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Economia e intelligence [ di Giuseppe Gagliano ]

Come ha ampiamente dimostrato la riflessione strategica francese[1], la Guerra Economica si è affermata nel sistema internazionale come un conflitto capace di coinvolgere sia gli Stati sia le imprese private, imponendosi in un contesto globale nonostante la presenza di numerose organizzazioni internazionali.

Lo scontro a livello economico si è radicato con forza soprattutto dopo la conclusione della Guerra Fredda e si presenta come un conflitto in crescita, nel quale non solo gli attori coinvolti sono spesso tra loro interdipendenti, ma agiscono all’interno di una rete globale che non ha dei riferimenti geografici o giuridici precisi e unici, complicando ancora di più la lettura del quadro d’insieme. Per neutralizzare il proprio nemico nella Guerra Economica[2] qualsiasi mezzo è lecito – dalle misure protezionistiche fino allo spionaggio o alle attività di lobbying – e non vi sono strutture che determinino limiti o stabiliscano un ordine.

In particolare, con l’enorme diffusione dei mezzi di comunicazione, la Guerra Economica si è avvalsa sempre più di un suo strumento efficace: la Guerra dell’Informazione[3]. Gli attori coinvolti, siano essi Stati o imprese, usano questo strumento per aumentare il proprio raggio d’azione a livello planetario (basti pensare alla possibilità di comunicare in tempo reale da una parte all’altra del mondo), ma anche come mezzo marcatamente offensivo (manipolando a proprio vantaggio, ad esempio, le informazioni destinate ai consumatori).

Si comprende, perciò, quanto sia necessario che lo Stato e le imprese prendano coscienza di queste tematiche e sappiano utilizzarne gli strumenti, condividendo quanto più possibile le informazioni ricavate, sia per poter reagire agli attacchi, sia per combattere attivamente risultando vincitori. Nel mercato globale, le imprese hanno il compito di salvaguardare i propri azionisti e difendere i propri dipendenti, come del resto lo Stato avrebbe l’obbligo di sostenere e di proteggere le imprese private, in particolar modo quelle che rappresentano un interesse strategico, in una logica che vuole che il potere pubblico tuteli “l’interesse nazionale”.

In sostanza, la Guerra economica definisce il proprio spazio geografico attraverso tre elementi: l’informazione, la presenza economica dello Stato e dei privati sul territorio straniero e la normalizzazione.

Basandosi sulla metodologia dello studio dell’informazione, la Guerra Economica analizza la diffusione di contenuti e di notizie, soprattutto a mezzo stampa, consapevole di quanto la trasmissione di informazioni possa condizionare gli attori politici e, chiaramente, l’opinione pubblica. Attualmente la Guerra Economica cerca di analizzare scientificamente (soprattutto in termini quantitativi, ma anche semantici) la trasmissione di notizie per identificarne le fonti primarie, i maggiori canali di trasmissione, quanto le informazioni influenzino le scelte economiche e se sia possibile valutare gli effetti degli attacchi. Individuare quali siano le armi degli operatori economici per instaurare un conflitto e architettare attacchi ai rivali permettere di comprendere anticipatamente, a esempio, quanto potrà essere grave la diffamazione di un prodotto o di un marchio a seconda della strategia adottata. In definitiva la Guerra Economica, per mezzo del suo strumento principale, la Guerra dell’Informazione, analizza sia l’immissione sia l’effetto delle informazioni che possono riguardare l’ambito economico.

Il secondo elemento, la presenza di attori economici nei Paesi stranieri, si concretizza nelle Camere di Commercio, una struttura di rappresentanza che facilita le relazioni economiche tra gli Stati, contribuendo all’espansione delle proprie imprese nel mercato dello Stato ospite. Nonostante le Camere non siano ugualmente utili in tempo di guerra come gli avamposti marittimi, esse sono contatti stabili all’estero che promuovono la mutua conoscenza evidenziando, a esempio, le opportunità d’investimento alle proprie imprese. Conoscere profondamente la realtà locale dove s’intende avviare un’attività economica è di fondamentale importanza per la buona riuscita degli affari. Inoltre le Camere di Commercio possono promuovere il proprio Paese, facendo una “buona pubblicità” che può influenzare molto, e positivamente, le istituzioni del Paese ospitante.

Il terzo elemento fondante è la normalizzazione, intesa come procedimento politico e tecnico che costruisce un impianto normativo, il quale regola le opportunità e i vincoli degli attori economici. Questo terzo pilastro è di grande importanza per la disciplina; inoltre non è riconducibile a nessuna delle dottrine geopolitiche. Storicamente, gli Stati si sono impegnati nell’approvazione di norme che proteggessero i mercati interni o che promuovessero la loro espansione all’estero. La normalizzazione mira a evitare la conflittualità tra Stati, soprattutto tra Stati vicini.

