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Joseph Patrick Kennedy, l’ambasciatore antisemita [ di Simone Barcelli ]

Joseph Patrick Kennedy Sr., padre di John Fitzgerald Kennedy (presidente degli Stati Uniti dal 1961 al 1963), era un ricchissimo uomo d’affari che riuscì a costruire la sua fortuna non solo speculando in borsa e nel settore immobiliare, ma anche producendo film e distribuendo del buon whisky scozzese.
Per Edward Klein, già giornalista investigativo di Newsweek e New York Times Magazine, il patriarca della famiglia fece fortuna come contrabbandiere durante il proibizionismo, assieme al mafioso Francesco Castiglia detto Frank Costello, che a sua volta collaborava con il boss indiscusso della malavita Lucky Luciano.
Costello, infatti, come scriveva qualche anno fa il giornalista Mario Lombardo sulle pagine di Storia Illustrata, aveva ricevuto dall’organizzazione criminale «un incarico di capitale importanza: mantenere i contatti e i rapporti con i politici... Astuto, intelligentissimo, ha un naturale talento per le trattative diplomatiche. È abilissimo nel giudicare gli uomini, nel capirne i punti deboli, individuarne i vizi, per poi sfruttarne le debolezze».
Per questo avviò relazioni con i nomi più importanti del partito democratico di New York, facendoseli amici. A ridosso delle presidenziali del 1932, durante la convenzione democratica di Chicago, mentre Lucky Luciano stringeva rapporti personali con il leader del partito democratico Albert C. Martinelli, Costello, con molta discrezione, stava dalla parte dell’altro candidato, Franklin Delano Roosevelt.
Grazie alle frequentazioni degli anni Venti del secolo scorso proprio con Franklin Delano Roosevelt, quando questi divenne presidente degli Stati Uniti, grazie al sostanzioso sostegno economico della famiglia Kennedy, Joseph Patrick fu nominato primo presidente della Securities and Exchange Commission (Commissione per i Titoli e gli Scambi) dal 1934 al 1935, per poi essere introdotto alla carriera diplomatica nel 1938, con la nomina ad ambasciatore nel Regno Unito. Durante il suo mandato, tre anni in tutto, si distinse per una politica aperta e distensiva nei confronti della Germania, rispetto alla completa chiusura propugnata da parte di altri uomini politici, compreso Winston Churchill che ancor prima di ricoprire di nuovo la carica di primo ministro dal 1940, anche dai banchi dell’opposizione rigettava qualsiasi possibile compromesso con Hitler.
Insomma, Kennedy senior la pensava come Arthur Neville Chamberlain, predecessore di Churchill, e il ministro degli esteri Edward Wood (lord Halifax), che sostenevano l’esigenza di proseguire nelle trattative per mantenere la pace sul continente. Tentativi che continuarono addirittura anche dopo l’invasione tedesca della Polonia, almeno fino alla fine di settembre del 1939, poiché i due furono platealmente ingannati dall’interessata mediazione intrapresa da Johan Dahlerus, un uomo d’affari svedese, amico di Goering, che palesava la possibilità di organizzare un negoziato per raggiungere un accordo conveniente fra le parti, per evitare lo scoppio di una guerra.
Secondo lo storico David Nasaw, l’ambasciatore Kennedy credeva fermamente che per il bene dell’America fosse meglio lavorare con Hitler, piuttosto che contro di lui, auspicando quindi per gli Stati Uniti la pacificazione e lo sviluppo di legami commerciali con la Germania.
Kennedy cercò insistentemente di avere un incontro chiarificatore con Hitler, senza tuttavia riuscire nell’intento. E pensare che si muoveva anche senza il consenso esplicito del suo Dipartimento di Stato. È anche vero che Roosevelt appariva impreparato ad affrontare gli eventi e non ascoltava per niente il segretario di Stato Cordell Hull, che lo sollecitava a rispettare il ruolo e la funzione della diplomazia ufficiale: ma il presidente faceva di testa sua e, come scriveva Renato Rinaldi «riteneva più che normale incaricare l’ambasciatore a Londra Kennedy o l’ambasciatore a Parigi Bullit di compiere passi impegnativi. Non solo non lasciava traccia delle sue personali iniziative, ma non si preoccupava nemmeno di dar notizie degli argomenti trattati al Dipartimento di Stato. Non esitava di ingiungere agli ambasciatori di riferire direttamente a lui... Insomma il nesso conduttore della politica estera degli Stati Uniti, esisteva solo nel cervello del presidente».
