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Il Davide sovietico

di Ruggero Stanglini

Il 21 ottobre 1967 si imponeva bruscamente all'attenzione, destando viva impressione per la sua efficacia, un sistema d'armi navale il cui sviluppo era iniziato, nell'Unione Sovietica, già alla fine del decennio precedente. Quel giorno, al largo di Porto Said, il cacciatorpediniere israeliano EILATH, fu colato a picco da alcuni missili lanciati da vedette egiziane - ma di provenienza sovietica - del tipo KOMAR. L'affondamento - per la prima volta nella storia un'unità di superficie veniva distrutta da un missile lanciato a questo scopo da un'altra nave - costituì per molte marine occidentali, completamente impreparate a fronteggiare la nuova minaccia, un brusco richiamo alla realtà. Come ci si era venuti a trovare in questa imbarazzante e pericolosa condizione di inferiorità? Quale era la reale efficacia del missile imbarcato, e del suo vettore di superficie? Come correre ai ripari, nell'immediato futuro? Questi tre interrogativi - e specialmente dal punto di vista pratico, l'ultimo - esigevano una pronta risposta.
Dal momento che numerosi articoli, già pubblicati, offrono una panoramica sufficientemente completa dei mezzi che diverse marine hanno messo a punto, o stanno ancora elaborando, per controbattere al pericolo costituito dalle vedette lanciamissili, in servizio in misura sempre più vasta sotto ogni bandiera, non resta che limitare la nostra attenzione ai primi due punti.
L'idea del missile imbarcato come arma principale di offesa nacque in URSS durante gli anni cinquanta, per concretarsi nel decennio successivo. La conclusione vittoriosa del secondo conflitto mondiale aveva appena consacrato questo paese nel suo ruolo di grande potenza. Un ruolo che esige e consente insieme una presenza mondiale. E se c'era un settore in cui le forze disponibili si mostravano completamente insufficienti a garantirla, questo era la marina.
Lo scoppio del conflitto aveva annullato un vasto programma di potenziamento, basato su alcune moderne navi da battaglia e portaerei. Nel corso della lotta, l'industria volse la sua produzione a consolidare il fronte maggiormente minacciato, quello terrestre.
Quello marittimo - dove il peso dell'organizzazione e della scorta ai convogli di rifornimenti fu sempre sostenuto per la quasi totalità dagli Alleati - ebbe necessariamente riservata un'aliquota del tutto secondaria; anche dal momento che i maggiori cantieri navali, nel Baltico e sul Mar Nero, erano inutilizzabili. L'unico acquisto della marina militare, nel campo delle grandi unità, fu il prestito, rientrato poi nel febbraio 1949, della corazzata britannica ROYAL SOVEREIGN, che servì sotto bandiera sovietica col nome di ARKANGEL'SK.
Una simile situazione di carenza si trasformò in grave inferiorità quando, negli anni della guerra fredda, gli Alleati di ieri divennero i probabili nemici dell'indomani. La costruzione di una grande flotta, condizione necessaria di presenza, e quindi di potenza oceanica, diveniva indifferibile. Flotta che accrebbe innanzitutto a dismisura la sua componente subacquea, nell'intento di rendere almeno insicure per gli avversai e che l'Unione Sovietica stessa non poteva dominare. Il contemporaneo declino della Royal Navy, schiudeva all'URSS anche la possibilità di divenire la seconda potenza navale del mondo.
Ma a questo punto un dislivello, che nessuna crescita e nessun dinamismo avrebbero potuto colmare in pochi anni, separava ancora la seconda potenza dalla prima. Prive di copertura aerea, le unità di superficie sovietiche sarebbero divenute, lontane dalle proprie basi, un costoso ed inutile bersaglio per l'aviazione imbarcata nemica, senza poter a loro volta colpire.
Scartata la possibilità di iniziare una costruzione di portaerei su vasta scala, sia per ragioni evidenti di inesperienza nel settore, che per una sorta di diffidenza manifesta sulle possibilità di sopravvivenza di queste grandi navi nell'era delle armi nucleari, non restava all'URSS che un'alternativa: battere una via completamente nuova. Questa vi fu trovata nell'unità missilistica di superficie.
