica nasceva dal presupposto che la prosperità di una nazione dipendesse dalla quantità di metalli preziosi dei quali essa disponeva. Bisogna infatti tener conto che, in quell’epoca, i metalli preziosi come l’oro e l’argento, rappresentavano l’unica forma di moneta utile e la più immediata forma di ricchezza. Fu proprio per ridurre la fuoriuscita di questi metalli preziosi che le nuove figure dei “ministri” si impegnarono in una politica tutta tesa a ridurre le importazioni di prodotti stranieri, favorendo le industrie nazionali. Riproposizione tardo ottocentesca e contemporanea del Mercantilismo è il Protezionismo.
Ragion di Stato e Protezionismo quindi, come differenti strumenti ideologici volti a giustificare e fornire il supporto dottrinale all'azione aggressiva e bellicosa dello Stato. Armi usate da concorrenti che gareggiano per prevaricarsi l'un l'altro. Mezzi utili al perseguimento della “politica di potenza” funzionale all'affermazione di uno Stato sull'altro. Il mercantilismo può essere considerato la giustificazione economica del raggiungimento con metodi aggressivi dell'interesse nazionale. La Ragion di Stato come definitiva laicizzazione nell'esercizio del potere, questo deve rispondere solo ai suoi esiti, positivi o negativi che siano; solamente questi possono essere valutati.

Dallo stato di natura al naturalismo di Stato
“Lo stato di natura sarà una guerra di tutti contro tutti, in cui ciascuno cercherà di sopraffare il proprio simile per contendergli l'oggetto del comune desiderio. Questo stato di guerra permanente condurrebbe necessariamente alla distruzione del genere umano, si istituisce un principio di legge basato sulla ragione, secondo il quale si trasferisce una parte dei propri diritti ad un soggetto, alienazione finalizzata alla conservazione dei diritti trattenuti. Sorge così lo Stato che è espressione della volontà di tutti ed è una persona nuova e diversa data dalla somma degli individui che lo compongono. Lo Stato diventa la sorgente di ogni potere e colui che lo rappresenta, il sovrano ha potere assoluto su tutti gli altri, i sudditi. Lo stato è il nuovo Leviatano un dio immortale contro cui non vale né è lecita la difesa. Esso non è sottoposto a leggi, perché non è obbligato verso nessuno poiché costituisce l'anima e la vita della collettività, che senza esso non sussisterebbe.
Hobbes elabora così la più profonda ed assoluta giustificazione al concetto di Stato che il suo tempo abbia fornito: lo Stato si consacra in quanto unica entità capace di governare e coordinare le imprescindibili passioni umane. Esso è assoluto perché ha nell'universale essenza umana la sua radice. Esso si costituisce inoltre come originario, perché il suo potere è un a priori della nuova convivenza postulante ordine, controllo ed efficienza.

Esito compiuto: ordine e progresso
Ora dovrebbero essere chiari i motivi per cui il tipo di analisi svolta fin qui sia stata intermittente e non lineare: la sintesi e l'intrecciarsi degli avvenimenti e rivolgimenti trattati portò alle definitiva legittimazione dello Stato Moderno; ma questo non fu un percorso coerente e chiaro. Entrarono in gioco nuove idealità, mentalità che si contrapponevano alla tradizione, nuove forme di visione del mondo. La cultura, l'economia, gli assetti istituzionali ebbero, ognuno in una propria temporalità, sussulti sollecitanti la loro mutazione.
Lo Stato ebbe i suoi tratti essenziali nel progressivo accentramento di potere in un determinato ambito territoriale, nonché l'istituzione di apparati, ovvero complessi di uomini al servizio dello Stato la cui azione era volta al funzionamento dello stesso: la burocrazia. Gli individui che la costituirono erano esperti, specialisti, uomini che possedevano le capacità tecniche richieste da un'amministrazione e un controllo sempre più impersonale e funzionante.
La genesi statale avvenne tramite una progressiva affermazione dell'ente, sia verso l'esterno dei suoi confini territoriali sia all'interno dello spazio controllato. Emancipazione da Impero e Papato furono possibili grazie alla loro debolezza e allo scarso controllo esercitato, nonché da mentalità per cui il tradizionale potere carismatico non era più accettabile.
L'affermazione verso l'interno degli Stati, vide l'opposizione inerziale di tutti coloro che non riconoscevano in questo un tramite positivo per i loro interessi: quindi l'aristocrazia nobiliare, ancora basata sul feudo e le bannalità. L'uso della polizia e la determinazione delle possibilità e aspettative di ognuno in un codice normativo riuscì ad abbassare notevolmente la conflittualità interna.
“la storia dello Stato moderno è la storia di questa tensione: dal sistema policentrico e complesso delle signorie di origine feudale si giunge allo Stato territoriale accentrato e unitario attraverso la cosiddetta razionalizzazione della gestione del potere – e quindi della organizzazione politica-, dettata dall'evolversi delle condizioni storiche materiali9”.
La sovranità si fondò politicamente e formalmente in vista di uno scopo concreto e, dato il sistema competitivo internazionale, si misero in atto meccanismi e strutture idonee ad un'accelerazione dei rapporti interni tra individui, una loro più interdipendente articolazione reciproca, funzionale allo sviluppo materiale dello Stato.
In questo quadro le forze dominanti possono mutare a seconda delle situazioni storiche contingenti, l'articolazione del potere non è più gerarchicamente espressa dalla tradizione, ma dall'ordine mutabile dei rapporti umani. La conflittualità sociale diventerà molla permanente nel confronto tra individui e la loro trasposizione in gruppi, ma rimase inserita nei binari di un accettabile scontro di posizioni, in vista di un imprescindibile bene comune. Il rapporto Stato individuo è un mutuo riconoscimento e servizio: una volta costituitosi, i suoi interlocutori furono gli individui-sudditi. Questo crea il terreno di fondo su cui si svilupperà la presa di coscienza dei singoli dell'identità e comunanza di interessi privati; di conseguenza lo sviluppo di un atteggiamento sempre meno passivo e anzi, critico nei confronti della gestione dello Stato.