Il giornalista Daniel Malloy, riprendendo l’analisi di Nasaw, suggerisce che Kennedy nutriva ancora la speranza che gli Stati Uniti potessero sistemare le cose non con concessioni territoriali, bensì sborsando l’oro di cui Hitler aveva bisogno. Quindi l’ambasciatore lavorava «per incontrare gli intermediari di Hitler nella speranza di arrivare a lui. James Mooney, direttore d’oltremare della General Motors, incontrò a Berlino un dirigente della Reichsbank e Helmuth Wohlthat, che era il consigliere capo dell’economia di Hermann Goering, confidente di Hitler. Mooney disse a Kennedy che Wohlthat era il più moderato di tutti ed era aperto a un ‘prestito d’oro’ e a una ripresa del commercio con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Washington respinse l’idea, ma Kennedy proseguì in segreto e il 9 maggio 1939 incontrò Wohlthat a Londra. Kennedy non è mai andato oltre nella catena nazista».
Wohlthat doveva apparire agli occhi di Kennedy come una pedina determinante. Aveva soggiornato negli Stati Uniti dal 1929 al 1933, studiato scienze politiche alla Columbia University di New York e sposato un’insegnante americana. Dal 1934 deteneva la carica di direttore amministrativo per gli appalti in valuta estera al Ministero dell’Economia del Terzo Reich; quattro anni dopo, come Segretario di Stato, collaborava direttamente con Goering al ‘Piano quadriennale’ che doveva permettere alla Germania di sostenere sul piano industriale un conflitto entro il 1940, avendo la responsabilità del commercio estero e della gestione delle valute.
Nel 1938, Kennedy incontrò almeno un paio di volte l’ambasciatore tedesco a Londra Herbert von Dirksen, come sempre senza avvertire il Dipartimento di Stato americano, confidando al collega che il presidente Roosevelt, oltre a essere vittima d’influenze ebraiche, non era informato delle ambizioni e degli ideali del Nazismo. Von Dirksen riferì puntualmente al Ministero degli affari esteri del Reich il sunto di questi colloqui intrattenuti con Kennedy: «Ha appreso da varie fonti che l’attuale governo ha fatto grandi cose per la Germania... Kennedy ha toccato la ‘questione ebraica’ e ha affermato che non era il fatto che volessimo sbarazzarci degli ebrei dannosi per noi (i nazisti), ma piuttosto il clamore forte con cui abbiamo accompagnato questo scopo. Lui stesso ha capito completamente la nostra politica ebraica, era di Boston e lì, in un golf club e in altri club, nessun ebreo era stato ammesso negli ultimi cinquant’anni... Kennedy ha menzionato che negli Stati Uniti esistevano tendenze antisemite molto forti e che gran parte della popolazione aveva una comprensione dell’atteggiamento tedesco nei confronti degli ebrei... Per tutto questo, dalla sua personalità, credo che andrebbe molto d’accordo con il Führer».
L’atteggiamento dell’ambasciatore degli Stati Uniti, che nel 1938 aveva sostenuto e apprezzato gli sforzi politici compiuti dai protagonisti per giungere a un trattato di pace in quel di Monaco, non fece altro che portare l’opinione pubblica del Regno Unito ad additarlo come un fiancheggiatore del regime nazista, se non un vero e proprio disfattista, come pensava di lui Winston Churchill.
D’altro canto, il padre di John nutriva un profondo astio nei confronti degli inglesi, tanto da fargli dichiarare pubblicamente, anche nel frangente dei bombardamenti tedeschi sulla Gran Bretagna, che non meritavano di ricevere sostegno nel conflitto, poiché secondo lui la nazione non stava lottando per tutelare la democrazia, bensì per conservare il proprio status quo.
Alvin Finkel, Professore di Storia all’Università di Athabasca in Canada, suggerisce che il Patto di Monaco del 1938, metta in rilievo un sentimento antisovietico nella politica estera della Gran Bretagna, che invece apprezzava i regimi totalitari di Italia, Germania e Spagna, auspicando una collaborazione con Hitler, che nel frattempo incoraggiava a riarmarsi.