Armata con missili in grado di distruggere l'avversario a centinaia di chilometri di distanza, questa nave, completamente diversa, per dimensioni, per aspetto e per armamento, da una portaerei tradizionale, veniva a costituirne, nell'ambito della Marina Sovietica, il sostituto ideale, col vantaggio di un minor onere costruttivo. In pochi anni diveniva quindi possibile varare un buon numero di unità che, pur rinunciando al grande tonnellaggio ed ai mezzi operativi della CVA americana, rimanevano in grado di svolgerne il compito offensivo essenziale: intercettare e colpire il nemico a grande distanza.
Sul piano pratico, questa soluzione cominciò ad acquistare significato alla fine degli anni cinquanta, con la realizzazione dei missili SS-N-1 STRELA ed SS-N-3 SHADDOCK, e delle navi destinate ad imbarcarli, i caccia delle classi KILDIN e KRUPNY, e gli incrociatori KYNDA e KRESTA.
Parallelamente all'idea di queste grandi unità, concepite per operare in una dimensione strategica, veniva sviluppato un tipo di unità minore, anch'essa armata con missili, destinata però all'impiego in un'area più limitata.
Piccola e molto veloce, quindi idonea al disimpegno, dotata di una normale componente antiaerea ed antinave che la mettesse in grado di affrontare senza eccessiva preoccupazione unità delle stesse dimensioni, ma fornita nello stesso tempo di telearmi adatte a distruggere avversari di mole ben maggiore della propria, questa nave rappresentava il mezzo ideale per operazioni in specchi d'acqua di ridotta estensione, ed in zone costiere: teatri questi, dal Baltico all'estremo oriente, tipici dell'enorme sviluppo costiero sovietico. Senza contare che, accanto a simili qualità difensive, se ne profilavano di offensive non meno importanti: basti pensare alla possibilità di condurre la lotta al traffico nemico in prossimità delle sue coste, e di attaccare le basi navali avversarie, in rapide puntate notturne, nelle quali la distruzione di ben più importanti obbiettivi, ripagherebbe ampiamente ogni perdita eventualmente subita. Questo ambizioso disegno fu anch'esso concretato negli anni dal 1959 al 1966, con la costruzione del missile SS-N-2 STYX e di diverse centinaia di piccole unità, destinate ad esserne armate: le motovedette delle classi KOMAR e OSA, nelle loro diverse versioni.
Vista brevemente la genesi delle unità missilistiche di piccolo dislocamento, è tempo di passare ad un esame descrittivo più ravvicinato. La loro esistenza fu svelata per la prima volta agli osservatori occidentali nel corso della tradizionale parata navale sulla Neva, che si tiene ogni anno a Leningrado in occasione della giornata della marina, nel luglio 1961. Il tipo più piccolo, che costituisce la classe KOMAR, è contrassegnato dalla presenza di due contenitori-lanciatori, per altrettanti SS-N-2 STYX, affiancati sulla parte posteriore dello scafo. Esso deriva da un'ampia ricostruzione cui sono state sottoposte numerose motosiluranti tradizionali della classe P-6, costruite fin dal 1953 in centinaia di esemplari. Fu infatti logico ricorrere ad uno scafo e ad un apparato motore già ampiamente collaudati, ed immediatamente disponibili per la conversione, quando, nel 1960, il missile nave-nave STYX divenne operativo. I lavori di modifica, estesi nel corso di tre anni a circa una novantina di P-6, comportarono innanzitutto la rimozione dei due tubi lanciasiluri laterali, e del complessa binato poppiero da 25 mm, per far posto a due cassoni , di sezione pressoché ellittica, destinati ad ospitare altrettanti missili. Della lunghezza apparente di sette-otto metri, e con una dimensione trasversale di circa due metri e mezzo, essi sono adagiati su una struttura metallica reticolare, che li tiene staccati dallo scafo, e sollevati verso prora di circa 12 gradi. Una guida di lancio, formata da due rotaie parallele unite da un profilato a forma di U, scorre nella parte inferiore del contenitore, per tutta la sua lunghezza, e sporge sia anteriormente (per un breve tratto), che posteriormente, dove si prolunga fino all'estremità dello scafo, sorretta da appositi supporti. Frontalmente, il contenitore-rampa di lancio si presenta come aperto e, in numerose fotografie, è possibile scorgere l'estremità anteriore del missile che ne sporge; sul retro è invece dotato di una chiusura provvisoria, dato che compare solo in alcune foto. Essa viene in ogni caso rimossa al momento del lancio, per consentire un più agevole deflusso dei gas che in tale circostanza si sviluppano, e che altrimenti ingombrerebbero il ponte, ostacolando la visibilità. La sagoma ad U che unisce le due rotaie di guida, costituisce la sede in cui scorre il booster applicato ventralmente allo STYX, per fornirgli un supplemento di spinta negli istanti iniziali.
