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Euromissili: la seconda guerra fredda

Ponomariov a Villa Abamelek: quella sera La Torre e Ruffini si guardarono in cagnesco.


di Agostino Spataro


Il tempo in cui Pio La Torre visse la sua seconda, e breve, esperienza di segretario regionale fu un tempo triste, all’insegna della sfida e dell’intolleranza che segnarono come l’inizio di una “seconda guerra fredda”.
Un ciclo durissimo in cui, a partire dall’Inghilterra della signora di “ferro”, la conservatrice Margaret Thatcher, furono messe in discussione le conquiste sociali e civili acquisite con le lotte dei movimenti operai e studenteschi d’Occidente e frustrate le prospettive di emancipazione dei Paesi del terzo e quarto mondo, solo da qualche decennio liberatisi dal giogo coloniale.
Una ventata conservatrice, riottosa e vindice, che parti dall’Inghilterra e debordò negli Usa, dove nel 1980 si affermò come presidente un mode- sto attore di cinema, il repubblicano Ronald Reagan. Si formò così, per volere dei “poteri forti” (che ci sono sempre stati) una coppia di ferro che operò in stretta sintonia, riuscendo a coinvolgere, in una certa misura, anche la nuova politica del Vaticano del papa polacco, Giovanni Paolo II. Una triade con idee ben chiare e saldi obiettivi mirati a colpire l’avversario nei suoi punti più deboli. A partire dalla Polonia agitata dagli scioperi di Solidarnosc.
Il tutto all’insegna dell’anticomunismo più ostinato che non mirava più al riequilibrio fra le superpotenze, alla supremazia occidentale (già con- seguita), ma chiaramente al crollo del nemico storico ossia del sistema dei Paesi socialisti dell’Europa centro-orientale, riuniti nel Comecon e nel Patto di Varsavia, e dei loro alleati in giro per il terzo mondo.
Un’offensiva inedita, una sfida pericolosa basata sulla corsa al riarmo per sfiancare le economie dei paesi del Comecon e per ridimensionare, mortificare perfino (memorabile l’attacco della Thatcher ai diritti dei minatori inglesi) quel vasto movimento di lotta per i diritti sociali che aveva segnato la società occidentale negli anni ’70.
Questo era, in estrema sintesi, il nuovo scenario internazionale in cui fu proiettato il mondo agli albori degli anni ’80 del secolo trascorso. A tale contesto si ascrive anche la decisione di ammodernare il sistema missilistico nucleare intermedio posizionato sul teatro europeo: i nuovi missili Pershing II in Germania federale e altrove, i Cruise a Comiso, in Sicilia, anche in risposta- bisogna rilevarlo criticamente - all’incauto insediamento degli SS20 sovietici nella Germania dell’Est e in altri paesi del patto di Varsavia.
Inizia, così, l’era Reagan (1981-1989) ossia la “seconda guerra fredda”, questa volta non più con obiettivi di contenimento, di conservazione dell’equilibrio geo-strategico, ma chiaramente di abbattimento del sistema avversario ossia la realtà del cosiddetto “socialismo reale”. “La politica di Reagan è caratterizzata dalla contrapposizione totale al comunismo, tanto da opporsi a qualunque regime comunista con ogni mezzo, come avviene ad esempio in America Centrale, e da sostenere in tutto il mondo le forze anticomuniste.
L’altro aspetto determinante è il crescente investimento nel riarmo, in quanto Reagan crede che la deterrenza nucleare non sia sufficiente a impressionare l’Urss. Rientrano in questo campo il posizionamento dei missili nucleari in Europa e la volontà di dotarsi di un sistema di difesa strategica detto “scudo spaziale”. Per contro l’Urss, economicamente molto provata, si trova in una fase di stagnazione e gran parte delle sue risorse sono assorbite dalle spese militari. Inoltre la nascita del sindacato Solidarnosc in Polonia e le vicende che seguono mettono in luce un crescente malumore negli stati satelliti...” (fonte non identificata)
Sul terreno geo-strategico, militare il primo banco di prova della svolta conservatrice fu proprio la questione dei missili nucleari intermedi. Com’è noto, tale scelta fu richiesta in sede Nato, in particolare dal “can- celliere tedesco Helmut Schimdt (1974-82) per il riequilibrio al ribasso in caso contrario al rialzo - del potenziale nucleare attivabile in Europa ( ) intese scongiurare una sovraesposizione della RFT, ponendo come condizione la disponibilità di altri paesi dell’Europa continentale ad accollarsene la responsabilità. La “clausola di non esclusività” dettata da Schmidt sembrò interpellare direttamente l’Italia, ma la risposta non fu immediata”. (ibdem). L’Italia diventa, dunque, il punto di maggiore interesse della iniziativa Nato e, al contempo, punto di maggiore difficoltà dovendosi scontrare con un movimento oppositivo crescente e di respiro europeo, ben strutturato e anche ben guidato, specie a partire dall’autunno del 1981 grazie all’arrivo in Sicilia di Pio La Torre il quale lascia il comodo e prestigioso incarico di membro della segreteria nazionale del Pci per assumere quello di segretario regionale della Sicilia, dove all’antico problema del predominio mafioso ora si aggiungeva la minaccia della nuclearizzazione.