L’autore rifugge quindi dalla vulgata che la Gran Bretagna volle tener testa al Nazismo per difendere la democrazia e i diritti dei piccoli stati: «Nel settembre 1933, ancora all’inizio della dittatura di Hitler, Lloyd George rifletteva su quale regime avrebbe potuto succedere alla caduta di Hitler, nel caso in cui le potenze straniere avessero deciso di togliergli il potere. “Non un regime conservatore, socialista o liberale, ma comunismo estremista”, ammoniva. Un regime comunista tedesco si sarebbe rivelato di gran lunga più temibile dell’attuale regime sovietico perché “i tedeschi avrebbero saputo come condurre efficacemente il loro comunismo”».
La linea politica espressa dalla Gran Bretagna, così come raccontata da Finkel, non si discostava più di tanto da quella degli Stati Uniti: anche se le motivazioni di fondo potevano apparire sensibilmente diverse, entrambe le nazioni favorirono in qualche modo l’ascesa al potere di Hitler e il riarmo della Germania, grazie all’intervento di banchieri e imprenditori, per contrastare la possibile espansione del comunismo nel continente. E non avevano poi tutti i torti: come sostiene lo storico Istvan Deak, Hitler non aveva infatti nessun progetto di conquista dell’Europa occidentale, poiché aveva riservato le sue attenzioni all’Europa orientale, ottenendo quindi la cooperazione compiacente del resto del continente.
Ma la situazione, a un certo punto, si era evoluta in tutt’altra direzione, sfuggendo completamente di mano quando Hitler, il 23 agosto 1939, firmava a sorpresa un patto di non aggressione con Stalin. La Russia, infatti, si aspettava l’attacco della Germania, poiché sapeva che Stati Uniti, Regno Unito e Francia avevano riarmato i tedeschi violando il trattato di Versailles.
Il 3 settembre 1939, in conseguenza della dichiarazione di guerra di Inghilterra e Francia alla Germania per l’aggressione sofferta dalla Polonia, Kennedy lasciava il Regno Unito. D’altronde Roosevelt aveva bisogno di lui in patria, per il suo sostegno finanziario nelle elezioni presidenziali del novembre 1940, come già successo nelle precedenti tornate, e a cose fatte Kennedy pensò bene di dare le dimissioni dall’incarico di ambasciatore, dato che la sua figura in Inghilterra era ormai largamente invisa.
C’è da dire che Kennedy, e non era certamente l’unico tra gli americani dell’epoca, oltre a essere naturalmente anticomunista, nutriva un forte sentimento antisemita, tanto da giustificare il pur censurabile comportamento posto in essere dai tedeschi nei confronti degli ebrei. E sono queste le ragioni, oltre chiaramente alla paura di un possibile e imminente conflitto mondiale, che giustificano, ma solo in apparenza, il suo atteggiamento fin troppo benevolo nei confronti di Hitler. Una specie di fascinazione, insomma, come quella già occorsa ai figli Joe Jr. e John durante le loro vacanze in Europa negli anni Trenta del secolo scorso.
Hai letto un estratto del libro “Le finanze occulte del Führer”, Edizioni Aurora Boreale, ottobre 2023.


Bibliografia
Edward Klein, La maledizione dei Kennedy, Mondadori, 2007.
Penny Walsh, Secret Story of Frank Costello That Was Almost Written, The New York Times, 27 febbraio 1973.
Corrado Augias, Le ombre dei Kennedy, La Repubblica, 27 ottobre 1990.
Mario Lombardo, Eliminati uno per uno i vecchi boss mafiosi, Storia Illustrata n. 216, novembre 1975.
David Nasaw, The Patriarch: The Remarkable Life and Turbulent Times of Joseph P. Kennedy, Pengiun, 2013.
Renato Rinaldi, Storia degli Stati Uniti d’America, Volume secondo, Curcio, 1964.
Daniel Malloy, When Joe Kennedy Tried to Buy Off Hitler, Ozy, 11 luglio 2017.
Renehan Edward, Jr., Joseph Kennedy and the Jews, History News Network, 29 aprile 2002.
Alvin Finkel e Clement Leibovitz, Il nemico comune. La collusione antisovietica fra Gran Bretagna e Germania nazista, Fazi Editore, 2005.
Istvan Deak, Europa a processo. Collaborazionismo, resistenza e giustizia tra guerra e dopoguerra, Società Editrice il Mulino, 2019.
Gianni Bisiach, Il Presidente, Newton Compton Editori, 2013.
Documento inserito il: 09/11/2023
  • TAG: Adolf Hitler, Joseph Patrick Kennedy, Franklin Delano Roosevelt, Winston Churchill, mafia, Frank Costello, Helmuth Wohlthat, Hermann Goering, nazismo,

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