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Credente o non credente? [ di Gianluca Padovan ]

Comunismo!
Quando parlo di «comunismo» in quanto dato di fatto della dottrina e della filosofia contrarie alla vita serena, pacifica, libera, colta e rispettosa del prossimo, portando come esempio quello che succede, oggi, adesso, in Cina, molti s’inalberano, molti s’indignano, molti protestano. Quando parlo di comunismo come negazione di una vita attenta ai dettami religiosi e, comunque, religiosa, provoco purtroppo la levata di scudi in coloro i quali si considerano religiosi, credenti e pure comunisti. Invece di deporre le armi della politica-partitica gridano e sbraitano, lasciando in sospeso la lecita domanda: costoro sono educati e rispettosi della libertà e della vita altrui? Costoro sono credenti dal profondo del cuore o solo di facciata? Sono credenti solo per comodo personale, per interesse economico, oppure dicono di essere credenti solamente per interessi partitici e politici?
Tanto per intenderci sulle parole, per «credente» s’intende chi crede in una fede religiosa e colui il quale professa una fede religiosa. Stando al Vocabolario della Lingua Italiana il «non credente» è invece “chiunque rifiuti consapevolmente Dio e ogni religione considerati come l’ostacolo principale dell’affermazione dell’uomo come il risultato di una superstizione; il termine comprende quindi, specialmente al plurale, non soltanto chi non professa la vera fede, ma in genere gli atei, gli agnostici, gli indifferenti verso qualsiasi fede e credenza religiosa” (Istituto della Enciclopedia Italiana, Vocabolario della Lingua Italiana, vol. I, Roma 1986, p. 993). Talvolta alcuni mi fanno presente, più o meno educatamente, che il comunismo italiano non è il comunismo cinese. Io dico questo: l’aria che respiriamo a Milano non è la medesima che si respira a Palermo, non è la stessa che si respira ad Atene oppure a Pechino. Ma sempre di aria si tratta!

Cinesi comunisti e Italiani edulcorati.
Perché mai il governo comunista cinese, forte di più di un miliardo d’individui, deve accanirsi contro il popolo tibetano che conta pochi milioni di persone, per giunta privato della sovranità sul proprio territorio dall’invasione cinese avvenuta sessant’anni fa? Come mai il governo comunista cinese ha così paura dei resti di un popolo in parte scappato in India, in parte sterminato, in parte deportato nei campi di concentramento cinesi e i rimanenti sottoposti a deculturazione e indottrinamento, dopo avere subito la distruzione dei propri luoghi di culto e del proprio ordinamento politico e sociale?
La risposta a tali quesiti va forse ricercata nel fatto che i pochi Tibetani rimasti possiedono una fede incrollabile perché si considerano «dalla parte del giusto»? Oppure solo perché hanno fede e basta? Costoro credono nella pace e nell’armonia, desiderano professare la propria religione, non fanno proselitismo. No, dico, non fanno proselitismo! E questo già dovrebbe indurci ad una profonda riflessione. Questa manciata di Tibetani chiede solo il rispetto che ad ogni essere umano è dovuto, chiede solo di vivere in pace nel proprio territorio, liberi di crescere nella Natura, liberi di poter professare la propria religione. Liberi di poter tramandare la fede e le proprie tradizioni ai figli.
Personalmente non sono tibetano e il mio cognome denota un’origine veneta, anzi, sono veneto e per l’esattezza veronese. Non sono buddhista e coltivo un mio pensiero religioso e sociale. Come tanti veneti sono insofferente alle pressioni più o meno velate di qualsivoglia ordinamento politico-partitico e religioso. Fatta questa doverosa precisazione, posso aggiungere che sono d’indole curiosa e se potessi parlerei con tutti, ovvero con chiunque, per capire come vedono e concepiscono la vita su questa Madre Terra. Ma non ho mai avuto la possibilità di ascoltare dalla bocca di un cinese che cosa questi pensi dei Tibetani. Ho invece udito, e da più bocche, l’opinione di molti comunisti italiani sui Tibetani. Costoro pensano che i Tibetani siano stati un popolo oppresso per secoli dalla dittatura religiosa che va sotto il nome di Buddhismo Tibetano. Pensano e considerano che il Dalai Lama sia un oppressore del popolo tibetano, in quanto sia lui, sia i suoi predecessori, hanno tenuto il popolo tibetano in un perenne medioevo, inteso nella peggiore accezione del termine. I comunisti italiani da me ascoltati sull’argomento hanno candidamente dichiarato che il comunismo cinese ha liberato i Tibetani dall’oppressione causata dal loro ordinamento politico e soprattutto religioso. Affermano che il comunismo cinese ha portato giovamento al popolo tibetano e che l’imperialismo americano fomenta la rivolta di una piccola minoranza tibetana solo perché ha in urta la Cina comunista. E con tali categoriche e acritiche affermazioni si chiude l’argomento da parte dei nostrani comunisti. Comunisti che, occorre sempre ricordarlo, fino a ieri hanno fatto gli interessi (e incassato soldi) dell’Unione Sovietica, adesso cercano di avere un consenso dalla Cina comunista e intanto fanno gli interessi di altri stati, come quello d’Israele. Ma mai fanno gli interessi del loro paese, ovvero dell’Italia.