Lo stato, pochi decenni fa
Nel recente passato qualsiasi definizione di Stato avrebbe avuto un registro simile a questo: “Stato è un popolo, che si da un'organizzazione politica ed abita un territorio”. Oggi questa definizione non basta. Gli Stati, così come la modernità ce li ha trasmessi e si sono sviluppati nel corso dei secoli, fino al recente passato, sono realtà ormai equivocate: gli Stati sono in crisi, non rappresentano più ciò che dovrebbero essere a rigor di definizione.
La crisi dello Stato ha diverse accezioni, concomitanti e rilevanti nel determinare la perdita di potere. Questa ebbe dapprima carattere interno: il formarsi di organismi influenti, come i sindacati e i gruppi industriali, che hanno posto in dubbio l'esclusività normativa dello Stato. Un altro significato vuole porre l'attenzione sull'inadeguatezza dei servizi statali rispetto alle attese dei cittadini e della società in generale, nonché la privatizzazione di vasti e vari ambiti di intervento prima istituzionalizzati.
Se invece consideriamo le problematiche esterne al territorio statale e al funzionamento del suo apparato, poniamo naturalmente attenzione al progresso dei poteri pubblici internazionali, che sono istituiti dagli Stati, ma finiscono per essere più sovrani di questi.
La crisi dello Stato si svolge in negativo, secondo le medesime istanze che portarono alla loro nascita e affermazione. È interessante capire in concreto come e perché la crisi di autorità esercitata nell'interno territoriale e la perdita di sovranità in ambito internazionale abbiano luogo.