Altre modifiche rispetto alla P-6 sono evidenti nelle sovrastrutture: differiscono sia la parte superiore della plancia, che l'alberatura. Questa in particolare è ridotta dai due alberini della versione P-6 (di cui il posteriore, a traliccio, reggeva il radar di scoperta navale) ad un unico e più imponente albero a traliccio, a quattro gambe, che si appoggia dorsalmente e superiormente alla plancia. Esso è destinato a reggere, come intuibile, un'elettronica molto più complessa. Sulla sommità è collocato il radar di scoperta del bersaglio, mentre due mensole laterali sopportano delle antenne UHF, che servono per mantenere i contatti col missile dopo il lancio, in modo da poterne correggere la traiettoria. Infine, sia la plancia che il complesso prodiero da 25 mm appaiono spostati all'indietro rispetto alla configurazione originaria, di circa due metri, e sono state applicate allo scafo due mensole laterali, per una lunghezza di una decina di metri, in corrispondenza dei contenitori-lanciatori affiancati. L'unità, della lunghezza di 27 metri, ha una larghezza fuori tutto leggermente maggiore della versione P-6, a causa delle mensole di cui si è appena detto, ed ha un dislocamento operativo di un centinaio di tonnellate. L'appesantimento, rispetto alla classe da cui deriva, di circa 25 tonnellate, determina un leggero aumento del pescaggio, e conseguentemente, a parità di apparato motore (diesel, su quattro unità)uno scadimento della velocità, dagli oltre 45 nodi originari, a circa 40 nodi. L'equipaggio è di circa venti uomini.
Delle quasi cento unità tipo Komar che sono state complessivamente allestite, solo una parte presta ancora servizio nella Marina Sovietica. ragioni politiche da un lato, e lo sviluppo di unità dalle prestazioni più elevate dall'altro, hanno determinato la cessione di oltre sessanta unità a paesi alleati o simpatizzanti di Mosca come l'Egitto, Cuba e la Siria. Anche la Repubblica Popolare Cinese sembra aver ricevuto, prima del raffreddamento delle relazioni fra le due massime potenze comuniste, tre lanciamissili di questo tipo.
Se questo risponde a verità, non è assurdo supporre che le industrie nazionali abbiano effettuato, come è successo in campo aeronautico per i MIG-19 ed i MIG-21, un riuscito lavoro di copiatura, sicché il numero di unità della classe KOMAR effettivamente in servizio potrebbe essere anche maggiore. Per quanto può riguardare più direttamente la Marina Militare, i paesi mediterranei che allineano finora vedette di questo tipo sono tre, Algeria, Siria ed Egitto.
Il tipo più grande con dotazione missilistica raddoppiata, è costituito dalla classe OSA, la cui costruzione fu iniziata nel 1960. Il suo sviluppo deve essere stato quindi condotto parallelamente, nel tempo, a quello delle KOMAR. Non siamo di fronte ad un ampliamento della classe KOMAR, realizzate sull'esperienza di questa, ma ad un progetto indipendente e parallelo, che ha avuto anzi una vita più fortunata e ricca di sviluppi del precedente, come testimonia anzitutto il numero di unità costruite, oltre 150, di cui la maggior parte ancora in servizio nella marina sovietica.
Mentre lo scafo e l'apparato motore sono sempre di tipo tradizionale, quest'ultimo essendo costituito da tre motori diesel per complessivi 9.000 HP, l'armamento è portato da due a quattro SS-N-2 in altrettanti contenitori (due per lato), integrati, per la difesa antiaerea e per il contrasto di unità veloci avversarie, da due complessi binati da 30 mm, uno prodiero e uno poppiero. Il dislocamento si aggira sulle 150 tonnellate, che divengono circa duecento in condizioni operative, valore adeguato ad uno scafo di 40 metri di lunghezza.
A questo punto, dal momento che, come si è accennato, esistono varie versioni che permettono di raggruppare tutte le unità di questa famiglia in tre classi, che vanno rispettivamente sotto la denominazione di OSA 1, OSA 2, OSA 3, non è più possibile proseguire in una descrizione generale, per cui fisseremo la nostra attenzione sulla versione originaria, OSA 1, occupandoci poi delle modifiche per cui si differenziano i tipi successivi.