Il guinnes dei primati in fatto di morti ammazzati.
A mio modo di vedere il governo comunista cinese si accanisce sui pochi Tibetani rimasti perché costoro pensano con la propria testa e sentono con il proprio cuore ancora prima che sentire (o udire) con le proprie orecchie. Nella difesa della propria genuina individualità, nella difesa del proprio diritto di poter essere persone veramente libere nel corpo e nello spirito, sono un faro nel buio tenebroso calato sull’Asia. Sono una luce potente e smagliante nella notte di petrolio e catrame calata sul mondo intero. Sono l’esempio di che cosa tra poco ci capiterà, ovvero che cosa capiterà a noi italiani ed europei. Sono il campanello della sveglia puntata sulla soggezione dell’Europa a una dottrina non nostra, alla spersonalizzazione dell’individuo, alla creazione del nuovo schiavo.
Prima o poi tutti noi siamo chiamati a scegliere tra ciò che è giusto e ciò che è facile. Prima o poi tutti noi siamo chiamati dalla signora Morte e dovremo lasciare questa Madre Terra e tutto ciò che dal punto di vista materiale conosciamo. Il comunismo desidera essenzialmente esseri umani materialisti, consenzienti pari a marionette che eseguono acriticamente, senza porsi domande, senza porre domande, senza pensare autonomamente, senza provare emozioni di sorta. Si desidera il perfetto ottenebrato che respinge acriticamente qualsiasi cosa contraria alla voce del partito, contraria all’ideologia di regime, fino al punto da ignorare la stessa morte. Fortunatamente lei non ignora noi e giorno dopo giorno ricorda che le regole di questa Terra non sono umane ma Divine. Prendete il vocabolario e leggete cosa s’intenda per comunismo: “Dottrina che, sulla base delle formulazioni teoriche di Marx e Engels, propugna un sistema sociale nel quale sia i mezzi di produzione sia i beni di consumo siano sottratti alla proprietà privata e trasformati in proprietà comune, e la gestione e distribuzione di essi venga esercitata collettivamente dall’intera società nell’interesse e con la piena partecipazione di tutti i suoi membri” (Ibidem, p. 869).
E non siate pigri. Riprendete il vocabolario e leggete cosa poi s’intenda per comunista: “Chi professa il comunismo, o è iscritto a un partito che ne propugna la dottrina, o fa parte di paesi in cui i principÎ del comunismo sono attuati in un sistema politico” (Ivi).
Poi guardate quali sono state le più fulgide espressioni del comunismo mondiale. Che cosa possiamo dire di tutti quei milioni di persone morte ammazzate nei «Gulag» russi di comunista memoria? Istituiti negli anni Venti del XX secolo, sono rimasti attivi fino agli anni Novanta, ospitando milioni di prigionieri, dei quali molti non uscirono se non da morti. Che cosa dobbiamo pensare dei milioni di cinesi rieducati nei campi di lavoro denominati «Laogai», istituiti dal comunista Mao Zedong ispirato da quelli sovietici? Dagli anni Sessanta ad oggi i Laogai hanno calorosamente accolto circa cinquanta milioni di persone; molti milioni, anche in questo caso, vi sono usciti solo da morti. Ma qui non si fa solo lavorare il fisico e non si rieduca solo la mente: servono per l’espianto di organi a costo zero, di cui poi il governo comunista fa commercio con i governi dichiaratamente democratici. Secondo stime non ufficiali e non confermate i Laogai sarebbero oggi in migliaio, per qualche milione di rieducandi.
Questi due esempi, senza dubbio eclatanti, non sono gli unici. Desidero però ricordare quello che considero l’esemplare per eccellenza nell’arte eccelsa dello sterminio: il dittatore comunista cambogiano Salot Sar, meglio noto con lo pseudonimo di Pol Pot (per altro preso per un certo periodo sotto l’ala protettrice degli Stati Uniti d’America). Negli anni Settanta riuscì ad ammazzare ben un terzo del suo popolo, ovvero dei Cambogiani. È vero che ne stese nelle risaie solo tre milioni, ma su di una popolazione di circa nove era decisamente un record da guinnes dei primati. Tale guinnes, ovvero il riuscire ad eliminare un terzo del popolo che si sarebbe dovuto governare, non riuscì nemmeno ai comunisti Lenin, Trotzkij, Stalin e Beria messi assieme. Rivediamoli un attimo, anche e soprattutto a beneficio delle giovani menti. E chiediamoci, a lettura terminata, perché si facessero chiamare con un nome diverso dal loro.
- Vladimir Il’ic Uljanov, alias Nikolaj Lenin, fu uno dei fautori della rivoluzione comunista russa dei primi del Novecento e della trasformazione dell’impero russo in Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS);
- Lew Davidovic Bronstein, alias Leon Trotzkij, fu uno dei fautori della rivoluzione comunista russa dei primi del Novecento, poi cacciato e successivamente fatto probabilmente uccidere da Stalin;
- Iosif Vissarionovic Dzugasvili, alias Stalin, fu un rivoluzionario e principale dittatore russo del XX secolo;
- Lavrentij Pavlovic, alias Beria, esponente di spicco del partito comunista, diresse la NKDV (polizia russa), fu membro del Politburo e Maresciallo dell’Unione Sovietica;
- Josip Broz, alias Tito, segretario del Partito Comunista Jugoslavo nel 1937, successivamente presidente a vita della Jugoslavia, fece riempire un certo numero di grotte (denominate foibe) con i suoi oppositori, vivi o morti.
Un promettente campione d’umanità fu Abel Cohen, alias Béla Kun, rivoluzionario e animatore del movimento comunista ungherese nel 1919: «La dittatura del proletariato che egli proclamò ebbe la durata di centotrentatré giorni: il fallimento economico, la fame, il terrore (si ebbero 585 esecuzioni pubbliche di condanne a morte) e, infine, la rottura dei rapporti con gli Alleati provocarono, insieme con l’attacco rumeno all’Ungheria, la sua rovinosa caduta» (Enciclopedia Rizzoli Larousse, Enciclopedia, vol. 11, Milano 2003, p. 679).
Se facciamo delle ricerche più accurate vediamo che di morti ne fece molti di più, istituì un trenino per muoversi di cittadina in cittadina per processare e ammazzare la gente con più rapidità ed altre amenità «politicamente corrette» (come direbbero i nostri acefali comunisti possessori di una carta d’identità italiana).