Un altro aspetto della Guerra economica è l’intelligence economica, pratica ormai diffusa che prevede la raccolta e l’utilizzo (non sempre legale) di informazioni sensibili che possono danneggiare gli avversari. In realtà molte di queste pratiche strategiche sono state incluse e metabolizzate attraverso un altro nome: Guerra dell’Informazione, disciplina di origine militare risalente alla Guerra Fredda, che include anche la manipolazione della conoscenza. La Guerra Economica, affinandone gli strumenti e appropriandosi delle strategie, è riuscita a orientare la Guerra dell’Informazione verso il solo ambito economico dandole un nome più appropriato: Guerra Cognitiva[4].

La Guerra Cognitiva, nello specifico, si occupa di confrontare le differenti capacità di produrre, mettere in relazione ed eludere elementi di conoscenza in un contesto conflittuale, facendo ricerche in tutti i campi che trattano i processi comunicativi (dalla psicologia all’informatica).

Uno dei concetti base della Guerra Cognitiva stabilisce che, in uno scontro, non esiste solo il rapporto tra un attore forte e uno debole, ma anche il contrario. Un’immagine chiara è quella di Davide e Golia, dove non solo esiste la forza bruta del gigante, ma anche l’utilizzo più intelligente della conoscenza da parte del primo, che infatti sconfigge il più forte.

Qual è, quindi, il rapporto tra Guerra Cognitiva e la Guerra dell’Informazione rispetto alla Guerra Economica? La Guerra Cognitiva abbraccia sia la dimensione privata sia quella statale, non occupandosi solo di disinformazione, ma anche della conoscenza nel suo insieme. La Guerra d’Informazione sarebbe riduttiva per la dimensione statale, mentre la Guerra Cognitiva utilizza tutti gli strumenti della conoscenza, della tecnologia e dell’informazione per rovesciare il rapporto forte-debole.

Si può tentare di delineare una definizione di Intelligence economica descrivendola come l’insieme di azioni coordinate di ricerca, di trattamento, di distribuzione e di spiegazione di informazioni utili agli attori economici. Per attori economici si intendono tutti gli attori in grado di operare nell’ambito economico sia all’interno di un territorio definito sia a livello globale. È evidente che questa disciplina ha bisogno di sistemi che possano raccogliere informazioni, dando vita a un processo che coinvolge attori diversi, i quali ricevono delle spinte da un potere politico o economico con delle chiare visioni geoeconomiche e strategiche.

Non limitandosi a informazioni provenienti esclusivamente da fonti riservate, l’Intelligence può lavorare anche grazie a sistemi open source come internet, libri, conferenze, convegni e mezzi di comunicazione di massa. Gli attori economici, di fatto, dialogano anche attraverso questi mezzi. Paradossalmente, il problema dell’Intelligence economica non sta tanto nel raccogliere informazioni per farne una strategia, quanto nell’avere fonti che raccolgano le informazioni e le elaborino in modo comprensibile per il decisore[5].


Giuseppe Gagliano è laureato in Filosofia presso l’Università Statale di Milano. Attualmente è Presidente del CESTUDEC (Centro Studi Strategici Carlo De Cristoforis) e collabora con Rivista Marittima, l’Isag, la Glocal University Network, la Società italiana di Storia militare, il Cenegri (Brasile), il Centre Français de Recherche sur le Renseignement, il Sage International australiano, il Terrorism Research & Analysis Consortium statunitense e l’International Journal of Science inglese. È inoltre autore di numerosi saggi e di articoli in lingua inglese e francese.


Note:

[1] La riflessione strategica francese, in materia di intelligence economica, nasce con il Rapporto Martre nel febbraio del 1994 grazie ai contributi di Christian Harbulot e Philippe Baumard. Secondo il Rapporto, l’intelligence economica può essere definita come l’insieme delle attività coordinate di ricerca, trattamento e distribuzione dell’informazione utile agli attori economici in vista del suo sfruttamento. Queste diverse azioni sono condotte legalmente con tutte le garanzie di protezione necessarie alla tutela del patrimonio dell’impresa, nelle migliori condizioni di qualità, di tempi e di costo. L’informazione utile è quella di cui hanno bisogno i differenti livelli di decisione dell’impresa o della collettività, per elaborare e attuare in modo coerente la strategia e le tattiche necessarie al raggiungimento degli obiettivi definiti dall’impresa allo scopo di migliorarne la posizione nel suo ambiente concorrenziale. Queste azioni, nell’ambito dell’impresa, si ordinano in un ciclo ininterrotto, generatore di una visione condivisa degli obiettivi da raggiungere. La nozione di intelligence economica implica il superamento delle azioni parziali definite dai vocaboli documentazione, veglia (scientifica e tecnologica, concorrenziale, finanziaria, giuridica e regolamentare), protezione del patrimonio concorrenziale, influenza (strategia di influenza degli Stati-nazione, ruolo degli studi di consulenza stranieri, operazioni di informazione e di disinformazione). Questo superamento risulta dall’intenzione strategica e tattica, che deve presiedere alla guida delle azioni parziali e al successo delle azioni interessate, così come dell’interazione tra tutti i livelli delle attività in cui si esercita la funzione di intelligence economica: dalla base (interni all’impresa), passando per i livelli intermedi (interprofessionali, locali), fino ai livelli nazionali (strategie concertate tra i vari centri decisionali), transnazionali (gruppi multinazionali) o internazionali (strategie di influenza degli Stati-nazione). Ebbene dal punto di vista storico non c’è dubbio — secondo il Rapporto Marte — che l’intelligence economica sia nata in Inghilterra. Infatti la Gran Bretagna è stata la prima potenza economica mondiale della rivoluzione industriale. Dalla creazione delle prime fabbriche tessili, l’intelligence economica ha avuto un ruolo fondamentale nel controllo dell’innovazione strategica. Dopo la scoperta del petrolio la sinergia tra il mondo dell’intelligence e il mondo industriale si rafforzò. Infatti l’importanza della intelligence economica corrispondeva a un tentativo di risposta alle molteplici sfaccettature del problema petrolifero in Medio Oriente: coloniali, con la difesa degli interessi dell’impero contro gli altri imperi coloniali; geostrategici, con l’interdizione alla Russia zarista di controllare l’Iran; culturali ed etnici, con la gestione delle contraddizioni inter-arabe; infine, economiche, con il controllo dei giacimenti e delle concessioni. Tuttavia dopo la seconda guerra mondiale, questa peculiarità culturale si è attenuata con la perdita di competitività dell’industria d’oltremanica. Secondo il Rapporto Martre allo stato attuale la forza della cultura dell’intelligence economica si concentra soprattutto nella City. Le compagnie assicurative, le istituzioni finanziarie e le banche si rivolgono a questo tipo di competenza nella conduzione dei loro affari. Un certo numero di grandi imprese pratica anche la business intelligence, creando dei posti specifici dedicati a questa attività. Esiste, infine, un mercato privato dell’informazione che costituisce una fonte di diversificazione per la stampa economica. I testi specializzati, le basi di conoscenza prese di mira sulle imprese e le loro operazioni commerciali costituiscono uno dei punti forti di un mercato fino allora dominato dalle operazioni di consulenza. Ebbene rispetto al modello anglosassone quello francese — almeno fino alla stesura del Rapporto Martre — era viziato da un divario evidente tra pubblico e privato che si è concretizzato in un eccessivo centralismo statale e in una eccessiva specializzazione nel settore petrolifero e chimico. Inoltre esiste anche una differenza lessicale di rilievo. Il Rapporto Martre infatti sottolinea come il termine “intelligence economica” sia utilizzato raramente in Francia, mentre è oggetto di un utilizzo corrente nei Paesi anglosassoni con i nomi di Economic Intelligence, Business Intelligence, o ancora Competitive Intelligence. Ebbene, per evitare sovrapposizioni lessicali, le imprese francesi hanno scelto di utilizzare il termine “veglia” (veille) per descrivere la loro ingegneria strategica dell’informazione.

[2] La definizione di Guerra economica è prevalentemente di matrice francese e deriva dalle riflessioni di Christian Harbulot. Tuttavia, in linea di massima, questo concetto può essere contestualizzato sia in quello di Intelligence economico-finanziaria nella accezione del Glossario intelligence – “ricerca ed elaborazione di notizie finalizzate alla tutela degli interessi economici di un paese a opera dei suoi servizi di informazione” – sia in quello di minaccia economica-finanziaria.

[3] Per una definizione di Guerra della informazione – espressione speculare a quella di Information warfare – rinviamo alla definizione data dal Glossario intelligence secondo il quale l’Information warfare “è relativa alle azioni intraprese al fine di acquisire superiorità nel dominio informativo minando i sistemi informativi dell’avversario”.

[4] Anche l’espressione Guerra cognitiva nasce nel contesto della riflessione harbuletiana. Tuttavia è assimilabile semanticamente a quello di Guerra dell’informazione. A tale proposito non c’è dubbio che una delle tecniche maggiormente usate sia la disinformazione da intendersi – secondo il Glossario intelligence – come “diffusione di notizie infondate al fine di danneggiare l’immagine pubblica di un avversario o di influenzarne le scelte”.

[5] Per una maggiore e più esaustiva informazione sulla riflessione strategica francese in materia di guerra economica e intelligence, si possono vedere Christian Harbulot, La machine de guerre économique, Economica, 1992; Christian Harbulot, La main invisible des puissances, Ellipses, 2005; Christian Harbulot e Didier Lucas, La guerre cognitive, Lavauzelle, 2002; Didier Lucas e Alain Tiffreau, Guerre économique et information: les stratégies de subversion, Ellipses, 2001. In lingua italiana Nicolas Moinet, Piccola storia della intelligence economica, Fuoco Edizioni, 2012; Giuseppe Gagliano, Guerra economica ed intelligence, Fuoco Edizioni, 2013; Giuseppe Gagliano, La nascita dell’intelligence economica francese, Aracne, 2012.
Documento inserito il: 28/12/2014

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