Mentre, come si è visto, i contenitori nella classe KOMAR appaiono aperti anteriormente, e completamente staccati dallo scafo, qui essi sono chiusi su ogni lato, ed aderiscono al ponte per la maggior parte della loro lunghezza.
Inoltre, pur conservando una lunghezza di circa otto metri, essi contengono per intero la guida di lancio, che rimane sempre formata da due guide parallele, unite da un vano a forma di U. Anteriormente, i cassoni sono dotati di un'apertura che si solleva ruotando su due cerniere fissate superiormente, lasciando via libera per il lancio. Posteriormente, tutti e quattro i cassoni sono provvisti di condotti deflettori, che hanno lo scopo di scaricare fuori bordo i gas che accompagnano inevitabilmente ogni lancio.
La coppia posteriore di lanciatori presenta una angolazione più accentuata rispetto all'orizzontale, dal momento che il missile che ne fuoriesce deve poter passare senza danni sopra la coppia anteriore. Inoltre, tutti e quattro sono deviati lateralmente, rispetto all'asse della nave, di alcuni gradi. Un particolare, che insieme all'aspetto esteriore dei lanciatori, permette di individuare subito il tipo OSA 1, è costituito dal fatto che il complesso binato poppiero da 30 mm sporge per intero oltre la coppia dei contenitori che lo precedono, ed è quindi dotato di un settore di tiro laterale sufficientemente ampio. In posizione centrale, immediatamente prima delle mitragliere, è collocato, su un'apposita mensola circolare, il radar per la direzione del tiro, cui queste possono essere asservite. L'imbarco di un simile radar fu certamente previsto fin dal progetto, in quanto tutte le motovedette appaiono dotate dell'apposita mensola; all'atta pratico , sembra però siano sorte delle difficoltà, quali un ritardo nello sviluppo e nella messa appunto del radar stesso, poiché é possibile vedere molte fotografie di OSA 1 che ne sono sprovviste, e che solo successivamente ne vennero dotate. La dotazione elettronica è integrata da un radar per la ricerca del bersaglio (dello stesso tipo impiegato per le KOMAR) e da antenne per le comunicazioni, che trovano posto sull'albero.
Rispetto alla versione standard, la versione OSA 2 si differenzia per alcuni dati esteriori facilmente rilevabili. Anzitutto i lanciatori, che sono stati allungati di circa un metro e mezzo: quello posteriore copre quasi completamente il complesso poppiero da 30 mm, che ha dovuto essere sollevato di quasi un metro rispetto alla posizione precedente, per non vedersi chiuso il settore di tiro laterale. Con questa nuova collocazione, sembra anzi che esso copra un settore maggiore di 180 gradi, con delle possibilità di tiro verso prora. Inoltre sono assenti i deflettori dei gas dei lanciatori posteriori; probabilmente la loro presenza è stata ritenuta inutile, dato che l'estremità posteriore del contenitore è abbastanza vicina al bordo del ponte. Lo scarico avviene attraverso un'apertura ricavata sulla faccia posteriore del contenitore stesso. Infine, è scomparsa l'antenna UHF collocata posteriormente al radar principale, ed è stata sostituita con altre che trovano posto su due nuove strutture laterali. E' scomparsa anche la rigatura orizzontale dei cassoni lanciamissili, distintiva del tipo OSA 1; talora è presente invece una riga bianca obliqua sulla parte anteriore.
Il tipo OSA 3 si distingue per la forma dei lanciatori, radicalmente diversi dai precedenti, tanto da far pensare ad una nuova versione del missile STYX. Vi sono ora quattro contenitori cilindrici, di lunghezza inferiore agli otto metri, ma soprattutto di dimensioni trasversali fortemente ridotte, tanto che il modello primitivo dello STYX, i cui corti alettoni hanno pur sempre un'apertura di almeno due metri e mezzo, non potrebbero esservi contenuti. Sulla parte superiore presentano un rigonfiamento per tutta la loro lunghezza, che potrebbe servire per la guida e lo scorrimento del timone verticale del missile.