Questioni interne
Come abbiamo accennato la perdita di potere entro i confini territoriali riguarda principalmente i seguenti aspetti:
nascita di influenti portatori di interessi
inadeguatezza dei servizi statali e loro privatizzazione
spinte particolaristiche interne
Il primo aspetto viene da lontano, per quanto riguarda il nostro paese possiamo considerare i maggiori esponenti di questo tipo nelle associazioni di categoria dei lavoratori e degli industriali. Confindustria nacque nel 1910, la Confederazione Generale del Lavoro nel 1906.
E' utile, nel proseguire, capire quali obiettivi questi istituti si propongono e qual è loro grandezza quantitativa.
Seguono estratti dal sito di Confindustria e Agile:
[Confindustria]Raggruppa, su base volontaria, 126.590 imprese di tutte le dimensioni per un totale di 4.771.000 addetti. (...) A questo fine [contribuire alla crescita del sistema economico] Confindustria rappresenta le esigenze e le proposte del sistema economico italiano nei confronti delle principali istituzioni politiche ed amministrative, incluso il Parlamento, il Governo, le organizzazioni sindacali e le altre forze sociali.”.
La Cgil (...) [ha] oltre cinque milioni e mezzo di iscritti (...) La nostra storia è profondamente intrecciata alla storia del Paese, stipuliamo, attraverso le organizzazioni di categoria, i contratti di lavoro e svolgiamo un'azione di tutela, finalizzata a difendere, affermare, conquistare diritti individuali e collettivi, che vanno dai sistemi di welfare ai diritti sul posto di lavoro”.
Entrambi gli istituti si propongono come i maggiori rappresentanti di due distinte e fondamentali categorie di un'economia di mercato: i produttori e i lavoratori. Inoltre entrambi vantano grande numeri e questo fornisce loro forza contrattuale. Regolando specifici interessi, la loro azione ha evidenti ripercussioni sul sistema normativo generale: lo Stato ne è a volte soverchiato e, non potendo governare queste organizzazioni, finisce col delegare loro parte dei compiti che potrebbe esercitare. Inoltre è spesso chiamato ad essere arbitro nelle dispute di queste. Lo Stato quindi non più come supremo regolatore, ma arbitro e allo stesso promulgatore di normative ottemperanti le richieste e le aspettative di potenti organizzazioni nazionali.
L'inadeguatezza dei servizi offerti dallo Stato si inscrive nella sua cronica mancanza di liquidità e nell'organizzazione non eccelsa della sua burocrazia. Lo Stato viene sempre e a maggior ragione visto come una macchina ingolfata, farraginosa e ghiotta di denari privati: la percezione della società civile nei confronti di una tale mostruosità non può che essere negativa.
Vi è quindi un declino di molte istituzioni caratteristiche dello Stato, dalle imprese pubbliche, che tendono a scomparire, agli istituti di protezione sociale, di cui viene ridimensionata la portata universalistica.
A ciò si collega anche lo sviluppo di moti centrifughi interni, talvolta anche organizzati politicamente, le cui richieste variano dalle riforme istituzionali al frazionamento del territorio nazionale.

Problematiche esterne
Molti problemi travalicano, ormai, i limiti normativi dello Stato, perché vi è stata una dilatazione dei fenomeni, da quelli economici a quelli ambientali. Questa dilatazione si può chiamare globalizzazione. Essa può essere definita come il fenomeno per il quale lo spazio del mercato valica ogni confine demografico e territoriale del mondo. La globalizzazione consiste nello sviluppo di reti di produzione internazionali, nella dispersione di unità produttive in paesi diversi, nella frammentazione e flessibilità del processo di produzione, nella interpenetrazione dei mercati, nella istantaneità dei flussi finanziari e informativi, nella modificazione dei tipi di ricchezza e di lavoro, nella standardizzazione universale dei mezzi negoziali. «Sovrani» della globalizzazione sono le grandi imprese multinazionali e non gli Stati i quali, di conseguenza, cercano di essere i più funzionali possibili ai mercati.
Perdita di sovranità organizzativa ed economica convergono verso un risultato unitario, la costituzione di ordini ultranazionali, costruiti per essere interdipendenti piuttosto che gerarchicamente schematizzabili. Quindi, ad un mondo affollato di Stati e di governi nazionali, se ne aggiunge ora un altro, affollato di autorità indipendenti.
Di conseguenza viene ridefinita l’organizzazione stessa dello Stato, che rinuncia alle sue funzioni a favore di regioni minori (cosiddetto federalismo interno) e di regioni maggiori (cosiddetto federalismo esterno). Per cui si perde anche il legame politico unitario del cittadino con lo Stato.

La global governance
La nascita e l'intreccio di organismi superiori che cercano di regolare le problematiche globali prende il nome di global governance; essa si presenta come un aggregato di organizzazioni generali e settoriali di accordi. Qui non solo non ci sono una supremazia e un sovrano, ma non c’è neppure una struttura gerarchica definita.
Effetto sostanziale della crisi statale si legge nel rapporto economia-Stato, rapporto rovesciato dal dominio dell'economia sullo Stato. Globalizzazione e interconnessioni internazionali producono una deterritorializzazione delle attività economiche. Gli Stati, che operano su territori delimitati, finiscono per essere spiazzati e, se vi sono nazioni senza ricchezza esiste anche ricchezza senza nazioni.