Governo comunista e Tibetani buddhisti.
Così scriveva il cosiddetto Nikolaj Lenin nel 1920: “Lo ripeto, l’esperienza della dittatura del proletariato che ha vinto in Russia ha mostrato chiaramente a chi non sa pensare e a chi non ha mai dovuto riflettere su questo problema che la centralizzazione assoluta e la più severa disciplina del proletariato sono una delle condizioni fondamentali per la vittoria sulla borghesia” (Lenin, L’estremismo malattia infantile del comunismo, A.C. Editoriale Coop, Milano 2003, p. 23). Mi pare che sia in Russia, sia altrove, il proletariato non sia mai riuscito a governare; soprattutto se vigeva un governo comunista. Ovunque nel mondo i lavoratori proletari hanno ingrassato le tundre, le risaie e pure talune grotte, ma da morti.
In definitiva bisogna capire che dietro la parola comunista non vi è ciò che ognuno può pensare ed è libero di pensare del comunismo. In sostanza bisogna sapere che cosa sia quello che una ristretta oligarchia sta imponendo al mondo intero, al di là di filosofie passate e nomi di facciata. Basti pensare a chi ottimizzato, ma non inventato, il comunismo. Karl Heinrich Marx nasce a Treviri nel 1818 in una agiata famiglia borghese, il cui padre israelita si converte al protestantesimo. Laureatosi in filosofia, si dedica al giornalismo politico. A Parigi pubblica il primo e unico numero della rivista Deutsche Französische Jahrbücher, contenente due suoi articoli e la collaborazione con Friedrich Engels: “La questione ebraica” e “La critica della filosofia hegeliana”. Marx ed Engels aderiscono poi alla Lega dei Comunisti e nel 1848 scrivono il Manifesto del Partito Comunista. Si devono vedere le cose per quello che in realtà sono, non per ciò che ci viene raccontato o per ciò che ci piacerebbe esse fossero. Occorre attenersi al reale, perché questa vita è reale tanto quanto la morte che ignoriamo.
Pensare a un Tibetano spesso suscita forti emozioni in ogni parte del mondo... e questo i comunisti non solo cinesi lo sanno bene. E sanno altrettanto bene che non possono ammazzare in breve tempo tutti i Tibetani, perché creerebbero tante e pericolose figure di martiri. Il martire, come la storia insegna, è sempre e comunque pericoloso in quanto pone ogni singolo individuo di fronte alla propria coscienza e senza il filtro del padrone di turno. I Tibetani vanno quindi annichiliti, stralunati, ottenebrati, privati delle proprie tradizioni, dispersi. Un po’ come taluni individui stanno già facendo con voi che qui leggete.
Documento inserito il: 30/12/2014
  • TAG: comunismo, comunisti cinesi, credente, non credente, gulag, laogai, pol pot, mao, lenin, stalin, beria, trotzkij, questione tibetana

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