In conseguenza della ridotta lunghezza, le mitragliatrici poppiere sono state collocate nella posizione originaria delle OSA 1, non soffrendo più gravi limitazioni il campo di tiro. Nessuno dei lanciatori presenta più deflettori nella parte posteriore, e tutti sembrano scaricare direttamente attraverso un'apertura ricavata alla base. Il lancio avviene dopo il sollevamento della parte anteriore del contenitore verso l'alto, come nei tipi precedenti.
Una novità è costituita dal supporto del radar per la direzione del tiro delle armi leggere, che non è più montato su una semplice mensola, ma su una cabina destinata ad accogliere nuove apparecchiature elettroniche. Anche la sistemazione delle antenne sull'albero ha subito qualche leggera modifica rispetto alle precedenti versioni.
Prima di passare all'esame del missile SS-N-2 STYX, con il quale si concluderà lo studio, resta ancora da fornire qualche notizia di carattere generale sulla classe OSA. In tutto sono state costruite 150-160 unità, di cui una cinquantina (delle versioni OSA 1 e OSA 2) sono state cedute a marine di altri paesi: Polonia, Germania Orientale, Jugoslavia, Egitto ed altri. Anche la Cina Popolare sembra aver ricevuto cinque unità di questo tipo. La politica di cessione, come si vede, ha riguardato finora soltanto modelli delle prime versioni, le cui prestazioni (e lo stesso vale per il tipo di STYX imbarcato) appaiono superate dalle realizzazioni successive. Sembra pertanto corretto affermare che la fiducia dei Sovietici in questo sistema d'arma, che potrebbe sembrare scossa alla luce delle numerose cessioni effettuate, rimane inalterata. Ed è normale cedere ai propri alleati delle unità ancora efficienti, ma non più up to date sotto l'aspetto tecnologico ed elettronico, quando si posseggono degli ottimi sostituti di una nuova generazione, che in questo caso è la OSA 3.
Resta da parlare dell'SS-N-2, l'arma offensiva di cui sono dotate tutte le unità finora esaminate. Ben poco è dato d'apprendere da parte sovietica, al di fuori di alcune fotografie, da cui è possibile ricavare poco più che l'aspetto generale esterno. Il missile consta di un corpo cilindrico, dotato di due corte ali al centro e di tre timoni nella parte terminale, che forniscono la portanza e permettono di controllare l'assetto di volo. Nel "naso" dovrebbe trovare posto un sistema per la ricerca del bersaglio, di cui parleremo tra poco. Nella parte posteriore è invece situato il motore di crociera, che mantiene in volo l'ordigno a circa 0,9 mach, e ventralmente è collocato un razzo, allo scopo di fornire l'accelerazione iniziale sufficiente a portare il missile in quota e lontano dall'imbarcazione; questo booster è destinato a staccarsi una volta esaurito il suo compito. Il diametro del corpo cilindrico è stimato essere circa 60 cm, la lunghezza del missile dovrebbe superare di poco i sei metri, e l'apertura alare i due metri e mezzo. Il peso dello STYX è di circa 850 Kg, ed il carico utile è costituito ordinariamente da alto esplosivo convenzionale; forse non è impossibile sistemare un'arma atomica tattica. La portata utile è un dato molto controverso: vengono ipotizzati diversi valori, dalle 11 alle 25 miglia. L'unico dato certo di cui si dispone, è che il cacciatorpediniere israeliano EILATH fu colpito mentre era in navigazione a circa 14 miglia da Port Said, da un missile lanciato , secondo fonti israeliane, dall'interno del porto stesso. Altrettanto incerto è il reale sistema di guida di cui dispone il missile: anche qui sono lecite solo delle ipotesi. Partendo dalla constatazione che il radar principale per l'acquisizione e l'inseguimento del bersaglio si trova sulle motovedette assieme a delle antenne UHF adatte ad uno scambio di informazioni fra il missile in volo e l'unità che l'ha lanciato, si possono individuare, dal momento del lancio, a quello dell'impatto sull'unità nemica, tre fasi successive. Nel corso della prima, lo STYX, lasciata la rampa, si porta alla quota massima di volo con un tragitto programmato in precedenza,. Stabilizzatosi in quota e velocità, mentre il bersaglio è ancora al di fuori della portata degli organi sensori di cui il missile è dotato, esso viene mantenuto su una rotta di intercettazione grazie a telecomandi che provengono dall'unità che lo ha lanciato e che agiscono sui suoi timoni orizzontali e verticali. In particolare, per la classe OSA 3, dotata di un'elettronica più complessa, delle versioni precedenti, un elaboratore potrebbe confrontare la posizione del bersaglio, rilevata dal radar dell'unità, con la posizione del missile in volo, ed elaborare con continuità le correzioni di rotta eventualmente necessarie.