Simmetrie e parallelismi: Europa XI sec. e Mondo XXI sec.
Il titolo potrebbe sembrare provocatorio, ma qui siamo giunti. Leggendo con oculatezza la situazione del Basso medioevo europeo e l'attuale conformazione mondiale, troppe analogie ricorrono.
Il mondo che viviamo ormai vede un'unica economia mondo muoversi simbioticamente e celermente, la perdita di potere degli Stati si accompagna alla necessità di nuove spinte direttive sovranazionali.
L'Europa prima così popolata di fieri Stati identitari, arroccati nelle proprie trincee, cercò dopo la Seconda guerra mondiale di obliare quel passato, foriero di tante disgrazie. L'economia quindi divenne il più profondo ambito d'intervento, la crescita economica, tramite della ricostruzione europea e necessaria all'appagamento di sempre nuovi bisogni, indugiò, fino ai giorni odierni, come obiettivo da perseguire.
Abbiamo visto, ma ce ne accorgiamo ogni giorno, di come il Mondo sia frammentato e diviso: la potenza mondiale non è più guida egemone. Così come l'Impero, eterno ed inesauribile, si scontrava con i piccoli feudatari interni, così il Mondo odierno è percorso da odi xenofobi, degeneranti settarismi e partigianerie, che appaiono equivoche rispetto al sovra-statalismo e sovra-nazionalismo generale.
Nel Basso medioevo il fattore conciliante la frammentazione della società era la visione confessionale panteistica, oggi l'unico fattore universalmente aggregante è laico ed aconfessionale: l'economia -viviamo in un'epoca di panteismo economico-. Per partecipare ed indirizzare questo generale meccanismo, gli Stati si aggregano in istituzioni internazionali o ultranazionali sempre più diffuse, e solo per citare alcuni nomi: Organizzazione delle Nazioni Unite, Unione Europea, North American free Trade Agreement, Mercosur, Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio, G8. La loro azione si muove in direzione del mercato, uniformazione di questo, per un suo più efficiente funzionamento, intervento a discapito dei fattori contrastanti o inerziali, conservazione e promozione dei favorevoli. Il risultato di questa strategia è l'allargamento del mercato economico, andato a costituire un'unica integrata economia-Mondo, di braudeliana memoria. In questo processo, vecchie potenze ritornano alla loro atavica ricchezza, insidiando ancora una volta il ricco Occidente: pensiamo alla Cina, all'India, il Brasile.
Allo stesso tempo è da considerare il sempre più forte individualismo delle società economicamente sviluppate, nelle quali l'unico fine degno di essere perseguito è la realizzazione individuale, mentre principi etici e morali sono spesso obliati anche dalla privata sfera personale. Frattanto la squilibrata distribuzione della ricchezza rammenta ataviche segmentazioni sociali in ceti e caste.

Cosa ci riserva il futuro?
La continua nascita di organizzazioni operanti su vasta scala potrebbe portare ad una atomizzazione istituzionale planetaria, vedendo scemare l'azione regolatrice stessa cui la loro nascita era preposta.
Non sembra che il mercato mondiale possa ulteriormente espandersi: dovunque questo arrivi, la sua venuta si accompagna alla formulazione di nuove realtà istituzionali, di regole morali e di convivenza. Questa metabolizzazione però è tutt'altro che facile e si è sempre scontrata con le culture tradizionali, le quali soccombono per la loro minore perizia tecnico-operativa.
Dobbiamo quindi cercare nella nostra storia la provenienza dei modelli che abbiamo frettolosamente imposto e interrogarci sulla loro conformità.
La mia indagine, mi ha portato a pensare che i nostri attuali quadri concettuali non sono gli unici possibili: sia perché la loro elaborazione è stata spesso frammentaria e difficoltosa, ma sopratutto perché bisogna tener conto della ricchezza e della peculiarità della cultura che ogni civiltà ha sviluppato. Ritengo che sia quindi necessario ridimensionare la portata del fenomeno che si consuma quotidianamente, l'occidentalizzazione del pianeta. Il capitalismo non è l'unica forma di associazione umana possibile, il rispetto per i patrimoni delle altre civiltà e per ciò che esse rappresentano, dovrebbe essere una imprescindibile condizione di dialogo. L'unica tensione degna ed opportuna per il futuro che ci aspetta.

Il Castello di Fenis in Valle d'Aosta. I castelli erano un po' l'emblema del potere feudale.

di Paolo Perrone
Per contatti: p-perrone@hotmail.it

Riferimenti Bibliografici
Niccolò Machiavelli, Il Principe, B.U.R. Rizzoli, Milano 1991
Federico Chabod Storia dell'idea d'Europa, Laterza, Bari, 2003
Federico Chabod, L'idea di Nazione, Laterza, bari, 2006
Paolo Viola, L' Europa moderna. Storia di un'identità, Einaudi, Torino 2004
Max Weber, L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, B.U.R. Rizzoli, Milano 1991
Robert Shennan, Le origini dello Stato moderno in Europa, Il Mulino, Bologna, 1991
Roberto Bizzocchi, Guida allo studio dell’età moderna, Laterza, Roma-Bari, 2002
AA.VV.I filosofi e le idee, ed. B. Mondadori, Milano, 2007
Carl Schmitt, Il nomos della terra nel diritto internazionale, adelphi, Milano, 1991
Documento inserito il: 07/01/2015
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