A Roma una delegazione del Soviet Supremo dell’Urss guidata da Boris Ponomariov.
L’Urss, sostanzialmente isolata oltre che duramente incalzata dalla triade anticomunista del tempo, tentò di giocare la carta della propaganda e di qualche modesta provocazione. In Europa occidentale non c’erano margini per una sua azione d’indebolimento del fronte Nato. L’unico conforto era costituito dal sostegno propagandistico dei movimenti pacifisti che chiedevano una trattativa sui missili nucleari inter- medi. In una certa fase, i russi puntarono molto sull’Italia sia in relazione al movimento pacifista sia per tentare un aggancio, un dialogo con il governo italiano sulla questione missili.
Un tentativo specifico fu fatto con l’invio a Roma di una delegazione della commissione esteri del Soviet supremo dell’URSS guidata dal suo presidente Boris Ponomariov, membro supplente ma assai influente del Politburo del Pcus, avendo come tramite autorevole l’onorevole Giulio Andreotti a quel tempo presidente della Commissione esteri della Camera dei Deputati.
Ufficialmente Boris Ponomariov giunse a Roma, su invito di Giulio Andreotti, presidente della Commissione esteri di Montecitorio, per incontrare e dialogare con i membri dell’analoga commissione parlamentare italiana. Difatti parlammo, del più e del meno, soprattutto durante il pranzo alla Casina Valadier. In realtà venne per i missili e per incontrare i più alti livelli di responsabilità politica e governativa. I veri colloqui e contatti si svolsero la sera al ricevimento dato dall’ambasciatore sovietico a Villa Abamalek al quale partecipò il gotha della politica, dell’industria e della finanza italiane. E una qualificata delegazione del Vaticano. Gli esiti furono modesti, ma quel contatto fu apprezzato positiva- mente, fu considerato importante specie nella prospettiva dell’apertura di una trattativa Usa-Urss sui missili nucleari intermedi.
Secondo L. Nuti, Ponomariov venne per tentare di convincere il go- verno italiano a modificare i termini della sua adesione alla decisione Usa sui missili nucleari intermedi. “L’inclinazione del PSI ad appoggiare il governo su questo punto permise al Presidente del Consiglio Cossiga di esprimersi chiaramente a favore dell’installazione quando David Aaron compì una nuova visita a Roma il 23 ottobre, pur aggiungendo che l’Italia riteneva indispensabile che contemporaneamente si aprisse un negoziato con l’Urss e che la Nato prendesse la decisione all’unanimità L’Italia sembrava avere anche abbandonato le sue precedenti insistenze per condividere il controllo operativo dei missili. Un tentativo sovietico di operare pressioni sul governo italiano attraverso l’invio a Roma del presidente della Commissione esteri del Soviet Supremo, Ponomariov, non riuscì a modificare la posizione italiana.”
Quella sera a Villa Abamalek… La Torre e Ruffini si guardarono in cagnesco.
Intorno a quella importante visita si era creato un clima inquieto e gravido di sospetti che poteva dar luogo ad episodi di nervosismo come quello accaduto fra La Torre e l’allora ministro della Difesa, il democristiano Attilio Ruffini, la sera del 20 novembre 1979 nell’incantevole giardino di Villa Abamalek, residenza dell’ambasciatore dell’Unione Sovietica in Italia, in occasione del ricevimento offerto in onore di Ponomariov.
Quella sera a Villa Abamelek c’erano tutti: ministri e generali, capitani d’industria e segretari di partiti e di sindacato, intellettuali e alti prelati, venuti ad omaggiare il potente inviato di Mosca giunto a Roma, su invito di Andreotti, ufficialmente per incontrare la commissione esteri della Camera, in realtà per sondare gli ambienti politici e di governo italiani sulla spinosa questione dei missili nucleari intermedi.
Ruffini si avvicinò al nostro gruppo (c’eravamo io, Pio, Enrico Berlinguer, Paolo Bufalini, Giancarlo Pajetta, Antonio Rubbi) per salutare e poi, volgendosi verso La Torre, bisbigliò qualcosa che non riuscii a capire. Vidi solo che Pio s’irrigidì e per qualche attimo si guardarono, muti, con occhi torvi.
Pio era turbato e io cercai di sdrammatizzare, ma lui di rimando: “Tu sei troppo giovane, non puoi capire. Non hai visto come mi ha fissato?” Per me, poco più che trentenne pur essendo alla seconda legislatura, non era facile decifrare il significato recondito di quegli sguardi di due forti personalità fra loro avverse, entrambe palermitane, con alle spalle una lunghissima storia di scontri furiosi e drammatici, tuttavia mi parve che la preoccupazione di Pio, almeno in quel caso, fosse esagerata…


Estratto dal libro di Agostino Spataro "DELITTO LA TORRE: FU SOLO MAFIA?"

Documento inserito il: 28/07/2024
  • TAG: Euromissili, Villa Abamalek, Boris Ponomariov, Ronald Regan, Pio La Torre, PCUS, NATO,

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