Nell'ultima fase, infine, quando il bersaglio sia ormai entrato nel raggio di azione dei dispositivi di ricerca di cui il missile è dotato, il controllo della traiettoria potrebbe passare esclusivamente a questi. Riguardo alla loro natura, potrebbe trattarsi sia di dispositivi passivi (atti ad individuare fonti di emissione di radiazioni infrarosse od elettromagnetiche, e a dirigere il missile su di queste) - è questa l'ipotesi di maggior consistenza - sia attivi o semiattivi (un vero e proprio radar di ricerca montato nel "naso" dello STYX.
Anche qui, basandosi sull'esperienza dell'unico caso di impiego sul quale sono disponibili informazioni attendibili, si può ricordare che l'EILATH fu colpito, mentre evoluiva per sottrarsi all'offesa, per ben due volte alla sala macchine: immobilizzato, ed illuminato da un forte incendio, (ottima fonte di raggi IR), fu centrato, circa un'ora e mezza dopo, da un terzo missile, che ne determinò l'affondamento quasi istantaneo.

Commento
Per concludere, qualche considerazione sulla situazione che la Marina Militare potrebbe trovarsi di fronte in Adriatico, avendo le OSA jugoslave come antagoniste. Prima di esprimere qualsiasi giudizio, ottimistico o pessimistico che sia, è necessario vagliare i fattori che possono giocare in favore o contro l'impiego di queste unità. Per i primi, rimandiamo alla parte finale dell'introduzione, dove si parla delle possibilità operative delle motovedette lanciamissili, aggiungendo solo che, in questo caso particolare, esiste la possibilità di operare da basi in caverna, il che, praticamente, le pone al sicuro da qualsiasi azione aerea o navale, sia preventiva, che di ritorsione.
Fra le limitazioni, invece, a prescindere dall'effettiva capacità operativa in condizioni atmosferiche sfavorevoli, troviamo anzitutto il numero di unità in servizio, abbastanza limitato (sei o sette, se non addirittura una sola, come indica qualche Almanacco), e poi il fatto che, lanciati i quattro missili, la vedetta rimane pressoché disarmata, divenendo, almeno in teoria, inevitabile preda di qualsiasi 76 mm che le si pari davanti. A questo proposito, non è infondato avanzare l'ipotesi che per queste unità sia previsto un impiego di gruppo, in modo che, anche nel caso di numerosi lanci, il gruppo stesso non si trovi mai, nel suo insieme, privo di mezzi offensivi, e costretto a fidare, per il disimpegno, solo sull'alta velocità.
L'esame di questi punti porta a concludere che il possesso delle OSA non pone certamente tout court l'Adriatico in mani jugoslave: l'azione, che la presenza di queste unità - e di numerose altre motosiluranti convenzionali - sembra piuttosto in grado di esplicare, è quella di costringere le Forze Armate italiane, in caso di conflitto, ad un intenso dispendio di mezzi, al fine di garantire, tramite un'estesa ed efficiente copertura aerea e navale, la sicurezza di ogni traffico in quelle acque. Non è quindi il caso di fare dell'allarmismo, come non è realistico, d'altro canto, ignorare la serietà del problema. Vista l'entità degli stanziamenti per la difesa, è probabilmente del tutto inutile sollecitare contromisure e rimedi radicali; ma se si tratta solo di spendere meglio i soldi che sono comunque a disposizione per questo scopo, è certo che la politica di abbandonare la costruzione di grosse navi, per sviluppare piuttosto un buon numero di unità minori (anche subacquee) ed un'aviazione di marina - anche se basata a terra - appare la migliore.

Nell'immagine, il cacciatorpediniere israeliano EILATH, la prima unità di superficie di una certa dimensione, affondata da un missile Mare-Mare, il 21 ottobre 1967.


Articolo pubblicato in due parti sui numeri 77 e 78 dei mesi di aprile e di maggio del 1971 della rivista Interconair Aviazione e Marina.
Documento inserito il: 17/09/2017
  • TAG: vedette lanciamissili, classe komar, cacciatorpediniere eilath, guerra sei giorni, navi militari, missili navali

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